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AUTORIZZAZIONI PER LA GESTIONE DI RIFIUTI IN IPOTESI PARTICOLARI (ART. 210 D. LGS. 152/2006)

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AUTORIZZAZIONI PER LA GESTIONE DI RIFIUTI IN IPOTESI PARTICOLARI (ART. 210 D. LGS. 152/2006)

1. INQUADRAMENTO DELLA DISCIPLINA NORMATIVA DI RIFERIMENTO

1.1 Le norme (generali) rilevanti e l’oggetto del procedimento

L’art. 210, del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (c.d. Codice dell’Ambiente), disciplina alcune specifiche fattispecie di autorizzazione relativamente ad impianti di smaltimento e recupero di rifiuti. Tale disciplina sostituisce quella precedentemente dettata dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22.

In particolare, la procedura codificata dall’art. 210 ha ad oggetto le seguenti ipotesi:

A) il rinnovo delle autorizzazioni alla gestione di impianti di smaltimento e/o recupero rifiuti rilasciate ai sensi del D.Lgs. n. 22/97 (che hanno una durata di cinque anni), o – più recentemente – ai sensi del Codice dell’ambiente (che hanno una durata di dieci anni).

B) la modifica dell’autorizzazione di gestione in caso di modifiche non sostanziali, riguardanti l’organizzazione dell’impianto (quindi che non intervengano sul progetto precedentemente approvato) o la sua gestione (variazioni gestionali non impiantistiche);

C) l’autorizzazione ad avviare un'attività di recupero e/o smaltimento di rifiuti in un impianto già esistente, precedentemente adibito ad altra attività.

D) l’autorizzazione alla gestione dell’impianto di smaltimento e/o recupero rifiuti per siti rispetto ai quali è stata già rilasciata l’autorizzazione alla realizzazione dell’impianto (ex art. 27 del D.Lgs. n. 22/97), ma non ancora quella all’esercizio alla data di entrata in vigore della Parte IV del Codice dell’Ambiente.

I soggetti interessati al conseguimento dell’autorizzazione devono attivare la procedura presentando apposita domanda alla Provincia di Alessandria, competente ai sensi degli artt. 36 e 50 della Legge regionale 26 aprile 2000, n. 44 e dell’art. 3, comma 1, lett. f), della Legge regionale 24 ottobre 2002, n. 24.

La procedura, a cui si applicano ovviamente anche le regole generali sul procedimento amministrativo dettate dalla Legge 7 agosto 1990, n. 241, si conclude con un provvedimento espresso che deve essere emanato dalla Provincia entro i novanta giorni successivi alla presentazione dell’istanza.

Le autorizzazioni previste dall’art. 210 del Codice dell’ambiente devono essere comunicate, a cura della Provincia, all’Albo Nazionale Gestori Ambientali di cui all’art.

212, comma 1, del Codice, che cura l’inserimento in un elenco nazionale, accessibile al pubblico, degli elementi identificativi dell’impresa.

La procedura autorizzativa sopra delineata non trova applicazione per le attività di autosmaltimento previste dall'art. 215, né per le operazioni di recupero previste dall'art.

216 del Codice dell’Ambiente e dalle relative norme tecniche di attuazione1, per le quali

1 V. il decreto ministeriale 5 febbraio 1998, modificato dal decreto ministeriale n. 186/2006, relativamente al recupero di rifiuti non pericolosi, nonché il decreto ministeriale 12 giugno 2002, n. 161,

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è prevista la procedura comunicativa semplificata, di cui all’art. 214 del Codice dell’Ambiente.

Le disposizioni dell’art. 210 non vengono applicate, inoltre, al deposito temporaneo effettuato nel rispetto delle condizioni di cui all’art. 183, comma 1, lett. m), che è soggetto unicamente agli adempimenti relativi al registro di carico e scarico di cui all’art. 190 ed al divieto di miscelazione di cui all’art. 187.

Rimangono infine disciplinati dai commi 14 e 15, dell’art. 208 del Codice, fra l’altro, le operazioni di imbarco e sbarco in caso di trasporto transfrontaliero di rifiuti, e gli impianti mobili.

Più in generale, l’art. 185 stabilisce che non rientrano nel campo di applicazione della Parte IV del Codice dell’Ambiente (e dunque anche dell’art. 210) le emissioni costituite da effluenti gassosi emessi nell'atmosfera, nonché, in quanto regolati da altre disposizioni normative che assicurano tutela ambientale e sanitaria, le seguenti materie:

le acque di scarico, eccettuati i rifiuti allo stato liquido; i rifiuti radioattivi; i materiali esplosivi in disuso; i rifiuti risultanti dalla prospezione, dall'estrazione, dal trattamento, dall'ammasso di risorse minerali o dallo sfruttamento delle cave; le carogne ed i seguenti rifiuti agricoli: materie fecali ed altre sostanze naturali e non pericolose utilizzate nell'attività agricola; i materiali vegetali, le terre e il pietrame, non contaminati in misura superiore ai limiti stabiliti dalle norme vigenti, provenienti dalle attività di manutenzione di alvei di scolo ed irrigui.

1.2 Alcune nozioni essenziali

Lo smaltimento e il recupero di rifiuti sono attività d’impresa che rientrano nella più ampia nozione di gestione di rifiuti, per l’appunto definita dalla lett. d), del comma 1, dell’art. 183 del Codice dell’Ambiente come composta da raccolta, trasporto, recupero e smaltimento dei rifiuti, compreso il controllo di queste operazioni. Tale attività è qualificata dall’art. 178 del Codice dell’Ambiente come di pubblico interesse ed è correlativamente sottoposta ad una disciplina speciale, preordinata ad assicurare un’elevata protezione dell’ambiente.

Le due attività, smaltimento e recupero, muovono dalla comune nozione di rifiuto che l’art. 183 del Codice dell’Ambiente, richiamando testualmente l'articolo 1, comma 1, lettera a), della direttiva 75/442/CE, qualifica come qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi, o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi, rinviando ad una serie di categorie in cui tale concetto rientra, riportate nell'Allegato A alla Parte IV del Codice stesso. L’art. 181 bis del Codice dell’Ambiente stabilisce che non rientrano invece nella definizione di rifiuto le materie, le sostanze e i prodotti secondari di cui ai decreti ministeriali 5 febbraio 1998, 12 giugno 2002, n. 161, e 17 novembre 2005, n. 269 (tali materie, sostanze e prodotti devono essere ridefinite con decreto ministeriale2).

Le operazioni di recupero consistono nell’utilizzo di rifiuti per generare materie prime secondarie, combustibili o prodotti, attraverso trattamenti meccanici, termici, chimici o biologici, compresa la cernita o la selezione, e, più esattamente, secondo la lett. h) del comma 1 dell’art. 183, mediante le operazioni previste nell'allegato C al Codice dell’Ambiente.

2 In particolare, il comma 3, dell’art. 181 bis, prevede che continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al D.M. 5 febbraio 1998 sino all’emanazione del decreto ministeriale (di cui al comma

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Per smaltimento di rifiuti, invece, s’intende ogni operazione finalizzata a sottrarre definitivamente dal ciclo economico produttivo, di consumo o di raccolta, una sostanza o un materiale. In particolare, l’art 182 del Codice stabilisce che tale attività costituisce la fase residuale della gestione dei rifiuti, previa verifica da parte della competente autorità della impossibilità tecnica ed economica di esperire le operazioni di recupero. L’art 183, alla lett. g) del comma 1, definisce operazioni di smaltimento quelle previste nell'allegato B alla parte quarta del Codice, e detta discipline specifiche per i rifiuti da avviare allo smaltimento finale e per l’autorizzazione alla realizzazione e gestione di nuovi impianti, subordinando il rilascio di quest’ultima a determinate soglie di recupero energetico del relativo processo di combustione.

1.3 La domanda di autorizzazione e il successivo procedimento

La domanda per l’autorizzazione (o rinnovo) nelle ipotesi disciplinate dall’art. 210 deve essere corredata dalla documentazione tecnica prevista (per la quale si rinvia alla modulistica di seguito allegata).

Con la presentazione della domanda, il richiedente innesca un procedimento articolato in varie fasi secondo termini puntuali, la cui istruttoria si conclude, entro novanta giorni dalla presentazione stessa, di regola e salvo eventuali sospensioni, con il rilascio dell'autorizzazione (o rinnovo) o con il diniego motivato della stessa.

In particolare, a seguito del ricevimento della domanda, la Provincia individua il responsabile del procedimento che ha il compito di coordinare l’istruttoria procedimentale (adottando direttamente gli atti allo scopo necessari ovvero sollecitando l’adozione degli stessi da parte degli altri organi amministrativi coinvolti) nonché di tenere i rapporti con il richiedente e con i terzi interessati. Fatta eccezione per i casi in cui la legge gli attribuisce la competenza ad adottare il provvedimento finale, al termine dell’istruttoria il responsabile trasmette gli atti all’organo competente per la decisione, che nel caso dei procedimenti curati dalla Provincia di Alessandria è di regola il dirigente della Direzione Pianificazione – Difesa del Suolo – Servizi Tecnici - VIA. Per lo svolgimento dell’istruttoria tecnica, la Provincia di Alessandria si avvale dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente (ARPA) ed eventualmente di altri organismi tecnici ed enti.

Ai fini del rilascio dell’autorizzazione, la Provincia e le altre amministrazioni interessate, cui verranno richiesti i relativi pareri, devono verificare la sussistenza di tutti i presupposti contemplati nelle disposizioni del Codice dell’Ambiente e in tutte le altre disposizioni normative comunque applicabili, nonché la rispondenza della documentazione presentata alle prescrizioni contenute negli strumenti di pianificazione specificamente riferiti al settore dei rifiuti (e cioè, in primis, il Piano regionale di gestione dei rifiuti, nel caso dei rifiuti urbani ed assimilabili) e negli altri strumenti di pianificazione comunque rilevanti. Nel procedimento diventa quindi fondamentale il coinvolgimento del Comune competente per territorio.

In caso di esito positivo del procedimento, l'autorizzazione è concessa per un periodo di dieci anni ed è a sua volta rinnovabile (previa istanza di parte, richiesta almeno 180 giorni prima della scadenza).

L’autorizzazione così rilasciata indicherà le condizioni e le prescrizioni necessarie per garantire l’attuazione dei principi di cui all’art. 178 del Codice dell’ambiente, in base al

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quale i rifiuti devono essere recuperati e smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti e metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente.

I contenuti minimi dell’autorizzazione sono individuati dall’art. 210, terzo comma, e attengono a:

a) i tipi e i quantitativi dei rifiuti da smaltire o recuperare;

b) i requisiti tecnici, con particolare riferimento alla compatibilità del sito, alle attrezzature utilizzate, ai tipi ed ai quantitativi massimi di rifiuti ad alla conformità dell’impianto alla nuova forma di gestione richiesta;

c) le precauzioni da prendere in materia di sicurezza e igiene ambientale;

d) la localizzazione dell’impianto da autorizzare;

e) il metodo di trattamento e di recupero;

f) i limiti di emissione in atmosfera, per i processi di trattamento termico dei rifiuti, anche accompagnati da recupero energetico;

g) le prescrizioni per le operazioni di messa in sicurezza, chiusura dell’impianto e ripristino del sito;

h) le garanzie finanziarie, ove previste dalla normativa vigente, o altre equivalenti;

i) la data di scadenza dell’autorizzazione, in conformità a quanto previsto dall’art.

208, comma 12 .

La procedura ordinaria fin qui descritta è esposta a due variazioni.

In primo luogo, nel caso in cui l’attività di recupero o smaltimento, secondo quanto stabilito dagli artt. 23, 24, 25 e 26 del Codice dell’Ambiente e dalla Legge Regionale 40/1998 e s.m.i., sia sottoposta a valutazione di impatto ambientale (VIA), il procedimento ai sensi dell’art. 210 è assorbito dal procedimento VIA che si concluderà comunque, in caso favorevole, con il rilascio dell’autorizzazione di cui all’art. 210 del Codice dell’Ambiente.

Inoltre, ai sensi dell’art. 213 del Codice dell’Ambiente, qualora l'impianto rientri tra quelli assoggettati a procedura di autorizzazione integrata ambientale (AIA) ai sensi del D.Lgs. 18 febbraio 2005, n. 59 “recante norme per la prevenzione e della riduzione integrate dell’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo (IPPC)”, la relativa domanda di AIA include, assorbendola, quella all’autorizzazione di cui all’art. 210 del Codice dell’Ambiente. Ne consegue che il rilascio di quest’ultima seguirà l’iter procedimentale tipico dell’autorizzazione integrata ambientale, secondo quanto previsto dall’art. 5 del D.Lgs. n. 59/2005.

2. INDIVIDUAZIONE DELLE DIVERSE AMMINISTRAZIONI COINVOLTE E DELLE RELATIVE COMPETENZE

Analogamente alla procedura per il rilascio di autorizzazione ex art. 208, anche nel caso del procedimento ex art. 210, l’iter istruttorio prevede di norma il coinvolgimento di altri Servizi della Provincia e di Enti esterni, che variano in relazione alle specificità dei diversi procedimenti.

A differenza del procedimento adottato nel caso di nuove attività, con l’art. 210 non viene convocata la Conferenza dei Servizi, ma la documentazione viene ugualmente inviata ai medesimi Enti, che sono chiamati a fornire entro 30 giorni il parere di competenza.

Nella tabella che segue si riporta un elenco delle principali amministrazioni che di regola partecipano al procedimento con le relative competenze. Si precisa che tale elenco individua i principali soggetti che di norma il Servizio Gestione Rifiuti coinvolge

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Soggetto Competenze Dipartimento Provinciale A.R.P.A. Valutazione tecnica generale concernente le diverse

questioni ambientali e l’impatto dell’attività sull’area

A.S.L. AL

- Servizio Igiene e Sanità Pubblica

- Servizio Prevenzione Sicurezza Ambienti di Lavoro)

Parere tecnico specifico in materia di sicurezza negli ambienti di lavoro e d’igiene

Comune sede dell’impianto Parere tecnico specifico in materia di compatibilità dell’attività con il PRGC e in ordine all’eventuale sussistenza di vincoli, a causa dei quali l’attività potrebbe essere preclusa ovvero ammessa previo ottenimento di eventuali autorizzazioni.

Servizi interni della Provincia

- Tutela qualità dell’Aria e controlli Impianti Termici

- Tutela e Valorizzazione Risorse Idriche

- Pianificazione territoriale

- Direzione Viabilità della Provincia

Parere tecnico specifico in materia di:

- possibili impatti sulle emissioni in atmosfera e acustiche

- gestione delle risorse idriche sia in termini di approvvigionamenti, sia nel caso di scarichi (ove la competenza non risulti in capo al Comune o al gestore della pubblica fognatura)

- supporto nella verifica della presenza di eventuali vincoli urbanistici/ambientali, ad integrazione delle verifiche in capo al Comune

- il coinvolgimento della Direzione viabilità viene valutato caso per caso. Alla Dir. Viabilità compete la verifica dell’eventuale necessità di imporre al proponente l’adozione di prescrizioni o la realizzazione di opere atte a contenere il maggior impatto sulla viabilità.

Possono inoltre essere coinvolti altri soggetti, qualora dall’esame della documentazione emerga la necessità di pareri o autorizzazioni di competenza dei medesimi (ad. es.

Gestore Pubblica Fognatura, Enti proposti al rilascio di autorizzazioni in aree a vincolo paesaggistico - ambientale - idraulico, Settore Urbanistico territoriale di Alessandria della Regione Piemonte, Ente Gestore Autostrade, Ferrovie, ENEL, Telecom, etc.).

3. DESCRIZIONE ANALITICA DELLITER PROCEDIMENTALE E DEL RELATIVO CRONOPROGRAMMA

3.1 Le fasi del Procedimento e i relativi termini.

1) Fase di pre-esame della bozza di istanza e della bozza di documentazione allegata.

Questa fase è meramente facoltativa e precede l’avvio del procedimento. Essa ha lo scopo di consentire al richiedente di ottenere che il Servizio Gestione Rifiuti verifichi preventivamente, esclusivamente sotto il profilo formale e non di merito, la completezza e idoneità dell’istanza, così da ridurre il rischio che lo svolgimento del procedimento sia ritardato dalla necessità di successive integrazioni documentali da parte del richiedente.

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Le modalità operative che verranno adottate dalla Provincia per il pre-esame sono le seguenti:

- consegna a mani, ovvero invio a mezzo posta del plico contenente la bozza di istanza e della relativa documentazione corredata da una lettera di accompagnamento nella quale il richiedente precisa che la documentazione allegata costituisce una bozza inviata al solo fine del pre-esame da parte dell’amministrazione. Nella lettera di accompagnamento devono essere indicati nome e riferimenti (telefono, fax, e-mail) della persona che potrà essere contattata ai fini del pre-esame dell’istanza. Il plico deve essere consegnato o inviato al Servizio Gestione Rifiuti della Provincia.

- entro 3 giorni lavorativi successivi alla ricezione del plico da parte dell’ufficio preposto, il funzionario incaricato del pre-esame contatterà il referente indicato nella citata lettera di accompagnamento e provvederà a fissare un incontro per discutere le bozze inviate. Durante tale incontro, che si terrà entro i successivi 10 giorni lavorativi, si verificherà la necessità di eventuali integrazioni documentali.

Si deve sottolineare che il funzionario incaricato del pre-esame dell’istanza potrà esprimere un’opinione solo relativamente alla completezza e correttezza formale della documentazione inerente ai profili affidati alla competenza della Provincia di Alessandria e non con riferimento a quelli rientranti nelle competenze di altre amministrazioni.

2) Fase di avvio del procedimento

Entro quindici giorni dal ricevimento della formale domanda di autorizzazione, la Provincia (tramite il Servizio Gestione Rifiuti) individua il responsabile del procedimento e provvede a dare avviso di avvio del procedimento e della nomina del suddetto responsabile.

In particolare, nella comunicazione inviata al richiedente sono indicati:

- l’amministrazione competente;

- l’oggetto del procedimento promosso;

- l’ufficio e la persona responsabile del procedimento;

- la data entro la quale deve concludersi il procedimento e i rimedi esperibili in caso di inerzia dell’amministrazione;

- la data di presentazione della relativa istanza (che coincide con la data di avvio del procedimento);

- l’ufficio ove può prendersi visione degli atti.

3) Eventuale Comunicazione ex art. 10 bis 241/90

La fase di pre-verifica sopra descritta dovrebbe evitare il verificarsi di situazioni in cui la documentazione presentata dal richiedente è gravemente incompleta o comunque assolutamente inidonea. Qualora, invece, per scelta del richiedente, quella fase preliminare non si svolga, situazioni di tale genere possono verificarsi. In tali casi, il responsabile del procedimento, in linea con quanto stabilito dall’art. 10-bis della legge n. 241 del 1990, dà tempestiva comunicazione agli interessati dei profili di irregolarità o incompletezza che ostano all’accoglimento della domanda. L’interessato ha diritto di rispondere entro 10 giorni dal ricevimento della comunicazione stessa, presentando per iscritto le proprie osservazioni eventualmente corredate dai documenti mancanti. In questo caso, il termine di 90 giorni si interrompe, per ricominciare a decorrere nuovamente dalla data di ricevimento della comunicazione integrata.

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3.1) Diniego dell’Autorizzazione

Se, entro i dieci giorni accordati dall’Amministrazione ai sensi dell’art. 10-bis L.241/1990, il soggetto interessato non si è attivato fornendo ulteriori elementi, la Provincia deve adottare un provvedimento di rigetto della domanda di autorizzazione.

4) Fase di richiesta pareri delle altre amministrazioni coinvolte e adozione del provvedimento finale

Se l’istanza risulta corretta e la documentazione ad essa allegata appare completa, o se, nel caso di cui al precedente punto 3 il soggetto interessato ha tempestivamente provveduto ad integrare correttamente l’istanza o la relativa documentazione, il responsabile del procedimento trasmette la relativa documentazione agli enti interessati.

4.1) Rilascio dell’autorizzazione per pareri positivi

Qualora, a seguito delle richieste della Provincia, vengano espressi unicamente pareri favorevoli in ordine al rilascio del provvedimento, nel rispetto dei termini fissati dalla relativa norma, la Provincia autorizza l’attività o ne ammette la prosecuzione (in caso di rinnovo). In particolare, il responsabile del procedimento elabora e trasmette una proposta del provvedimento al Dirigente dell’unità organizzativa responsabile, che adotta il provvedimento finale.

4.2) Comunicazione ex art. 10 bis, L. n. 241/90 per pareri negativi nel merito e successivo procedimento

Se, invece, i pareri pervenuti sono negativi nel merito (la documentazione è completa e corretta, ma non sussistono i presupposti di fatto per il rilascio dell’autorizzazione), la Provincia comunica all’interessato i motivi ostativi all’accoglimento della domanda, in linea con quanto disposto dall’art. 10 bis della L. n. 241/1990. Entro 10 dieci giorni dalla comunicazione (periodo durante il quale i termini previsti per il procedimento autorizzatorio rimangono sospesi) il richiedente può presentare osservazioni e produrre documenti. Ove l’interessato non risponda o comunque risponda in modo insufficiente a far mutare l’orientamento dell’Amministrazione, il procedimento si conclude con un provvedimento negativo. In senso contrario, invece, seguirà il rilascio dell’autorizzazione.

4.3) Comunicazione ex art. 10 bis, L. n. 241/90 per pareri negativi sulla completezza della documentazione successivo procedimento

Diversamente, qualora i pareri pervenuti siano negativi sulla completezza della documentazione depositata, la Provincia comunica all’interessato i motivi ostativi all’accoglimento della domanda ex art. 10 bis della L. n. 241/1990, esponendo le relative e necessarie integrazioni documentali. Se, entro 10 dieci giorni dalla comunicazione (periodo durante il quale i termini previsti per il procedimento autorizzatorio rimangono sospesi), il richiedente integra correttamente la relativa documentazione, la Provincia si esprime nel merito accogliendo o meno la domanda. In caso di mancata o insufficiente integrazione documentale, invece, il procedimento si concluderà i ogni caso con il diniego dell’autorizzazione.

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3.2. Rappresentazione grafica del flusso procedimentale

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4. INDIVIDUAZIONE DELLE PRINCIPALI QUESTIONI INTERPRETATIVE SORTE NELLA PRASSI ED ESPOSIZIONE DEGLI ORIENTAMENTI PRESCELTI DALLAMMINISTRAZIONE

Si riportano alcune delle principali questioni interpretative sorte nel tempo, e delle misure adottate dall’Ente.

4.1 Completezza della documentazione – Preinvio informale dell’istanza e della relativa documentazione.

Si deve rilevare che sovente i tempi (e gli adempimenti) procedimentali sono aggravati a causa dell’incompletezza o palese inidoneità iniziale della documentazione presentata a corredo delle istanze.

La presentazione formale di istanze recanti documentazione incompleta o inidonea impone all’Amministrazione procedente di richiedere formalmente integrazioni o modifiche documentali, con conseguente sospensione dei termini.

Al fine di porre rimedio a tale situazione e di contenere il più possibile le interruzioni del procedimento, la Provincia di Alessandria intende sollecitare i soggetti interessati a inviare informalmente una bozza della domanda e della documentazione ad essa allegata e ad incontrare un funzionario dell’ufficio competente prima di procedere all’invio formale della stessa.

Il pre-invio informale dell’istanza e dei relativi allegati ha lo scopo di consentire (in tempi molto contenuti e tali da non aggravare inutilmente il procedimento) la disamina, esclusivamente sotto il profilo formale e non di merito, della correttezza e completezza della documentazione che gli interessati hanno intenzione di presentare.

Tale operazione dovrebbe prevenire quantomeno il compimento degli errori più grossolani.

Tale fase si svolgerà con le modalità descritte nel precedente paragrafo 3.1 “Fasi del Procedimento e relativi termini”.

E’ bene sottolineare che tale adempimento è assolutamente facoltativo e che gli interessati hanno ovviamente facoltà di presentare formalmente le istanze senza compiere alcun pre-invio informale delle medesime.

Si deve altresì sottolineare che il funzionario incaricato del pre-esame dell’istanza potrà esprimere un’opinione solo relativamente alla completezza e correttezza formale della documentazione relativa ai profili affidati alla competenza della Provincia di Alessandria e non con riferimento a quelli rientranti nelle competenze di altre amministrazioni.

4.2 La valutazione sull’idoneità dei siti indicati nelle domande di autorizzazione.

Anche nel caso di rinnovi, è indispensabile che il Proponente, prima della presentazione dell’istanza, compia un’approfondita valutazione dell’idoneità del sito in cui intende proseguire l’attività. Anche per le autorizzazioni ex art. 210 risulta necessario verificare se, successivamente al rilascio, siano variate le condizioni localizzative (ad es. una modifica del PRGC, oppure l’entrata in vigore di una nuova norma che introduce nuovi vincoli all’area oggetto di attività).

L’idoneità del sito ai fini della collocazione di un impianto di smaltimento o recupero rifiuti, ovvero per il suo rinnovo, viene valutata in relazione ad una pluralità di elementi.

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In particolare, l’area interessata non deve essere soggetta a vincoli di natura ambientale, urbanistica, paesaggistica, non deve trovarsi all’interno di zone di particolare valenza paesaggistica/ambientale etc. come individuate dagli strumenti di pianificazione territoriale.

Nel modello di istanza messo a disposizione dall’Ente, viene quindi dato ampio risalto all’indispensabile verifica che il proponente deve compiere, accertando preventivamente l’assenza di eventuali vincoli sull’area interessata, anche alla luce delle prescrizioni contenute nei documenti di programmazione provinciale (PTCP – Piano Territoriale Coordinamento Provinciale) o dagli strumenti urbanistici comunali (PRGC) (ad es. la distanza da corsi d’acqua, etc.).

D’altra parte il Proponente deve anche allegare all’istanza tavole e disegni in scala idonea (Carta Tecnica Regionale, estratto del vigente PRGC con relativa legenda) che consentano il puntuale inquadramento territoriale della nuova attività.

Considerato che, nella pratica, al procedimento ex art. 210 si ricorre principalmente per le istanze di rinnovo di attività esistenti, diventa ancora una volta importante il ruolo della pianificazione urbanistica, in particolare quando, a seguito dell’introduzione di nuove normative o di varianti al Piano Regolatore, la localizzazione dell’impianto non risulti più coerente con le prescrizioni pianificatorie. Il parere del Comune diventa allora vincolante per il rinnovo dell’’autorizzazione richiesta e può implicare, in taluni casi, anche la necessaria rilocalizzazione dell’attività.

4.3 Nozione di modifiche sostanziali dell’impianto

Tra le ipotesi particolari previste dall’art. 210, non rientra l’eventualità che vengano apportate varianti sostanziali in corso d'opera o di esercizio che comportino modifiche a seguito delle quali gli impianti non sono più conformi all'autorizzazione rilasciata ai sensi dell’art. 208.

In particolare, tra le varianti in presenza delle quali trova applicazione la disciplina contenuta nell’art. 208 (cioè, solo quelle definibili come “sostanziali”) possono riguardare aspetti strutturali degli impianti o dei relativi macchinari o aspetti gestionali attinenti all’attività di esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero di rifiuti. In particolare, a tale nozione, secondo gli orientamenti accolti dalla Provincia, debbono essere ascritte:

a) modifiche a impianti esistenti e in esercizio che determinino variazioni al processo di trattamento, smaltimento e recupero dei rifiuti, e alle relative apparecchiature, attrezzature e strutture di servizio;

b) modifiche alle tipologie di rifiuti da trattare, smaltire o recuperare già autorizzate che necessitano di una preventiva valutazione della capacità di trattamento da parte dell’impianto;

c) aumenti significativi del quantitativo di rifiuti da trattare, recuperare o smaltire, anche se della stessa tipologia autorizzata;

d) modifiche alle discariche per qualsiasi tipologia di rifiuti quando la variazione riguardi l'ingombro plano-altimetrico, anche se non comporti particolari variazioni volumetriche.

Stante la complessa eterogeneità della casistica delle varianti sostanziali, e il diverso peso che, in generale, ogni variante può assumere in relazione al contesto di riferimento (ad es., un aumento delle emissioni nell’aria da parte dell’impianto ha una valenza diversa a seconda che la zona in cui il medesimo è collocato sia o meno esposta al

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traffico), il gestore interessato può avviare un confronto informale con la Provincia al fine di ottenere delucidazioni al riguardo.

In ogni caso, qualora le modifiche progettate - ad avviso del gestore, o a seguito delle delucidazioni informalmente ricevute presso la Provincia - risultino sostanziali, il gestore invia alla Provincia una nuova domanda di autorizzazione ex art. 208 ove devono essere puntualmente descritte le relative varianti, che devono altresì essere adeguatamente rappresentate nella documentazione allegata alla domanda medesima.

Le varianti non sostanziali, invece, sono soggette al solo rilascio della concessione o autorizzazione edilizia da parte del comune competente, se necessaria, o agli altri eventuali provvedimenti amministrativi richiesti dalla legge. In ogni caso, tali varianti devono essere comunicate alla Provincia che emana specifiche direttive in merito, ovvero rilascia l’autorizzazione di cui all’art. 210 D. Lgs. 152/2006 e s.m.i..

4.4 Le nozioni di materie prime secondarie e sottoprodotti: il regime applicabile e i criteri per identificarli

4.4.1 Premessa

È noto che le nozioni di materie prime secondarie (MPS) e sottoprodotti sono considerate dal legislatore al fine di escludere le sostanze che in esse rientrino dall’applicazione del regime giuridico della gestione dei rifiuti (composta da raccolta, trasporto, stoccaggio, recupero o smaltimento dei rifiuti) dettato dalla Parte IV del D.Lgs. 3 aprile 2006, n.152 (c.d. Codice dell’Ambiente)3.

Sul piano legislativo, le definizioni di MPS e sottoprodotti contenute nel Codice dell’ambiente sono state recentemente modificate dal D.Lgs. 16 gennaio 2008, n. 4. Sul piano regolamentare invece, e per quanto riguarda le MPS in particolare, sino all’emanazione del nuovo decreto del Ministro dell’ambiente della tutela dell’ambiente e del territorio, di cui all’art. 181 bis del Codice dell’ambiente, è fatto salvo quanto precedentemente disciplinato dal Decreto Ministeriale 5 febbraio 1998.

4.4.2 Materie prime secondarie

L’art. 183, comma 1, lett. a), del Codice dell’Ambiente definisce in generale come rifiuto qualsiasi “sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi, o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsi” (rimandando poi, per una più puntuale identificazione e classificazione dei medesimi, all’allegato A alla parte IV del Codice stesso). D’altro canto, l’art. 181 bis – nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 4/2008 – stabilisce che non rientrano nella nozione di rifiuto le c.d. materie prime secondarie, cioè le sostanze e i

3 Semplificando il complesso quadro normativo di riferimento, è possibile sintetizzare il percorso che parte dall’inizio del ciclo produttivo di un prodotto sino ad arrivare al recupero o smaltimento di un rifiuto, secondo la seguente sequenza: 1) una materia viene introdotta in un processo produttivo per essere utilizzata quale materia prima per ottenere un determinato prodotto; 2) al termine del ciclo produttivo la materia prima utilizzata sarà trasformata e costituita da ciò che è divenuto prodotto e da ciò che ne è residuato; 3) a questo punto – ammesso che del materiale che residua dall’utilizzo della materia prima il detentore non si disfi, o non voglia o debba disfarsi, così da qualificarlo come rifiuto – occorre verificare se tale residuato possa essere qualificato come un sottoprodotto, ossia come prodotto secondario rispetto ai prodotti principali ai quali il ciclo produttivo è destinato; 4) solo se non presenta le caratteristiche per essere utilizzato come sottoprodotto o come materia prima secondaria all’origine, il materiale residuo è qualificabile come rifiuto; 5) infine bisogna verificare se tale rifiuto può essere recuperato per generare

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prodotti secondari da definirsi con decreto del Ministero dell’ambiente, nel rispetto dei seguenti criteri, requisiti e condizioni:

- “a) siano prodotti da un'operazione di riutilizzo, di riciclo o di recupero di rifiuti;

- b) siano individuate la provenienza, la tipologia e le caratteristiche dei rifiuti dai quali si possono produrre;

- c) siano individuate le operazioni di riutilizzo, di riciclo o di recupero che le producono, con particolare riferimento alle modalità ed alle condizioni di esercizio delle stesse;

- d) siano precisati i criteri di qualità ambientale, i requisiti merceologici e le altre condizioni necessarie per l'immissione in commercio, quali norme e standard tecnici richiesti per l'utilizzo, tenendo conto del possibile rischio di danni all'ambiente e alla salute derivanti dall'utilizzo o dal trasporto del materiale, della sostanza o del prodotto secondario;

- e) abbiano un effettivo valore economico di scambio sul mercato”.

Fino all’emanazione del decreto ministeriale previsto dal citato art. 181 bis, rimane in vigore, ai sensi del secondo comma del medesimo articolo, il DM 05.02.1998 e s.m.i., a suo tempo emanato per individuare i rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure semplificate di recupero4. Ciò implica, in particolare, che debbano considerarsi tuttora vigenti le norme sulle MPS definite da tale decreto.

In base alla disciplina oggi vigente (vedi anche l’art 183, comma 1, lett h), del Codice dell’ambiente), le materie prime secondarie possono dunque anzitutto costituire il risultato di un’attività di recupero, la cui realizzazione, a seconda della tipologie di rifiuti interessate, deve essere autorizzata secondo la procedura ordinaria di cui all’art.

208 del Codice dell’ambiente, oppure può essere soggetta alla procedura semplificata di cui all’art. 216 del Codice dell’ambiente.

Nel caso di rifiuti non pericolosi sottoponibili alla suddetta procedura semplificata, è bene precisare che le MPS non possono derivare da qualsiasi tipologia e provenienza di rifiuti, ma solo dalle tipologie di attività/processi produttivi espressamente previste dal DM 05.02.1998 e s.m.i.. Ad esempio, ai sensi del punto 9 dell’allegato I del D.M. 5 febbraio 1998, nel caso di rifiuti di legno e sughero, la tipologia prevista è costituita solo da scarti di legno e sughero, e imballaggi di legno, provenienti da industria edile e raccolta differenziata, attività industriali, artigianali, commerciali; agricole e di servizio, attività di demolizioni.

Acccanto alle MPS derivanti da attività di recupero, sono da considerare tuttora riconosciute – pur con qualche oggettiva incertezza interpretativa legata all’ambigua formulazione dell’art 181 bis – le c.d. MPS all’origine, che sono cioè tali indipendentemente dalle suddette attività di recupero. In tal senso depone il quarto comma dell’art. 181 bis che, nelle more dell’adozione del decreto ministeriale previsto dal secondo comma dello stesso articolo, fa espressamente salva l’applicazione della Circolare giugno 1999 del Ministero dell’ambiente, secondo cui “i materiali, le sostanze e gli oggetti originate da cicli produttivi o di preconsumo, dei quali il detentore non si disfi, non abbia l'obbligo o l'intenzione di disfarsi e che quindi non conferisca a sistemi di raccolta o trasporto dei rifiuti, di gestione di rifiuti ai fini del recupero o dello smaltimento, purché abbiano le caratteristiche delle materie prime

4 Tale decreto ministeriale era stato emanato ai sensi degli articoli 31 e 33 del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e poi fatto salvo dall’art. 214, comma 5, del Codice

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secondarie indicate dal D.M. 5.2.1998 e siano direttamente destinate in modo oggettivo ed effettivo all'impiego in un ciclo produttivo, sono sottoposti al regime delle materie prime e non a quello dei rifiuti”.

È peraltro ovvio che tale conclusione vale solo in via transitoria fino

all’emanazione del più volte citato decreto ministeriale di cui al secondo comma dell’art . 181 bis, che si confida possa fornire, anche relativamente al riconoscimento della categoria delle MPS all’origine, indicazioni più chiare ed univoche.

4.4.3 Sottoprodotti

A seguito del correttivo di cui al D.Lgs. n. 4/2008, il Codice dell’ambiente, all’art. 183, comma 1, lettera p), stabilisce che sono sottoprodotti “le sostanze ed i materiali dei quali il produttore non intende disfarsi ai sensi dell'articolo 183, comma 1, lettera a)”, sempreché

- 1) siano originati da un processo non direttamente destinato alla loro produzione;

- 2) il loro impiego sia certo, sin dalla fase della produzione, integrale e avvenga direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato e definito;

- 3) soddisfino requisiti merceologici e di qualità ambientale idonei a garantire che il loro impiego non dia luogo ad emissioni e ad impatti ambientali qualitativamente e quantitativamente diversi da quelli autorizzati per l'impianto dove sono destinati ad essere utilizzati;

- 4) non debbano essere sottoposti a trattamenti preventivi o a trasformazioni preliminari per soddisfare i requisiti merceologici e di qualità ambientale di cui al punto 3), ma posseggano tali requisiti sin dalla fase della produzione;

- 5) abbiano un valore economico di mercato”.

È importante tenere conto del fatto che, secondo la giurisprudenza comunitaria e nazionale, i criteri, i requisiti e le condizioni dei sottoprodotti non sono alternativi gli uni con gli altri ma devono sussistere cumulativamente, ossia tutti quanti contemporaneamente, affinché delle sostanze possano essere considerate sottoprodotti e non rifiuti.

Rispetto alla precedente definizione di sottoprodotti contenuta nella lett. n) dell’art. 183, del Codice dell’ambiente, si riportano le seguenti principali novità introdotte dal D.Lgs.

n. 4/20078, che vanno lette congiuntamente alla Comunicazione della Commissione europea al Consiglio e al Parlamento europeo n. 59 del 21 febbraio 2007, riguardante il rapporto tra la nozione comunitaria di “rifiuto”, contenuta nell'art. 1 della direttiva 2006 dicembre CE, e quella di “sottoprodotto”, di origine giurisprudenziale:

- Con il suddetto correttivo è stata confermato il requisito della certezza del riutilizzo, e sono state formulate anche precisazioni sul medesimo. Anzitutto, il riutilizzo deve essere certo sin dalla fase della produzione. Ne consegue che solo le quantità per cui è possibile dimostrare la certezza dell’impiego sin dalla loro produzione sono qualificabili come sottoprodotti, e le eventuali quantità eccedenti dovranno essere gestite sin dall’origine come rifiuti. Inoltre, l’impiego deve essere integrale.

Al riguardo è opportuno richiamare la disciplina speciale delle rocce da scavo (anch’esse considerate espressamente come sottoprodotti nel nuovo testo dell’art.

186), secondo la quale la parte del materiale scavato destinata al riutilizzo deve essere utilizzata integralmente, facendo così sottostare al regime dei rifiuti la parte

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non destinata ad essere impiegata. In proposito si rammenta che anche secondo la Corte di giustizia, i materiali “possono sfuggire alla qualifica di rifiuti in quanto sottoprodotti se lo stoccaggio del quale sono oggetto è limitato alle quantità destinate con certezza all’impiego” 5.

- Il nuovo art. 183 del Codice dell’ambiente dispone che l’utilizzo deve avvenire direttamente nel corso del processo di produzione o di utilizzazione preventivamente individuato o definito.

D’altra parte, secondo quanto statuito dalla Cassazione - coerentemente con l’orientamento giurisprudenziale comunitario - l’impiego dei sottoprodotti è consentito tanto nello stesso processo produttivo che lo ha generato, quanto in un altro ed esterno processo di produzione, e senza che sia necessario che il riutilizzo si svolga sotto la direzione del medesimo imprenditore6. Inoltre, la Cassazione ha precisato che il processo che origina il sottoprodotto non deve essere necessariamente un processo industriale (come era testualmente prescritto, invece, dall'art. 183, Comma - 1 lett. n), del D.Lgs. n. 152/2006 nella formulazione originaria) e possa essere, quindi, anche di produzione di un servizio7.

Per quanto concerne la preventiva individuazione e definizione dell’utilizzo, nella nuova definizione non è più previsto che venga attestata la destinazione del sottoprodotto a effettivo utilizzo tramite una dichiarazione del produttore o detentore, controfirmata dal titolare dell’impianto dove avviene l’effettivo utilizzo, ma solo che sia preventivamente individuato il processo di produzione o di utilizzazione, e non anche lo stabilimento ove svolgere tale processo. Tuttavia, anche se quest’obbligo cessa di esistere, esso conserva un certo rilievo sul piano probatorio, come è affermato nella Comunicazione della Commissione, ove è previsto che anche “l’esistenza di contratti tra il detentore e gli utilizzatori successivi potrebbe assicurare la certezza del riutilizzo”.

- Infine, con il decreto correttivo del 2008, è stata riconfermato anche il requisito di assenza di trattamenti preventivi o trasformazioni preliminari. In questo modo, si evita che rifiuti che necessitano di un trattamento prima di poter essere utilizzati sfuggano al tipico regime di settore.

In proposito, si ricorda che il D.Lgs n. 4/2008 ha eliminato la definizione del concetto di trasformazione preliminare8. Diventa, quindi, determinante al riguardo quanto chiarito nella Comunicazione della Commissione europea, secondo la quale:

“La catena del valore di un sottoprodotto prevede spesso una serie di operazioni necessarie per poter rendere il materiale riutilizzabile. Dopo la produzione, esso può essere lavato, seccato, raffinato o omogeneizzato, lo si può dotare di caratteristiche particolari o aggiungervi altre sostanza necessarie al riutilizzo, può essere oggetto di controlli di qualità (…)”. “Alcune operazioni sono condotte nel luogo di produzione del fabbricante, altre presso l’utilizzatore successivo, altre ancora sono effettuate da intermediari. Nella parte in cui tali operazioni sono parte

5 Corte di giustizia, 8 settembre 2005, n. C-416/02.

6 Cassazione penale, Sez. III, n. 31462 del 29 luglio 2008.

7 Cassazione penale, Sez. III n.41839 del 7 novembre 2008.

8 Nella versione originaria del Codice dell’ambiente, tali attività erano indicate come “qualsiasi operazione che faccia perdere al sottoprodotto la sua identità, ossia le caratteristiche merceologiche di qualità e le proprietà che esso già possiede, e che si

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integrante del processo di produzione (…) non impediscono che il materiale sia considerato un sottoprodotto”9.

- A questa serie di condizioni, il D.Lgs. n. 4/2008 ha aggiunto che i sottoprodotti devono avere un valore economico di mercato, così attribuendo esplicita rilevanza al criterio del vantaggio economico già in precedenza utilizzato dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria10. La Comunicazione della Commissione considera espressamente la valenza probatoria di questa condizione, affermando che il “fatto che il fabbricante possa vender un determinato materiale ricavandone un profitto indica con maggiore probabilità che tale materiale venga utilizzato”.

4.5 Il deposito temporaneo di rifiuti

Il raggruppamento di rifiuti, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti e nel rispetto di una serie di condizioni temporanee, qualitative e quantitative definite dall’art. 183, comma 1, lett. m), del D.Lgs. 3 aprile 2006, n.152 (c.d. Codice dell’Ambiente), costituisce ai sensi della medesima norma deposito temporaneo, non sottoposto a regime autorizzatorio11, ma comunque soggetto al divieto di miscelazione di rifiuti pericolosi12 e all’obbligo di tenuta dei registri di carico e scarico13. In mancanza di una o più delle condizioni di cui all’art. 183, comma 1, lett. m), l’accumulo di rifiuti costituisce invece - a seconda delle circostanze di fatto - fattispecie di stoccaggio soggette ad autorizzazione (il deposito preliminare allo smaltimento14 o la messa in riserva per il recupero15), o fattispecie di illeciti da perseguirsi (deposito incontrollato o abbandono di rifiuti16).

In particolare, l’art. 183, comma 1, lett. m) indica le seguenti condizioni:

“1) i rifiuti depositati non devono contenere policlorodibenzodiossine, policlorodibenzofurani, policlorodibenzofenoli in quantità superiore a 2,5 parti per milione (ppm), nè policlorobifenile e policlorotrifenili in quantità superiore a 25 parti per milione (ppm);

2) i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore, con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 10 metri cubi nel caso di rifiuti pericolosi o i 20 metri cubi nel caso di rifiuti non pericolosi. In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti pericolosi non superi i 10 metri cubi l'anno e il quantitativo di rifiuti non pericolosi non superi i 20 metri cubi l'anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno;

9 Nella comunicazione viene anche precisato che “(…) l’operazione cui viene sottoposto un materiale, che si tratti o meno di un’operazione di trattamento dei rifiuti (…), non consente di pronunciarsi sulla natura di un materiale. Conclusione del tutto logica, in quanto molti dei metodi di trattamento o smaltimento indicati nei suddetti allegati possono applicarsi perfettamente anche ad un prodotto”.

10 In questo senso, rispetto al vecchio testo del Codice che richiedeva la presenza di condizioni economicamente favorevoli nella cessione del sottoprodotto, non sono più sufficienti generiche condizioni favorevoli, come quelle che si potrebbero ottenere, ad esempio, da un semplice risparmio nella gestione.

11 Art. 208, comma 17, e 210, comma 5, del Codice dell’ambiente.

12 Art. 187 del Codice dell’ambiente.

13 Art. 190 del Codice dell’ambiente.

14 Art. 256 comma 1, del Codice dell’ambiente.

15 Punto R.13 allegato C del Codice dell’ambiente.

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3) il deposito temporaneo deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute;

4) devono essere rispettate le norme che disciplinano l'imballaggio e l'etichettatura delle sostanze pericolose;

5) per alcune categorie di rifiuto, individuate con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministero per lo sviluppo economico, sono fissate le modalità di gestione del deposito temporaneo.”.

Sul piano legislativo, il D.Lgs. n. 4/2008 è intervenuto sulla nozione di deposito temporaneo attraverso una serie di modifiche al Codice dell’ambiente. In particolare, questo decreto legislativo ha:

1) uniformato il limite relativo al criterio temporale, sia per i rifiuti pericolosi che per quelli non pericolosi, al periodo di giacenza di tre mesi;

2) abrogato la disposizione che permetteva, negli stabilimenti localizzati nelle isole minori, di allontanare i rifiuti entro il termine annuale, indipendentemente dalle quantità in deposito;

3) abrogato la disposizione di cui al punto R14 dell’allegato C della parte quarta al D.Lgs 152/06, che inseriva (suscitando importanti perplessità e problemi applicativi) fra le operazioni di recupero il deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo dove sono prodotti i rifiuti, qualora non venissero rispettate le condizioni previste dalla normativa vigente;

4) eliminato quella parte dell’art. 208 che estendeva l’attività di deposito temporaneo nel luogo di produzione (e quindi il regime derogatorio) configurandola anche quando fosse affidata dal produttore ad altro soggetto autorizzato alla gestione di rifiuti.

Per quanto riguarda il deposito temporaneo effettuato in violazione delle condizioni temporali previste dalla normativa vigente, si ricorda che tale ipotesi è considerata come discarica ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. g), del D.Lgs. n. 36/2003, che vi ricomprende qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno.

Sul piano giurisprudenziale, invece, si riportano due importanti decisioni che sciolgono dubbi critici sulla configurabilità o meno del deposito temporaneo.

La Cassazione ha statuito che ai fini del deposito temporaneo è luogo di produzione dei rifiuti non solo quello in cui gli stessi sono prodotti ma anche gli altri luoghi che siano nella materiale disponibilità dell'impresa17. In particolare la Corte ha deciso che il costruttore che sposti i propri rifiuti da un luogo all'altro del medesimo cantiere, e quindi del medesimo perimetro aziendale, non viola la disciplina sul deposito temporaneo in quanto si tratta del medesimo luogo di produzione degli stessi.

Circa il delicato quesito se il produttore di rifiuti possa depositare, temporaneamente e tutti insieme nel luogo di produzione, rifiuti con codici diversi prima della loro raccolta (ad esempio miscelando prodotti come cassette di polistirolo, sacchi di nylon, imballaggi di cartone), o se debba fare una cernita e separarli già in questa fase preliminare alle operazioni di gestione dei rifiuti, è intervenuta una recente sentenza della Corte di giustizia che ha ritenuto ammissibili gli imballaggi misti nel

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deposito temporaneo18. La Corte ha stabilito che, secondo la normativa comunitaria, il produttore può depositare nel luogo in cui sono prodotti gli imballaggi diversi e riconducibili a codici distinti prima della loro raccolta, a meno che non sia la normativa nazionale a obbligare alla cernita e al deposito separato dei rifiuti al momento del deposito temporaneo. E poiché la normativa nazionale riprende l’elenco dei rifiuti europeo, il codice 15 01 06 può essere utilizzato per identificare rifiuti costituiti da imballaggi di diverso materiale tra loro raggruppati, in quanto quello che in Italia viene definito come multimateriale non corrisponde alla nozione europea di materiale misto, ma a quella di imballaggio composto.

4.6 Problematica VIA

Anche per i procedimenti ex art. 210, come per l’art. 208, va verificato in linea generale se l’attività di cui viene richiesta l’’autorizzazione, ricade nel campo di applicazione della disciplina di Valutazione di Impatto Ambientale.

Nella pratica si rileva però che per i procedimenti ex art. 210, in particolare per quelli inerenti il rinnovo dell’autorizzazione all’esercizio, solo in pochi casi il rinnovo dell’autorizzazione ricade in VIA, o più correttamente nella Verifica di Impatto Ambientale, secondo le nuove disposizioni introdotte alla valutazione di impatto ambientale dal secondo correttivo al Codice dell’Ambiente (D.Lgs. 16 gennaio 2008, n.

4).

Si applica infatti in generale quanto previsto al punto 65 della DGR 30 luglio 2008, n. 211-34747, secondo cui, salvo il caso in cui l’attività non abbia avuto ripercussioni negative sull’ambiente nel corso del suo esercizio, non si riscontra nella pratica la necessità di sottoporre l’istanza di rinnovo alla valutazione o alla verifica di impatto ambientale.

In generale si evidenzia come l’esclusione dei procedimenti ex art. 210 dalla disciplina VIA, sia determinata dall’invarianza delle condizioni che avevano precedentemente portato al rilascio dell’autorizzazione all’esercizio; qualora invece il rinnovo dell’attività comporti l’introduzione di modifiche sostanziali, il procedimento di rinnovo ricade nel campo nell’ambito dell’art. 208, e pertanto valgono le cosiderazioni già espresse nelle linee guida specifiche di quest’ultimo articolo.

Considerazioni differenti rispetto al mero rinnovo, si applicano invece al caso in cui si fa ricorso all’art. 210 per nuove attività di smaltimento o di recupero di rifiuti in un impianto esistente, ma precedentemente adibito ad una differente attività. In questa ipotesi trovano applicazione pienamente le considerazioni espresse per il procedimento ex art. 208, a cui si rimanda per un’analisi più approfondita.

Stante la facoltà assegnata alle Regioni in materia di VIA, a cui è riconosciuta un’ampia autonomia nel definire diversi profili della disciplina, l’unico intervento previsto al momento dalla Regione Piemonte è rappresentato dalla delibera del Consiglio Regionale 30/7/2008 n. 211/34747, con cui è stata apportata una modifica agli allegati della L.R. 40/1998, in linea con le novità introdotte dal D.Lgs. 4/2008 (Secondo correttivo al D.Lgs. 152/2006). Si riporta nel seguito un estratto della citata Deliberazione, e si consiglia una lettura approfondita del testo aggiornato della L.R.

40/1998, reperibile sul sito internet www.regione.piemonte.it

18 Corte di Giustizia Sez. II sent. 11 dicembre 2008. In particolare la Corte si è posta il problema di stabilire in quali casi il codice (Cer 15 01 06) corrispondente ai c.d.

“imballaggi in materiali misti” può essere utilizzato per identificare imballaggi di diverso materiale tra loro ammassati, oppure individua solo il c.d. “multi materiale”.

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DELIBERAZIONE DEL CONSIGLIO REGIONALE 30 luglio 2008, n. 211-34747 Aggiornamento degli allegati alla legge regionale 14 dicembre 1998, n. 40 (Disposizioni concernenti la compatibilità ambientale e le procedure di valutazione), a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), come modificato dal decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4.

(Suppl. al B.U. n. 32 del 7 agosto 2008) IL CONSIGLIO REGIONALE

Omissis

Allegato A2 - Progetti di competenza della provincia, sottoposti alla fase di valutazione (articolo 4, comma 2)

Le soglie dimensionali dell’allegato devono essere ridotte del 50% per i progetti che ricadono anche parzialmente in area protetta, la cui realizzazione sia consentita dalla legge istitutiva dell’area protetta interessata.

Omissis

n. 5 Impianti di smaltimento e recupero di rifiuti pericolosi, mediante operazioni di cui all'allegato B, lettere D1, D5, D9, D10 e D11, ed all'allegato C, lettera R1, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152

n. 6 Impianti di smaltimento e recupero di rifiuti non pericolosi, con capacità superiore a 100 t/giorno, mediante operazioni di incenerimento o di trattamento di cui all'allegato B, lettere D9, D10 e D11, ed all'allegato C, lettera R1, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152

n. 7 Impianti di smaltimento dei rifiuti non pericolosi, mediante operazioni di raggruppamento o ricondizionamento preliminari, con capacità superiore a 200 t/giorno (operazioni di cui all'allegato B, lettere D13 e D14, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152)

n. 8 Discariche di rifiuti urbani non pericolosi con capacità complessiva superiore a 100.000 m³ (operazioni di cui all'allegato B, lettere D1 e D5, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152); discariche di rifiuti speciali non pericolosi (operazioni di cui all'allegato B, lettere D1 e D5, della parte quarta del decreto legislativo 152/2006), ad esclusione delle discariche per inerti con capacità complessiva sino a 100.000 m³

n. 9 Impianti di smaltimento di rifiuti non pericolosi, mediante operazioni di deposito preliminare, con capacità superiore a 150.000 m³ oppure con capacità superiore a 200 t/giorno (operazioni di cui all'allegato B, lettera D15, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152)

n. 10 Impianti di smaltimento di rifiuti mediante operazioni di iniezione in profondità, lagunaggio, scarico di rifiuti solidi nell'ambiente idrico, compreso il seppellimento nel sottosuolo marino, deposito permanente (operazioni di cui all'allegato B lettere D3, D4, D6, D7 e D12 della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152)

Omissis

Allegato B2 - Progetti di competenza della provincia, sottoposti alla fase di verifica quando non ricadono, neppure parzialmente, in aree protette e sottoposti alla fase di valutazione quando - nel caso di opere o interventi di nuova realizzazione - ricadono, anche parzialmente, in aree protette, sempreché la realizzazione sia consentita dalla legge istitutiva dell’area protetta interessata (articolo 4)

Le soglie dimensionali dell’allegato devono essere ridotte del 50% per i progetti che ricadono anche parzialmente in area protetta, la cui realizzazione sia consentita dalla legge istitutiva dell’area protetta interessata.

Omissis

n. 29 impianti di smaltimento di rifiuti urbani non pericolosi, mediante operazioni di incenerimento o di trattamento, con capacità complessiva superiore a 10 t/giorno (operazioni di cui all'allegato B, lettere D2 e da D8 a D11, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152); impianti di smaltimento di rifiuti non pericolosi, mediante operazioni di raggruppamento o di ricondizionamento preliminari, con capacità massima complessiva superiore a 20 t/giorno (operazioni di cui all'allegato B, lettere D13 e D14, della parte quarta del decreto legislativo 152/2006)

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n. 30 impianti di smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi, con capacità complessiva superiore a 10 t/giorno, mediante operazioni di incenerimento o di trattamento (operazioni di cui all'allegato B lettere D2 e da D8 a D11 della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152)

n. 31 impianti di smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi mediante operazioni di deposito preliminare con capacità massima superiore a 30.000 m³ oppure con capacità superiore a 40 t/giorno (operazioni di cui all'allegato B, lettera D15, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.

152)

n. 32 discariche di rifiuti urbani non pericolosi con capacità complessiva inferiore ai 100.000 m³ (operazioni di cui all'allegato B, lettere D1 e D5, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152)

n. 32 bis Impianti di smaltimento e recupero di rifiuti pericolosi, mediante operazioni di cui all'allegato B, lettere D2, D8 e da D13 a D15, ed all'allegato C, lettere da R2 a R9, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152

n. 32 ter Impianti di recupero di rifiuti non pericolosi, con capacità complessiva superiore a 10 t/giorno, mediante operazioni di cui all'allegato C, lettere da R1 a R9, della parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152

Omissis

n. 50 centri di raccolta, stoccaggio e rottamazione di rottami di ferro, autoveicoli e simili con superficie superiore a 1 ettaro

Omissis

n. 65 modifiche o estensioni di progetti di cui all’allegato A2 o all’allegato B2 già autorizzati, realizzati o in fase di realizzazione, che possono avere notevoli ripercussioni negative sull’ambiente (modifica o estensione non inclusa nell’allegato A2)

4.7 Problematica IPPC

Come per il precedente caso della VIA, anche per la problematica inerente l’applicazione della normativa IPPC, l’art. 210, al comma 2, riporta che “resta ferma l’applicazione della normativa nazionale di attuazione della direttiva 96/91/Ce relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento”. Ciò significa che qualora l’attività che viene esercitata ricade nel campo di applicazione dell’IPPC, il proponente dovrà adottare un nuovo iter procedurale, più complesso rispetto a quello previsto dall’art. 210, finalizzato all’ottenimento di un’autorizzazione unica, che assorbe al suo interno tutti provvedimenti in materia di rifiuti, scarichi idrici, emissioni in atmosfera, ecc., necessari allo svolgimento dell’attività.

Nel caso specifico dell’art. 210 si possono verificare circostanze differenti a seconda del tipo di istanza che viene proposta (rinnovo, modifica non sostanziale dell’autorizzazione, ovvero esercizio di nuova attività in impianto esistente).

Nel caso di semplice rinnovo dell’autorizzazione risulta pertanto molto improbabile che l’attività ricada nel campo di applicazione del D.Lgs. n. 59/2005, in quanto con l’entrata in vigore del succitato Decreto, erano stati pubblicati degli elenchi di attività che, ricadendo nel campo di applicazione dell’IPPC, avrebbero dovuto presentare istanza ai fini dell’ottenimento dell’Autorizzazione Ambientale Integrata. Il termine ultimo era stato fissato al 2002.

Differente è invece il caso in cui si ricorre al procedimento disciplinato dall’art.

210 per l’ottenimento del titolo abilitativo allo svolgimento di nuova attività di gestione rifiuti in impianto esistente. Troveranno pertanto piena applicazione le considerazioni

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già riportate nell’esame dell’art. 208; pertanto qualora da un esame della documentazione presentata ex art. 210 la Provincia verificasse che l’attività proposta rientri tra quelle elencate all’allegato I del D.Lgs. n. 59/2005, il procedimento verrà interrotto. A differenza della VIA, dove il procedimento può essere sospeso in attesa del giudizio di compatibilità ambientale, nel caso dell’IPPC deve invece essere avviato un nuovo ed autonomo procedimento, con conseguente archiviazione del procedimento avviato ex art. 210. L’attività (anche quella di gestione rifiuti) potrà essere esercitata unicamente con il rilascio dell’Autorizzazione Integrata.

Si riporta di seguito un elenco indicativo delle principali attività inserite nell’allegato I del D.Lgs. n. 59/2005 per le quali viene richiesta l’autorizzazione integrata. Si consiglia comunque l’esame diretto del D.Lgs. n. 59/2005, e delle successive integrazioni e modifiche.

Decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59

(Supplemento ordinario n. 72 alla Gazzetta ufficiale 22 aprile 2005 n. 93)

Attuazione integrale della direttiva 96/61/Ce relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento

Omissis Allegato I

Categorie di attività industriali di cui all'articolo 1 (articolo 1, comma 1)

Omissis

5. Gestione dei rifiuti.

Salvi l'articolo 11 della direttiva n. 75/442/Cee e l'articolo 3 della direttiva n. 91/689/Cee del Consiglio, del 12 dicembre 1991, relativa ai rifiuti pericolosi.

5.1. Impianti per l'eliminazione o il ricupero di rifiuti pericolosi, della lista di cui all'articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 91/689/Cee quali definiti negli allegati II A e II B (operazioni R 1, R 5, R 6, R 8 e R 9) della direttiva 75/442/Cee e nella direttiva 75/439/Cee del Consiglio, del 16 giugno 1975, concernente l'eliminazione degli oli usati, con capacità di oltre 10 tonnellate al giorno.

5.2. Impianti di incenerimento dei rifiuti urbani quali definiti nella direttiva 89/369/Cee del Consiglio, dell'8 giugno 1989, concernente la prevenzione dell'inquinamento atmosferico provocato dai nuovi impianti di incenerimento dei rifiuti urbani, e nella direttiva 89/429/Cee del Consiglio, del 21 giugno 1989, concernente la riduzione dell'inquinamento atmosferico provocato dagli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani, con una capacità superiore a 3 tonnellate all'ora.

5.3. Impianti per l'eliminazione dei rifiuti non pericolosi quali definiti nell'allegato 11 A della direttiva 75/442/Cee ai punti D 8, D 9 con capacità superiore a 50 tonnellate al giorno.

5.4. Discariche che ricevono più di 10 tonnellate al giorno o con una capacità totale di oltre 25.000 tonnellate, ad esclusione delle discariche per i rifiuti inerti.

Omissis

Anche per i procedimenti IPPC valgono in linea di principio le considerazioni già espresse per la VIA: ricadono nel campo di applicazione del D.Lgs. n. 59/2005, le attività caratterizzate da particolari complessità gestionali, che possono

“potenzialmente” comportare maggiori rischi nel loro esercizio.

Va comunque considerato che al lato pratico, trattandosi di una situazione (quella dello svolgimento di nuova attività di gestione rifiuti in impianto esistente, precedentemente adibito ad altro uso) che non trova larga applicazione nel concreto19, si

19 Di norma chi intende svolgere una nuova attività di gestione rifiuti, ricorre principalmente

(21)

ha in generale che nel caso di attività disciplinate dall’art. 210 trova scarsa applicazione la normativa IPPC, anche se comunque in fase di presentazione dell’istanza, va sempre verificato il rispetto delle condizioni previste dal D.Lgs. n. 59/2005.

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