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Varchi, Storia fiorentina, a cura di L

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VITELLI

signor V. V., Firenze 1551; P. Giovio, La seconda parte dell’historie del suo tempo, Firenze 1553, p.

21; Id., Elogia virorum bellica virtute illustrium, Basileae 1575, p. 183; B. Varchi, Storia fiorentina, a cura di L. Arbib, I, Firenze 1843, pp. 123, 430 s.; T. Alfani, Memorie perugine dal 1502 al 1527, a cura di F. Bonaini - A. Fabretti - F.L. Polidori, in Archivio storico italiano, XVI (1851), 2, pp. 278 s., 287-294; Ricordi del Bontempi, ibid., p. 328; L.

Guicciardini, Il sacco di Roma, in Il sacco di Roma del MDXXVII, a cura di C. Milanesi, Firenze 1867, pp. 30, 67 s., 95, 212; M. Sanuto, I diarii, 1496-1533, a cura di R. Fulin et al., VII-XLIII, Venezia 1882-1895, ad indices; A. Massimi, I Vi- telli signori dell’Amatrice, Roma 1979, p. 8; F.

Guicciardini, Storia d’Italia, a cura di E. Mazzali, Milano 1988, ad ind.; B. Buonaccorsi, Diario dal- l’anno 1498 all’anno 1512 e altri scritti, a cura di E. Niccolini, Roma 1999, pp. 150, 183, 294, 328;

C. Asso, I libri di epistole italiani e la cultura del Cinquecento, in Il Rinascimento italiano e l’Europa, a cura di G. Belloni - R. Drusi, II, Treviso-Co- stabissara 2007, pp. 232 s.; Scorribande, lanziche- necchi e soldati ai tempi del Sacco di Roma. Papato e Colonna in un inedito epistolario dall’Archivio Della Valle-Del Bufalo (1526-1527), a cura di P.P. Piergentili - G. Venditti, Roma 2009, p. 107 e ad ind.; A. Nova, L’Ultima Cena di Giorgio Va- sari per il convento delle Murate: contesto, commit- tenza e un episodio della crisi religiosa del Cinque- cento, in Dall’alluvione alla rinascita: il restauro dell’Ultima Cena di Giorgio Vasari. S. Croce cin- quant’anni dopo (1966-2016), a cura di R. Bellucci - M. Ciatti - C. Frosinini, Firenze 2016, p. 28.

MICHELELODONE

VITELLI, Vitellozzo. – Nacque a Cit- tà di Castello dopo il 1461, quarto figlio maschio di Niccolò e di Pantasilea di Gio- vanni Abocatelli.

Il padre, coinvolto nei rivolgimenti po- litici interni a Città di Castello, fu esiliato da Sisto IV nel 1474, e si trasferì con la fa- miglia a Castiglion Fiorentino, dove Sigi- smondo Tizio si occupò dell’educazione di Vitellozzo e del fratello Paolo. Tornato in patria con l’aiuto fiorentino nel giugno del 1482, negli scontri con i fuorusciti appog- giati dal papa, Niccolò poté contare sul- l’abilità militare dei figli Giovanni, Camil- lo, Paolo e anche del giovane Vitellozzo, che riconquistò il castello di Promano. In seguito alla pace stipulata da Niccolò con Sisto IV (3 maggio 1484), Vitellozzo, con i fratelli Camillo e Paolo, fu tenuto a soc- correre Gentil Virginio Orsini nel suo con- flitto con i Colonna.

In data imprecisata sposò Porzia di Pao- lo Orsini. Abbiamo notizia di una sola fi- glia naturale, Niccolina, che sposò Onofrio Schianteschi di Montedoglio.

Al servizio del re di Francia Carlo VIII durante la sua discesa nella penisola, nel novembre del 1494 Vitellozzo e i fratelli furono nel Lazio a sostegno di Fabrizio Colonna (in guerra con Alessandro VI), e poi in Abruzzo. Nel giugno del 1495, par- titi da Città di Castello, attraversarono la Toscana per congiungersi con il sovrano che, sulla via del ritorno, intendeva richia- mare a Genova i Fregoso. Carlo VIII fu sconfitto a Fornovo (6 luglio 1495), dove lo aveva raggiunto Camillo Vitelli. In se- guito alla ritirata francese, le truppe vitel- lesche, sotto il comando di Paolo e Vitel- lozzo, ripiegarono da Savona a Chiavari e quindi a Sarzana. Dopo alcuni scontri con la popolazione locale, mossero poi verso Pisa, ribellatasi l’anno precedente al domi- nio di Firenze.

Vitellozzo e Paolo aiutarono inizialmen- te la città a difendersi dall’assalto fiorenti- no, per passare in seguito, d’accordo con Carlo VIII, al servizio di Firenze (entram- bi rimasero feriti nel settembre dello stesso anno, in un assalto alla cittadella pisana).

Ricevute istruzioni da Camillo, con grande disappunto dei fiorentini tornarono in pa- tria per prepararsi ad aiutare il viceré di Napoli Gilbert de Montpensier, in diffi- coltà di fronte alla riscossa aragonese.

Nel gennaio del 1496, mentre Camillo e Paolo (insieme agli Orsini) partivano per il Sud Italia e Città di Castello restava nel- le mani del fratellastro Giulio, Vitellozzo raggiunse insieme a Carlo Orsini la corte francese. I due sollecitarono più volte Car- lo VIII a una nuova spedizione in Italia, soprattutto dopo la resa di Montpensier, che lasciò prigioneri del fronte antifrance- se Paolo Vitelli (Camillo era morto nel giu- gno 1496), Gentile Virginio, Paolo e Gian Giordano Orsini.

Nel novembre del 1496 Vitellozzo e Car- lo Orsini sbarcarono a Livorno, respingen- do l’assedio delle truppe imperiali di Mas- similiano I, giunte in Toscana in soccorso di Pisa. Intanto Alessandro VI aveva ap- profittato della débâcle francese per confi- scare le terre degli Orsini, inviando un esercito nel Lazio settentrionale. Mentre le truppe degli Orsini, guidate da Bartolo- meo d’Alviano, resistevano nell’assediata Bracciano, Vitellozzo raccolse un esercito a Città di Castello e nel gennaio del 1497 giunse in loro aiuto. Nei pressi di Soriano 770

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VITELLI le fanterie tifernati, suddivise in formazio-

ni quadrate «al modo delle ordinanze oltra- montane» (Guicciardini, 1988, I, p. 338), fornite di lance più lunghe del solito e ad- destrate a resistere all’urto della cavalleria nemica, ottennero una netta vittoria sui mercenari tedeschi dell’esercito papale, catturando inoltre uno dei suoi comandan- ti, Guidobaldo di Montefeltro. Alessandro VI, costretto a rappacificarsi con gli Orsi- ni, riconobbe la signoria di Città di Castel- lo a Vitellozzo. Questi fece inoltre liberare il fratello Paolo, ostaggio del duca di Man- tova, scambiandolo con Guidobaldo.

L’anno seguente Vitellozzo passò al ser- vizio di Firenze insieme a Paolo, insignito del titolo di capitano generale il 1° giugno 1498. Dopo alcune vittorie, i dissapori con parte dei quadri politici e militari fiorenti- ni e il fallimento di un assalto, che pareva decisivo, alle mura di Pisa, portarono al- l’arresto di Paolo, a Cascina, il 28 settem- bre 1499. Accusato di tradimento, fu deca- pitato a Firenze di lì a tre giorni, mentre Vitellozzo, pur ammalato, riuscì a sottrarsi alla cattura rifugiandosi a Pisa. Qui rimase circa due settimane, prima di raggiungere il re di Francia Luigi XII a Milano, dove – insieme ad altri condottieri del centro Ita- lia, tra cui gli Orsini e i Baglioni – si pose al servizio dell’ambiziosa politica di espansio- ne di Cesare Borgia. La resa, di fronte al- l’esercito del duca Valentino, di tutti i prin- cipali centri romagnoli fu coronata dalla ca- pitolazione di Faenza nell’aprile del 1501, dopo un assedio di sei mesi cui Vitellozzo partecipò in prima persona.

Intenzionato a vendicare il fratello, Vi- tellozzo favorì intanto la resistenza antifio- rentina di Pisa, inviando uomini d’armi e ingegneri militari. Assicuratasi la Roma- gna, anche il Valentino si volse minaccio- samente contro Firenze. Per suo conto, il 3 settembre 1501, Vitelli e Giampaolo Ba- glioni espugnarono Piombino, abbando- nata da Iacopo IV d’Appiano. Il lungo as- sedio era stato interrotto, all’inizio del- l’estate, per volontà di Luigi XII, che ave- va imposto a Cesare Borgia di non molesta- re Firenze e di supportare la nuova campa- gna francese in Sud Italia. Non è noto quale sia stato l’effettivo contributo di Vitellozzo alla spedizione; stando a Paolo Giovio, nel luglio del 1501, dopo la conquista di Capua, avrebbe fatto uccidere il già ferito Ranuccio

da Marciano, rivale di Paolo Vitelli al tem- po della condotta fiorentina.

Mentre, di ritorno da Napoli, il Valen- tino si fermò a Roma per il matrimonio della sorella Lucrezia con il duca di Ferra- ra Alfonso I d’Este, Alessandro VI asse- gnò a Vitellozzo il vicariato di Montone e Citerna. I piani dei Borgia, tuttavia, con- fliggevano ormai sia con i progetti degli Orsini, desiderosi di ampliare il proprio dominio, sia con le intenzioni di Vitelloz- zo, che per rivalersi della morte del fratello avrebbe favorito il ritorno di Piero de’ Me- dici a Firenze. D’accordo con Piero, ai pri- mi di giugno del 1502 Vitellozzo appoggiò la rivolta di Arezzo, sottraendo a Firenze, in pochi giorni, buona parte del Casentino e della Val Tiberina (pochi giorni prima, Vitellozzo aveva richiesto il supporto di Leonardo da Vinci, allora a Piombino, convocandolo in Umbria e promettendogli tra l’altro un manoscritto di Archimede proveniente da Borgo Sansepolcro).

Il Valentino si dichiarò estraneo alla sol- levazione, ma non fece nulla per distoglie- re Vitellozzo dall’azione, approfittandone anzi per occupare Urbino. Colto imprepa- rato, per riconquistare Arezzo il governo fiorentino dovette ricorrere all’oneroso aiuto del re di Francia. Pur ritirandosi a Città di Castello, Vitellozzo si rifiutò tut- tavia di restituire l’artiglieria sottratta ai fiorentini e non rispose alla convocazione a Milano da parte del sovrano, adducendo motivi di salute. In tal modo suscitò l’ira di Luigi XII, rappacificatosi intanto con Cesare Borgia, che dopo Urbino puntava alla conquista di Bologna.

A inizio di ottobre del 1502, per frenare le mire di Alessandro VI e di suo figlio sul- l’Italia centrale, Vitellozzo, Oliverotto Eu- freducci da Fermo, i fratelli Paolo, Fran- cesco e Giambattista Orsini e Giampaolo Baglioni, insieme ai rappresentanti dei Bentivoglio, dei Montefeltro e del senese Pandolfo Petrucci, si riunirono a Magione, non lontano da Perugia, per concordare una comune politica antiborgiana. Firen- ze, anche per i cattivi rapporti con Vitel- lozzo, rifiutò di farsi coinvolgere, offrendo anzi il proprio aiuto al Valentino (presso il quale si recò Niccolò Machiavelli).

Dopo una serie di vittorie dei congiurati e di ribellioni nelle Marche e in Romagna, la fragilità della lega emerse rapidamente.

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VITELLI

Tra la fine di ottobre e l’inizio di dicembre i condottieri scesero a patti con Borgia, che riuscì abilmente a far leva sui loro interessi individuali, dissimulando il suo desiderio di vendetta e il suo risentimento, in parti- colare nei confronti di Vitellozzo.

Insieme a Oliverotto da Fermo, Vitel- lozzo (afflitto dal mal francese) fu l’ultimo ad accordarsi con il Valentino, e lo fece a malincuore. Per rassicurare i ribelli, questi si liberò dell’impopolare governatore di Romagna, Ramiro de Lorqua, e finse di separarsi dal suo esercito, attirando alla fi- ne di dicembre gli ex congiurati a Senigal- lia, appena espugnata per lui dagli Orsini e Vitellozzo. Una volta entrati disarmati nella città, il 31 dicembre 1502 il duca li fe- ce imprigionare e mettere a morte. Vitel- lozzo, insieme a Oliverotto, fu il primo a essere ucciso, strangolato da Miguel (Mi- cheletto) de Corella.

Dopo la morte di Vitellozzo, suo fratello Giulio fu privato da Alessandro VI del titolo di vescovo tifernate, e i Vitelli dovettero lasciare Città di Castello.

L’uccisione di Vitellozzo e degli altri congiurati, al tempo, fece scalpore. Dal so- netto Ferro o ferto qua, non gemme et horo, erroneamente attribuito ad Antonio Cam- melli (il Pistoia), agli epitafi di Anton Fran- cesco Raineri riportati da Giovio negli Elo- gia, ricorrente è il motivo del fato o della fortuna che ha determinato la fine di un condottiero tanto valoroso. Su un altro re- gistro si iscrive invece la testimonianza di Machiavelli, che fece riferimento alla stra- ge di Senigallia in un celebre passo del Principe (cap. VII) e nel breve scritto su Il modo che tenne il Duca Valentino per am- mazzar Vitellozzo, Oliverotto da Fermo, il signor Paolo e il Duca di Gravina Orsini in Senigaglia, composto probabilmente tra il 1514 e il 1517. La psicologia di Vitellozzo è qui tratteggiata con sapienza: prima «re- nitente» all’accordo con il Valentino, per- ché consapevole di «come e’ non si debba offendere un principe e dipoi fidarsi di lui»;

poi, alla vigilia dell’incontro di Senigallia,

«tutto aflitto come se fussi conscio della sua futura morte»; infine implorante, di fronte alla morte, «che si supplicassi al papa che gli dessi de’ suoi peccati indulgenzia plena- ria» (Lodone, 2014, p. 695).

Tra il 1492 e il 1496 Luca Signorelli rea- lizzò un ritratto su tavola di Vitellozzo, oggi

conservato nella Collezione Berenson di villa i Tatti (Firenze), e parte di un ciclo di cui sono sopravvissuti anche i ritratti del padre Niccolò e del fratello Camillo. Nelle pareti nord e ovest del gran salone di palaz- zo Vitelli a Sant’Egidio, tre dipinti realiz- zati da Prospero Fontana dopo il 1571 raf- figurano inoltre Vitellozzo in occasione della vittoria di Soriano, della dieta della Magione e della successiva vittoria di Casa del Mazza contro i luogotenenti di Borgia.

Fonti e Bibl.: P. Giovio, La prima parte del- l’historie del suo tempo, Firenze 1551, pp. 128, 155, 157-159, 199-203, 209 s., 344 s., 383 s., 396-401, 408, 412, 414; Id., Elogia virorum bellica virtute illustrium, Basileae 1575, pp. 181, 185 s.; G. Por- toveneri, Memoriale dall’anno 1494 sino al 1502, in Archivio storico italiano, VI (1845), 2, pp. 323, 347-349, 353, 355 s.; La guerra del millecinquecento di scrittore anonimo, ibid., pp. 383 s.; F. Matarazzo, Cronaca della città di Perugia dal 1492 al 1503, a cura di A. Fabretti, ibid., XVI (1851), 2, pp. 12, 97, 116, 192-195, 199, 202, 204; I. Nardi, Istorie della città di Firenze, a cura di A. Gelli, I, Firenze 1858, pp. 140, 165, 169, 197, 208, 211, 218-243 e passim; Dispacci di Antonio Giustinian ambasciatore veneto in Roma dal 1502 al 1505, a cura di P. Vil- lari, Firenze 1876, ad ind.; M. Sanuto, I Diarii, a cura di R. Fulin et al., I-IV, Venezia 1879-1880, ad indices; S. dei Conti da Foligno, Le storie de’

suoi tempi dal 1475 al 1510, II, Roma 1883, ad ind.; L. Landucci, Diario fiorentino dal 1450 al 1516, a cura di I. Del Badia, Firenze 1883, pp.

216, 227-230, 242-252; S. di Branca Tedallini, Diario romano dal 3 maggio 1485 al 6 giugno 1524, a cura di P. Piccolomini, in RIS, XXIII, Città di Castello 1911, 3, pp. 291-302; E. Solmi, Parteci- pazione di Leonardo da Vinci alla sollevazione di Arezzo e della Val di Chiana nel giugno del 1502, in Archivio storico italiano, s. 5, XLX (1912), pp.

122-129; E. Percopo, Antonio Cammelli e i suoi

‘sonetti faceti’, Roma 1913, p. 426; G. Nicasi, La famiglia Vitelli di Città di Castello e la Repubblica fiorentina fino al 1504, Perugia 1916, passim; B.

Zambotti, Diario ferrarese dall’anno 1476 sino al 1504, a cura di G. Pardi, in RIS, XXIV, 7, 2, Bo- logna 1937, pp. 271, 340, 344 s.; E. Pieraccini, La ribellione di Arezzo del 1502, in Atti e memorie della Reale Accademia Petrarca, XXVI-XXVII (1939), pp. 17-50, XXVIII-XXIX (1940), pp.

146-220; G. Sasso, Machiavelli e Cesare Borgia.

Storia di un giudizio, Roma 1966, pp. 19-21, 168- 170; M. Luzzati, Una guerra di popolo. Lettere private del tempo dell’assedio di Pisa (1494-1509), Pisa 1973, ad ind.; A. Massimi, I Vitelli signori dell’Amatrice, Roma 1979, pp. 8 s.; S. Kliemann, Prospero Fontana und Mitarbeiter in palazzo Vitelli a Sant’Egidio in Città di Castello, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XXXI (1987), pp. 177-194; F. Guicciardini, Storia d’Ita- lia, a cura di E. Mazzali, I, Milano 1988, pp. 96, 297, 337-339, 385, 449, 487 s., 498, 501, 503, 505, 515, 525-535, 541 s., 545-547, 551, 553, 556, 558;

Id., Storie fiorentine, a cura di A. Montevecchi, Milano 1998, pp. 341-344, 361-369, 385-387, 391- 394; B. Buonaccorsi, Diario dall’anno 1498 all’anno

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VITELLI 1512 e altri scritti, a cura di E. Niccolini, Roma

1999, ad ind.; C. Benzoni, Lo studio e la cataloga- zione delle carte di Paolo e V. V. conservate all’Ar- chivio di Stato di Firenze, tesi di dottorato, Uni- versità degli studi di Firenze, 2011 (https://flore.

unifi.it/handle/2158/ 580097#.XpxnyhfOOkk);

M. Lodone, V. V., in Machiavelli. Enciclopedia machiavelliana, II, Roma 2014, p. 695; A. Ma- tucci, Modo che tenne il duca Valentino, ibid., pp.

190-193; J. Najemy, Storia di Firenze, 1200-1575, Torino 2014, pp. 507 s.

MICHELELODONE

VITELLI, Vitellozzo. – Primogenito di Alessandro e di Angela de’ Rossi di San Secondo, nacque a Firenze ai primi di aprile del 1531.

Come altri esponenti della stirpe, il padre, celebre condottiero e membro delle Bande Ne- re, prese parte attiva alle guerre per l’Italia del primo Cinquecento combattendo per conto di Clemente VII, del duca Alessandro de’ Medici e più tardi di Cosimo I, mentre la madre, figlia di un capitano di ventura di primo piano, era imparentata per via materna con i Medici ed era già andata in sposa a un altro Vitelli, quel Vitello, cugino di Alessandro, morto nel 1528 durante l’assedio di Napoli. A riprova degli stretti legami con i vertici dello Stato fiorentino, Vitellozzo fu tenuto a battesimo dai cardinali Giovanni Salviati e Niccolò Ridolfi alla pre- senza del duca Alessandro.

Ricevette a Firenze una solida educazio- ne umanistica sotto le cure di un certo Giovanni o Giacomo Della Pergola; dopo un breve soggiorno a Bologna, si trasferì a sedici anni a Padova, presso il cui Studio si addottorò brillantemente in utroque iure.

Nonostante fosse primogenito, fu indiriz- zato verso la carriera ecclesiastica, certa- mente nella speranza di riconsolidare la posizione della famiglia presso la corte pa- pale, slegarne le sorti dal servizio militare prestato dall’ormai anziano padre e otte- nere il vescovato di Città di Castello, come era riuscito a fare, per soli quattro anni, Giulio di Niccolò al principio del secolo.

Papa Giulio III, per il quale Alessandro Vitelli aveva combattuto la guerra di Par- ma nel 1551 tradendo l’antica fedeltà ai Farnese, spianò la strada al giovane, nomi- nandolo cavaliere di San Pietro e San Pao- lo, collettore, cameriere segreto e, nel set- tembre del 1552, chierico della Camera apo- stolica. Il 4 aprile 1554, ottenuta la dispensa per mancati limiti d’età (aveva 24 anni ap- pena compiuti in luogo dei 27 previsti dal diritto canonico), succedette ufficialmente

al vescovo titolare di Città di Castello, il domenicano Alessandro Stefano Filodori, ormai esautorato nell’esercizio delle pro- prie funzioni dalle manovre dei Vitelli. Gli fu inoltre affidato temporaneamente il go- verno di Civitavecchia. Poche settimane più tardi, si spense il padre e la guida della famiglia passò a Vitellozzo, che cedette prontamente al fratello Giacomo i diritti su Amatrice. Si intensificarono allora le malversazioni di ogni sorta perpetrate dal- la madre in Città di Castello, così come dal fratellastro di Vitelli, Camillo, nel feudo di Montone.

Dopo l’elezione di Paolo IV, Vitelli sep- pe scaltramente avvicinarsi ai nipoti del pontefice, prima a Giovanni Carafa, futu- ro duca di Paliano, poi al cardinale nipote Carlo, di cui divenne principale sodale in imprese tutt’altro che illibate. Fu incluso, accanto a uomini di provata ortodossia co- me Michele Ghislieri, Clemente D’Olera e Virgilio Rosari, nella terza promozione cardinalizia del 15 marzo 1557, scegliendo il titolo diaconale dei Ss. Bacco e Sergio in memoria dell’avo (o presunto tale) asceso ai medesimi onori sotto Alessandro III nel 1164. I suoi costumi assai liberi – si pensi alle feste smodate a Città di Castello, in compagnia di Carlo Carafa e un gran nu- mero di prostitute – non gli impedirono di conquistare in brevissimo tempo la piena fiducia del pontefice. Nonostante la giova- ne età, fu portavoce del papa insieme con il cardinale nipote e Guido Ascanio Sforza di Santa Fiora durante le trattative per la pace di Cave, che nel settembre del 1557 pose fine alla sciagurata guerra contro la Spagna di Filippo II cui avevano preso parte anche i fratelli di Vitelli, Vincenzo e Giulio (quest’ultimo più tardi eletto chie- rico di Camera). Con la disinvoltura che lo contraddistinse, passava frattanto informa- zioni riservatissime a Venezia, contrastava Cosimo I e il suo ambasciatore, intralciava il processo penale aperto contro i congiunti per vari omicidi, soprusi e usure e favoriva la successione del figlio naturale di Camillo Vitelli, Ferrante, come signore di Monto- ne. Non esitò poi a contrarre un debito ri- levante per essere il primo a soddisfare le richieste di donativi cardinalizi da parte di Paolo IV e, ormai in rotta con Giovanni e Carlo Carafa, giocò d’astuzia lasciando trapelare informazioni compromettenti 773

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