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La misericordia di Dio nella Scrittura: Una forza di trasformazione

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Academic year: 2022

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La misericordia di Dio nella Scrittura:

Una forza di trasformazione

«Per questo il mio cuore si commuove per lui, e sento per lui profonda tenerezza» (Geremia 31, 20)

A richiesta dei suoi organizzatori, ho fatto la consegna di questo testo utilizzato per la mia relazione el 19 Febbraio 2016, al Convegno delle superiore di comunità e del consiglio regionale . Quindi, si tratta di note o appunti non del tutto curati dal punto di vista stilistico.

Parte di questo testo sarà pubblicato nella rivista Claretianum ITVC del 2016

(P. Ricardo Volo, Roma 2016).

I Vangeli afermano più volte che coloro che hanno visto e sentito per la prima volta Gesù di Nazareth, erano rimasti stupiti, storditi dalle sue parole e dalle sue azioni (Mc 1,27). I cristiani abbiamo avuto più di duemila anni per abituarci al messaggio del vangelo; della Scrittura nel suo complesso. Ma, la sorpresa, la meraviglia, lo stupore sono ancora le reazioni proprie e genuine di chi ha scoperto e realmente ha cominciato a vivere la verità che essi contengono.

Quando leggiamo e comentiamo le pagine della Bibbia, parliamo di testi che hanno millenni di esistenza. Ma lo Spirito abita in loro, e lo Spirito rende sempre qualcosa di nuovo in favore del suo popolo (cf. Is 43,13-19).

La mia esegesi no vuole essere un comentario accademico o teorico. Vorrei provare a fare una aprossimazione della Scrittura, imparando di Gesù, nel suo primo commento a la Bibblia in Nazaret: “Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato” (Luca 1,14-21).

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2 -L’ABBRACCIO DELLA MADRE -

Quando a Roma visitiamo la basilica di san Pietro, non possiamo non avvicinarci a una delle sculture più famose che il tempio conserva come un tesoro: la “Pietà” di Michelangelo. Si tratta della rappresentazione di Maria che sostiene fra le braccia il figlio Gesù appena deposto dalla croce.

Ogni volta che ho avuto occasione di contemplare con calma questa impressionante scultura sono stato colto da un pensiero, da una riflessione, da una domanda: non so fino a che punto questa composizione evoca in me il ricordo di un grido, di un clamore o se, al contrario, mi parla di silenzio…

La vergine piange la morte del figlio nel profondo del cuore, invoca il cielo nell’angoscia e nella disperazione (anche se il suo volto mostra una grande serenità). O forse la vergine rimane muta, in un silenzio totale, contemplando, addolorata, il corpo di Gesù che giace senza vita nelle sue braccia.

E’ la composizione di una scena della storia dell’umanità che ti muove alla protesta o all’indignazione, in quanto si tratta della più grande delle ingiustizie (la morte violenta del Figlio di Dio), o è una figura che desidera semplicemente farti contemplare, nel silenzio assoluto, il mistero profondo di ciò che rappresenta? E chissà che non siano le due cose insieme!

Vero è che qualche tempo fa mi ritornava alla memoria quest’opera di Michelangelo mentre guardavo, con evidente tristezza, una immagine tratta dal notiziario: era l’immagine di un bimbo morto, affogato in mare insieme con tutta la sua famiglia emigrante, nelle braccia di un soldato che lo portava lentamente a riva. Un piccolo corpo inerte fra le braccia di un uomo che lo guardava senza pronunciare parola.

Dinanzi a questa cruda realtà dei nostri giorni, non si sa bene come reagire: se con indignazione o se in silenzio.

Quando mi avvicino alle pagine bibliche cercando di penetrare nella misericordia divina, non posso che cominciare così: nelle pagine della bibbia, nella storia e nell’ampiezza della scrittura, si agita un grido di soccorso, una supplica angustiata, un clamore: “Ecco, il grido degli Israeliti è arrivato fino a me …” (Es 3,9), dice Dio all’inizio dei tempi.

Per dare risposta a questo clamore, la Misericordia di Dio si fece uomo. La Misericordia di Dio è diventata una sola cosa con quel dolore, quella sofferenza, quella solitudine, quell’angustia, quel grido e clamore cui è venuto a rispondere: “Gesù, dando un forte grido, spirò” (Mc 15,37).

Permettetemi di iniziare queste pagine con la seguente affermazione: la misericordia non è soltanto un attributo di Dio. Nella scrittura, Misericordia è il nome di Dio. Dio è Misericordia. Addentrarsi nell’oceano profondo della misericordia è

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3 immergersi nello stesso Mistero di Dio. Un Misterio en el que uno se sumerge cuando permite ser transformado interiormente por él.

Fa veramente impressione vedere come il genio di Michelangelo è riuscito a racchiudere in un gesto della Vergine, in un grembo che accoglie il figlio morto, mani che cercano di abbracciarlo, un mistero insondabile di sentimenti umani, passione e dolore, amore...

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4 NELLA CAVITÀ DELLA RUPE

“Toglierò la mano e vedrai le mie spalle” (Esodo 33,23)

Quando i grandi esegeti e commentatori della Bibbia parlano della misericordia di Dio nell’Antico Testamento, coincidono nel sottolineare un passaggio molto significativo, il capitolo 33 del libro dell’Esodo, del quale vale la pena, all’inizio di questo paragrafo, trascrivere alcuni versetti:

«Mosè gli disse: “Mostrami la tua gloria!”. Dio rispose: “Farò passare davanti a te tutta la mia bontà e proclamerò il mio nome, Signore, davanti a te. A chi vorrò far grazia farò grazia e di chi vorrò aver misericordia avrò misericordia”. Soggiunse: “Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo”. Aggiunse il Signore: “Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano, finché non sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si può vedere”» (Esodo 33,18-23).

Grazie allo sforzo e al lavoro degli esperti, disponiamo attualmente di magnifici dizionari e enciclopedie in cui possiamo trovare una presentazione sistematica, ordinata, rigorosa e sintetica dei vocaboli, delle espressioni e delle immagini utilizzati nella Scrittura. Ed è il caso del termine “misericordia”.

In realtà, però, in nessuna parte dell’Antico Testamento, troviamo una definizione del vocabolo “misericordia” applicato a Yahvè. Nella Bibbia la misericordia divina è scoperta nell’insieme della vita delle persone che hanno incontrato Dio. In tutti quelli che in un modo o nell’altro, l’hanno sperimentata. Credo, io, che sia sempre meglio, opportuno e necessario, avvicinarci al contenuto profondo della misericordia divina immergendoci decisamente in queste ricche fonti di umane, in queste esperienze vissute, piuttosto che attraverso definizioni accademiche (senza tuttavia mettere in dubbio il loro valore a livello di studio).

Frequentemente si tratta di esperienze vissute, ma difficili da esprimere o da condensare in parole. Se mi si concede di proporre un’applicazione allegorica del testo dell’Esodo, tali esperienze sogliono essere comprese in profondità proprio quando Dio è

“già passato”, quando lo vediamo soltanto di “spalle”. Quando, cioè, il passaggio di Dio attraverso la vita concreta degli individui, come alimento sostanzioso è stato masticato, digerito e assimilato. E’ allora che lentamente muta in un tesoro di sapienza donato e trasmesso alle generazioni future, al lettore di tutti i tempi.

Tutti e ciascuno dei testi presentati in queste pagine, prolungando il linguaggio figurato, sono come orme indelebili segnate nel cuore e nella memoria di alcuni uomini dopo che Dio è passato per la loro vita. Permettiamo ad essi di sorprenderci condividendo a noi ciò che trasformò la loro esistenza. Come Mosè, introduciamoci nella cavità della rupe per ascoltare quindi ascoltare con grande emozione la voce di Dio che proclama la sua misericordia.

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5 -LA PROFONDITÀ E LA INTENSITÀ -

“Le mie viscere sono sconvolte …”(Lamentazioni 2,11).

Il titolo di questo paragrafo è tratto da una citazione del Libro della Lamentazioni: “Si sono consunti per le lacrime i miei occhi, le mie viscere sono sconvolte…” (Lam 2,11a).

Gli autori sacri ebrei del passato erano soliti esprimere i loro sentimenti mediante un linguaggio figurato che si rifà ad alcune parti del corpo. L’espressione “molto profondo è il mio dolore” è la traduzione della formula originale ebraica “Si riversa per terra la mia bile”.

L’immagine, strana ed unica in tutto l’Antico Testamento, esprime allo stesso tempo la profondità e la intensità della sofferenza dell’autore”. La sofferenza acuta di due organi corporali, le viscere e il fegato, esprime una profonda commozione affettiva.

E’ l’intera persona che si vede aggredita violentemente da qualcosa che ha sentito o conosciuto.

L’autore del Libro delle Lamentazioni manifesta qui un sentimento di dolore intenso, di commiserazione. Perche? Qual è il motivo che provoca tale compunzione?

Raccogliamo alcune delle scene che egli abbozza nella sua opera. Tutte rivelano un denominatore comune, perché parlano della sofferenza e del lamento di alcune prticolari vittime innocenti:

«Si sono consunti per le lacrime i miei occhi, le mie viscere sono sconvolte;

(il mio dolore è molto profondo)per la rovina della figlia del mio popolo, mentre viene meno il bambino e il lattante nelle piazze della città. Alle loro madri dicevano: “Dove sono il grano e il acqua?” Intanto venivano meno come feriti nelle piazze della città, esalavano il loro respiro in grembo alle loro madri» (Lam 2,11-12).

«Giacciono a terra per le strade ragazzi e anziani; le mie vergini e i miei giovani sono caduti di spada. Hai ucciso nel giorno della tua ira, hai trucidato senza pietà! Come a un giorno di festa hai convocato i miei terrori da tutte le parti. Nel giorno dell’ira del Signore non vi fu né superstiti né fuggiasco. Quelli che io avevo portati in braccio e allevato, li ha sterminati il mio nemico» (Lam 2,21-22).

La visione descritta è commovente, lacerante. L’autore parla dell’agonia dei bambini. Le vittime, con le donne e gli anziani, più vulnerabili della guerra. Per me questa pagina della Scrittura è un ritratto delle tragiche scene del nostro mondo attuale.

Nella sofferenza di queste persone, di questi bambini di cui parlano le Lamentazioni, io vedo tanti bambini affogati in mare mentre cercavano di fuggire dal dramma della guerra e della violenza. Vedo i bambini delle strade, abbandonati, schiavizzati, obbligati al lavoro forzato, oggetto di ogni tipo di abuso e di ingiustizia…

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6 Parole di fuoco, di esperienza, di saggezza, di consiglio sono senza dubbio le parole dei Profeti, le prescrizioni precise dei Legislatori, le riflessioni ponderate dei Saggi, le narrazioni sostanziose dei Cronisti … Ma è possibile ascoltare la voce di Dio nel grido degli innocenti? Abita lo Spirito nell’urlo di dolore degli oppressi? Può il lamento dei giusti trasformare il cuore dei lettori? Il lamento delle vittime innocenti è Parola di Dio?

Per me, queste pagine scritte già molti secoli fa’, non sono una mera cronaca del passato. Seguitano ad essere un lamento continuo, permanente, attuale. La profondità e l’intensità della sofferenza umana riflettono e rivelano anche, in qualche modo, la profondità e l’intensità del dolore di Dio.

Noi sappiamo che quando parliamo di Dio, il nostro linguaggio deve essere sempre utilizzato in un ambito di comparazione, di analogia. Gli autori sacri, scrittori ispirati, sono soliti utilizzare immagini assunte dal mondo che li circonda e dalla propria esperienza umana. Essi non hanno difficoltà ad applicare a Dio tali comparazioni, così che il lettore possa intendere il contenuto del messaggio.

Or dunque, stabilita e ricordata questa premessa, dobbiamo prendere coscienza del fatto che quando nella Scrittura si parla della misericordia di Dio si sta parlando di un sentimento terribilmente profondo ed intenso. Di un sentimento che nasce nell’intimità del suo stesso essere, che lo commuove e lo muove ad agire. La sua profondità e la sua intensità sono una porta aperta sul suo Mistero. E questo perché è provocata dalla contemplazione di un dolore, di una sofferenza, di una situazione drammatica. La misericordia divina non è mai oggetto di umana speculazione, non può essere compresa nella logica, trascende ogni ragionamento.

Nel suo poema “Testigo de la misericordia”, il professore e poeta Francisco Contreras esprimeva questa verità della Scrittura in questo seguente modo impressionante: “Misericordia è il nome di Dio (… ). Dio non è che abbia misericordia egli la subisce, la soffre. Se la impone. Gli viene dall’Essere suo più profondo, gli risale attraverso i fiumi del sangue, come il mercurio da una febbre che gli spacca il cuore, lo scoraggia e lo annega nell’infinito oceano della misericordia, rovesciandosi senza misura, su tutte le nostre sponde …”.

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7 L’OPZIONE FONDAMENTALE DI DIO

“… perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Giovanni 13, 17)

Quando ho trattato di sviscerare la scrittura per discernere il senso, la profondità e l’intensità della misericordia divina, il primo frutto del mio lavoro, il più importante è stato quello di adottare un’opzione fondamentale: Leggere la Bibbia partendo dalle vittime innocenti.

Per me, la misericordia divina rappresenta e definisce l’«opzione fondamentale di Dio». Quella che Gesù stesso formulò così esplicitamente a Nicodemo: “Dio, infatti non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Cv 3,17).

Numerosi ed eminenti esegeti hanno analizzato e commentato la Bibbia dalle più eterogenee prospettive e con un ampio bagaglio di metodi. E’ stato ponderato e descritto il contenuto intero dei libri che la compongono. Sono stati messi in rilievo i diversi generi e la forme letterarie impiegati dagli autori sacri. Sono stati inquadrati attentamente i rilievi dei principali personaggi dei racconti. Tutto questo cumulo di lavoro ha sviluppato con chiarezza e frutto l’attuale nostra conoscenza della Bibbia.

Se qualcuno desidera addentrarsi nel contenuto o nel significato ampio di un termine come “misericordia” applicato eminentemente a Dio, può prendere diverse strade. Le opzioni di studio, di riflessione e di esposizione possono essere tanto ricche e varie quanto sono le pagine sacre.

Immergermi nelle acque profonde della divina misericordia mi ha spronato a leggere la Scrittura partendo da una chiara e specifica interpretazione. Ho voluto avvicinarmi alle pagine ispirate ascoltando, prima di tutto, il lamento delle vittime innocenti che esse raccontano, il grido di dolore che emettono.

Lo faccio nel convincimento che questo lamento deve continuare a risuonare con forza nelle orecchie del lettore contemporaneo. Perché i testi biblici non sono la mera cronaca di un passato remoto. Il dolore e il lamento degli innocenti non sono rimasti fossilizzati nella Scrittura. Si tratta di Scrittura ispirata, che è, dunque, per il lettore credente una Parola viva, attuale, la cui forza non declina né si attenua con il passare del tempo. Essa ha la virtù e la capacità di incarnarsi nella vita dell’uomo di oggi, con la stessa forza e con lo stesso impeto con cui fu detta e scritta nel passato.

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8 L’ABBRACCIO DI GIUSEPPE

“I suoi fratelli non potevano rispondergli perché sconvolti dalla sua presenza”

(Genesi 45,3)

“Allora egli si getto al collo di suo fratello Beniamino. Anche Beniamino piangeva, stretto al suo collo” (Genesi 45,14-15). Un commovente abbraccio, alcune lacrime che non possono essere represse. Così il libro della Genesi descrive il momento nel quale Giuseppe, oramai vice re d’Egitto, si rivela ai suoi fratelli, perdona il loro crimine e li accoglie in casa. Il lettore che ha seguito con attenzione la trama narrativa del ciclo di Giuseppe (Genesi 37-50) sa che questo abbraccio evoca anche il mistero della divina misericordia.

La reazione più frequente dell’essere umano dinanzi ad un atto di misericordia straordinario è lo stupore, la meraviglia, la perplessità. I gesti genuini di misericordia, infatti, sogliono essere sconcertanti e insieme insperati. Si risponde con ammirazione davanti ad un evento che generalmente sorpassa i margini del comportamento abituale o ordinario. E’ la reazione dei fratelli di Giuseppe dinanzi al suo rivelarsi: “I suoi fratelli non potevano rispondergli perché sconvolti dalla sua presenza” (Genesi 45,3).

Coloro che avevano cercato la sua morte e si aspettavano ora una severa vendetta, un meritato castigo, come contropartita ricevono generosamente il perdono.

Le lacrime e gli abbracci di Giuseppe manifestano un cuore che non era stato divorato dall’odio né dal rancore di fronte a coloro che lo avevano disprezzato con spietata intensità (Gn 37,18-20). Il suo non è soltanto un gesto di clemenza o di pietà; è un sentimento di amore profondo che, allo stesso tempo, manifesta la forza di cambiamento in seno alla sua famiglia. La sua misericordia è un seme di trasformazione in ciascuno dei suoi fratelli, che li conduce alla riconciliazione. La sua misericordia non è soltanto perdono: è redenzione.

I suoi fratelli non solo scoprirono che quella figura regia, quel governatore egiziano che stava davanti a loro, in realtà era Giuseppe. Essi presero piena coscienza, per la prima volta nella loro vita di chi egli fosse nel più profondo della sua coscienza.

Di come era il cuore di quel fratello che essi avevano detestato. Solo ora lo conobbero davvero e in modo sorprendente. La misericordia di Giuseppe diventa un atto di rivelazione.

Un altro degli aspetti di questo passo che più impressionano è l’interpretazione, l’«esegesi» che Giuseppe ricava da tutte le vicende della sua vita, riassunte in questa espressione: “Dunque non siete stati voi a mandarmi, ma Dio” (Genesi 45-8). Giuseppe contempla la mano di Dio in tutto ciò che gli è accaduto, anche negli avvenimenti più difficili e più amari. O, forse, dovremmo dire: che egli percepisce l’intervento divino proprio in tutto quello che sembrava una disgrazia, una calamità.

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9 Colui che era conosciuto per la sua capacità di interpretare i sogni, ora rivela una virtù ancora maggiore: quella di interpretare gli avvenimenti alla luce di Dio. In questa esegesi vitale interpretata alla luce della fede, i rischi della vendetta si trasformano in sentimenti di pietà. L’odio diventa perdono, l’ira misericordia. La sua misericordia nei riguardi dei fratelli nasce, in realtà, da una interpretazione acuta, luminosa e credente dell’esistenza nella quale i momenti di sofferenza né sino negati né mitigati, ma restano inseriti in un orizzonte più ampio, l’orizzonte della provvidenza divina.

(Questo passo della Scrittura mi ricorda la commovente testimonianza di Giuseppina Bakhita. Visse a metà del XIX secolo. All’età di 9 anni fu sequestrata dai mercanti di schiavi che brutalmente uccisero davanti ai suoi occhi tutta la sua famiglia mentre venderono lei al mercato di El Obeid, nella città di Kartum, nel Sudan. La ragazza passò da un padrone all’altro e tutti la maltrattarono e la umiliarono severamente. Quando Bakhita conobbe Gesù, la sua vita si trasforma. Gesù sulla croce le fece scoprire la sua dignità di figlia di Dio. Gesù l’aveva redenta attraverso la contemplazione delle sue proprie ferite.

Le ferite, profonde e sanguinanti della giovane Bakhita la univano intimamente a Gesù crocifisso. Erano le stesse ferite di Gesù. Ella allora perdona di cuore quanti le hanno fatto del male e negli avvenimenti della sua vita vede un cammino di misericordia che l’aveva portata fino a Cristo …).

Secondo me l’abbraccio di Giuseppe evidenza, in una certa misura, il mistero prodigioso della misericordia di Dio. Una volta ancora, Dio si incarna nella realtà umana per comunicare con l’uomo e per rivelargli qualcosa del suo trascendente mistero La misericordia di Dio è un atto di rivelazione e di redenzione.

La sua misericordia non rappresenta solo un atto di giustizia, una riprovazione delle mancanze, dei delitti o dei peccati; non è un mero gesto di tolleranza o clemenza giudiziaria. E’ un sentimento che gli sgorga dalle viscere, tanto per utilizzare il linguaggio figurato proprio degli autori sacri. La misericordia di Dio è nella Bibbia una forza di trasformazione di rigenerazione profonda del cuore umano.

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10 LE VISCERE MATERNE DI DIO

“Per questo il mio cuore si commuove per lui e sento per lui profonda tenerezza”

(Geremia 31-20)

C’è un immagine, un’espressione, un vocabolo che racchiude, forse come nessun altro, un modo nuovo, sconcertante e bellissimo di contemplare e comprendere Dio. Un modo decisamente profondo di sperimentare e di esprimere la misericordia di Yavhè.

Un linguaggio figurato, parabolico, che esprime una grande verità, una prodigiosa realtà: la misericordia divina come forza di trasformazione dell’essere umano. Di fatto, si tratta di un linguaggio che evoca letteralmente un atto creatore, la gestazione di una vita nuova.

Parliamo della radice ebraica rhm, che ricorda e rappresenta il seno materno, il luogo dal quale la donna nutre il suo bambino. Il luogo intimo dal quale la vita cresce e a partire dal quale scaturiscono per la creatura i sentimenti più profondi nel corso della sua intera esistenza. Questo vocabolo, così suggestivo in alcuni testi dell’Antico Testamento, è applicato a Dio. Gli esegeti mettono generalmente in rilievo come questa radice sia usata per alludere ad un intenso sentimento di pietà e di commozione da parte di Dio. Un sentimento che, possiamo dire, sale dalle viscere, anche se non perdiamo di vista il fatto che parliamo ancora analogicamente.

Ritengo, tuttavia, che non possiamo dimenticare che questa radice ebraica significhi anche qualcosa che nasce, che si porta in seno, che si crea. In altre parole: il sentimento della sua commozione, porta Dio ad agire. E la sua significa cambiamento, trasformazione tanto parte da una dimensione esteriore quanto da una dimensione interiore. Citiamo qui un testo del profeta Geremia in cui si applica questo linguaggio figurato:

«Ho udito Èfraim che si lamentava: Mi hai castigato e io ho súbito il castigo come un torello non domato. Fammi ritornare e io ritornerò, perché tu sei il Signore, mio Dio. Dopo il mio smarrimento, mi sono pentito;

quando me lo hai fatto capire, mi sono battuto il petto, mi sono vergognato e ne provo confusione, perché porto l’infamia della mia giovinezza. Non è un figlio carissimo per me Èfraim, il mio bambino prediletto? Ogni volta che lo minaccio, me ne ricordo sempre con affetto. Per questo il mio cuore si commuove per lui e sento per lui profonda tenerezza» (Geremia 31,18- 20).

Il brano di Geremia è davvero bello e commovente. Ci avvicina a una comprensione della misericordia divina allo stesso tempo luminosa e misteriosa. Il linguaggio figurato del profeta è qui il modo migliore per avvicinarsi alla profondità di questa esperienza. In una immagine tanto vicina all’esistenza dell’essere umano, in realtà si nasconde un mistero insondabile: «Non è un figlio carissimo per me Èfraim, il mio bambino prediletto? Ogni volta che lo minaccio, me ne ricordo sempre con affetto.

Per questo il mio cuore si commuove per lui e sento per lui profonda tenerezza»

(Geremia 31,20).

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11 L’espressione evoca il cuore e le viscere materne di Dio. I centri più profondi del pensiero e del sentimento, della ragione e passione, della memoria e degli affetti. Ciò che nell’uomo generalmente suppone un mondo di contrasto e di tensione, l’ambito degli opposti condannati a capirsi, la ragione e il cuore, in Dio rivela una sublime sinergia di forze: Dio si ricorda del suo figlio, si commuove nelle viscere, lo ama intensamente. Il suo affetto viscerale è una forza esplosiva che supera le ragioni della sua offesa e i motivi della sua correzione. Di fronte al pentimento e alla confessione dei peccati del suo figlio, Yahvè è un padre che non reprime i suoi sentimenti più profondi..

Nelle parole rivelatrici di Yahvè, Israele scopre allo stesso tempo chi egli è realmente: un figlio voluto e amato senza limiti. Nel momento della sua maggiore sofferenza e vergogna, Dio gli restituisce la sua dignità.

Il Cardinale Giafrranco Ravasi così commenta questo passo: “E’ forse il più bel soliloquio di Dio che si possa leggere nella Bibbia. In Dio, i sentimenti di paternità e maternità (le viscere) si fondono in un amore totale. L’uomo è oggetto di una tenerezza senza limiti da parte di Dio e pertanto non deve sentirsi abbandonato”.

Prendere coscienza di questa verità, non deve provocare già nel suo intimo un cambiamento? Prendere coscienza di questa verità non comporta cominciare a vedere la dura verità in un’altra prospettiva? Queste parole di Dio, non sono già di per sé come una luce nelle tenebre? Non sono il preludio di qualcosa di nuovo che sta nascendo? E che germina, proprio per grazia di Dio, dall’intimo dell’uomo per raggiungere poi la realtà drammatica che lo circonda.

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12 L’ABBRACCIO DEL PADRE

“… Gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò” (Luca 15-20)

La misericordia divina, quella vera, quella della verità in quanto nata dalle viscere materne di Dio, dal profondo del suo Essere, si trasmette per osmosi spirituale, per contatto da cuore a cuore, da vena a vena, non mediante la pura ragione o la fredda logica. La misericordia o è passione o non è nulla. Per questo, la misericordia divina, quella vera, quella della verità implica, sempre e sempre complica la vita.

La misericordia non è un termine astratto da definire in un dizionario, non è un vocabolo suscettibile di un discorso solo accademico. Per i cristiani, la misericordia è un uomo. Così come lo è ogni persona che si è incontrata con quel uomo e la cui vita è stata trasformata. Se qualcuno mi domanda che cos’è la misericordia nella Bibbia, rispondo: domandiamolo a Pietro, domandiamolo a Maria Maddalena, domandiamolo agli infermi risanati da Gesù. La misericordia ha un nome proprio, un volto particolare, una vita peculiare. Perché la misericordia si scopre, si esprime e si definisce nella vita di ogni essere umano.

Lo dice chiaramente Gesù nel Vangelo (Luca 10, 25-37): Qual è il più grande comandamento della Legge di Dio? Il più grande comandamento è: fermarsi, non passare oltre, ma trattenersi, agire. Così Gesù spiegò che cosa significa in concreto, nella pratica amare Dio sopra ogni cosa e amare il prossimo come se stessi. Significa non passare oltre dinanzi al samaritano lascato per terra, ferito e abbandonato. E fermarci, diciamolo chiaramente, è sempre implicarsi e complicarsi: significa cambiare strada, orario, impegno, obbligazioni, vita. La sofferenza altrui passa al primo posto.

Diventa primato. S’impone come esigenza della misericordia e dell’amore.

A mio modo di vedere Gesù ha voluto sintetizzare, in qualche modo, l’insondabile mistero della misericordia divina in una parabola. Si tratta della parabola del padre che aveva due figli, redatta dall’evangelista Luca (si veda Lc 15,11-32).

Potremmo affermare davvero che questo racconto è la parabola della misericordia di Dio.

Quando Gesù vuole spiegare come è Dio, lo fa presentandolo come un Padre che si commuove visceralmente quando osserva da lontano il ritorno a casa del figlio già perduto. “Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò” (Luca 15,20). La scena mostra un Dio commosso da un sentimento che è un terremoto dalle tre scosse consecutive: vedere da lontano, commuoversi, uscire correndo per abbracciare e baciare.

Quale incredibile parabole è questa! Non arriveremo mai a capire del tutto il suo significato e le sue implicanze. Lasciate che mi sfoghi contemplando questa commovente scena: Dio che si toglie come un mantello la sua categoria sociale, il suo stato familiare. Dio Padre lascia per strada la sua ragione e le sue ragioni, il suo orgoglio, i suoi privilegi, la sua prudenza. Non manifesta in alcun modo di recriminare.

Diventa una persona mossa unicamente da un irrefrenabile sentimento di misericordia,

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13 di gioia, di perdono e di amore. La misericordia lo spinge a correre, ad abbracciare e a baciare. Dio ha pietà. La sua misericordia, però, non è solo frutto di un puro sentimento di commozione. Non è un semplice sentimentalismo. Implica un movimento interno ed esterno, un’azione sempre rischiosa perché obbliga a lasciar qualcosa per strada. La ragione e il calcolo, la ponderazione e la riflessione restano sempre indietro …

E’ la ragione per la quale il figlio maggiore non comprende l’attitudine del padre. Si innervosisce, si indigna, si scandalizza. Ho sempre creduto che in noi abitano i due figli: certo, il minore, ma anche il figlio maggiore. Agiamo molto spesso da giudici, pronti a sciorinare i nostri argomenti e le nostre condanne sui comportamenti altrui.

Generalmente non mancano ragioni per sottoporre a giudizio gli altri, ma dobbiamo meditare molto suq quali sono le ragioni per perdonarli e abbracciarli. E’ sorprendente pensare che colui che stava più vicino al padre fisicamente in realtà era più lontano dal capirlo e dall’amarlo.

Il padre Francisco Contreras in un magnifico commento esegetico alla parabola in questione, conclude affermando che il segno della vera conversione a Dio (potremmo dire, il frutto della misericordia divina come forza di trasformazione del cuore umano) è: tornare a chiamare Dio Abba, “Padre, mio caro Papà”.

E commenta, evocando anche Matteo 18,3: “In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli”. “Qui non ci si riferisce all’umiltà né alla purezza dei bambino (…). Il detto di Gesù ha relazione con l’ipsissima vox Jesus, Abba. Farsi come bambini significa: imparare di nuovo a dire Abba”.

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14 LE VISCERE MATERNE DEL FIGLIO

“Voi stessi date loro da mangiare” (Marco 6,37)

Il vangelo di Marco dice che Gesù “sceso dalla barca, vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore…” (Marco 6,34). Il verbo “aver compassione” è traduzione del vocabolo greco splagnizomai. La radice greca splagnizo fa riferimento anche alle viscere o al seno materno.

L’espressione potrebbe tradursi così:; “(Gesù) si commosse nelle viscere …”. Il Figlio di Dio si commuove nelle viscere contemplando la miseria umana. Il suo cuore commosso incarna la misericordia del Padre. La misericordia per tutti, giusti e peccatori; ma in modo particolare per le vittime innocenti.

Nei passi che raccontano il miracolo della moltiplicazione dei pani (Mc 6,30-44 e Mc 8,1-10), v’è un fatto che si ripete in modo identico. Dinanzi ad una situazione di necessità qual è una moltitudine affamata i discepoli fissano l’attenzione sul problema mettendo in rilievo l’impossibilità della soluzione: “Come riuscire a sfamarli di pane qui, in un deserto)” (Mc 8,4). Gesù, al contrario, si lascia afferrare da un intenso sentimento di misericordia (Mc, 6,34; 8,2), e sollecita a fare qualcosa che sembra impossibile: “Voi stessi date loro da mangiare” (Mc 6,37).

Il sentimento di misericordia di Gesù si trasforma per i discepoli in una sfida. Il Maestro insegna loro a contemplare in modo compromesso, mai solo in modo distante e indifferente. Farsi afferrare dalla misericordia divina impegna a fare cose a favore degli altri, che inizialmente sembrano molto difficili o addirittura impossibili. Come per i discepoli, quando l’uomo si confronta con i suoi limiti o con situazioni che oltrepassano le sue capacita, è allora che si apre davvero all’azione di Dio. Non è forse questo un fenomeno che troviamo tante volte nella vita dei santi?

Sperimentare la misericordia, da una parte comporta scoprire in noi energie, mezzi e capacità nuove che non avremmo mai pensato di possedere; dall’altra, aprirci alla grazia divina, che supera e fa crescere allo stesso tempo la capacità umana di compiere il bene. Comporta di lasciarci trasformare in strumenti della divina misericordia a favore degli altri. Ed assistere sorpresi, in tal modo, al miracolo della moltiplicazione. La moltiplicazione dei pani, dei mezzi e delle soluzioni e, soprattutto, la moltiplicazione delle persone che si vedono attratte dalla misericordia.

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15 COMPRENDERE CON TUTTA VERITÀ

“In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga” (Atti 10,34).

La misericordia, come l’amore, è la maggiore forza di trasformazione che esiste al mondo. La maggior forza di trasformazione del cuore umano. L’energia che muove e rende possibile la redenzione di ogni persona.

“Non conosco quest’uomo”. Chi è che pronuncia questa frase nella scrittura? E’

Pietro. E lo fa riferendosi a Gesù di Nazaret, al suo Maestro col quale aveva convissuto gli ultimi tre anni. In realtà, Pietro aveva assicurato Gesù di essere disposto a morire per lui “anche se tutti saranno scandalizzati, io non lo sarò” (Marco 14,29), ma quando la situazione diventa difficile, egli nega di averlo addirittura conosciuto: “Non conosco quest’uomo di cui parlate” (Mc 14-71).

E’ sempre una realtà triste e amara tradire una sincera amicizia. Sentiamo che qualcosa si è rotto irreparabilmente dentro di noi. Immaginiamo che cosa può significare tradire l’amicizia di Gesù: Ricordiamo brevemente il sofferto passaggio evangelico: “E Pietro si ricordò della parola che Gesù gli aveva detto: “Prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai”. E scoppiò in pianto» (Marco 14,72).

In una sorprendente scena narrativa, l’evangelista Matteo descrive come sarà il giudizio finale (Matteo 25, 1-13). Vi si afferma che il nostro giudizio sarà misurato su come avremo agito in relazione agli altri, particolarmente ai bisognosi. Il giudizio di Dio sarà un giudizio sulla misericordia dell’uomo. Coloro che non si sono lasciati muovere né commuovere dalla misericordia, sono quelli che allo stesso tempo non hanno saputo riconoscere Gesù: “… Tutto quello che non avete fatto ad uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me” (Matteo 25,45). In altre parole, saremo giudicati nel momento che, vedendo la sofferenza di un altro fratello, avremo detto:

“Non conosco quest’uomo”.

Giovanni è l’unico evangelista che sottolinea in modo particolare e dettagliato questa rottura fra Pietro e Gesù. Per poi trasformarlo in un dialogo commovente che si stabilisce fra i due, dopo la risurrezione (cf. Gv 21,15-24). Così almeno lo ha inteso la tradizione cristiana: la triplice confessione di amore di Pietro riporta alla mente del lettore la sua triplice negazione. Ed è precisamente Giovanni che da testimonianza del nuovo incontro tra Pietro e il suo Maestro. L’incontro del perdono. Il dialogo della misericordia: “Simone, figlio di Giovanni, mi ami?” (Gv 21,16).

Gesù avrebbe potuto emettere un giudizio molto stretto su Pietro, un giudizio imparziale ed equo. Un giudizio di condanna con ragioni più che evidenti. Non lo fece, però. Preferì che Pietro imparasse che cosa significa la misericordia. Gesù non solo perdona Pietro, lo comprende. Comprende che lo avevano mosso ad agire il timore e la paura.

(16)

16 L’accoglienza del perdono e la misericordia non solo hanno ristabilito l’amicizia tra Pietro e Gesù; l’ha fatta crescere, l’ha maturata, l’ha resa più profonda e solida.

Pietro non solo ha sperimentato il perdono: è stato redento, più che perdonato, e ha imparato a perdonare. La misericordia di Gesù lo ha trasformato.

E’ realmente curioso contemplare come, dopo la morte e risurrezione di Gesù, Pietro scopre un’altra grande verità, che il Libro degli Atti degli Apostoli descrive così:

“Voi sapete che a un Giudeo non è lecito aver contatti o recarsi da stranieri; ma Dio mi ha mostrato che non si deve chiamare profano o impuro nessun uomo” (Atti 10,28).

“In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga” (Att 10,34).

Il perdono e la misericordia che Pietro ha sperimentato nella sua vita lo hanno aperto alla capacità di comprendere in profondità Dio stesso e il suo piano di salvezza.

Ricardo Volo, Roma 2016

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