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Luzio Crastan e la sua azienda

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Academic year: 2021

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Luzio Crastan e la sua azienda

La storia della ditta Crastan inizia nel lontano 1833, quando il suo fondatore, Luzio Crastan, lasciò la nativa Sent, nella valle svizzera dell’Engadina, per emigrare in Italia in cerca di fortuna.

Questa zona, nel cantone dei Grigioni, negli ultimi anni aveva visto aumentare notevolmente l’emigrazione, soprattutto dopo che erano andati diminuendo la produzione e l’esercizio delle armi. Nella povera valle, che aveva assai poco da offrire, queste erano le sole attività che, insieme all’agricoltura, costituivano fonte di

sostegno.

Fu così che, a soli tredici anni1, Luzio Crastan si ritrovò a lavorare a Firenze, presso una famiglia di connazionali che possedeva un negozio di drogheria.

Molti erano in quel periodo gli svizzeri emigrati in Italia che avevano aperto negozi

specializzati nella vendita di prodotti coloniali o legati alla produzione di cioccolato, infatti moltissimi sono gli svizzeri che gestivano pasticcerie, anche molto famose e apprezzate2. Tra quelli che avevano scelto la provincia di Pisa come sede per i loro affari, possiamo ricordare la famiglia Pitschen, un’omonima famiglia Crastan, e la famiglia Bazeel, che aveva una rinomata pasticceria nel centro di Pisa,

1

La famiglia Crastan corregge il dato riportato errato (18 anni) dal volume a cura della Camera di Commercio svizzera in Italia,Svizzeri in Italia, Milano 1939.

2

F. Chiapparino, L’industria del cioccolato in Italia, Germania e Svizzera. Consumi mercati e imprese tra ‘800 e prima guerra mondiale., Il Mulino- Bologna, 1997.

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e che, in seguito, avrebbe allacciato legami di parentela con la famiglia di Luzio Crastan.

Soltanto pochi anni dopo il suo arrivo, forte della sua intraprendenza e dell’esperienza maturata lavorando, Luzio avviò una propria attività aprendo nuovi negozi, nei quali chiamava a lavorare intere famiglie di compaesani, tra queste figurava anche la suddetta famiglia Crastan. Le sue drogherie e pasticcerie erano collegate tra loro come una moderna catena di supermercati. Una novità eccezionale per l’epoca, che mette in risalto la spiccata capacità imprenditoriale di Luzio Crastan.

La sua abilità gli permise di creare un’enorme fortuna, oltre che un nome e una fama riconosciuta e apprezzata.

Il Granduca di Toscana gli dette addirittura l’autorizzazione a rendere circolanti i propri assegni, che davano la stessa sicurezza economica del denaro contante3.

Non ancora soddisfatto di ciò che aveva creato dal nulla, e sempre più desideroso di espandere i suoi affari, tentò la via dei commerci marittimi. Fu così che Luzio Crastan divenne, con due velieri ormeggiati nel porto di Livorno, anche armatore.

In poco tempo si distinse come uno dei fornitori di prodotti coloniali più ricercato e rinomato dai commercianti della Toscana e delle regioni limitrofe.

La sua volontà di affermazione ed espansione sembrava non dovesse cessare.

Purtroppo questa sua nuova avventura per mare, vide colare a picco, insieme a un veliero non assicurato, gran parte del suo enorme

3

(3)

patrimonio. La sfortuna volle anche che alcune speculazioni sulla guerra franco-prussiana non si rivelassero vantaggiose, tanto che Luzio decise di ritirarsi dal commercio marittimo.

Questo non determinò, però, un arresto della sua attività, che anzi cercò nuovi sbocchi commerciali e produttivi nei quali investire le ultime risorse.

Fu solo dopo queste vicissitudini che, nel 1870, si trasferì a Pontedera per dedicarsi alla torrefazione di surrogati del caffè.

Nell’800 il caffè era un prodotto di lusso, il suo costo era molto alto a causa dell’elevata tassazione, e per questo motivo era accessibile solo ai pochi delle classi più abbienti. L’utilizzo di suoi surrogati era molto diffuso tra la maggioranza della popolazione, cosicché la produzione e il commercio di queste bevande alternative si presentava come un’attività piuttosto redditizia e con grandi possibilità di sviluppo. Anche questa volta Luzio centrò il bersaglio, sebbene considerasse questa sua nuova occupazione soltanto un’attività secondaria e di poco conto rispetto a quelle passate.

Dagli archivi del Catasto Leopoldino si scopre che la fabbrica, o forse è meglio dire un suo primo embrione, fu costruita su di un terreno comprato da Luzio Crastan nei pressi del centro di Pontedera, dove si trova tutt’ora la sua discendente “Crastan s.p.a.”.

Di questo terreno possiamo ricostruire la storia fin dal 1820, quando Luzio ancora non sapeva chi sarebbe diventato, e il bestiame pascolava su di un terreno di proprietà di Mastiani Brunacci Luigi di Francesco4, membro di una delle famiglie di grandissimi proprietari

4

Archivio di Stato di Pisa (d’ora in poi ASP), Catasto Leopoldino, Catasto Terreni, Reg.1229 Sez.I,Tav 321.

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più ricche della zona, che possedeva 1500 ettari soltanto nella comunità di Pontedera5.

Prima di Luzio, però, su questi pascoli, che già avevano cambiato svariati proprietari, l’Associazione dei mulini a vapore di Pontedera aveva costruito, nel 1853, dei fabbricati, che possiamo supporre fossero mulini, depositi e simili6.

Questo significa che molto probabilmente Luzio scelse questo terreno perché già c’erano strutture, macchine e pozzi, utili anche per la sua attività di torrefazione.

Dopo altri passaggi di proprietà finalmente si arriva alla registrazione del 13 gennaio 1873, quando la particella fu ceduta “per l’intiero” a Luzio Crastan7.

Fig. 10- Annotazione sul registro n° 1197 del Catasto Terreni, Catasto Leopoldino.

Dal 1873 in poi è tutto un susseguirsi di nuove costruzioni, identificabili precisamente solo nel 1884, quando, dalla sezione del catasto dedicata ai terreni, si passa alla sezione relativa ai fabbricati,

5

G. Biagioli,Proprietari e contadini tra settecento e ottocento: alcune linee di evoluzione sul territorio pisano, in AA. VV., Rapporti tra proprietà, impresa e mano d’opera nell’agricoltura italiana dal IX secolo all’unità, Accademia di scienze agricoltura e lettere, Verona, 1984. Pagg. 423-434.

6ASP, Catasto Leopoldino,Catasto Terreni, Reg.1194 Sez.I, Partita 269, e Reg.1195 Sez.I, Partita 28.

7

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nella quale si trovano denominazioni chiare e precise: un seccatoio e un mulino a vapore per la fabbricazione della cicoria8. Questo significa che la produzione era già ben avviata ma ancora piuttosto semplice.

Da qui si documenta anche il fatto, già segnalato dal primo censimento industriale del 1881, che l’ingrediente principale dei prodotti della ditta svizzera era la cicoria. Il tubero proveniva dall’Europa del nord, più precisamente dal Belgio: è infatti in queste zone che è diffuso questo particolare utilizzo della pianta, della quale in Italia vengono consumate principalmente le foglie e non le radici. Purtroppo a questa data non troviamo più Luzio Crastan, scomparso un anno prima, ma i suoi discendenti.

La ditta, pur non essendoci più il suo fondatore, rimase comunque guidata da un Crastan, questo grazie al fatto che Luzio aveva inserito nello statuto di fondazione, con una certa lungimiranza, una formula che prevedeva la cessione della gestione dell’azienda soltanto ai figli maschi, in maniera tale che la proprietà della ditta fosse trasmessa esclusivamente a membri della famiglia Crastan che ne tramandassero anche il cognome. (Motivo per cui oggi a capo della “Crastan s.p.a.” c’è ancora un Crastan, discendente diretto del fondatore.).

La proprietà dell’azienda, come quella degli altri beni immobili, venne lasciata in eredità a numerosi parenti di Luzio Crastan, oltre che alla vedova, ma la conduzione della ditta fu affidata ai tre figli Felice, Niccolo e Guglielmo.

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(6)

Fig. 11- I figli di Luzio Crastan, Felice, Niccolo e Guglielmo in una foto del 1933.

I tre fratelli, riuniti nella “Crastan figli di Luzio e compagni”, continuarono l’opera del padre aumentando e differenziando la gamma dei prodotti, tanto che dai registri catastali dell’epoca troviamo nuove e illuminanti denominazioni dei locali di produzione: vengono infatti registrate una “fabbrica di cicoria”, una “fabbrica d’amido” e una di “caffè olandese”, di nuovissima creazione9.

E’ la prima volta che, parlando dello stabilimento Crastan, viene utilizzata la parola “fabbrica”: questo può stare a significare che la produzione si specializzò e diventò di tipo più “industriale”; inoltre si rivolse anche a prodotti di diverso uso e consumo, come l’amido, all’epoca molto usato nel rispetto dei dettami della moda, che prevedevano camicie dai colletti e polsini rigorosamente inamidati. Sicuramente i tre avevano avuto un buon insegnante, infatti, da quanto si può dedurre dai documenti, la produzione andò in crescendo e nella conduzione dell’azienda ci fu perfetta continuità.

Per un certo periodo Niccolo assunse la direzione dello stabilimento Bellincioni, di proprietà della famiglia della moglie, giacché la sua azienda era guidata, senza problemi, dai due fratelli10.

9

ASP, Catasto Leopoldino, Catasto Fabbricati, Reg.9 Sez.I, Partita 1761.

10

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Questo come testimonianza non solo della duttilità imprenditoriale ereditata dal padre, ma anche della perfetta integrazione della famiglia Crastan con la borghesia imprenditoriale pontederese dell’epoca. Niccolo aveva infatti sposato Parisa, la figlia di Andrea Bellincioni, noto per la sua fiorente azienda di tessuti e prodotti di cotone, ma anche per essere cugino del famoso architetto Luigi, che ridisegnò l’aspetto dei più bei palazzi e luoghi di Pontedera, e non solo, a cavallo del XIX e XX sec. Il legame tra le due famiglie si rinsaldò con la prematura morte di Parisa11, molto partecipata da tutta la città, e il successivo matrimonio di Niccolo con Ida, la sorella gemella della defunta sposa.

L’altro fratello Guglielmo era, invece, sposato con Ida Morini, della facoltosa famiglia di industriali, proprietari di un grande stabilimento a Pontedera, per i quali Luigi Bellincioni aveva progettato un bellissimo palazzo nella piazza principale della città12.

Fig. 12- Festa di carnevale a casa Bellincioni. (1903)

11

La Nazione, 26 maggio 1904.

12

E. Agonigi, Luigi Bellincioni. (1842-1929) Ingegnere e Architetto del “Nuovo Stile”., CLD s.r.l.- Fornacette (Pi), 2001. Pag. 68.

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La Crastan riuscì superare periodi di crisi, che nel resto della Toscana e dell’Italia lasciarono l’industria non senza conseguenze, e questo forse perché, fin dalla sua creazione, la ditta seppe ritagliarsi un proprio spazio ben preciso, e cercò, per quanto possibile, di essere autosufficiente per i propri bisogni interni.

Di esempio è la presenza ,nei locali dello stabilimento, di un’officina meccanica, per la riparazione delle macchine, e di una falegnameria, per la costruzione degli imballaggi, stando alle testimonianze degli operai.

Niccolo, che si occupava principalmente della produzione, per coadiuvare l’importazione dal nord Europa, provò a coltivare cicoria nella zona del Padule di Bientina, dove sembrava che il terreno fosse adatto a questo tipo di coltura. Per qualche anno ci fu una piccola succursale della ditta a Bientina, dove la cicoria, appena raccolta, subiva una prima tostatura, necessaria per poterla conservare. Dopodiché veniva portata a Pontedera per completarne la lavorazione13.

All’epoca, pur essendoci già un certo consumo di orzo come surrogato del caffè, la cicoria rimaneva il prodotto principale14.

Dai quattro operai, tutti uomini, registrati nel 188115, si passa alle sessanta persone occupate nel 1894, la maggioranza delle quali, come poi sarebbe sempre stato, era costituita dalla presenza femminile (15 uomini e 40 donne). All’interno della fabbrica va rilevata anche la

13

Intervista a Gianfranco Crastan, 13 novembre 2003. Purtroppo riguardo a questo breve periodo di produzione non sono reperibili ulteriori informazioni.

14

IVI.

15 Primo Censimento Industriale, 1881, in E. Caciagli, Le industrie del comune di Pontedera

(9)

presenza di 5 fanciulli16. Una crescita esponenziale che esalta i risultati già raggiunti dalla piccola azienda.

Anche i figli di Luzio Crastan si mostrarono aperti alle novità e al progresso: già dalla fine dell’800 la fabbrica disponeva di moderni apparecchi di torrefazione, due macine e due fermentatori, oltre che di un motore a vapore della potenza di 18 cavalli dinamici.

Con l’inizio del ‘900 giunsero anche le prime macchine elettriche. La Crastan fu uno dei primi clienti dell’azienda A.C.M.A. di Bologna, madre di numerose e sempre più sofisticate macchine confezionatrici, considerata una delle capostipiti del settore17.

Una volta iniziata la strada della meccanizzazione non c’è stato più modo di fermarla: tutt’oggi il nuovo stabilimento di Gello impiega macchine sempre più automatizzate e all’avanguardia.

La società della famiglia Crastan si affacciò all’inizio del XX sec. con il nome “CRASTAN PRODOTTI ALIMENTARI - FIGLI DI LUZIO CRASTAN s.n.c.”18, registrato nel 1899.

Agli inizi del XX sec, a causa del rincaro del caffè, del vino e dei liquori, il consumo di surrogati salì alle stelle, tanto che la produzione del 1911, con i suoi 1200 q., raggiunse la massima capacità dello stabilimento. Questo grazie anche alla chiusura di due fabbriche simili attive a Pisa e a Livorno19.

16

Ministero dell’Agricoltura Industria e Commercio, Statistica industriale 1894, in E. Caciagli, Op. Cit. Pag. 83.

17

Intervista a Gianfranco Crastan, 13 novembre 2003.

18

Archivio della Camera di Commercio, Industria , Artigianato e Agricoltura (d’ora in poi C.C.I.A.A.) di Pisa, Registro Ditte N° 5774. Archivio del Tribunale di Pisa, Registro Società n°157.

19

E. Caciagli, Op. Cit. Pag. 83-84. Riguardo alle fabbriche di surrogati di caffè di Pisa e Livorno non è stata trovato alcun documento oltre questa breve annotazione.

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La costruzione della nuova stazione ferroviaria, nel 190320, aveva del resto portato grandi vantaggi: la Crastan si era ritrovata l’importante snodo ferroviario a una distanza di poche centinaia di metri, in fondo alla strada che partiva quasi dal cancello di uscita merci dello stabilimento. Una posizione favorevole, che incoraggiò il trasporto delle merci su strada ferrata, e che perciò incrementò la diffusione dei prodotti Crastan in regioni sempre più lontane.

Fig. 13- La nuova stazione,in basso, poco distante dallo stabilimento Crastan, in alto a sinistra. (1920)

I barrocci venivano comunque impiegati per il breve tragitto dalla fabbrica alla stazione. Furono realmente licenziati soltanto dopo la seconda guerra mondiale, quando incominciò a farsi largo il trasporto su gomma.

20

M. Quirici, E. Agonigi,Pontedera e le strade ferrate. Il tram e il treno, Ed. L’Ancora- CLD srl-Fornacette (Pi), 1999. Pag. 96.

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Fig 14- Zona industriale nei pressi della nuova stazione ferroviaria. (1928 ca.) In alto a destra nota la fabbrica Crastan.

La produzione, come il numero degli operai, rimase costante, anche se non raggiunse più il picco del 1911, fino a quasi tutto il 1914, per poi calare un anno dopo.

Inizialmente la Prima Guerra Mondiale non creò particolari problemi alla Crastan, poiché negli anni precedenti era stata fatta un ingente scorta di radica essiccata, e la manodopera, composta principalmente da donne, non aveva ovviamente risentito particolarmente della chiamata alle armi. Possiamo anzi notare che, nei primi anni di guerra, sebbene la produzione non fosse a livelli massimi, le esportazioni verso paesi esteri aumentarono da 500 kg. a 2700 kg., approfittando della neutralità dell’Italia21; un incremento non indifferente, soprattutto se si considera il periodo.

Nel 1915 troviamo occupati alla lavorazione dei surrogati di caffè 20 uomini, 43 donne, 2 fanciulli e 36 fanciulle, segno chiaro che il lavoro non era in diminuzione22.

21

E. Caciagli, Op. Cit. Pag. 84.

22

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Se la guerra aveva avuto in qualche modo risparmiato lo stabilimento Crastan, lo stesso trattamento non gli riservò il rovinoso incendio del 6 Aprile 1916, in cui andò distrutta la gran parte dello stabile, che, secondo la pratica svizzera, era sostenuto da una struttura in legno23.

Fig 15- Cartolina postale che ricorda l’incendio del 6 aprile 1916.

La ripresa fu comunque veloce, sicuramente grazie soprattutto agli operai, con i quali i Crastan avevano un particolare rapporto di familiarità e collaborazione.

Al 1925 risale la costruzione dell’edificio soprannominato “chiesa”, a causa della sua forma particolare, in cui si produceva il melasso, materia prima per un particolare surrogato24.

Questa costruzione, secondo quanto appreso, inizialmente, dai ricordi degli operai25, si trovava su un terreno facente parte del comune di Calcinaia, mentre il resto dello stabilimento era in quello di Pontedera. La cosa, assai singolare, fece si che su tutte le vecchie confezioni dei prodotti Crastan si trovasse la doppia dicitura “stabilimenti in 23

ASP, Catasto Leopoldino, Catasto Fabbricati, Reg. 13 Sez. I, Partita 2790.

24

Intervista a Gianfranco Crastan, 13 novembre 2003.

25

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Pontedera e Calcinaia”, sebbene i due locali si affacciassero sullo stesso cortile.

Fig. 16- Etichetta del Caffeol, con l’annotazione “stabilimenti in Pontedera e Calcinaia”.

Su questo fatto sono state trovate poche e contraddittorie informazioni. L’iscrizione sulle confezioni dei prodotti viene avvalorata dal Foglio Unico del Catasto Leopoldino, datato 1904, conservato all’Archivio di Stato di Pisa. La mappa, infatti, riporta chiaramente il confine del Comune di Calcinaia nei pressi dell’edificio principale dello stabilimento Crastan.

Figg. 17, 18- Foglio Unico del Catasto Leopoldino e suo particolare.

Alla mappa catastale si aggiunge una annotazione del registro del catasto Leopoldino relativo al 1930, in cui viene riportato il passaggio della particella, su cui si trova il capannone della ditta Crastan, dal Comune di Calcinaia a quello di Pontedera26.

26

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Fig. 19- Nota sul registro catastale del 1930.

Il ritrovamento dei documenti ha confermato le numerose testimonianze orali, ma, nonostante ciò il volume La Toscana dal Granducato alla Regione. Atlante delle variazioni amministrative territoriali dal 1790 al 1990, ignora questa particolare posizione dei confini. Come si può vedere nelle cartine sottostanti i confini comunali non interessano neppure la zona in cui si trova la fabbrica (interna al cerchio giallo)27.

Figg. 20, 21- Mappa delle variazioni amministrative, segnate in rosso, e suo particolare.

27

AA. VV., La Toscana dal Granducato alla Regione. Atlante delle variazioni amministrative territoriali dal 1790 al 1990, Giunta regionale toscana- Marsilio Editori- Venezia, 1992.

(15)

Grazie alle ricerche fatte, però, abbiamo potuto dare una spiegazione certa alla dicitura dell’etichetta, di cui molti si sono chiesti motivazione.

Tornando a parlare della Crastan troviamo a capo dell’azienda, dopo i tre figli di Luzio Crastan, i figli di Felice e Niccolo, poiché Gugliemo, non aveva figli maschi. Ma furono Luzio, entrato a lavorare molto giovane, dopo gli studi in Svizzera, e Manlio, figli di Niccolo, ad occuparsi attivamente della ditta di famiglia.

I Crastan facevano ormai parte dell’elite cittadina, come si può verificare da un articolo apparso su “Il Nuovo Giornale” del 28 maggio 1919, in cui si racconta l’escursione turistica in dirigibile fatta il giorno prima, a scopo di beneficenza, da un gruppo di pontederesi in vista che, per le loro possibilità economiche, potevano permettersi il costo del biglietto di 100 lire. A questa escursione per i cieli di Toscana, alla volta di Firenze, parteciparono infatti anche Luzio Crastan e la sorella Elsa, insieme ad altri industriali e uomini illustri della città28.

28

Il Nuovo Giornale, 28 maggio 1919. e M. Quirici, P.Gori, “L’Aeroscalo di Pontedera - I dirigibili italiani”, Ed. L’Ancora -CLD srl- Fornacette (Pi), 2000. Pag.85.

Figg. 22, 23- I Crastan e gli altri partecipanti all’escursione in dirigibile nell’ illustrazione del “Nuovo Giornale”.

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La produzione continuò senza problemi, fino alla II Guerra Mondiale. L’attività, almeno per i primi periodi di guerra, non cessò, e tra i suoi clienti la ditta poté annoverare anche le forze armate, ma durante il conflitto; che distrusse la quasi totalità delle industrie pontederesi, la Crastan non rimase immune. Come ricorda l’attuale proprietario, figlio di Luzio, tutta la zona fu bombardata e minata. Ci volle molto tempo e lavoro per bonificarla e farla tornare attiva. Fortunatamente l’edificio principale non subì gravi danni, ma la ciminiera in mattoni fu completamente distrutta, e i piccoli capannoni che circondavano l’edificio furono resi inutilizzabili. Fu un periodo non facile, che però fu superato con grande forza di volontà, collaborazione e desiderio di riprendere una vita normale, attiva, tanto che la produzione lavorava a pieno ritmo già agli inizi del 1946.

Dopo la guerra, una volta rimessa in sesto la produzione, i Crastan si preoccuparono di provvedere anche agli alloggi di alcuni impiegati. Comprarono due immobili adiacenti alla fabbrica, uno dei quali prima era stato l’albergo “Minerva”, che ristrutturarono per poter ospitare un adeguato numero di famiglie.

Le finestre di questi palazzi, che davano sul cortile della fabbrica, erano piombate, ossia sbarrate con una rete, in modo tale che non ci fosse possibilità di raggiungere i locali dell’azienda. Come ci racconta un impiegato: “… non ci si poteva affacciare, c’era la rete come in una prigione.”29.

Anche le finestre dello stabilimento erano state messe in sicurezza nello stesso modo.

29

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A prima vista questa loro caratteristica potrebbe sembrare molto strana, ma risulta logica se si pensa che il surrogato di caffè, come il tabacco e il caffè, era considerato un bene di lusso e non di largo consumo, sebbene fosse utilizzato quotidianamente, e tanto bastava perché lo Stato gravasse sulla produzione con pesanti tasse e controlli ferrei da parte della finanza.

All’interno della Crastan c’erano, inizialmente, tre guardie di finanza, sia di giorno che di notte. Durante i turni di lavoro una sorvegliava l’entrata da cui arrivavano ed uscivano gli operai e gli impiegati, mentre le altre due controllavano la sala in cui le donne impacchettavano i prodotti. Successivamente si ridussero a due, ma la sorveglianza non fu ridotta.

Le operaie30 ci raccontano che ogni tanto, dopo aver finito di fare le confezioni di surrogato, dovevano portarne quindici al controllo del peso. Se non c’erano stati errori nel riempimento, venivano applicate le etichette, ma soprattutto la fascetta del bollo statale, che era arrotolata intorno ad ogni pacchetto. Se invece il peso non era esatto l’operaia era multata. Un finanziere controllava tutta l’operazione.

I bolli arrivavano direttamente dagli uffici del Monopolio in risme. Se per caso una delle fascette si rompeva, doveva essere subito annotato l’incidente su di un registro apposito, controllato periodicamente, dove erano incollati tutti i bolli delle fascette danneggiate. Questo serviva per far si che, al momento dei controlli, non ci fossero errori di conteggio.

Quando, nel novembre del 1966, ci fu l’alluvione e la Crastan si trovò nella zona dove l’acqua raggiunse i massimi livelli, molte delle

30

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fascette andarono disperse, come la quasi totalità dell’archivio, e non furono pochi i problemi con la finanza, sebbene fossero solo alcuni dei tanti ben più gravi31.

Fig. 24- Mappa che illustra le varie altezze raggiunte dall’acqua durante l’alluvione del 4 novembre 1966. (Lo stabilimento Crastan si trova nel cerchio rosso. Livello acqua:2m.)

Il magazzino dove veniva riposto il prodotto finito, il Magazzino Doganale, era completamente sigillato. Poteva essere aperto soltanto dai finanzieri e neppure i Crastan avevano la chiave. Le casse in legno, ben chiuse con chiodi, vi venivano calate con un ascensore, direttamente dal piano dove venivano riempite. Un ufficiale della finanza provvedeva poi, due volte alla settimana, ad aprirlo. I pezzi venivano contati e poi ricontati di nuovo dopo la spedizione.

Oltre alla guardia di finanza, ogni giorno alle tre del pomeriggio, si presentava allo stabilimento un ufficiale tecnico delle imposte di fabbricazione, per eseguire ulteriori controlli.

Tutta la produzione era tenuta sotto stretta sorveglianza.

31

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La routine dei controlli si è spezzata solo negli anni ’70, quando la produzione dei surrogati di caffè è uscita dalle competenze dei monopoli di stato, dopo più di cinquanta anni.

Le reti furono tolte dalle finestre. Ne è rimasta soltanto una, ma più distanziata, che separa il cortile della fabbrica dal retro del palazzo ex “Minerva”, a cui finalmente gli inquilini hanno potuto mettere le persiane. Prima, infatti, la rete non permetteva la loro apertura o chiusura.

Si è trattato di una liberazione non solo per gli abitanti degli appartamenti, ma anche, e in maggior misura, per l’azienda, che ha potuto ampliare e diversificare la produzione, senza subire limitazioni statali.

La vera e propria rivoluzione c’è stata negli anni ’80, quando, per superare un periodo di crisi, l’azienda ha deciso di ampliare il suo raggio d’azione, incominciando a produrre prodotti con i marchi della grande distribuzione, diventando così il secondo produttore di cereali tostati solubili in Italia. Naturalmente per convincere la grande distribuzione a rivolgersi alla Crastan è stato necessario aggiungere altri prodotti a quelli già lavorati, così da poter accontentare il cliente in più settori.

Questa scelta, dettata dalla necessità di aumentare il numero dei clienti per poter risollevare l’azienda dal periodo negativo, che sembrava non aver soluzione se non rivolgendo l’attenzione a nuovi mercati, si è rivelata vincente e decisiva.

Oggi la Crastan commercia prodotti di vario tipo, che vanno dalle semplici bevande a base d’orzo, al purè di patate in fiocchi e al

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bicarbonato di sodio, non dimenticando una vasta gamma di prodotti biologici.

Chissà se Luzio Crastan si era immaginato di poter arrivare a tanto, quando fondò questa piccola fabbrica, poca cosa per lui, abituato al rischio dei grandi affari.

(21)

Dalla “Crastan prodotti alimentari- figli di Luzio Crastan s.n.c.” alla “Crastan s.p.a.”

I primi documenti che ci parlano delle vicende della società risalgono alla fine degli anni ’60 del XX sec.; purtroppo il materiale precedente a questa data è andato perduto, ma è proprio da questi anni che la Crastan si apre con più convinzione ad altre società, con fusioni e divisioni, fino a diventare, alla fine del secolo una delle poche, e tra le più importanti, del mercato.

Sebbene manchino documenti precedenti, sappiamo dalle notizie forniteci nelle interviste, che prima che si realizzassero vere e proprie fusioni di società, esisteva un accordo tra le maggiori produttrici di surrogati di caffè32: la Crastan di Pontedera, la Frank di Milano, la Rosseau di Ponte ad Elsa, e la Fago di Varese, comunicavano tra di loro e praticavano una politica dei prezzi che permettesse a tutte di mantenere i propri guadagni e raggi d’azione senza danneggiare le altre.

La vera e propria, ingarbugliatissima, evoluzione societaria, verificabile attraverso i documenti, cominciò nel 1967, quando venne fondata la società “SFIAL s.p.a.”33 con sede a Varese, dedita all’industria e al commercio di prodotti alimentari e affini. I fratelli Gianfranco e Niccolo Crastan, i figli di Luzio, dopo di lui a guida 32

Intervista a Catullo Belli, 05 ottobre 2004.

33Archivio della C.C.I.A.A. di Varese, Registro Ditte N° 105630.

Fig. 26- Riproduzione di una scatola in latta della prima metà del ‘900

(22)

della “Crastan Prodotti Alimentari – Figli di Luzio Crastan”, erano presentati nei documenti come presidente e consigliere delegato della società “C.S.F. s.p.a.”34 (originariamente “CRASTAN SETMANI FAGO s.p.a.”, poi abbreviata), che altro non era che la società “SFIAL s.p.a.”, alla quale era stato cambiato il nome. Oltre al nome era stata cambiata anche la sede, che fu spostata da Varese a

Pontedera, nello stabilimento Crastan: la “Crastan Prodotti

Alimentari – Figli di Luzio Crastan” appariva in questo momento solo come affittuaria dell’immobile.

La società Setmani e la società F.A.G.O. erano due aziende leader nel settore dei surrogati.

La F.A.G.O. ( F. A. Geiser & Oppliger) era stata fondata, come la Crastan, da uno svizzero, che già aveva una fabbrica in Svizzera, e che poi l’aveva lasciata in eredità al figlio35.

Con questa fusione il panorama di produzione si ampliò, la nuova società, infatti, poteva produrre e vendere anche prodotti accessori al settore alimentare.

Successivamente la Setmani comprò le quote dei due soci della “SFIAL s.p.a.” e vendette una parte delle sue azioni alla società svizzera “S.A. INVEDINA”, che in seguito avrebbe cambiato il proprio nome in “ARINA HOLDING”, sebbene in alcuni documenti compaia con il nome “ARINA S.A.”.

34 Archivio della C.C.I.A.A. di Pisa, Registro Ditte N° 43223, Archivio del Tribunale di Pisa,

Registro Società n° 3261.

35

Camera di Commercio svizzera in Italia (a cura di),Svizzeri in Italia, Milano 1939. Pagg.179-180.

Fig. 27- Pubblicità Fago. (1916)

(23)

Dopo il 1967 si hanno notizie di molti movimenti di azioni, ma per lo più interni alle società già esistenti.

Agli inizi degli anni ’80 i Crastan erano ancora a capo della loro azienda.

Nel 1984 dalla società “C.S.F. s.p.a.” nacque la nuova società denominata “CRASTAN s.p.a.”36: dall’elenco dei soci uscì Niccolo Crastan, che rimase comunque attivo nella conduzione dell’azienda, e vi entrarono Alberto e Barbara Crastan, figli di Gianfranco. Quest’ultimo aveva infatti abolito la vecchia regola istituita dal fondatore Luzio Crastan, notando l’interessamento della figlia, ma ne aveva comunque rispettato la funzione lasciando la maggioranza delle azioni al figlio.

Nel 1988 la “Crastan Prodotti Alimentari – figli di Luzio Crastan s.n.c.” fu trasformata in “CRASTAN PRODOTTI ALIMENTARI s.p.a.”37. Questa, poco dopo, assorbì tutte le quote dei soci della “CRASTAN s.p.a.”, diventandone l’unico proprietario.

Sempre alla fine del 1988, però, l’unione tra la “CRASTAN PRODOTTI ALIMENTARI s.p.a.” e la “CRASTAN s.p.a.” determinò la cessazione di quest’ultima, sebbene in un’assemblea straordinaria, la “CRASTAN PRODOTTI ALIMENTARI s.p.a.” prese il nome “CRASTAN s.p.a.”, con la quale la conosciamo oggi. I componenti della famiglia Crastan ricoprano ruoli direttivi nell’azienda, ma la maggioranza delle azioni appartiene alla società “Arina Holding”.

36Archivio della C.C.I.A.A. di Pisa, Registro Ditte N° 43223.

37 Archivio della C.C.I.A.A. di Pisa, Registro Ditte N° 5774. Archivio del Tribunale di Pisa,

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Alla fine di tutti questi movimenti, si può comunque dire che la famiglia Crastan sia sempre riuscita ad esser presente e a ricoprire un ruolo rilevante nella conduzione della società, giostrandosi con destrezza e abilità nel mercato e sfruttando a proprio favore fusioni e rapporti con altre società del settore, infatti oggi troviamo la “Crastan s.p.a.” a competere con alcune delle maggiori aziende italiane e straniere, come la Star e la Nestlè.

Figura

Fig. 10- Annotazione sul registro n° 1197 del Catasto Terreni, Catasto Leopoldino.
Fig. 11- I figli di Luzio Crastan, Felice, Niccolo e Guglielmo in una foto del 1933.
Fig. 12- Festa di carnevale a casa Bellincioni. (1903)
Fig. 13- La nuova stazione,in basso, poco distante dallo stabilimento Crastan, in alto a sinistra
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