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7 aprile Cernobbio, Val d'ossola, Salò, poi via su per il tunnel del Brennero

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7 aprile 2019 - Cernobbio, Val d'Ossola, Salò, poi via su per il tunnel del Brennero

LO SCENARIO DI BREVISSIMO/BREVE TERMINE

Le buone notizie: gli "esperti" finalmente concordano che la politica monetaria in Europa (e altrove) ha esaurito le proprie risorse, che Draghi ha fatto e sta facendo più di quanto dovrebbe per "rilanciare l'economia", che ha tenuto i tassi così assurdamente bassi per così tanto tempo che è arrivato al punto in cui deve preoccuparsi che, se alza un tasso marginale per aiutare le banche, i mercati penseranno che vuole abbassare ancora i tassi, e quindi adesso tocca ai Governi fare la loro parte (meno tasse, meno regole).

Quindi: inutile preoccuparsi ancora di tassi, sono tasse e regole il problema.

Era ora. Se c'è arrivata perfino Cernobbio a capirlo...

Queste le buone notizie.

Cattive notizie: guardate in che mani si trova la politica fiscale e normativa.

Notizie davvero pessime: la politica fiscale e normativa è in quelle mani a causa della politica monetaria.

(Discredito della politica monetaria dopo un decennio di tassi zero --> svolte politiche avventuriste).

Il fatto che, quando parla di moneta e credito, la Politica dica scemenze [sovranità monetaria, salvataggi e attacchi alle Banche - due facce della stessa medaglia -, complottismi che arrivano fino a grotteschi flirt con l'antisemitismo, che a sua volta diventa oggetto di polemiche ridicole come quelle fra Di Maio e Salvini negli ultimi giorni]

è solo una conseguenza del fatto che questa politica è nata - ed è l'unica politica che poteva nascere - dall'"assistenzialismo rivoluzionario" e dallo "statalismo familistico" che erano impliciti in oltre un decennio di finanziamenti a tasso zero del debito pubblico.

Vi stupisce che un politico che la terza media e che non ha mai messo piede in un posto di lavoro creda che "lo Stato ha diritto a credito illimitato, e a stampare moneta a fronte del suo debito"?

Scusate, ma... dal 2009 a stamattina, Draghi, Bernanke, Yellen...

cos'hanno fatto?

["E quelli di prima, allora?!?!?". Hai ragione anche tu. Sì, anche quelli di prima].

Le polemiche "sovraniste" contro l'euro sono figlie e nipoti della dottrina fondatrice dell'euro: "il sistema monetario europeo si reggerà appoggiandosi su se stesso, sulla sua volontà politica di esistere" [Delors].

Spiegatemi la differenza tra la frase di Delors (1988), la frase di Draghi "stamperemo tutta la moneta necessaria per salvare l'euro",

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e i deliri di qualche "economista" grillino sulla opportunità di

"rimettere la moneta nelle mani della Politica".

Io, non la vedo. Non la vedevo trent'anni fa, quando il "fascismo"

era solo un "peccatuccio di gioventù" nel curriculum dei fondatori dell'euro, e una prevedibile conseguenza del loro demenziale esperimento.

Quindi: le buone notizie sono che si è creato un consenso bipartisan (sovranisti e cernobbisti) sul fatto che l'economia europea è paralizzata su numeri intorno allo zero (l'ultima moda fra gli analisti è la frase

"Giapponesizzazione", per indicare tassi, crescita, profitti e rendimenti a zero per lunghissimi anni), e sul fatto che stia alla politica agire, e non alla Banca centrale.

Le cattive notizie, sono che la politica vuole tutto tranne "meno regolamenti e meno tasse", e che il "Sole XIIV Ore", ricevuto l'input

"antigovernativo" della sua Proprietà,

anche stavolta titolerà a caratteri lapidari un molle e ambiguo "FATE PRESTO", invece di un più serio "LEVATEVI DAI PIEDI".

Che è il titolo che farei io, se dovessi dirigere quella testata alla vigilia di un importante round di elezioni politiche.

Sarà dura avere buone notizie politiche, finché a coordinare l'azione politica degli imprenditori non sarà qualcuno che capisca che i tassi sono correlati ai profitti. Che festeggiare i tassi zero (e politiche "buone"

perché "aiutano i tassi a stare a zero") è suicida. Che significa abdicare al ruolo strutturale dell'impresa - generare ricchezza e redditi.

Altro che "crescita zero", camuffata da "sensibilità ambientale" e da

"impatto delle tecnologie" quando in realtà serve per abbattere il costo di rifinanziamento del debito pubblico e perpetuare la spesa improduttiva.

Nota a margine: il Fascismo è, esattamente, "impresa privata sottomessa all'interesse nazionale", "profitto regolato dalle esigenze del Popolo". E' nato così, è malvissuto così, è crollato in un bagno di corruzione consociativa che lo ha portato a scagliare aerei di tela con motori da tagliaerba contro le macchine di un colosso industriale, anzi del primo colosso industriale globale.

(Caproni, l'idolo dei "sovranisti da social media", la star dell'orgoglio tecnologico del Ventennio, fallì sette volte in 25 anni, salvato ogni volta da una commessina pubblica. Ogni volta una boccata d'ossigeno di Stato, in cambio di un altro caccia asfittico prodotto in 15 esemplari, incapace di volare mentre gente che badava al profitto trasformava Pirelli nella Montagnetta di San Siro.

Tali furono le moralità, le competenze tecniche, del precedente esperimento "sovranista".

Quindi sì: il "fastidio verso l'antifascismo" è un problema. Prima la "destra" italiana - questa chimera che da 70 anni aspettiamo che finalmente nasca - fa due conti e cambia pagina, meglio è).

Vabbe'.

Della piccola minoranza (ma destinata a crescere, ci scommetto) che calcola che Draghi dal 2020 cesserà il suo incarico a Francoforte e

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sarà quindi "una risorsa per la Repubblica", e quindi sperano in un'altra "Era Monti", "ma stavolta bravo"... ne parliamo un'altra volta.

E allora?

"Due pagine di sfogo bilioso sull'Italia, invece di analizzare lo scenario globale dei mercati?!?".

No, no... li guardo eccome, i mercati globali.

E vedo le seguenti cose. Valutate voi se c'entrano qualcosa con i temi che hanno finalmente infastidito il mite dottor Boccia su scala locale.

* i mercati si attendono che il Giappone "torni a fare il Giappone": che riceva la settimana prossima dati economici fiacchi, e risponda cercando di indebolire lo yen.

Notiziona! Esperimento politico e politico-monetario nuovissimo!

Sarebbe la sedicesima volta in 30 anni esatti.

Sì, questa primavera, il "decennio perduto" giapponese compie...

trent'anni.

Avete presente il mio refrain "... dopo 24 anni il Giappone è ancora lì che pasticcia inutilmente con i tassi zero, imparate la lezione..."?

Bene. Gli anni nel frattempo sono diventati 30.

I mercati "puniscono" lo yen con un leggero calo, che lo lascia comunque su livelli di preallarme al rialzo,

ma almeno fermano le perdite della Borsa.

* Trump, ossia il primo, se non l'unico, politico protagonista globale, che avesse deciso di sfidare la "maledizione giapponese" attaccando i tassi con i profitti, cioè adottando politiche fiscali "favorevoli ai profitti", anche a costo di veder salire i tassi d'interesse...

... guida le nomine alla FED cercando un contraltare al suo stesso nominato Powell, e chiede esplicitamente alla FED, con il solito twitter, di riprendere il Quantitative Easing.

[Quantitative easing = espansione del bilancio della banca centrale, che acquista titoli di Stato trattenendoli in portafoglio e emettendo, allo scopo, nuova moneta. Importanti e raffinati teorici riescono a distinguerlo dalla monetizzazione del debito. Io, che sono un badilante, invece, penso che abbiano gli stessi letali effetti economici].

Cioè: il meno "monetarista" dei politici, si rifugia fra le braccia dell'espansione monetaria.

I mercati provano a credergli, ma non indeboliscono il dollaro, non rafforzano le materie prime (il greggio - eccezione - segue altre dinamiche), e si limitano a rigonfiare le Borse.

Quindi: anche in questo mini-episodio il quantitative easing conferma uno dei suoi difetti pratici immediati (quelli strutturali sono ben altri e ben maggiori):

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la liquidità creata comprando titoli di Stato e togliendoli dal mercato finanziario... tende a restare nel mercato finanziario.

Sì, gonfia di liquidità le aziende quotate. M i comportamenti cui le induce fanno filtrare liquidità nell'economia in modo scarso e soprattutto selettivo - una selezione che deforma la struttura del capitale.

Ci vorrebbero un'economia e un mercato più guidati, nelle scelte, dai profitti e dal capitale, e meno dai tassi ufficiali,

e continuiamo a avere il contrario.

Caterpillar cerca di recuperare dal tonfo di fine 2018, ma lascia indietro i suoi "datori di lavoro" (metalli).

* Parlando di Trump diventa ovvio parlare di Cina, e... le trattative sui dazi stanno andando benissimo.

No, davvero. Benissimo.

Anche il round a Washington di questi giorni è andato molto bene, lo confermano anche fonti cinesi.

Entro settimana prossima si conclude.

O l'altra.

Entro Pasqua.

O subito dopo Pasqua.

Massimo.

No, davvero.

I dazi sono un problema complementare alla politica monetaria. Una tassa finalizzata a governare gli effetti commerciali della politica monetaria.

* E dell'Europa ho detto prima. In settimana il Fondo Monetario Internazionale pubblicherà ulteriori valutazioni sulla (poca) crescita europea, ma i recenti dati tedeschi lasciano pochi dubbi [in settimana:

ordinativi industriali -4.2%, prospettive di crescita 2019 al +0.8%, export -6% a febbraio - un dato relativo a febbraio, che dovrebbe migliorare con il "rimbalzo cinese" di marzo. Ma che è comunque recessivo].

Quindi: i due (tre) maggiori "giocatori" globali in questi giorni evidenziano problemi di "avvicendamento fra politica monetaria e fisco", lungo le linee di quelli che hanno finalmente cominciato a "svegliare"

Confindustria.

Che chissà se riuscirà a uscire dall'ipnosi dei "panini con salamella" che Salvini continua a offrire - ma da posizioni politiche che non sono figlie della "rivolta fiscale" dei primi anni Novanta, bensì della "dipendenza dal credito di Stato" dell'ultimo decennio.

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Quindi, il mio "sfogo bilioso" sul caso-Italia c'entra eccome, con lo scenario globale.

Che altro?

Ah, sì: creare un'Europa finalmente a immagine del socialfascismo sognato in gioventù da Delors, e fermare l'evoluzione della Germania verso un rivale globale della Cina, e soffocare il tentativo dell'Europa centrale di mantenere il passo "da mercato emergente" degli anni che seguirono l'affrancamento dalla Russia,

richiede per forza che l'Inghilterra se ne stia fuori. I due modelli istituzionali sono troppo incompatibili. L'idea di Brexit piace a Bruxelles tanto quanto a Boris Johnson.

Ma se l'Inghilterra va avanti così ancora per qualche mese (grazie a un rinvio lungo, secondo me altamente probabile - e invece il mercato non lo sconta. Vedremo mercoledì 10), il sistema istituzionale inglese sarà così snaturato e compromesso, che non varrà più la pena di fare la fatica, da nessuna delle due parti.

A me basta che ricordiate: nel caso inglese, la posizione davvero

"populista", "sovranista", "socialfascista", di sottomissione del capitalismo al welfare, di subordinazione del Diritto allo Stato,

non è quella degli originali fautori della Brexit. E' quella dei

"remainers" e di Junker.

Con tutto questo, cos'è successo sui mercati in settimana?

* modesti segnali di "allentamento della pressione sulle monete forti", quindi leggerissima attenuazione della forza del dollaro e dello yen (e del franco svizzero),

grazie appunto alle prese di posizione della Politica, che agita il dito ammonitore contro le Banche centrali,

quindi

* Borse in vivace rimbalzo,

* sia pure non convalidato dalle materie prime che invece galleggiano,

* e immediata reazione preoccupata dei bond, con una franata dell'1.2% dei T-Bond americani e leggeri arretramenti dappertutto.

Movimenti modesti (anche quelli delle Borse, considerata la recente volatilità), nessuna modifica sostanziale allo scenario.

Da seguire la settimana prossima, per eventuali "sorprese da rimbecillimento politico grave", la scadenza del 10 aprile per il vertice Inghilterra/Unione Europea.

E, ovviamente, l'attesissima imminente conclusione del negoziato USA/Cina sui dazi.

Al massimo venerdì.

O lunedì l'altro. To', se proprio si va in là, martedì.

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Mercoledì solo se fosse necessaria qualche rifinitura tecnica.

[Ricordo, ironia a parte, che il vertice Xi-Trump "per siglare gli accordi già raggiunti" avrebbe dovuto avvenire il mese scorso. Ma Xi "aveva la settimana occupata da impegni di Partito". Già... Poi sai com'è, il dentista, la recita dei figli, ho avuto l'influenza, ho in visita quelli della filiale belga...].

Scenario a breve/medio termine:

Da un mese una serie di ampie sbandate, avvenute "a ciel sereno" in mercati che da gennaio erano sembrati euforici (o almeno, "in euforico rimbalzino da un crollo"),

hanno mostrato che, sotto il rimbalzo di gennaio/febbraio, spinto da segnali di "allentamento monetario" istituzionale americano, esistono ancora i temi di fondo che stiamo discutendo da mesi, che avevano provocato in autunno un'ampia correzione dei mercati, e a fine 2018 addirittura un mini-panico con episodi di disorientamento.

(Frenata economica cinese e asiatica --> dollaro e yen in rialzo insieme, possibile tonfo delle materie prime.

Discredito della politica monetaria dopo un decennio di tassi zero - -> svolte politiche avventuriste.

Politica senza alternative ideologiche sostanziali, litigiosa ma autoreferenziale --> politica senza freni, tendenze stataliste.

Politica populista --> litigiosità nel commercio internazionale.

Tensioni simultanee sul fronte moneta/credito e nei rapporti internazionali --> mercato dei cambi volatile.

Fragilità del sistema bancario).

In queste settimane ho fatto qualche ipotesi teorica sulle origini di quel disorientamento.

I mercati non hanno dato segnali "tecnici" di interruzione del rimbalzo, che a oggi continua, anche se più fragile.

L'"incertezza" diventerebbe "ricaduta nella crisi" a partire da questi livelli (cito solo i principali, utili per un orientamento di massima):

* Shanghai daccapo sotto 3000;

* Banche americane sotto 400;

* Rame sotto 6000;

* Indice GSCI delle materie prime sotto 400;

* Wall Street sotto 25000/24500;

* dollaro/euro oltre 1.12;

* dollaro/yen sotto 110/108.

Anche dopo il rimbalzo di questi ultimi quindici giorni, alcuni di questi segnali [dollaro, yen, rame] non sono più "impossibili".

Operativamente confermo le posizioni, incluse le posizioni al rialzo sul dollaro, parzialmente diversificate sullo yen,

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ho swappato sterlina per dollari se esportatore verso UK, approfittando della leggera "euforia da Brexit" delle scorse settimane, che sta evaporando,

e mantengo le posizioni ribassiste sui bond (protezione da un rialzo dei tassi d'interesse di mercato). Seguo le vicende ma non chiudo le posizioni (aperte a 170... abbiamo tempo).

Sto fuori da Borse e materie prime.

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I principali movimenti dei mercati in settimana Borse: la Cina ritenta e stavolta riesce a consolidare il recupero di 3000. uetso , e le "minacce" di stimolo monetario evocate dalla Casa Bianca, confermano il rimbalzo delle Borse dopo un mese di affondi-e- recuperi senza direzione.

Attese di "ammorbidimento" dello yen stabilizzano anche Tokyo, che dieci giorni fa era stata l'unica Borsa generalista nettamente debole.

I mercati maggiori sono fermi da un mese e mezzo, ma mantengono il loro recupero dal ribasso del 2018.

Le scorse settimane hanno tuttavia mostrato importanti fragilità, e dovute a temi sostanziali.

Dow Jones +1.78% a 26394, rimbalza, si allontana da 25000 dove ha finalmente fermato il ribasso dell'autunno.

Ma è qui da un mese e mezzo: arrivata a questo risultato, prima Wall Street ha perso slancio ed era sembrata "accontentarsi". Poi ha cominciato anche a sbandare.

Attenzione. Se riemergono problemi su yen, banche, Cina, tengo d'occhio 25500/25000.

Francoforte +4.2% a 12010: conferma il recupero di 11000, dove ha frenato il ribasso dei mesi scorsi.

Gira intorno a questi livelli da fine gennaio. Dati economici fiacchi, Banche ancora debolissime.

Attendo, tengo 11000 come allerta in caso di nuovi stalli.

Londra +2.3% a 7447: riesce a mantenere la leggera "euforia da rinvio della Brexit" che l'ha sostenuta nelle scorse settimane, resta ben sopra 7000 (rallentamento del ribasso del 2018) e attacca e passa 7200 (conferma del rimbalzo, possibilità di fermare il ribasso dell'autunno).

Passaggio delicato (ha già scontato il miglior esito della Brexit...).

Brasile +1.77% a 97108;

Tokyo +2.84% a 21808: debole, ma le "promesse" di indebolimento dello yen le consentono di rimbalzare dalle perdite dio dieci giorni fa. Conferma il recupero di 21000, dove almeno ha fermato il ribasso.

Attenzione allo yen: tutto il recupero di questi giorni è appeso a un centesimo di correzione di yen/dollaro, unico fatto acquisito. Il resto è teoria e speranza.

Shanghai +5.04% a 3247: finalmente riesce per la prima volta a confermare il recupero di 3000 [sovrastandolo del 3% per una settimana].

Arriva quindi finalmente la revoca dell'allarme ribassista di 3000, che aveva pesato per mesi sullo scenario globale.

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Va bene, faccio ancora attenzione: le sbandate che avevano preceduto questo recupero sono state legittimate da pesanti dati economici e da seri problemi di gestione della moneta e del credito, che restano irrisolti.

Il recupero diventerebbe sostanziale da 3300 e con puntate verso 3600, fermando allora davvero il ribasso di lungo termine.

Banche

Germania (+4.83% a 36.92): le manovre (adesso, una "manovra a tre" che include anche Unicredit) intorno a Deutsche Bank sono difficili. Le Banche tedesche rimbalzano ma restano ampiamente sotto 40: cioè, dopo due mesi e mezzo di "rimbalzo" non sono nemmeno arrivato a recuperare i vecchi minimi storici del 2008 (appunto a 40). Ancora deboli.

Europa (+4.89% a 140.82): ritentato e stavolta riescono il recupero del primo, minimo segnale di "scampato crollo" a 140. Ancora deboli, verifichiamo che consolidino 140.

Inghilterra (+4.1% a 138), provano a riavviare il rimbalzo, più lento di quello europeo (eccezion fatta per la Germania), arrivano di fronte al primissimo segnale di tregua a 140.

Verifica a giorni che riescano a agganciare 140. Lì potrebbe cominciare una relativa tregua.

America (+3.33% a 441.40): reagiscono al tonfo di quindici giorni fa e riagganciano appena il preallarme al ribasso di 440.

Scampato pericolo, ma il ritorno sulla scena del tema "mutui" [vedi lo

"scenario" del 31 marzo] richiede che le seguiamo con la massima attenzione.

Da "invulnerabili per otto anni" sono diventate "una questione da seguire".

Fondi immobiliari USA (+0.98% a 383.47);

Giappone (+3.54% a 154.35): appena appena rallentano il netto ribasso.

Verifica a breve.

Italia (+2.22% a 21759): confermano, riagganciando 21600, il recupero dell'allarme rosso di 21000. Scampato crollo. Adesso, verifica e cautela.

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Materie prime la crisi libica si aggiunge alle già faticose manovre intra- OPEC+ e rafforza il greggio anche fin sopra 60, aiutando a rimbalzare anche l'indice GSCI, pesante dieci giorni fa, mentre rallentano i metalli- base e resta piatto l'oro.

L'adesione delle commodities alle pressanti richieste di reflazione di Trump è, quindi, dubbia.

Greggio (+4.89% a 63.08): conferma il recupero di 60, grazie a Trump che da un lato attacca l'OPEC pretendendo un greggio meno caro, ma dall'altro attacca la FED chiedendo reflazione. Faccia pace con le leggi dell'Economia. Nonostante tutto (o meglio: guardando la curva dei tassi) mantengo obiettivi a 55 a medio termine (mesi), 50 a lungo termine (anno).

Il greggio sostiene, e stavolta non da solo, l'indice GSCI delle materie prime (+3.03% a 447.27), che si stabilizza riesce solo a sopra gli allerta ribassisti di 420/430. Rimbalzano anche gli altri settori, che erano stati compattamente pesanti dieci giorni fa.

L'indice GSCI resta piatto/fiacco, ma ha evitato un importante allarme accennato nelle scorse settimane.

Resta piatto, e indifferente alle velleità di stimoli monetari, l'oro (invariato a 1,291.76).

Appena sotto 1300 non segnala "crisi deflattiva acuta" (decollo di dollaro e yen), ma evita almeno di smentirla completamente, come aveva fatto il mese scorso.

Rallentano il rimbalzo, sia pure senza ancora interromperlo, i metalli-base.

Per adesso mantengono l'assetto piatto dell'ultimo anno (rame fra 5800 e 6500), non dimostrano ancora capacità di superarlo al rialzo.

Il rame (-1.57% a 6385) resta compresso sotto 6500; solo il passaggio di 6500 potrebbe sbloccare il rialzo generalizzato dei metalli.

Il nickel (+0.7% a 12987), il cui rimbalzo partiva da livelli ben più bassi, mantiene a fatica il recupero di 13000. Solo saldamente sopra 13000 varrebbe la pena sorvegliare eventuali tentativi di rimbalzo (finora ha solo smesso di scendere);

Alluminio -1.53% a 1864: ha rimbalzato dall'allarme al ribasso di 1800, ma non estende il recupero; per adesso è solo "mancato crollo": solo il passaggio di 2000, magari abbinato a una ripresa del mercato cinese, segnalerebbe "recupero".

Zinco -0.63% a 2981: è ancora l'unico metallo davvero forte: da quindici giorni ha passato i massimi a 2700 che stava sfidando inutilmente dall'anno scorso;

3100/3200 consoliderebbe il rialzo e lo legherebbe a attese di ripresa della domanda cinese, riavviando un rialzo di lungo termine fermo da un anno.

Per adesso, il rally dello zinco viene attribuito dagli operatori soprattutto a un calo (contabile?) nei magazzini. Io noto: gli unici magazzini dove ce n'è in abbondanza, e in aumento, sono quelli cinesi.

Quindi: finché decolla da solo... un po' di cautela.

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Acciaio cinese +2.92% a 3841;

acciaio USA -1.43% a 687;

minerale di ferro: +7.9% a 682.5;

noli +3% a 711: dopo un crollo del 65% nei mesi scorsi, una volta arrivati sul "pavimento" di 600 da un mese e mezzo hanno fermato il crollo. Il rimbalzino che avevano tentato si è già fermato e comunque fino a 1000 sarebbe economicamente irrilevante (cioè: non legittimerebbe rialzi delle commodities provocati da domanda reale, e non solo da attese monetarie).

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Mercato valutario

Il dollaro rallenta in misura minima rispetto alle pressioni che riceve (dollar index +0.12% mentre il Presidente USA esige un "dollaro beneficamente debole"... suona come un "va' a..."), mentre si attenua uno dei segnali di scenario più rilevanti delle scorse settimane: il simultaneo ritorno di forza del dollaro e dello yen (con franco svizzero al seguito).

Una lunga fase di calma delle due (tre) monete a inizio anno era stata considerata dai commentatori come un segnale di "allentamento del credito". La recente tensione al rialzo ha suggerito scenari diversi: non è esplosa, ma non rientra.

Dollar index +0.12% a 97.4: resta sopra 97, e qui è "forte" (sarebbe "in decollo" oltre 98 e verso 100).

Dollaro/euro invariato a 1.1216: il dollaro conferma la rottura della lunga tregua fra 1.13 e 1.14, e l'attacco a 1.12.

Da 1.13, minaccia di nuovo rialzo, lo confermerebbe pienamente da 1.12.

1.10, che ne arriverebbe come conseguenza, sarebbe un segnale di tensione sui tassi americani che non si vede ormai da due anni.

Molti commentatori [vedi analisi del 3 marzo] avevano considerato la calma piatta del dollaro fra 1.13 e 1.14, dall'inizio dell'anno, come un segnale di successo dell'allentamento monetario cercato da Trump e "promesso"

dalla FED, e al quale viene attribuito il "merito" del rimbalzo delle Borse da gennaio a marzo.

Cosa significa, allora, la fine di quella calma?

Sto al rialzo sul dollaro (parziale diversificazione solo verso lo yen).

Dollaro/yen +0.78% a 111.73: rallenta di nuovo il rialzo, arretra da 110.

Ma gli resta vicino, ed è ben lontano da 113 che metterebbe fine alla fase di tensione al rialzo sullo yen.

Tengo gli yen in portafoglio;

Yen/euro -0.76% a 125.30; mantiene l'attacco a 125, ma non prosegue; forte (in rialzo fin da 131/130);

tengo yen in portafoglio;

Sterlina/dollaro invariata a 1.3038: passata l'insulsa euforia, la sterlina mantiene però livelli alti, molto lontani da quelli che gli "esperti"

avevano anticipato in caso di "hard Brexit". La sterlina "vota" rinvio lungo, cioè abbandono della Brexit.

Attenti a sorprese in settimana.

Il livello d'allarme per un tonfo è a 1.27: in caso di rapida perdita di 1.30, fateci conto.

Ho aperto, durante il "rallyno da rinvio della Brexit", degli swap sterlina/dollaro [vendere sterline acquistare dollari], tali per cui l'esportatore da euro verso UK incassi dollari anziché sterline.

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Sterlina/euro invariata a 0.8604: la sterlina rallenta ancora il rialzo ma resta alta; è sui [non più sopra i] massimi [0.86] della fascia [0.90/0.86] in cui ritengo che debba restare ancora bloccata per adesso.

Va bene tutto, ma il decollo della sterlina oltre 0.88/0.86 è molto discutibile.

Non vendo sterlina/euro direttamente (per la debolezza dell'euro), ma ho swappato contro dollaro il ricavo delle future esportazioni da area-euro verso UK [vedi sopra].

Periferie e emergenti:

australiano +0.13% a 0.7105: resta fiacco appena sopra 0.70 - dove sarebbe addirittura debole; aveva anticipato i dubbi sul "dollaro facile da tassi che ridiscendono", non li smentisce;

canadese -0.26% a 1.3384; fiacco; sarebbe nettamente debole solo sotto 1.35/1.37;

rand sudafricano +2.83% a 14.09; prova a riprendere il rimbalzo;

Yuan cinese 6.708: calmo/immobile, non rimbalza nonostante il recupero della Borsa [vedi].

Ha deluso le attese che lo volevano a 6.60/6.50 grazie alla "tregua USA/Cina". Con buoni motivi [vedi analisi del 24 febbraio];

won coreano invariato a 1,136.13: ha rallentato ma è ancora alto (solo 1160/1180 lo renderebbe "debole" contro dollaro). Anche lui ha smesso di rimbalzare e guarda alla debolezza dell'economia cinese più che alla

"tregua USA/Cina".

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Tassi d'interesse di mercato a lungo termine espressi dai titoli di Stato:

Piccolo movimento, in definitiva: il -1.15% dei trentennali USA è davvero poco in confronto al +3% delle scorse settimane.

I titoli di Stato quindi per adesso mantengono il violento rimbalzo innescato dall'inversione della curva dei tassi americani [vedi le analisi del 24 e 31 marzo].

Il fatto che reagiscano così nervosamente al minimo accenno di "mancata recessione", non mi stupisce. I tassi USA sono troppo bassi.

Non chiudo le posizioni ribassiste sui bond USA (e alcune coperture sui BTP), ancora ampiamente in guadagno. Non è ancora affatto acquisito che il ciclo rialzista dei tassi sia finito.

T-Bond americani a trent'anni -1.15% a 147.94, rendimento 2.90%; frenano il rimbalzo delle ultime settimane, che si è esaurito prima di 150 dove avrebbero "tecnicamente" fermato il ribasso iniziato nell'estate 2016 (a 180).

Tengo le posizioni ribassiste. Osservo i diffusi segnali di inversione della curva dei tassi, e l'andamento delle Banche.

Notes USA a due anni: sono tornate sopra 106 (106.39, rendimento 2.34%), lì si fermano. "Scampato pericolo";

Gilt inglesi -1.05% a 128.01, rendimento 1.12%; nervose, giustamente;

Bund tedeschi -0.59% a 165.36, rendimento 0.01%; a poche settimane da un preallarme ribassista (162.80), la frenata economica locale (e le dinamiche innescate dai bond americani) li hanno "salvati", rimandandoli per qualche giorno a segnare rendimenti sotto zero.

Ma lì faticano a reggere.

L'allarme al ribasso, temuto per qualche settimana dagli operatori, avrebbe segnalato difficoltà nel credito in Germania e in Europa. I Bund hanno scampato quell'allarme, ma le Banche hanno perso pesantemente in conseguenza. Un motto degli operatori tedeschi dice "non metterti mai al ribasso sul Bund"... ma l'"indistruttibilità" del Bund sta seminando danni, ed è quindi insostenibile.

OAT francesi -0.36% a 162.08, rendimento 0.36%;

JGB giapponesi -0.47% a 159.60, rendimento 0.38%.

BTP italiani +0.15% a 129.67, rendimento 2.48%; confermano il recupero di 128, dove hanno attenuato l'allarme di medio/lungo termine. Ma faticano a andare oltre.

Bonos spagnoli -0.13% a 117, rendimento 1.11%. Deboli. La campagna elettorale spagnola è, se possibile, più assurda di quella italiana.

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