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Legge elettorale: il sovran-ulivismo per il governo delle minoranze

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Legge elettorale: il sovran-ulivismo per il

governo delle minoranze

- Francesco Pallante, 22.09.2019

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Indovinello: ci sono Romano Prodi, Matteo Salvini, Arturo Parisi e Walter Veltroni. Chi è l’intruso? Nessuno – è la risposta corretta, se solo si guarda al dibattito sulla legge elettorale che va sviluppandosi in questi giorni.

Una legge elettorale non è fatta per fotografare il Paese, ma per dargli una maggioranza di governo possibilmente stabile» (Prodi). «Chi vince governa, chi perde fa opposizione» (Salvini). «Chi prende un voto in più governa» (Parisi). «Se torniamo al proporzionale sarà il festival della frammentazione e del ricatto» (Veltroni). Dichiarazioni perfettamente coincidenti, che svelano una comune

concezione della democrazia incardinata sul ruolo del governo, con l’insieme degli altri organi costituzionali a partire dal parlamento, sino alla presidenza della Repubblica costretti in posizione servente.

È bastato che tra le forze di maggioranza si affacciasse l’idea di tornare al proporzionale perché partisse il fuoco di sbarramento sovran-ulivista (anche Meloni si è prontamente accodata). Il dato di realtà di un sistema politico strutturato su tre forze in reciproca competizione è ritenuto irrilevante. Altrettanto dicasi per la storia politica degli ultimi vent’anni, segnati da maggioranze parlamentari appese e poi impiccate alle visioni strategiche di statisti del calibro di Turigliatto o De Gregorio. Il maggioritario non si discute. Punto e basta. «Se avesse avuto una legge elettorale “alla francese” sentenzia Prodi l’Italia sarebbe oggi un grande paese». Pronto, gli fa eco Parisi: «Io mi alleo anche con il demonio per difendere il sistema maggioritario. Non avrei esitazione a stare dalla parte di Salvini in questo caso». Evidentemente, la miopia dei “padri” dell’Ulivo non ha pregiudizi sovranisti: l’assetto tripartitico del sistema politico italiano gli sfugge tanto quanto la forza della destra

lepenista francese.

Ora, che Salvini e Meloni si aggrappino alla difesa del maggioritario con tutte le loro forze è più che comprensibile. Anzi, è perfettamente razionale. Con un 40% potenziale di consensi tra i votanti, Lega e FdI possono realisticamente confidare di conquistare la maggioranza assoluta dei parlamentari. Tanto più una volta che deputati e senatori saranno ridotti nel numero.

Più difficile comprendere le ragioni dell’estremismo maggioritarista di Prodi, Parisi e Veltroni. Due partiti del 20% non potranno far altro che schiantarsi in un’elezione maggioritaria contro uno

schieramento che può contare sul doppio delle forze. Certo, i due più deboli potrebbero allearsi. Ma, a parte il fatto che in politica la somma di due partiti fa sempre meno del loro totale separato

(perché, inevitabilmente, entrambi perdono i loro elettori più “puri”), al momento si tratta di nient’altro che di un’ipotesi. Di complicatissima realizzazione, peraltro. Affidarsi a un’ipotesi tanto labile per fronteggiare la tanto concreta potenza politica del sovranismo pare un azzardo ai limiti dell’irresponsabilità, spiegabile solo alla luce del furore ideologico maggioritarista che, dall’ultimo decennio del secolo scorso, continua a devastare il nostro sistema istituzionale.

Dalle elezioni del 1994 sino alle elezioni del 2013 l’Italia non ha mai avuto un governo sostenuto da una maggioranza parlamentare che fosse tale anche nel paese. Per vent’anni siamo stati governati da minoranze. Abbiamo fatto finta di non accorgercene, credendo che le distorsioni prodotte dalle leggi elettorali fossero la realtà: come se le leggi fossero formule magiche capaci di cambiare il mondo. Abbiamo costruito sulla sabbia edifici governativi destinati a venir giù al primo scossone.

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Persino l’ultimo governo Berlusconi, forte della più ampia maggioranza parlamentare della storia repubblicana, è risultato instabile ed è crollato. Solo con le elezioni del 2018, grazie a una legge elettorale che ha funzionato in modo sostanzialmente proporzionale, siamo tornati ad avere governi espressione della maggioranza dei votanti.

È il momento di tornare a guardare in faccia alla realtà: se la società è divisa, il parlamento sarà diviso. È normale: checché ne dica Prodi, la legge elettorale serve esattamente a fotografare il paese. Non a superare le divisioni nascondendole sotto il tappeto. Superare le divisioni sociali è il principale compito della politica. È un compito difficile e ad alto rischio di insuccesso. Che diventa, però,

impossibile se ci si rifiuta di prendere realisticamente atto della loro esistenza. © 2019 IL NUOVO MANIFESTO SOCIETÀ COOP. EDITRICE

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