• Non ci sono risultati.

LA VIA DELLA SETA

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "LA VIA DELLA SETA"

Copied!
23
0
0

Testo completo

(1)

DOSSIER

LA VIA DELLA SETA

«la Repubblica» 27 luglio – 11 settembre 2017

01

02

03

04

05

06

07

08

09

10

11

27 luglio

2 agosto

8 agosto

14 agosto

19 agosto

22 agosto

25 agosto

29 agosto

1 settembre

5 settembre

11 settembre

Michele Mari La via della seta. Il nostro Oriente interiore dove tutto ebbe inizio

Roberto Toscano Passaggio in Iran. La Grecia d’oriente che si apriva all’Occidente

Corrado Augias I segreti di Istanbul. La città bazar di culture dove nascono gli imperi

Silvia Ronchey L’autunno del Medio Oriente. Aspettando il Rinascimento che questa volta arriverà da est

Stefano Malatesta Il fantasma del Grande Gioco. La guerra fredda id spie tra russi e inglesi davanti a una tazza di tè Francesco Cisternino L’ultima danza. Konya, l’antica capitale di poeti, santi e dervisci

Angelo Aquaro “Il Milione” Cinese. Così Hi’an ha risvegliato il suo esercito di terracotta

John Eskenazi Il Buddha più bello. Nel Gandhara, dove la Grecia incontrò l’arte dell’India

Siegmund Ginzberg Il far west del far east. Quelle pasionarie del Turkestan per l’indipendenza uigura

Paolo Rumiz Da Trieste al mar Giallo. La rotta delle spezie e dei sogni prigioniera del nuovo Impero

Franco Cardini Orient express. Il popolo sfuggito ai capitoli di storia

(2)

 3$6-563" la Repubblica(*07&%¹  -6(-*0 

/ ella cultura occidentale l’Oriente è stato a lungo, eti- mologicamente e letteralmente, la nascita del sole, quindi un riferimento tanto relativo quanto suscet- tibile di investiture simboliche. Dante, che aveva bi- sogno di connotare San Francesco come “orientale”

per renderlo complementare allo spagnolo San Domenico, non esitò a inventarsi, in piena malafede, un etimologia fantasiosa: As- sisi da Ascesi, e quindi la nascita del santo come il levar del sole

(«però chi d’esso loco fa parole / non dica Ascesi, che direbbe corto, / ma Oriente, se proprio dir vuole»). Ma i simboli sono esosi, e impongono le loro leg- gi: se l’Oriente è l’inizio, andare nella sua direzione significa an- dare contro la natura e quindi contro Dio, come fece lo sciagu- rato Costantino quando, «con- tro il corso del ciel» (sempre Dante, per bocca di Giustinia- no), spostò la sede dell’impero da Roma a Bisanzio-Costantino- poli.

Nell’immaginario medioeva- le spingersi troppo a ovest (Ulis- se) o ad est era un perfetto esempio di IZCSJT: Alessandro Magno arrivò fino in India, ma quando si intestardì a raggiun- gere il Gange, che secondo le fa- vole segnava il confine orienta- le del mondo, i suoi stessi solda- ti si rifiutarono di seguirlo: l’im- pero rimase dunque imperfet- to. E alla fine (potrebbe essere un racconto di Borges), di tutte le Alessandrie fondate dal con- quistatore la più famosa è rima- sta la più occidentale, quella egiziana.

Che il mondo non terminas- se col Gange lo sapevano, in par- ticolare, due categorie: i dotti e i mercanti. In entrambi i casi, tuttavia, l’estremo Oriente era così indefinito da poter essere li- beramente colonizzato dai pro- pri sogni. L’Angelica amata da Orlando è figlia del re del Catai, dunque è cinese, ma questo non ha impedito a Boiardo e Ariosto di pensarla e di descri- verla come bionda, imponendo a ogni lettore di associarla alla toscana Beatrice e all’avignone- se Laura (con la stessa libertà Alex Raymond, il creatore di Flash Gordon, avrebbe attribui- to una vistosa chioma rossa alla

principessa Aura, figlia di un imperatore che chiamandosi Ming e regnando sul pianeta Mongo è un’evidente trasposi- zione del tipo cinese).

Produttori e consumatori di parole, i letterati tendono a ri- durre l’Oriente a un nome: può accadere così che nell’italianis- sima Fortezza Bastiani il favo-

leggiato nemico, l’attesa, la paura, l’invecchiamento, la de- lusione, tutto si riassuma in una parola: i Tartari. Del resto è noto che il più raffinato dei pro- satori italiani del Seicento, quel gesuita Daniello Bartoli che en- tusiasmò lettori eccellenti co- me Giacomo Leopardi e Gior- gio Manganelli, scrisse ponde-

rosi libri sulla Cina e sul Giappo- ne senza essersi mai mosso da Roma, così come Verona e Tori- no avrebbero dettato a Salgari, nella logica della compensazio- ne, un Oriente avventuroso pro- prio perché linguisticamente sfrenato. A differenza di Barto- li, Manganelli nell’estremo Oriente c’è stato: ne nacque un

libro significativamente intito- lato $JOBFBMUSJ0SJFOUJ, dove appunto la Cina è una “idea” di Oriente, intercambiabile con al- tre idee e altri simboli («ogni viaggio è un simbolo, un’inizia- zione: figuriamoci un viaggio in Cina»).

Ma dicevamo dei mercanti, uomini pratici dediti all’acqui- sto della seta e delle spezie, mossi da una SBUJP economica scevra da ansie metafisiche di virtute e conoscenza: eppure anche questi uomini, una volta in gioco, si sono lasciati sedurre da una sorta di coazione al me- raviglioso. Cinocefali, cefalopo- di, ircocervi e mostri di ogni ge- nere popolano il .JMJPOF di Mar- co Polo, così il contrappasso di questo veneziano che si arric-

chì con l’importazione della se- ta fu di non essere creduto, e ci sono volute lunghe e puntiglio- se ricerche per stabilire che nel

“gran Cataio”, fin dentro la cor- te di Kublai Kan, ci andò per davvero. E tuttavia anche in se- guito egli è rimasto il prototipo del sognatore ad occhi aperti, colui che nelle $JUUËJOWJTJCJMJdi Italo Calvino descrive a Kublai Kan città che si possono incon- trare solo nei sogni o, appunto, in letteratura. Lo stesso Marco Polo colloca in Cina i possedi- menti e le ricchezze del leggen- dario Prete Gianni, l’uomo che diverse tradizioni vogliono in Mongolia, nel Tibet, in Etiopia.

Il Prete Gianni è ovunque, dun- que è la stessa carta geografi- ca; e il suo stesso nome evange- lico ne tradisce il sottinteso colo- niale: se si chiama Gianni, le

sue ricchezze saranno le no- stre.

A metà strada fra Europa e Cina, lungo la via della seta, Sa- marcanda, il cui ruolo di media- zione culturale oltre che com- merciale fu colto da Marco Polo in una breve frase: «Samarcan è una nobile cittade, e sonvi cri- stiani e saracini» (così nella ver- sione dell’anonimo toscano).

Città persiana, conquistata pri- ma da Alessandro Magno poi dai turco-mongoli di Tamerla- no, appartiene oggi all’Uzbeki- stan, ed è l’ombra di ciò che fu.

Il suo splendore e il suo presti- gio vivono nella letteratura, nel- le fiabe e nelle canzoni (per l’I- talia la prima citazione è 4B

NBSDBOEB di Roberto Vecchio- ni, ma anche la fiera dell’est di

Angelo Branduardi, per quanto ispirata a un canto popolare ebraico, potrebbe collocarsi là): questo fa della Samarcan- da storica un fantasma conti- nuo alle città invisibili di Calvi- no, o a quella Parigi che, distrut- ta dai HSBOET  CPVMFWBSET di Haussmann, era intravista da Walter Benjamin nei QBTTBHFT,

«côté onirico della città di Bau- delaire».

Viceversa, l’espressione “via della seta” non è altrettanto an- tica: fu coniata infatti solo nel 1877 dal geografo tedesco Fer- dinand von Richtofen, zio di quel Manfred destinato a entra- re nella leggenda come il Baro- ne Rosso. Lunga 8.000 chilome- tri (che in certi casi, per via di circonvoluzioni imposte dai conflitti in corso, potevano arri- vare a 10.000), la Seidenstras-

*MOPTUSP0SJFOUFJOUFSJPSF EPWFUVUUPFCCFJOJ[JP

.*$)&-&."3*

1

/FMMJNNBHJOBSJPNFEJFWBMF TQJOHFSTJ

USPQQPJOMËFSBVOFTFNQJPEJIZCSJT

EFMMBTFUB -BWJB

-"7*"

%&--"4&5" 7JBHHJSFBMJFGBOUBTUJDJ 4JNCPMJJOJ[JBUJDJFDJUUË

JOWJTJCJMJ$PNNFSDJP

FTFEV[JPOF.BSDP1PMP F"MFTTBOESPμJMNJUP

EFM-FWBOUFDIFBUUSBWFSTB

MBDVMUVSBPDDJEFOUBMFFDIF

PSBMBUUVBMJUËDJGBSJTDPQSJSF

*SBDDPOUJEFJOPTUSJBVUPSJ

JOVOBOVPWBTFSJFBQVOUBUF

Copia di 18efaa1c397ba457e71230cb617d9788

(3)

la RepubblicaGIOVEDÌ 27 LUGLIO 2017 33

©RIPRODUZIONE RISERVATA

R

occo Iannelli è un uomo ap- partato. Lo sono tutti, nel paese in cui vive: situato fra i monti che congiungono il Lazio alla Campania, ci s’arriva inerpi- candosi su una striscia d’asfalto fra bo- schi di querce e di castagni. T’aspette- resti d’incontrare un branco di caprio- li, qualche fungarolo col suo cesto di vi- mini sottobraccio, invece quando toc- chi la vetta sei a Terelle, 487 anime se- condo Wikipedia, ma forse anche di meno. Un gruzzolo di case sospese sui monti e sulle nuvole, che avrebbe tro- vato posto nelle Città invisibili di Italo Calvino.

Pure i dipinti di Iannelli parrebbero sospesi, segni

che galleggiano nel vuoto, come zattere, come atolli nell’ocea- no. D’altronde la leggerezza, la sottrazione di peso, costitui- sce la sua cifra artistica, il suo specifico lin- guaggio. Erano leggere anche le sue prime ope- re, benché mate- riche, con grumi di colore ispessi-

ti sulla tela o sulla tavola, con plastiche o stoffe impregnate da colate di pittu- ra. Sono leggere — di più, sono presso- ché invisibili, fantasmi senza corpo — queste ultime creature del suo percor- so artistico, dove campeggiano in lun- go e in largo numeri, simboli astratti della nostra fatica quotidiana. Ora ve n’è un’esposizione a Castellabate, cura- ta dalla Fondazione Alferano: «Paesag- gi cifrati» è il titolo.

Non che Iannelli sia il primo artista a subire la malia dei numeri. Prima di lui, per fare un solo nome, Mario Merz (1925-2003), che usava una formula matematica («la successione di Fibo- nacci») per comporre le sue opere. Ma già Kandinskij giocava con i numeri, o Giacomo Balla con i suoi Numeri inna- morati (1925), oppure Mondrian, Escher, Jasper Johns (Numbers in Co- lor, 1959). E d’altronde nel Rinasci- mento i numeri venivano impiegati per la musica, la poesia, l’architettura.

Quanto alle arti figurative, qui l’armo- nia dei numeri evoca la proporzione di cui parlò Platone (Timeo, VII, 31): «E il più bello dei legami che fa di sé uno con le cose che a sé unisce è la proporzione che in forma splendida congiunge».

La divina proportione fu per l’ap- punto il canone cui obbedivano gli arti- sti rinascimentali, attraverso lo studio della «sezione aurea». Leonardo la in- dagò nell’Uomo vitruviano, stabilen- do che le proporzioni umane diventa- no perfette quando l’ombelico divide l’uomo in modo aureo (perché l’altez- za è pari alla distanza fra le estremità delle mani con le braccia distese); e col- locò Gesù in un rettangolo aureo all’in- terno dell’Ultima cena. Botticelli la rappresentò nella Venere, dove il rap- porto fra le parti del corpo femminile corrisponde sempre a 0.618. Come lui Piero della Francesca, Leon Battista Al- berti, gli altri maestri del Classicismo italiano.

Che hanno in comune la fredda al- chimia dei nu- meri e l’onda emotiva da cui propaga l’arte?

Intanto, c’è una branca della ma- tematica — la geometria — che studia le fi- gure nello spa- zio, il loro mute- vole disegno; e il disegno è la sorgente da cui zampilla la pit- tura. Ma dopo- tutto sia la mate- matica, sia l’arte, vorrebbero restituir- ci l’essenza delle cose, la loro più inti- ma sostanza. La prima indaga in una dimensione razionale, la seconda in un altrove irrazionale, ma entrambe con la stessa ambizione, infine con la stes- sa frustrazione, dato che le cose del mondo hanno la proprietà di confon- dersi e nascondersi vicendevolmente, sicché non è mai possibile stilarne un inventario.

Sarà per questo che i numeri di Ian- nelli per lo più si mostrano corrotti, slabbrati ai margini, oscurati da un co- no di penombra. Sarà perché rifletto- no un’assenza, più che una presenza.

Sono forme colte nell’attimo esatto in cui si sformano, si decompongono. So- no forse le case di Terelle, o quella stra- da che rotola a valle lì dove finisce il paese. Sono figure, volti, lettere, edifi- ci che ti sembra di riconoscere in que- sta o in quella macchia di colore, senza però mai esserne sicuro, perché la pre- senza pittorica di Rocco Iannelli è a sua volta un’assenza, è un segno puramen- te evocativo. Ma quel segno, leggero e seducente come volo di farfalla, espri- me in conclusione l’ineffabile, la no- stra condizione umana.

se si definì e articolò compiuta- mente durante l’impero roma- no, cioè tremila anni dopo che i cinesi avevano inventato la seri- coltura: c’è dunque una logica se proprio Giustiniano, l’impe- ratore che in Dante condanna gli spostamenti ad est, cercas- se di rendere inutile la lunghis- sima via impiantando in Occi- dente la stirpe dei bachi: vuole infatti la leggenda che per suo incarico due monaci portassero in Europa, nascoste all’interno di alcune canne di bambù, le uo- va del prezioso lepidottero. La seta divenne così anche un pro- dotto occidentale (nella fatti- specie italiano), ma ciò non ri- dusse più di tanto l’andirivieni lungo la trafficatissima via: an- cora mille anni dopo Giustinia-

no, infatti, essa è ben visibile in quella che viene considerata la prima carta geografica della Ci- na, la Mappa dei diecimila pae- si del mondo fatta eseguire all’i- nizio del Seicento da Matteo Ricci, un gesuita che a differen- za di Daniello Bartoli in Cina non solo andò, ma vi si stabilì per quasi trent’anni, finendo col diventare – per lingua, no- me, foggia di vestiti e acconcia- tura – un cinese a tutti gli effet- ti. E a risarcire la sua nuova pa- tria del furto dei bachi da seta avvenuto mille anni prima, Li Ma Tou (come volle ribattezzar- si) regalò alla Cina una delle co- se più occidentali che si possa- no immaginare: la geometria euclidea.

ROMA. Si tiene nel giardino della Casa internazionale del- le donne Venti d’estate, la rassegna curata dall’associa- zione Doppio Ristretto. Fino al 4 agosto, per il secondo an- no, il giardino romano diven- ta palco di dibattito tra incon- tri, musica e letteratura. Do- mani Giacomo Mazzariol (fo- to), autore del blog di Repub- blica Generazione Zeta, con Stefano Pisani di Lercio.it e Antonio Sofi di Rai3 parleran- no a modo loro del web e il suo impatto sulle nuove gene- razioni. Tra i prossimi incon- tri, l’ex sindaco di Lampedu- sa Giusi Nicolini (1 agosto) per parlare di immigrazione e barriere.

MICHELE AINIS

Quando la pittura usa l’alchimia dei numeri

In mostra a Castellabate le opere di Rocco Iannelli giocate su suggestioni matematiche e geometriche

L’OPERA

Iannelli, 27931-014, acrilico su tela

TORINO

Incontri in autunno per Salone del Libro e Circolo dei Lettori

ROMA

Tra web e satira Mazzariol e Lercio.it a “Venti d’estate”

©RIPRODUZIONE RISERVATA

LE IMMAGINI Le illustrazioni che accompagneranno questa serie sono realizzate da Pierluigi Longo

TORINO. Il Salone del Libro e il Cir- colo dei Lettori si uniscono per la rassegna di letteratura interna- zionale Giorni Selvaggi, da set- tembre a novembre. «Viviamo davvero giorni selvaggi, ma ab- biamo buone bussole», così Nico- la Lagioia, direttore della ker- messe torinese (foto), anticipa la stagione autunnale. Dieci ap- puntamenti con grandi firme. Si parte il 7 settembre con Richard Mason e il suo Il caso della notte (Einaudi). Tra gli altri big: i Pre- mi Pulitzer William Finnegan, Elizabeth Strout e Colson White- head (vincitore anche del Natio- nal Book Award). E a ottobre il Salone potrebbe arrivare a Lon- dra, come partner di un festival letterario anti-Brexit.

Copia di 18efaa1c397ba457e71230cb617d9788

(4)

32 R2CULTURA la RepubblicaMERCOLEDÌ 2 AGOSTO 2017

A rcheologi italiani che collaboravano al restauro della cittadella di Bam, distrutta nel terremoto del 2003, hanno portato alla luce una croce cristiana tracciata su una delle torri. Con ogni probabilità si tratta di una croce nestoriana. È noto che i Nestoriani, perse- guitati nell’impero bizantino dopo che nel 431 il Concilio di Efeso sancì il prevalere della dottrina monofisita, si spostarono verso est lungo la via della seta. In particolare verso la Persia, ma anche ol

tre, spingendosi fino in Cina.

Ma perché Bam? C’è da chie- dersi che senso potesse avere una presenza cristiana in una città della guarnigione costrui- ta nel mezzo del deserto (e usa- ta da Valerio Zurlini proprio per questo suo suggestivo iso- lamento per ambientarvi la versione cinematografica del libro di Buzzati Il deserto dei tartari). In realtà Bam non aveva solo un’importanza mili- tare, ma era un importante passaggio nelle vie per il com- mercio, in particolare della se- ta.

Oggi si rievoca la via della se- ta cercando di riprodurne in chiave contemporanea la fun- zione di vitale arteria di comu- nicazione nello sviluppo di

scambi economici dalla Cina al Mediterraneo. Progetto estre- mamente interessante desti- nato a produrre risultati molto significativi soprattutto nel fornire una piattaforma per l’ulteriore consolidamento del ruolo economico e geopolitico della Cina e per rafforzare lo spostamento verso l’Asia del fulcro dell’economia mondia- le.

La via della seta non fu mai un percorso unico, lineare, ma una rete di varie vie di comuni- cazione con diramazioni e per- corsi derivati. Alcune di que- ste vie passavano per la Persia – la Persia imperiale, che anda- va ben oltre i confini dell’attua- le Iran, e che esiste ancora og- gi, sotto il profilo linguisti- co-culturale, dal Tajikistan al- le zone di lingua persiana

dell’Afghanistan.

Ma c’è qualcosa di più, qual- cosa che si riferisce alla stessa natura dell’Iran, alle sue radici storiche ma anche alla sua real- tà contemporanea.

Dire che l’Iran è punto di in- contro (e talora scontro) fra Oriente e Occidente è vero ma insufficiente. La realtà stessa dell’Iran non è definibile sen- za lo scambio, il cammino, il transito, l’assimilazione delle influenze spirituali e culturali esterne e la proiezione esterna della propria realtà spirituale e culturale, e non solo del pro- prio potere politico-militare.

Con la via della seta, ma non so- lo, e anche prima che la via del- la seta fosse consolidata sotto la dinastia Han (dal 200 a.C. al

200 d.C.).

Studiamo le guerre persia- ne dei greci, le Termopili e Ma- ratona, ma dimentichiamo che il contatto fra Grecia e Per- sia fu ben più ampio e ricco del solo scontro militare. Dimenti- chiamo, ad esempio, che i poli- tici greci sconfitti all’interno delle rispettive polis si trasferi- vano spesso sotto l’impero per- siano e che i contatti fra Grecia e Persia in campo culturale era- no intensi: non è difficile, ad esempio, identificare influen- ze architettoniche della Ionia nel sito più emblematico dell’impero achemenide, Per- sepoli.

Ma fu nell’epoca sasanide, e in particolare nel VI secolo, sot- to l’imperatore Chosroe, che la Persia svolse un ruolo centrale nell’incontro fra le culture ad

est e ad ovest del suo territo- rio. Chosroe accolse a Gondi- shapur, una città dell’ovest della Persia, sia filosofi greci che cristiani nestoriani perse- guitati dal potere bizantino, e Gondishapur si trasformò in una sorta di università cosmo- polita dove, con la presenza di un corpo docente di varie pro-

venienze culturali e sulla base di un’intensa attività di tradu- zione di testi in pahlavi (la lin- gua che sta alla radice del per- siano), si studiavano filosofia greca, astronomia, arti e me- stieri e soprattutto medicina.

Un ruolo di contatto e traduzio- ne/trasmissione che venne svolto anche verso oriente,

con la traduzione di testi india- ni di astronomia, astrologia, matematica e medicina e testi cinesi sulle erbe medicinali.

Marco Polo scrive della tom- ba dei “Re magi” a Saveh, nel centro della Persia – uno dei centri nodali del tramo persia- no della via della seta. Una “no- tizia” che sarebbe difficile non

considerare leggenda, ma il fatto che i Vangeli parlino dell’arrivo di tre Magi (in real- tà non re, ma sacerdoti zoroa- striani) per rendere omaggio al neonato Gesù testimonia dell’importanza dell’apporto per la stessa religiosità prima medio-orientale poi occidenta- le della spiritualità e della esca- tologia dei popoli iranici, i pri- mi a sviluppare il concetto di

“salvatore” (sosyant), fra l’al- tro definito come “nato da una vergine”.

Identità quindi, quella ira- niana, plurima, complessa, dialogica piuttosto che dialetti- ca – dato che invece di impossi- bili sintesi la storia, quella ve- ra, è fatta, per tutti ma soprat- tutto per l’Iran, di creative e non risolvibili tensioni fra op- poste polarità.

Questa tensione bipolare fra influenze culturali diverse caratterizza anche oggi l’Iran, dove il regime politico nato con la rivoluzione del 1979 è certamente integrista e teo- cratico, ma è nello stesso tem- po “islamico” e “repubblica- no”. Già nell’islam iraniano, d’altra parte, si evidenziano particolarità con profonde ra- dici storiche che spiegano, al di là delle secondarie differen- ze teologiche (l’islam si inte- ressa all’ortoprassi piuttosto che all’ortodossia), le ragioni della profonda diversità fra islam sunnita e islam sciita. Ba- sti pensare al ruolo del clero, in Iran strutturato gerarchica- mente in modo da mostrare so- miglianze significative con il cattolicesimo o al diverso mo- do di applicare nella realtà so- ciale il messaggio unico conte- nuto nel Corano. Per fare un so- lo esempio, in Iran la poliga-

La Grecia d’Oriente

che si apriva all’Occidente

ROBERTO TOSCANO

2

in Iran

Gondishapur si trasformò in una sorta

di università con docenti di varie provenienze

Passaggio

La Persia svolse un ruolo centrale

nello scambio tra culture Dalla filosofia alla politica, passando per le influenze nell’arte e nell’architettura che sono ancora visibili, l’Impero assunse

caratteristiche cosmopolite oggi quasi dimenticate

LA VIA DELLA SETA

Copia di 18efaa1c397ba457e71230cb617d9788

(5)

la Repubblica.&3$0-&%¹  "(0450  

ª3*130%6;*0/&3*4&37"5"

NEW YORK

6

n archeologo nei panni di de- tective. Burocrati sonnolen- ti. Procuratori zelanti. Mer- canti impenitenti. Sono que- sti i protagonisti di un giallo di mezza estate, che appassiona il mondo della cultura e irrita i lettori del /FX:PSL5J

NFT. Che si chiedono: “Perché l’Italia non protegge a sufficienza il suo patri- monio? “Perché aspetta

che sia la giustizia americana a restitui- re i capolavori ruba- ti?”. Il giallo ruota at- torno a un magnifico vaso del 360 avanti Cri- sto che raffigura Dioniso su un carro trainato da un sati- ro, opera dell’artista greco Python, uno dei due grandi ceramografi dei suoi tempi.

Trafugato in una tomba nell’I- talia meridionale, trasportato in Svizzera, venduto nel 1989 dal- la casa d’aste Sotheby’s per 90mila dollari, il cratere è rimasto per quasi trent’an- ni in bella evidenza nelle gallerie greco-romane del Metropolitan dove veniva ammirato da milioni di vi-

sitatori. Ma la settimana scorsa è stato sequestrato dalla procura generale di Manhattan guidata da Cyrus Vance, il figlio dell’ex-segretario di stato ameri- cano, e ora è in un ufficio del tribunale in attesa che venga restituito all’Italia.

Il Met ha ribadito ieri sera il suo im- pegno “a collaborare con i governi part- ner per risolvere i problemi relativi agli oggetti nelle sue collezioni”. Un atteg- giamento più aperto e sicuramente più disponibile rispetto a quello che il mu- seo ebbe su un altro vaso di terracotta, forse ancor più bello: il celebre cratere di Eufronio. Saccheggiato in una tom- ba etrusca vicino Cerveteri, acquisito dal museo newyorchese, era stato per trent’anni al centro di un braccio di fer- ro diplomatico tra Roma, Washington e il Met, prima di tornare in Italia scor- tato dai carabinieri.

Il primo a rendersi conto della prove- nienza illecita del “nuovo caso Eufro- nio” è stato l’archeologo-detective Chri- stos Tsirogiannis, che lavora all’Asso- ciazione per la ricerca sui reati contro le opere d’arte, e che nel passato è già riuscito a far restituire alla Grecia un sarcofago e all’Italia un’anfora pagata 250mila dollari. In un articolo pubblica- to nel 2014 sul +PVSOBMPGBSUDSJNF, Tsi- rogiannis aveva sollevato i dubbi sul va- so esposto al Met. La ragione? Sembra- va troppo simile a

un pezzo fotografa- to con una polaroid nel deposito svizzero di Giacomo Medici. Lì, il trafficante d’arte ita- liano, che ha ora 79 anni, teneva migliaia di pezzi an- tichi, comprati da tombaro- li e rivenduti in giro per il mondo. Nel 1997 Medici fu arrestato, condannato per commercio illecito di opere d’ar-

te a otto anni di carcere, poi di- mezzati per buona condotta e

una amnistia. “Adesso sono un uomo libero”, dice. E nega che il vaso con Dioniso sia passato per le sue mani.

Ma le foto lasciano pochi dubbi. E proprio per que- sto l’archeologo non si è dato pace. Do- po la pubblicazione dell’articolo, si è ri- volto al Met senza mai avere una rispo- sta. Così, in primavera ha esposto il ca- so a Matthew Bogdanos, un magistra- to di Manhattan specializzato in furti d’opere d’arte, che ha subito aperto l’in- chiesta e poi deciso il sequestro.

Il Met si difende: “Non siamo rimasti con le mani in mano”, dicono i dirigen- ti. Spiegano di aver avvertito l’anno scorso le autorità italiane. Hanno poi mandato nel dicembre 2016 una richie- sta ufficiale di chiarimenti al ministero dei beni culturali guidato da Dario Franceschini. Ma da Roma, solo il silen- zio assordante della burocrazia, alme- no per sei mesi: quando invece è entra- to in azione il procuratore Bogdanos. E adesso? Il cratere Python è destinato a tornare in Italia, dicono gli esperti.

mia è ammessa dalla religione ma mal vista a livello del com- portamento sociale. Molto im- portante, nell’islam iraniano, è infine la dimensione cultura- le, intesa in modo tutt’altro che autarchico. Chi scrive ha avuto l’occasione di ascoltare il discorso pronunciato nel 2004 dal presidente Khatami in occasione dell’inaugurazio- ne di una nuova biblioteca reli- giosa nella città di Qom. Khata- mi esordì allora in questo mo- do: «C’è fra noi chi dice che ai musulmani serve un solo libro.

Io vi dico invece che servono tutti i libri». E continuò citan- do Platone e Aristotele. Viene in mente la corrente mutazili- ta dell’islam, che per un certo periodo fu anche politicamen-

te egemonica: un islam forte- mente “filosofico” ben diverso dalla corrente storicamente dominante, quella giuridica (la sharia) e da quella, minori- taria ma importante, del misti- cismo sufi.

L’islam di regime, in Iran, cerca di controllare e, se neces- sario, stroncare queste apertu- re, questo dialogo non solo poli- tico ma anche filosofico-cultu- rale. Ma chiunque abbia occa- sione di conoscere la società iraniana si può facilmente ren- dere conto del fatto che nem- meno all’interno del clero l’i- slam iraniano è monolitico, e che le pronunce dottrinali dei principali ayatollah configura- no un sistema che può accoglie- re trasformazioni anche radi- cali.

La componente “repubblica-

na”, in un sistema costituzio- nale reso del tutto anomalo e incompatibile con la divisione dei poteri dalla presenza al ver- tice del sistema di un Leader Supremo religioso, è quella at- traverso cui la storia e la cultu- ra iraniane, comprese quelle pre-islamiche, hanno diritto di cittadinanza. E certamente questo è il modo in cui la popo- lazione, compresi gli individui con forte identità religiosa, percepiscono e rivendicano la propria appartenenza alla na- zione iraniana.

Ma che prospettive esistono oggi del successo di un rilancio della storica esperienza della via della seta? Oggi la politica dei paesi attraversati dall’anti- ca via che si vorrebbe rilancia-

re a fini economici, risulta in clamorosa contraddizione con quella storica realtà di conti- nuo scambio di cose e di idee e anche di meticciato sia etnico che culturale.

Dalle ambizioni del novello impero di mezzo cinese al so- vranismo indiano, dall’aspra lotta dei conservatori iraniani – numericamente minoritari ma fortemente insediati nella struttura di potere della Re- pubblica Islamica – al naziona- lismo islamista turco: tutti vor- rebbero frontiere attraversate dalle merci ma chiuse al transi- to umano e impermeabili alle idee e alle influenze esterne, considerate inquinanti e peri- colose, mentre la storia ci di- mostra che sono vitali.

 $POUJOVB

ROMA. Al via #attimidigioia, la campagna social lanciata per il mese di agosto dal ministero dei Beni Culturali. Il Mibact rinnova l’invito a una vera e propria “cac- cia al tesoro digitale” nei musei italiani: i visitatori, muniti di smartphone o macchina fotogra- fica, sono chiamati a catturare immagini di festa raffigurate in opere d’arte, sculture, vasi, affre- schi, quadri, ma anche a raccon- tare attraverso gli scatti il pro- prio stupore. Tutti possono con- dividere le proprie foto con gli ha- shtag #attimidigioia e #agostoal- museo.

"35630;".1"(-*0/&

*M.FUSPQPMJUBOCMPDDB VOBOUJDPWBTPJUBMJBOP

*MSFQFSUPEFMBWBOUJ$SJTUPGVBDRVJTUBUPEBMNVTFP

EJ/FX:PSLOFM.BQPUSFCCFFTTFSFTUBUPUSBGVHBUP

-01&3"

*MWBTPEFMB$

PSBTPUUPTFRVFTUSP

$"1"-#*0

5FSFTB$SFNJTJ i%F(BVMMFÒTUBUP VOHSBOEFTDSJUUPSFw

#&/*$6-563"-*

i"UUJNJEJHJPJBw MBDBNQBHOBTPDJBM MBODJBUBEBM.JCBDU

ª3*130%6;*0/&3*4&37"5"

.BSDP1PMPTDSJWFDIFB4BWFI OFMDVPSF EFM1BFTF TJUSPWBWBMBUPNCBEFJ3FNBHJ

David Leadbeater OFMMB  GPUP con il suo thriller5IF3FMJD)VO

UFST ha vinto il premio Amazon Kindle Storyteller, il riconosci- mento di 20mila sterline asse- gnato dalla centrale britannica del sito di e-commerce agli scrit- tori che pubblicano libri col self publishing. Leadbeater ha an- nunciato che, nonostante la va- sta produzione — sono più di venti i suoi romanzi pubblicati online — e le proposte di diversi editori tradizionali, preferisce continuare ad autopubblicarsi:

«Voglio essere il capo di me stes- so», ha detto.

3&(/06/*50

"NB[POQSFNJB JMNJHMJPSSPNBO[P EFMTFMGQVCMJTIJOH

-"4&3*&

i-BWJBEFMMBTFUBu

SBDDPOUBJMNJUP

EFMM0SJFOUF

DIFBUUSBWFSTB

MBDVMUVSB

PDDJEFOUBMF -BQSJNBQVOUBUB

ÍTUBUBQVCCMJDBUB JMMVHMJP

*--6453";*0/&%*1*&3-6*(*-0/(0

ROMA. «De Gaulle? È stato un grande scrittore. Sarkozy, inve- ce, si è sempre fatto scrivere i li- bri dagli altri». Sono alcuni giudi- zi sui politici francesi e la lettera- tura rilasciati da Teresa Cremisi OFMMBGPUP. La ex direttrice gene- rale della casa editrice Galli- mard era ieri ospite del festival Capalbio libri con il ministro dei Beni culturali Dario Franceschi- ni. Tra i “promossi” il ministro dell’Economia Bruno Le Maire. E Macron? Dovrebbe leggere l’&O

SJDP*7 di Shakespeare «per capi- re che quando sei al potere il pro- blema è schivare gli agguati».

Copia di 18efaa1c397ba457e71230cb617d9788

(6)

30 R2CULTURA la RepubblicaMARTEDÌ 8 AGOSTO 2017

S ospesa tra due continenti, modellata da tre diverse civi- lizzazioni, Istanbul si presenta quasi con un eccesso di passato e di fascino. Bisognerebbe arrivarci dal mare, come una volta, assistere al progressivo delinearsi del suo profilo di colli, cupole e minareti, il bruno dorato del- le mura, il golfo profondo del Corno d’Oro, il più bel porto naturale del mondo. Istanbul è stata romana con Costantino, bizantina con gli imperatori d’Oriente, ottomana con i sultani, repubblicana con Mustafa Kemal Atatürk, oggi conosce l’autoritarismo di ritorno del tirannico Recep Tayyip Erdogan che non può rinnegare apertamen

-

te il padre fondatore della Tur- chia moderna, Atatürk cioè pa- dre dei Turchi, però di fatto lo can- cella. Ciò che subito appare sono le tracce dei quasi cinque secoli di impero ottomano (1453-1918).

Se ci si pensa non sarebbero mol- ti rispetto ai dieci secoli e passa, più di mille anni, della preceden- te civiltà bizantina quando Istan- bul ancora si chiamava Costanti- nopoli e i suoi abitanti si definiva- no “romani”. Lo dicevano in gre- co, (oi romaioi), però lo dicevano perché quella era la loro radice, il punto di riferimento. Tale la per- sistenza del mito di Roma che do- po la conquista di Costantinopoli (1453), perfino il sultano aggiun- se ai suoi titoli quello di Qaysar-i Rum, Cesare dei Romei. Dei mille

anni di dominio bizantino non è rimasto molto anche se ciò che re- sta è di qualità notevole e si sba- glia a trascurarlo. Prevale però l’attrazione delle tracce ottoma- ne anche perché su quel periodo si sono a lungo concentrate le fan- tasie dell’Occidente. Quelle cupo- le larghe e basse - così diverse del- le cupole barocche - contrappun- tate da minareti sottili come ma- tite, evocano la città dei sultani, dei loro ozi, dell’harem affollato di giovani schiave pronte ad ogni capriccio.

Per un singolare paradosso la parte della città che più richiama l’Oriente e i sultani si trova sulla quota di territorio che geopoliti- camente fa parte dell’Europa. Lì sono la città antica con le mo-

schee principali, a cominciare da Santa Sofia, il grande Bazar, il pa- lazzo reale (Topkapi) con l’ha- rem, i mausolei, l’ippodromo, un importante museo archeologico.

Verso nord, al di là dello stretto braccio del Corno d’Oro, si trova la città più recente dominata an- cora oggi dalla torre genovese di Galata che deriva il nome da “ca- làta” nel senso di banchina desti- nata all’ormeggio. Il nome attua- le del quartiere è Beyoglu, una volta si chiamava Pera, che non ri- manda al frutto naturalmente ma al greco para prefisso che in- dica prossimità, vicinanza. Vici- na era infatti la collina di Pera a quella della città vecchia. Il viale principale di Beyoglu si chiama Is- tiklâl Caddesi (viale dell’Indipen-

denza), una volta si chiamava Grande Rue de Pera attraversa- va la zona dove soggiornavano i viaggiatori occidentali, gli avven- turieri, le belle donne in cerca di fortuna, le spie. Ancora oggi lo percorre su e giù un caratteristi- co piccolo tram rosso. Nelle vici- nanze si trova il Grand Hotel de Pera molto frequentato, un tem- po, dagli autori di romanzi polizie- schi e dai grandi inviati di guerra.

Due nomi su tutti: Agatha Chri- stie, Ernest Hemingway che, co- me Garibaldi, sembra essere sta- to dappertutto.

Non ho citato il nome dell’Eroe a caso. Infatti Garibaldi è stato an- che a Istanbul a benedire, se così posso dire, una società operaia or- ganizzata dai numerosi emigran-

ti italiani che lavoravano nella cit- tà. La sede era stata notevolmen- te danneggiata dal tempo e dall’incuria. Un giovane storico italo-turco - Sedat Bornovali - amante dell’Italia, ha trovato i

fondi per restaurarla, oggi la può visitare: stanze, documentazio- ne, arredi, il salone-teatro dove si tenevano riunioni, comizi, balli, feste. Sul boccascena la commo- vente scritta: «Chi ama la patria

la onori con le opere». L’edificio si trova in una brevissima traversa del Viale dell’indipedenza, Deva Cikmazi. Al fondo, fra i civici 2 e 4, c’è l’austero edificio, tre piani, della Società Operaia Italiana di

Mutuo Soccorso fondata, ulterio- re curiosità, nel 1863 - solo due an- ni dopo la proclamazione del Re- gno d’Italia.

Da quando le ambasciate non sono più qui ma ad Ankara, capi- tale politica, le loro vecchie sedi sono diventate centri culturali, proiettano film in lingua origina- le, ospitano scrittori dei rispettivi paesi. Lo fa anche l’Italia che con- serva a Istanbul uno dei suoi Isti- tuti Culturali più belli.

Varchiamo il Corno d’Oro, ma- gari a piedi attraverso il ponte di Galata, torniamo nella città vec- chia con le sue meraviglie a co- minciare da quella religiosa (ora è un museo) di Santa Sofia e dal palazzo imperiale detto Topkapi.

Non do i dettagli, si trovano su ogni guida, durante il mio sog- giorno in città quello che ho cerca- to di cogliere è stato il clima, direi la temperatura di quei luoghi. A Santa Sofia si può cogliere con re- lativa facilità se si è pronti a co- gliere i segni del passaggio dal culto cristiano a quello musulma- no. Esperimento che del resto si può fare anche a Roma - penso, per esempio, alla basilica dei San- ti Quattro Coronati: vecchi tem- pli adattati ai riti d’una nuova reli- gione.

Topkapi non è un palazzo ma una città cinta da una triplice co- rona di mura, suddivisa in vari ambienti, tesoro, sala del gover- no, harem, magazzini, cucine ec- cetera. Quello che per noi è il Con- siglio dei ministri, per gli ottoma- ni era il Divan, infatti su comodi divani sedevano il Gran Visir con i suoi pascià. Sopra di loro, sulla parete, una finestra chiusa da una fitta griglia; da lì il sultano po-

LA VIA DELLA SETA

La città bazar di culture dove nascono gli imperi

Romana, bizantina, ottomana, repubblicana Tra cristiani, filosofi, harem ed eunuchi

Sulle tracce dei mercanti genovesi e quelle di Garibaldi Inseguendo un’idea di civiltà protesa verso Oriente

ma con le radici in Europa Benvenuti a Costantinopoli

Istanbul

I segreti

“Chi ama la patria la onori con le opere”

si legge nella società degli emigrati italiani

CORRADO AUGIAS

3

di

Copia di 18efaa1c397ba457e71230cb617d9788

(7)

la RepubblicaMARTEDÌ 8 AGOSTO 2017 31

B

ambine anni ’50, bambine della buona borghesia mila- nese, bambine con genitori molto belli e molto giovani, un padre pioniere dell’elettronica e spesso lontano, una mamma appassio- nata e colta che, in vacanza a Milano Marittima, una mattina poteva trasci- nare tutte in bicicletta sino a Raven- na, perché le figlioline imparassero presto ad amare la bellezza, in quel ca- so quella incomparabile dei mosaici bi- zantini. Bambine come si poteva esse- re allora, che crescono in una città in pieno futuro dopo la guerra perduta, abituate alla supremazia affettuosa e severa dei genitori, ad ubbidire, a ma- turare i loro segreti in un mondo a par- te, che non poteva accedere ai segreti misteriosi degli adulti. Solo immagi- narli, fantasticarne. Cosa resta oggi di quell’infanzia privilegiata? «A me re- sta il nocciolo duro della mia perso- na», dice Irene Bignardi, che ha scrit- to il suo primo libro di narrativa, una raccolta di dieci racconti incantevoli, e li definisco così perché mi hanno in- cantato, inaspettatamente: per la scrittura delicata ed evocativa, per- ché le sue sono bambine d’epoca, co- me tante donne di oggi sono state, e ne hanno dimenticato il tesoro lumino- so, lungo una lunga vita ormai irrepa- rabile. Viene in mente Simone de Beauvoir, La forza delle cose: “Rive- do… le promesse di cui ardeva il mio cuore quando contemplavo ai miei pie- di questa miniera d’oro: tutta una vita da vivere. Le promesse sono state mantenute. Eppure volgendo uno sguardo incredulo su quella credula adolescente, posso rendermi conto, stupita, fino a che punto sono stata de- fraudata”.

Kerestetìl è il titolo di un racconto e del libro di Bignardi, in ricordo di quel- la struggente canzone di Charles Tre- net, Que reste-t-il de nos amours, amo- ri dolenti che le bambine, le due sorelli- ne, dieci e sei anni, “precocemente sa- pienti, educate ai grandi sentimenti attraverso la musica, i quadri le lettu- re” aspettavano con impazienza. Non si tratta di una autobiografia divisa in dieci storie, ma di “una autoetereogeo- grafia”, come la definisce l’autrice, memorie del piccolo mondo antico in cui si è formata in attesa di essere lei:

una donna bellissima («da piccola ero bruttina, un topolino») con tutte le sue storie di amori e affetti, molto col- ta, impegnata, di successo, grande cri- tica di cinema, sapiente direttrice di festival, autrice di tanti saggi. Come Storie di cinema a Venezia a cui si è

ispirata Wilma Labate per Racconta- re Venezia, cosceneggiato da Bignar- di, che sarà presentato alle Giornate degli Autori della 74ma Mostra del ci- nema. La bambina Irene, che nei rac- conti cambia nomi, e la sorellina più piccola, crescevano intrise di cultura senza accorgersene: divoravano Jane Austen, si facevano spiegare il Diario di Anna Frank, ascoltavano la voce di Foà leggere García Lorca, e poi c’era sempre qualcuno che le incantava rac- contando con indispensabile pudici- zia film come Casablanca e Cime tem- pestose, La fiamma del peccato e Le diable au corps. Le vacanze non finiva- no mai, nelle ville dei nonni sul lago, sulle spiagge ele-

ganti sino a set- tembre, sulle montagne au- striache, vacanze gineceo, avventu- rose e un po’ noio- se, mamme, zie, nonne, cuginetti, tutti insieme, e ra- ramente i padri, gli uomini, che re- stavano a lavora- re in città, o così dicevano: primi innamoramenti, piccoli errori allo- ra scandalosi, sus- surri fantasiosi sui misteri del ses- so, qualche ami- ca troppo carina e

sventata. Sulla copertina rossa di Kere- stetìl si apre un tondo in bianco e nero, la foto di un sipario da cui si affaccia una stupendissima donna del genere modella anni ’50. Quella donna è Jean- ne Klein, allora moglie di William Klein, e quella quinta a puntuti trian- goli astratti-espressionisti, doveva se- parare il salotto dalla sala da pranzo nella nuova casa milanese dei giovani Bignardi: era il 1953, tutto doveva es- sere nuovo e giovane, lo era l’architet- to Angelo Mangiarotti, consigliato da Ernesto Nathan Rogers, che suggerì per le decorazioni il giovane e allora sconosciuto americano di Parigi, Klein, diventato uno dei più grandi fo- tografi di moda. Alla fine papà Bignar- di trovò l’opera d’arte orribile, gli ami- ci ne furono terrorizzati, alla Irene di 8 anni procurò incubi: non ne restano che le foto. E da adulta la Bignardi non ha dimenticato e ha scelto di vivere in una casa antica di muri e arredamen- to, riposante e amica.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

teva assistere alle riunioni anche se nessuno sapeva se davvero il capo supremo, dal quale dipende- va la vita di ognuno, fosse davve- ro presente.

Ciò che si vede dell’harem è una serie di sale, stanze, stanzet- te, hamam, oscuri passaggi qua- si tutti vuoti meno la sala del tro- no. Bisogna immaginarla la vita delle tre o quattrocento schiave che popolavano quegli ambienti.

Serve, sguattere, addette alle cu- cine, ai fiori, ai bagni, alla cura della Valide sultan, madre del sul- tano regnante, fino al vertice del gineceo: le favorite, le mogli, la preferita, madre del primogeni- to maschio.

Tutte, nei diversi ruoli, schia- ve di un’organizzazione dove ave- vano spazio capricci, crudeltà, ge- losie, lascivie, vendette, ma dove vigeva anche una disciplina qua- si da caserma della quale s’incari- cavano gli eunuchi.

È stato questo complesso ap- parato politico, religioso, milita- re, legislativo - e sensuale - a spe- gnere la memoria dei bizantini.

Ingiustamente. Perché la dottri- na cristiana nata con Paolo di Tar- so - oggi lo diremmo un turco - ha preso forma qui. I primi concili cristiani, a cominciare da quello di Nicea del 325 (voluto da Co- stantino in persona) sono avve- nuti a Istanbul o nei dintorni. Bi-

sognerà arrivare al 1123 perché un concilio si svolga in Occiden- te, a Roma nella basilica di San Giovanni in Laterano. Resta dell’altissima civiltà bizantina un luogo che andrebbe visitato, almeno quello: la chiesa protocri- stiana detta di San Salvatore in Chora (letteralmente: fuori cit- tà, in campagna). All’interno mo- saici e affreschi tra i massimi dell’arte bizantina. Ma più del pregio pittorico, ciò che prende il visitatore - che certamente ha preso me - è il valore di testimo- nianza: una grande fede appena nata, nel momento in cui ritene- va di poter cambiare il mondo.

NATALIA ASPESI

Educazioni sentimentali nella Milano del boom

“Kerestetìl” di Irene Bignardi è una raccolta di dieci racconti con protagoniste bambine. Tra ricordo e poesia

©RIPRODUZIONE RISERVATA

*

GENOVA. IL COMICO E SHOWMAN NOMINATO DALLE GIUNTE DI DESTRA. “MA LA MIA NON È UNA SCELTA DI CAMPO. MI MANGERANNO VIVO”

Luca Bizzarri, una “Iena” presidente di Palazzo Ducale

S

arà Luca Bizzarri il nuovo presidente di Palazzo Ducale a Ge- nova. La nomina non è certo delle più canoniche e Bizzarri lo sa, tanto che affida a Facebook questo commen- to: «Che sfida. Che onore. Mi mangeranno vivo. Un sacco di gente godrà se le cose an- dranno male». Bizzarri è geno- vese doc, molto amato in cit- tà, dove ha anche aperto una scuola di danza. Nel suo curri- culum ci sono le gag del duo Luca e Paolo e molti program- mi tv cult, dalla Iene a Colora- do fino a Camera Cafè e a Quelli che il calcio che inaugu-

reranno la nuova stagione Rai a partire da settembre, co- stringendo Luca a dividersi tra la sua città e il piccolo schermo. Come coordinerà i numerosi impegni professio- nali? Nei post dei suoi ammi- ratori tra i tanti plausi si affac- cia qualche comprensibile perplessità di fronte a un inca- rico culturale così serio e pre- stigioso. Un ruolo fin qui rico- perto da Luca Borzani, studio- so di storia e per anni assesso- re alla scuola e alla cultura, che tre giorni fa scriveva su Facebook: «C’è un grande bi- sogno di piantare bandiere perché tutto sembra ridotto a

un puro gioco di po- tere, aspi- razione a impadro- nirsi di qualcosa che nean- che si cono- sce».

Ma la po- litica in cerca di glamour va a pesca-

re dove può e i comici si sa in questi tempi tristi vanno per la maggiore. L’ex Iena rischia così di servire da nome esca

per puntare su un’immagine più pop, più a portata di sponsor e turi- sti. Da parte sua Luca, pur confessando di

“aver detto sì tra mille pen- sieri”, mette avanti l’amore per Genova, il sentimento di appartenenza:

«Perché sono genovese e qual- siasi genovese, davanti alla possibilità di impegnarsi per la propria città, avrebbe det-

to sì». Poi visto che la genove- sità aiuta ma è chiaro che non può bastare, aggiunge: «Par- to per questa avventura con- scio dei miei limiti». E sul fat- to che l’incarico gli arrivi dal- la destra del sindaco Marco Bucci e del governatore della regione Giovanni Toti, il comi- co commenta preventivo: «La mia non è una scelta di cam- po». D’altra parte il duo è tele- visivamente trasversale, di- sinvoltamente a proprio agio a La7, Mediaset e Rai.

«Userò la fantasia, l’espe- rienza che ho accumulato ne- gli anni, la passione che mi le- ga a tutte le forme di spettaco-

lo, intrattenimento e cultura e conterò sull’aiuto di tutti, a partire dal nuovo direttore che avrà le competenze speci- fiche a me mancanti», scrive Luca nel suo post.

Ma Palazzo Ducale è una macchina da 600 mila presen- ze l’anno, che ha prodotto eventi di enorme successo, dalla mostra di Van Gogh a quelle di Frida Khalo e Mun- ch. Per il momento la pro- grammazione è coperta fino alla mostra di Picasso, in agen- da per la prossima primave- ra, dopo, però, bisognerà esse- re all’altezza. In futuro a con- tare saranno solo i risultati.

RAFFAELLA DE SANTIS

IL LIBRO Kerestetìl di Irene Bignardi (Astoria

pagg. 97, euro 12) Sopra, un dipinto di Tamara de Lempicka

ILLUSTRAZIONE DI PIERLUIGI LONGO

Copia di 18efaa1c397ba457e71230cb617d9788

(8)

28 R2CULTURA la RepubblicaLUNEDÌ 14 AGOSTO 2017

“L’ autunno del Medio Oriente”: ti piace questo tito- lo, ovviamente tratto da quello del famoso libro di Huizinga su “L’autunno del Medioevo”? Hui- zinga raccontava la fase storica in cui il Medioe- vo stava per cedere il passo al cosiddetto Rinasci- mento. Non ti sembra che anche oggi siamo in una fase storica di transizio- ne? Non necessariamente alla vigilia di una nuova Rinascenza, ma certo di

nanzi allo sbriciolamento di un ordine politico occidentale supe- rato da fatti, che gli storici del presente cercano di interpreta- re, ma senza riuscirci, forse per- ché spesso non conoscono o non tengono presente il passato?

Franco Cardini: Come il proble- ma di Huizinga in fondo non è l’autunno del Medioevo ma la cri- si del primo dopoguerra, così per noi l’autunno del Medio Oriente è in realtà la coscienza della crisi dell’assetto che ci ha portato a chiamarlo così, con una definizio- ne tanto convenzionale quanto quella di Medioevo. L’assetto da- to a quell’area dai vincitori della Prima Guerra Mondiale era, co- me tutto, provvisorio. Ma la sua provvisorietà per lunghi decenni è rimasta ignorata. La vediamo bene adesso perché siamo alla vi- gilia di una transizione, ma non saprei bene verso cosa.

Silvia Ronchey: C’è sempre un eufemismo, una censura in atto quando si parla di “cose di mez- zo”. Scriveva Borges: «L’impero romano non è mai finito e ci tro- viamo in un punto qualunque del- la sua decadenza e caduta». In termini storiografici, il Medioe- vo è un evo “di mezzo” tra antichi- tà e modernità. Ma se si guarda la storia dalla sponda orientale del Mediterraneo, non esiste una

“terra di mezzo”, né geografica né cronologica, bensì una conti- nuazione dell’impero romano tardoantico, fino alla soglia dell’e- ra moderna. E Bisanzio include- va o irradiava quello che chiama- vamo Medio Oriente. Tanto più assurdi i luoghi comuni che si nu- trono di una definizione “medie- vale” del mondo islamico a signi- ficare, alternativamente, l’arre- tratezza civile, sociale, economi- ca della sua storia postcoloniale, o la brutalità della guerra che vi

facciamo.

FC: Per Edward Said l’orienta- lismo, cioè il tentativo di definire che cosa sia l’Oriente da parte della cultura occidentale, è una sovrastruttura. Di cosa? Dello sfruttamento capitalistico. Nean- che la drôle de guerre che stiamo combattendo in questo momen- to ha nulla di medievale. E come andrà a finire lo aveva già teoriz- zato il califfo Al Baghdadi. Co- munque vadano le cose, l’Islam tracimerà. Abbiamo vinto a Mo- sul, stiamo vincendo a Raqqa, ma quand’anche il Daesh fosse battuto il suo lavoro continuerà sotto forma di terrorismo in Euro- pa. Perché l’islam tutto e solo nell’Oriente non ci sta. Perché l’i- slam è l’Oriente dell’Occidente ma anche l’Occidente dell’Orien- te.

SR: La nostra è un’epoca in cui, nell’autunno del Medio Oriente, si fa un gran parlare di Oriente tout court: di scontro di civiltà tra un Occidente identifi- cato con l’Europa nordoccidenta- le e l’America da un lato, e un Oriente imprecisato, vasto e spa- ventoso, “che ci fa guerra”.

FC: La verità è che l’Oriente e l’Occidente sono due punti cardi- nali, due entità non solo conven- zionali ma anche molto più com- promettenti e sfuggenti dei loro cugini settentrione e meridione, che hanno uno statuto assoluto.

SR: Ma il problema di dove co- mincia l’Oriente, più ancora che geografico, è storico. Quand’è che cominciamo a distinguere tra Oriente e Occidente?

FC: Nell’Iliade e nell’Odissea il problema non c’è. Forse nella no- stra cultura è impostato per la prima volta dai Persiani di Eschi- lo, che pone la questione della Grecia e della Persia. Poi ci sono Ottaviano e Antonio da una par-

te e il testamento di Teodosio dall’altra, che definisce la pars Orientis e la pars Occidentis dell’impero romano, almeno in parte corrispondenti alla frontie- ra tra Europa e Asia. È quello for- se il punto di partenza storico.

SR: Permettimi di dissentire.

Riguardo alla Grecia, Erodoto, il fondatore della storia, nasce in

Asia Minore; la grande guerra del Peloponneso è una partita a tre in cui a dare le carte – ad Ate- ne, a Sparta e ai vari partiti all’in- terno di ciascuna polis, come rac- conta bene Luciano Canfora – è sempre e comunque l’impero persiano; Senofonte, l’allievo for- se più brillante di Socrate, se ne va a servire il gran re di Persia.

Per quanto riguarda Roma sap- piamo che Cesare aveva sognato di spostare la capitale ad Alessan- dria, seguito da Antonio, a sua volta fermato dalla restaurazio- ne un po’ beghina di Augusto.

FC: La tua è una buona traccia perché ci permette di fare subito i conti con la figura iniziale di que- sto sogno che non avrebbe porta-

to alla distinzione tra Oriente e Occidente ma a un discorso diver- samente ecumenico. Parlo del di- segno di Alessandro. La sua om- bra si proietta non solo su Cesare ma addirittura sull’islam quan- do si dice ogni tanto, anche a tor- to, che ci sono califfi o sultani che hanno continuato a dire che vo- gliono conquistare l’aureo pomo, Roma. Ma Roma non è Roma. Ro- ma è Rûm, è l’impero romano, os- sia Costantinopoli.

SR: Dopo che il baricentro dell’impero romano torna a spo- starsi a Oriente, ecco che la capi- tale si sposta da Roma alla fron- tiera esatta tra Europa e Asia.

Nel IV secolo l’impero romano mi- gra e lascia dietro di sé un territo- rio che Giustiniano cerca di recu- perare ma che poi viene abbando- nato. La pars occidentalis non c’è più. Ci sono i papi.

FC: Ma è questa parte dell’im- pero, metabolizzata come sappia- mo con apporti celtici e germani- ci, che a un certo punto vuole strappare rispetto a una tradizio- ne antichissima, risalente alla fondazione dell’impero cristia- no, a Teodosio, per cui il vero arbi- tro della chiesa, il suo protettore ma anche il suo coordinatore, re- sta l’imperatore. Questa separa- zione tra potere temporale e po- tere spirituale i bizantini l’hanno sempre mantenuta, mentre in Occidente è accaduto quello che è accaduto.

SR: Allora lascia che ti provo- chi: non pensi che in realtà la di- stinzione vera, quella politica e cruenta, tra Oriente e Occidente cominci con la distinzione eccle- siastica? Potrei citare il Sacro Ro- mano Impero di Carlo Magno, il filioque, lo scisma di Fozio…

FC: E quello del 1054. In realtà l’idea dell’Oriente e dell’Occiden- te come qualcosa di contrappo-

Medio Oriente

L’autunno

Aspettando il Rinascimento che questa volta arriverà da est

SILVIA RONCHEY

4

del

LA VIA

DELLA SETA Davanti a un ordine politico ormai messo in crisi dagli eventi, forse è nella Storia che possiamo trovare risposta a tanti interrogativi Quando è cominciata davvero la distinzione tra i due blocchi

del mondo? E che influenza ha avuto la caduta di Costantinopoli su quanto stiamo vivendo oggi? Ecco il confronto tra Silvia Ronchey e Franco Cardini

I dialoghi

Copia di 18efaa1c397ba457e71230cb617d9788

(9)

la RepubblicaLUNEDÌ 14 AGOSTO 2017 29

Q

uello che fino alle 12 del 7 luglio scor- so è stato solo il vicario generale della chiesa milanese, ed è poi stato scelto da papa Francesco per succedere al cardinale Angelo Scola, come nuovo arcivesco- vo di Milano è uno di quei «preti senza fronzoli, particolari pretese, ambizioni, uomini capaci di stare fra la gente, vicini alle attese, sofferen- ze e desideri di ognuno. Sacerdoti in ascolto del popolo perché essi stessi del popolo», così lo de- scrive Paolo Rodari, vaticanista di Repubblica, nel primo – e finora unico – libro de-

dicato a Mario Delpini (Piemme, pagg. 168, euro 15,90). Sono pagi- ne dalle quali si esce con un’idea chiara di come potrà essere l’epi- scopato del nuovo arcivescovo, che rispetto ai suoi illustri predecesso- ri ha pubblicato poco – un paio di li- bri, dei quali uno di favole per bam- bini – prima della nomina che lo porterà il 24 di settembre sulla cat- tedra di sant’Ambrogio.

Delpini è uno che, come ricorda Rodari, già alla nomina fatta da Bergoglio, metteva in chiaro, da- vanti a taccuini e telecamere, in di- retta col Vaticano, di essere solo

«un mediocre impiegato» e di sen- tire «soprattutto la mia inadegua- tezza».

Non era facile, dunque, con que- ste premesse, riuscire a ricostruire il Delpini-pensiero, andando a rin- tracciarlo nella miriade di omelie, preghiere, in quelli che il monsi- gnore chiama «pensierini senza pretese», o negli articoli scritti per Avvenire, oltre che nelle sue lun-

ghe, spirituali poesie. Rodari sottolinea che Delpini, come Francesco, nella sua ostentata semplicità e schiettezza, potrà stupire. L’ex ret- tore del seminario superiore di Venegono, dal quale sono passati tutti i preti delle 1100 par- rocchie ambrosiane, viene definito da Rodari un «brillante predicatore», un «attento lettore della realtà», «un uomo per il quale la sobrietà è una regola di vita, un vero prete ambrosiano, sensibile, umile e ironico», uno capace di paro- le «che rimangono impresse, sempre tese a in- dicare la speranza contro la disillusione e i miti dei nostri giorni – dei soldi facili, delle tante droghe che anestetizzano la coscienza, del suc-

cesso a tutti i costi –, a sostenere una serietà magari impopolare di fronte alle menzogne che nascono dall’arroganza, dalla sopraffazio- ne, dal credersi superiori agli altri».

Di sicuro, spiega l’autore, Delpini è uno che conosce come le sue tasche la “macchina” della chiesa milanese, i nomi di tutti i sacerdoti (che gli danno del tu), le vie di una città che percor- re in bicicletta, con casco e pettorina fosfore- scente, intenzionato a non traslocare nel palaz- zo sontuoso della Curia arcivescovile per non la- sciare l’anonimato povero e sempli- ce della “Casa del clero”, nel quartie- re multietnico di Porta Venezia.

Rodari ha ritrovato anche una ri- flessione del 2014 dedicata ai mila- nesi, dalla quale si capisce come Del- pini sia profondamente radicato nel cuore della città: «Voglio fare l’e- logio del volto della nostra gente.

Certo potrebbero sorridere un po’

di più, ma hanno il volto serio, come chi considera la vita una cosa seria:

si alza ogni mattina, la nostra gen- te, e ricomincia a far funzionare il mondo: non si stupisce che ci sia da fare, fare in fretta, fare bene, fare quello che si deve fare. Voglio fare anche l’elogio del malumore della nostra gente. Conosco i difetti e le ferite della città, so dei drammi e delle complicazioni, della fatica di vivere e della consunzione della spe- ranza, dell’apprensione per l’inedi- to e della troppa solitudine».

Degli scritti del nuovo arcivesco- vo, Rodari sceglie ed estrae frasi illu- minanti su quelli che saranno i prin- cipi guida del suo episcopato, dove le chiese dovranno avere le «porte aperte»,

«senza muri», puntando su «semplicità», «es- senzialità», «prossimità», «vicinanza» «quoti- dianità». Il tutto, senza tradire i valori forti dell’accoglienza e della solidarietà verso i pove- ri, e anche verso i musulmani, perché «i cristia- ni volenterosi reagiscono alla paura con l’intel- ligenza, il realismo, l’impegno a generare il fu- turo con la creatività che costruisce un Paese ospitale invece che una terra spaventata e ras- segnata». E perché «chi si fida di Dio, vince la paura e rinnova la vita cristiana perché abiti il nostro tempo come tempo di grazia».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

sto non si sarebbe mai sviluppata se non si fosse persa Bisanzio.

Pensiamo al famoso verso di quel- la poesia di Kipling: «L’Oriente è l’Oriente e l’Occidente è l’Occi- dente e non si potranno mai in- contrare». È un’idea che non sa- rebbe mai stata pensabile se la vo- cazione universalistica di Roma non si fosse azzerata, perché su- perata o negata dagli eventi. Ne- gata poi molto a fatica dato che la caduta di Bisanzio è una delle ra- gioni per cui chi domina Istanbul non può andare, tecnicamente parlando, d’accordo con chi domi- na Mosca. Ancora oggi lo si vede.

SR: La caduta di Costantinopo- li del 1453 è stata descritta come un epifenomeno della fine della Pax Mongolica, che costrinse nel piccolo specchio del Mar Nero i

traffici e la competizione mercan- tile e finanziaria delle potenze protocapitaliste occidentali, ve- neziani e genovesi anzitutto, creando un conflitto acerrimo tra loro che fu la più diretta causa della fine dell’impero bizantino.

Il grande mulino della civiltà bi- zantina, con la sua vocazione multietnica e la sua capacità di amalgamare popoli e culture, fa- ceva da cinghia di trasmissione a eventi che si verificavano più in là nel mondo che chiamiamo orientale – movimenti e migra- zioni di popoli, guerre e paci, poli- tiche economiche e sociali. Co- stantinopoli era solo una stazio- ne di posta di quella grande rete mondiale di trasmissione che so- lo dalla fine dell’Ottocento abbia- mo chiamato Via della Seta e che attraverso il Mediterraneo porta- va verso Occidente non solo beni

mercantili ma anche, se non so- prattutto, beni culturali: storie, canti, concezioni artistiche e filo- sofiche, credenze, culti religiosi in continua ibridazione, in cui ve- diamo non soltanto islam e cri- stianesimo di vari tipi ma anche tutta una serie di altre tradizioni religiose scambiarsi le loro mer- canzie. Oggi si parla di globalizza- zione e di New Silk Road. Vedi un ritorno, un nuovo spostamento dell’asse del divenire storico? Il futuro porterà un’egemonia dell’Oriente?

FC: Dire che la cultura occiden- tale ha trionfato sulle altre è un’affermazione valida da un punto di vista scientifico, tecnolo- gico, socio-economico. Ma que- sto trionfo non ha fatto sì che la fi- losofia dell’induismo sia diventa-

ta nulla rispetto a quella cristia- no-occidentale o addirittura a quella dell’Occidente decristia- nizzato. Inoltre, è la stessa ege- monia socio-politico-economi- co-finanziaria che avvertiamo di stare perdendo nel momento in cui il processo di globalizzazione ha reso la cultura cosiddetta occi- dentale quella di tutto il mondo, o perlomeno delle sue classi diri- genti. Ma non è più legata ai po- poli occidentali. L’avanzata della Cina è possibile perché i cinesi proseguono una tradizione in cui sono entrati successivamente.

Ma continuano ad essere occi- dentali, più o meno come i barba- ri che conquistarono l’impero ro- mano hanno cercato in tutti i mo- di di proseguirlo. La cultura occi- dentale continuerà a dominare il mondo. Ma forse sarà rinnovata in quanto strappata a quelli che

ne erano i portatori e gestita da altri che non hanno esattamente gli stessi problemi. Attraverso la Cina, e magari anche attraverso gli sceicchi arabi, è l’Occidente che ci viene di nuovo addosso, ma non è più l’Occidente umani- stico, illuministico o romantico.

È un Occidente come è stato ela- borato tra la fine dell’Ottocento e quella del Novecento. Che forse non avrà più tutti i complessi e tutti gli elementi di debolezza che sentiamo noi. La nostra eredi- tà ci si è disseccata tra le mani. Lo- ro la stanno facendo fruttificare in un’altra maniera. Il fatto che da qui a 20/30 anni la classe diri- gente del mondo non sarà più americana o inglese ma cinese o indiana e magari un po’ brasilia- na, pakistana o iraniana, dipen- de dal fatto che sono loro ad esser- si resi veri eredi e interpreti dell’aspetto più vivo della cultu- ra occidentale. Saranno loro i ve- ri occidentali in futuro.

SR: Nel pieno del cosiddetto Medioevo, in una piccola corte mongola, il sovrano indice una gara d’appalto tra i migliori arti- sti del mondo per affrescare la sa- la del trono del suo nuovo palaz- zo. Alla fine vengono selezionate due botteghe di artisti, una ovvia- mente di pittori bizantini e l’al- tra di cinesi. Il primo turno è dei bizantini, che realizzano una pa- rete meravigliosamente affresca- ta con colori mai visti. Tutti si do- mandano come potranno mai es- sere superati. È il turno dei cine- si, che devono fare la parete oppo- sta. Con i loro strumenti la leviga- no così perfettamente da farne uno specchio che riverbera quel- la affrescata dai bizantini. Natu- ralmente nella gara di corte i vin- citori sono gli artisti cinesi.

4. Continua

ZITA DAZZI

L’arcivescovo della gente tra preghiera e bicicletta

Paolo Rodari racconta in una biografia Mario Delpini, successore del cardinale Angelo Scola alla guida della Chiesa di Milano

*

©RIPRODUZIONE RISERVATA

IL LIBRO Mario Delpini.

La vita le idee e le parole del nuovo arcivescovo di Milano di Paolo Rodari (Piemme pagg. 168 euro 15,90)

Bisanzio con la sua vocazione multietnica era la stazione di posta di una grande rete perduta

ILLUSTRAZIONE DI PIERLUIGI LONGO

Copia di 18efaa1c397ba457e71230cb617d9788

(10)

42 R2CULTURA la RepubblicaSABATO 19 AGOSTO 2017

La guerra fredda di spie tra russi e inglesi

davanti a una tazza di tè

STEFANO MALATESTA

5

Il fantasma del Grande

Gioco

LA VIA DELLA SETA

Il confronto nell’Ottocento fra le due potenze fu chiamato “Great Game” da Kipling La scacchiera

era l’Asia . Ma la scena mutò con un incontro lungo i cammini che salivano sull’Himalaya

«T he Great Game», il grande gio- co, come lo battezzò Rudyard Kipling, è stata una vicenda di paranoia collettiva basata su fal- si presupposti e alimentata dal- la stampa popolare inglese. Dopo la guerra di Cri- mea — il primo avvenimento militare coperto da resoconti giornalistici dal vivo — era rimasto famo- so il reportage di John Russell, pubblicato dal “Ti- mes”, sulla carica di Balaklava. L’Inghilterra era di- ventata una potenza imperiale che andava a com

-

battere in latitudini e longitudi- ni remote. In Africa contro gli zu- lù, in Nuova Zelanda contro i maori, in India contro i sikh. Ma nessuna di queste storie guerre- sche aveva il fascino ed era segui- ta come la guerra non dichiarata tra russi e inglesi che aveva co- me sede le vallate dell’Himala- ya, abitate da strane popolazioni con gli occhi azzurri e i capelli biondi, in un paesaggio dramma- tico.

All’inizio dell’Ottocento i con- fini dell’impero russo distavano oltre tremila chilometri da quelli dell’India, il pezzo più pregiato di un puzzle chiamato Impero bri- tannico. Ma con il passare del tempo la distanza tra i due confi- ni si era accorciata, calando a po- che centinaia di chilometri. Già durante il regno di Pietro il gran- de la politica russa era diventata espansionistica. Prendendo co- me pretesto il vuoto di potere dell’Asia centrale, dove non esi-

stevano nazioni ma solo aggrega- zioni tribali chiamati Khanati, i russi avevano inglobato ogni an- no un territorio pari alla superfi- cie del Belgio. In previsione di ul- teriori avanzate lo zar aveva mandato verso est come descu- bridor uno straordinario perso- naggio, il grande esploratore Ni- colaji Przheval’skij, un russo dal nome impossibile, dalla volontà di ferro e dalle abitudini sessuali anomale. Non permetteva ai suoi soldati di abbandonare la di- visa e durante le estenuanti mar- ce attraverso il Tien Chan, le montagne celesti dell’Asia cen- trale, dove abitano i tirghisi, li fa- ceva marciare come fossero a una parata del reggimento Preo- brazenskij.

Come sempre nei paesi colo- niali dopo gli esploratori seguiva- no le truppe. In Africa orientale

dopo Livingstone erano arrivate le giubbe rosse. Nell’Asia centra- le dopo Przheval’skij arrivarono i cosacchi. Nel 1865 la grande cit- tà protetta da un muro imponen- te, Tashkent, era caduta sotto le cariche dell’esercito russo e tre anni più tardi era stato il turno di Samarcanda e di Bukhara. Ogni volta che la Russia incorporava nuovi territori, i suoi dirigenti si preoccupavano di far sapere al Foreign Office che l’espansione andava in direzione est verso il Pacifico e non verso sud. E che lo zar non aveva avanzato pretese sull’India non essendoci piani per impadronirsi dell’intera Asia centrale. Ma quando i russi, tre anni più tardi dopo Samarcanda, presero Khiva, a Londra come a Calcutta l’indignazione era alle stelle. Tutti ormai pensavano che fosse solo questione di tem- po per l’arrivo dei cosacchi a ca- vallo che avrebbero fatto risuona- re gli zoccoli dei cavalli sulle pia-

nure indiane. Anche il feldmare- sciallo Lord Robert di Kandaar, comandante dell’esercito india- no dall’83 al ’93, era antirusso e giurava sull’invasione.

Ha dell’incredibile come un uo- mo considerato il miglior soldato che abbia mai avuto l’Inghilterra dopo Wellington, non fosse infor-

mato che sugli otto passi che con- ducono dal Turkestan cinese in India sei erano impraticabili e so- lo due, il Minthaka Pass e il Khun- jerab Pass, che si trovavano ad una altitudine di oltre ottomila metri, erano transitabili solo d’e- state unicamente da due o tre uo- mini alla volta. L’unica via aper-

ta per tutte le stagioni passava per l’Afghanistan attraverso il Khyber Pass. Ma gli inglesi dove- vano sapere meglio di altri che entrare in Afghanistan in forze era un atto molto pericoloso. A metà dell’Ottocento il residente britannico con la sua guardia per- sonale era stato massacrato da

una folla che aveva bruciato an- che la sede della residenza e qual- che anno più tardi una carovana di afgani amici degli inglesi, scor- tata da truppe britanniche, era stata sterminata prima che arri- vasse ai confini con l’India. In at- tesa dei cosacchi che non arrive- ranno mai, il comando britanni-

CENTRALE UNICA DI COMMITTENZA DEI MONTI LATTARI Bando di gara - Direttiva 2014/24/UE - CUP H47B14000390005 - CIG 717538208C 1. C.U.C. Comunità Montana dei Monti Lattari, Via Municipio n. 10, CAP 84010, Tramonti (Sa), Tel +39089876354 - Fax: +39089876348 email: info@cmmontilattari.gov.it; proto- collo@pec.cmmontilattari.gov.it - Contatti: R.U.P.

P.A. Gaetano Sorrentino - tel. 081 8025829 - 089876354. Informazioni http://www.cmmontilat- tari.gov.it. 2. Oggetto: Progetto sperimentale finaliz- zato agli interventi urgenti di apertura del transito in modo controllato lungo la sp1 e alla progettazione delle azioni di messa in sicurezza dei valloni in frana in Comune di Tramonti (SA); Valore totale stimato:

IVA esclusa: 3.337.471,49 EURO; 3. Procedura aperta - Offerta economicamente più vantaggiosa.

Termine ricevimento offerte: 27/09/2017 Ora:

12:00; Apertura offerte: 05/10/2017 - Ora 10:00.

Il responsabile della C.U.C. dei Monti Lattari Gaetano Sorrentino

Copia di 18efaa1c397ba457e71230cb617d9788

Riferimenti

Documenti correlati

Il documento è stato realizzato con il contributo dell’Associazione delle Università e degli Addetti scientifici italiani accreditati nella Repubblica popolare cinese, nonché

4 China has also invested considerable sums to fund cooperation projects in several Italian schools, universities and research institutes, including the establishment of a

Sentiti il Relatore e - qualora presente(i) – l’eventuale (gli eventuali) Correlatore(i) ai fini della valutazione critica dell’impegno dello studente e del suo

Lungo il suo fitto reticolo di strade che collegavano città costiere e remote lo- calità dell'interno, e che già a fine Ottocento prese il nome di «Vie della Seta», battute da

Uno sguardo alla storia di questo secolo, la crescita della soggettività femminile, la riflessione condotta da singole e gruppi rispetto al significato ed alla rappre-

3 La quale ha compiuto una attenta disamina del fenomeno all’interno dei confini italiani anche sulla scorta della esperienza statunitense (Tobacco litigation) che

L'associazione per la Medicina centrata sulla persona, guidata dal dottor Paolo Roberti di Sarsina, organizza per il 29 settembre un convegno, insieme al vice

L’indagine è stata realizzata dall’ 1 all’8 ottobre 2018 attraverso 1005 interviste CATI/CAWI ad un campione rappresentativo della popolazione italiana maschi e