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Iacopo Iadarola. Cantare il creato. Con san Francesco e con san Giovanni della Croce

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Academic year: 2022

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Cantare il creato

Con san Francesco e con san Giovanni della Croce

Iacopo Iadarola

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ISBN 978-88-250-4900-8 ISBN 978-88-250-4901-5 (PDF) ISBN 978-88-250-4902-2 (EPUB) Copyright © 2019 by P.P.F.M.C.

MESSAGGERO DI SANT’ANTONIO – EDITRICE Basilica del Santo - Via Orto Botanico, 11 - 35123 Padova www.edizionimessaggero.it

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Indice

Introduzione . . . 7 Giovanni & Giovanni . . . 11 In cammino verso il creato . . . 23 Conoscere il creato tramite Dio

e non Dio tramite il creato . . . 35 Interpretazione teopatica

del Cantico di frate Sole . . . 43 Conclusioni e(u)cologiche . . . 51 Note . . . 61

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In questo piccolo saggio proveremo ad accostare due fra i più sublimi cantici del- la letteratura cristiana: il Cantico di frate Sole di san Francesco d’Assisi e il Canti- co spirituale di san Giovanni della Croce.

A tal proposito siamo stati sollecitati non dall’assonanza dei titoli o da un vezzo eru- dito, ma dall’ascolto dell’enciclica di papa Francesco Laudato si’ e del suo appassio- nato appello, per tutti i fedeli, a una pro- fonda «conversione ecologica»1 ancora tutta da attuare. A questo fine, ciò che il Santo Padre invoca, nell’ultimo capito- lo della sua enciclica, è una vera e propria

«mistica che ci animi» (LS 216), che vivi- fichi dal di dentro l’auspicata spiritualità ecologica necessaria per affrontare le sfide del nostro secolo e che risparmi la stes- sa dal decadere in uno sterile moralismo

«verde». Infatti, uno sguardo innamorato

Introduzione

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sul creato, qual è quello che s’impara alla scuola dei mistici, potrebbe essere di vi- tale importanza nel completare il dialogo fra i saperi ecologici e le scienze ambien- tali, in un arricchimento reciproco e in un impegno congiunto a che l’appello a una maggiore sensibilità verso il creato non ca- da nel vuoto o, peggio ancora, non venga strumentalizzato politicamente o ideologi- camente, in una materialistica moda eco- logica perfettamente asservita e funziona- le alle attuali dinamiche di sfruttamento dell’uomo e del nostro ambiente.

È in quest’ottica, allora, che si compren- de l’ispirazione dell’enciclica al Cantico di frate Sole, ovvero a uno dei più grandi mi- stici di tutti i tempi, san Francesco d’Assisi;

ed è nella medesima ottica che non pote- va mancare al suo interno il riferimento al Doctor mysticus Giovanni della Croce, citato puntualmente nell’ultimo capitolo dedicato all’Educazione e spiritualità eco- logica:

San Giovanni della Croce insegnava che tutto quanto c’è di buono nelle cose e nelle esperienze del mondo «si trova eminente- mente in Dio in maniera infinita o, per dire

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meglio, Egli è ognuna di queste grandezze che si predicano» (Cántico espiritual, XIV, 5). Non è perché le cose limitate del mon- do siano realmente divine, ma perché il mistico sperimenta l’intimo legame che c’è tra Dio e tutti gli esseri, e così «sente che Dio è per lui tutte le cose» (ivi). Se ammi- ra la grandezza di una montagna, non può separare questo da Dio, e percepisce che tale ammirazione interiore che egli vive de- ve depositarsi nel Signore: «Le montagne hanno delle cime, sono alte, imponenti, bel- le, graziose, fiorite e odorose. Come quelle montagne è l’Amato per me. Le valli solita- rie sono quiete, amene, fresche, ombrose, ricche di dolci acque. Per la varietà dei loro alberi e per il soave canto degli uccelli ricre- ano e dilettano grandemente il senso e nel- la loro solitudine e nel loro silenzio offro- no refrigerio e riposo: queste valli è il mio Amato per me» (Ibid., XIV, 6-7) (LS 234).

Inoltre, queste citazioni tratte dal Can- tico spirituale di san Giovanni della Croce sono state poste nella Laudato si’ con mol- ta convenienza, in quanto sono tratte da un capitolo in cui il santo spagnolo riman- da esplicitamente all’esperienza contem- plativa del santo di Assisi2. Questa circola-

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rità ci ha spronato a prendere in conside- razione un raffronto più approfondito tra i due santi e i due rispettivi canti, aprendoci inaspettate prospettive per comprendere meglio alcuni aspetti dei due testi. In que- sto confronto, abbiamo realizzato in par- ticolare come la dottrina di san Giovanni della Croce del «conoscere le creature tra- mite Dio» (al di là del conoscere Dio tra- mite le creature) possa offrire preziose in- dicazioni per una lettura più fruttuosa dei due cantici citati dall’enciclica nell’attuale contesto di invocata «conversione ecolo- gica», indicazioni che tenteremo di svilup- pare nelle prossime pagine.

Tuttavia, prima di confrontare il Can- tico di frate Sole e il Cantico spirituale, è giocoforza scavare nel retroterra dei due autori, al fine di rinvenire le possibili radici comuni del loro mistico poetare.

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Giovanni & Giovanni

Non tutti ricordano che il nome di bat- tesimo di san Francesco è proprio Giovan- ni, nome che in seguito gli fu mutato dal padre in «onore» di quella Francia che tanta parte occupava del suo orizzonte di mercante. Anche il padre di san Giovan- ni della Croce, Gonzalo de Yepes, era un mercante, e precisamente un mercante di tessuti come Pietro di Bernardone. Ma quello, a differenza di questo, seppe ri- nunciare a tutto per amore di una povera donna, Catalina, la cui bassa condizione sociale avrebbe provocato lo sdegno dei parenti del futuro marito con conseguen- te diseredamento. La «sposa più bella», la Madonna Povertà che san Francesco avrebbe imparato ad amare, il piccolo Gio- vanni la conobbe sin dalla più tenera età, incarnata nelle vicissitudini esistenziali ed economiche della sua famiglia. Infatti, il padre Gonzalo morì pochi anni dopo il matrimonio e Giovanni avrebbe vissuto la sua giovinezza nella povertà, costretto ai più umili lavori per mantenere sé e il suo

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piccolo nucleo familiare. Si segnala in que- sto periodo la sua dedizione amorevole nel servizio agli ammalati nell’ospedale de las bubas, il cui nome («dei bubboni») è em- blematico delle situazioni umane che Gio- vanni dovette affrontare e abbracciare (e come anche Francesco fece).

Nella vita religiosa dei due santi evi- denziamo due coincidenze significative: il trovarsi di ambedue all’inizio di una nuova storia non progettata e il trovarsene in un secondo momento emarginati. San Fran- cesco, senza che programmasse alcunché, si sarebbe ritrovato alla testa della frater- nità dei minori in cerca di una faticosa autodefinizione e istituzionalizzazione;

san Giovanni, deragliato da santa Teresa d’Avila dal suo piano di farsi certosino, si sarebbe trovato nel ruolo di iniziatore del- la riforma dei carmelitani scalzi, anch’essi ansiosamente protesi verso un’autonomia giuridica e carismatica in seno all’ordine carmelitano, iter che avrebbe conosciuto dolorosissimi strappi. In entrambi questi processi, i loro iniziatori Francesco e Gio- vanni avrebbero sofferto terribilmente, ma sarebbero stati anche in grado di amare ta-

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le sofferenza come la grazia più grande che avrebbero potuto ricevere da Dio, per una totale conformazione al Cristo crocifisso.

Dal loro dolore più buio, dalla loro notte più oscura, sarebbero sorti i loro canti d’a- more più luminosi. Ecco, infatti, come la Compilazione di Assisi descrive l’antefat- to della composizione del Cantico di frate Sole:

Il beato Francesco soggiornò a San Damia- no per cinquanta giorni e più. Non essen- do in grado di sopportare di giorno la luce naturale, né durante la notte il chiarore del fuoco, stava sempre nell’oscurità in casa e nella cella. Non solo, ma soffriva notte e giorno così atroce dolore agli occhi, che quasi non poteva riposare e dormire, e ciò accresceva e peggiorava queste e le altre sue infermità. Come non bastasse, se talora voleva riposare e dormire, la casa e la cel- letta dove giaceva erano talmente infestate dai topi, che saltellavano e correvano intor- no e sopra di lui, che gli riusciva impossi- bile prender sonno; le bestie lo disturbava- no anche durante l’orazione. E non solo di notte, ma lo tormentavano anche di giorno;

perfino quando mangiava, gli salivano sul- la tavola. Sia lui che i compagni pensavano

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che questa fosse una tentazione del diavolo:

e lo era di fatto3.

Ed ecco come uno dei più autorevoli biografi di san Giovanni della Croce descri- ve la sua prigionia nel convento di Toledo:

Viene messo in una cella allestita apposta per lui, angusta, oscura, asfissiante come una tomba. È un vano senza finestra incas- sato nel muro, largo sei piedi e lungo dieci;

fatto per ritirata dalla scala contigua, desti- nata agli ospiti, ha in alto solo una feritoia larga tre dita che dà in un corridoio; sul pa- vimento, dove fino allora era stato il vaso, si pongono delle tavole e due vecchie coperte:

questo sarà il letto del prigioniero. Fra Gio- vanni vi entra, in un giorno d’inverno, pri- vo di cappuccio e di scapolare, che gli sono stati tolti per punire la sua ribellione, por- tando con sé solo il breviario. Sentirà subito gli effetti dei terribili ghiacci toledani, che un anno prima avevano tanto impressio- nato la Madre Teresa, e vi vedrà le dita dei piedi spellarsi dal freddo. Vi passerà nove mesi, isolato, affamato, in un ambiente fe- tido, consumandosi tra i disagi, senza nes- sun’altra luce all’infuori di quella che filtra per la feritoia, larga tre dita, aperta nell’alto del piccolo carcere4.

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Ebbene, questo squallore fisico, così vividamente descritto, fu solo una palli- da eco dell’angoscia morale che dovettero provare in quei frangenti san Francesco per le vicende del suo ordine e san Gio- vanni per la persecuzione dei suoi con- fratelli5. Eppure, com’è risaputo, è preci- samente dalla notte di San Damiano che sgorgò sulle labbra di Francesco il Cantico di frate Sole, ed è nella notte di Toledo che rifulse nella mente di Giovanni il Cantico spirituale (insieme ad altre sublimi opere poetiche).

Infine, in questo abbozzo di vite paral- lele che stiamo delineando, aggiungiamo un altro nodo focale, quello che più ci in- teressa per l’ambito del nostro confron- to: il rapporto con la natura. Ambedue ne gioivano immensamente, follemente:

Così pure, quando si lavava le mani [Fran- cesco] sceglieva un posto dove poi l’acqua non venisse pestata coi piedi […]. Diceva al frate incaricato dell’orto, di non coltivare erbaggi commestibili in tutto il terreno, ma di lasciare uno spiazzo libero di produrre erbe verdeggianti, che alla stagione propi- zia producessero i fratelli fiori. Anzi dice-

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va che il frate ortolano doveva fare un bel giardinetto da qualche parte dell’orto, dove seminare e trapiantare ogni sorta di erbe odorose e di piante che producono bei fio- ri, affinché nel tempo della fioritura inviti- no tutti quelli che le guardano a lodare Dio, poiché ogni creatura dice e grida: «Dio mi ha fatta per te, o uomo». Noi che siamo sta- ti con lui, lo abbiamo visto sempre dilettarsi intimamente ed esteriormente di quasi ogni creatura: le toccava, le guardava con gioia, così che il suo spirito pareva muoversi in cielo, non sulla terra (CAss 88: FF 1623).

Quando esce con i suoi frati per l’orazione fra Giovanni, seduto in mezzo a loro sul monte, invece di leggere un punto del libro, parla delle meraviglie del creato, così splen- dide sono quelle che essi hanno davanti agli occhi; delle bellezze della natura, dei riflessi della bellezza divina che traspare nei fiori, nelle acque cristalline che scorrono lam- bendo i loro piedi scalzi, negli uccellini che forse cantano fra la chioma degli alberi vi- cini, nella luce del sole, in quel luogo così luminosa […]. E poi comanda loro di sepa- rarsi per meditare, sparsi per il monte, na- scosti tra gli alberi, ai piedi di una fonte o seduti su una roccia6.

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Nei momenti liberi dall’assistenza alle mo- nache, prende il compagno e se ne va con lui al monticello che gira intorno alla città, ordinandogli poi di allontanarsi per prega- re da solo. Fra Girolamo osserva il padre Giovanni e vede che questi si ferma a con- templare il fiume o qualche sorgente, tal’al- tra fiori e le erbe: è questa la sua orazione […]. Una delle volte che fa il viaggio con fra Girolamo della Croce, esce di sera con lui per la campagna: forse è il tempo della piena fioritura primaverile, quando la ter- ra germoglia irrefrenabile e piena di vigore in questa regione meridionale e ciascun fi- lo d’erba si muta in fiore. Giunti a un luogo tranquillo, fra Giovanni parla un po’ dell’a- mor di Dio e dice a fra Girolamo: «Si ritiri a lodare il Signore». E, come a Beas, fa la sua orazione circondato dai fiori silvestri, con- templando l’acqua di un fiumicello che ser- peggia giù per la collina7.

Avremmo potuto citare molti altri bra- ni per meglio scontornare questo idillio con il creato cantato8 da fra Giovanni e da fra Francesco, ma essendo ben conosciu- to riteniamo che questi siano sufficienti.

È doveroso, invece, riportare altri testi si- curamente meno noti in cui emerge come

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G. Biscontin, La gioia del Vangelo. Con san France- sco e sant’Antonio, pp. 80, 2015

U. Sartorio, L’omelia, evento comunicativo. In cerca di tratti francescani, pp. 120, 2015

D.M. Turoldo, Povero sant’Antonio, pp. 52, 2015 D. Dozzi (a cura), Qui è vera letizia, pp. 88, 2015 D. Dozzi (a cura), Verso la felicità, pp. 80, 2015 F. Scarsato - J. Leclercq - T. Merton, Marta e

Maria, pp. 120, 2016

P. Mazzolari, Francesco d’Assisi e il lupo, pp. 82, 2016 D. Dozzi (a cura), Sorella Terra. Il cantico di san Fran-

cesco, pp. 90, 2016

D. Dozzi (a cura), Con tutte le Tue creature. Dall’en- ciclica Laudato si’ alla custodia del creato, pp. 90, 2016

L.F. Ruffato (a cura), Francesco d’Assisi. Un cristiano lieto, povero, umile, semplice, buono, pp. 104, 2017 D. Dozzi (a cura), Per lo Tuo amore, pp. 88, 2017 D. Dozzi (a cura), Per quelli che perdonano, pp. 88,

2017

P. Maranesi, La fragilità in Francesco d’Assisi. Quan- do lo scandalo della sofferenza diventa grazia, pp.

120, 2018

I. Iadarola, Cantare il creato. Con san Francesco e con san Giovanni della Croce, pp. 68, 2019

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