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NOVEMBRE 1991 — ANNO V i l i - N . 9 - LlRE 7.000Il Libro del Mese
Ritorno nell'universo
di Robert Sheckley
recensito da Cesare Cases
Mario Isnenghi e Marco Revelli
Le tre guerre di Claudio Pavone
Romano Luperini
La letteratura contemporanea
Enrico Castelnuovo
intervista
Vittorio Gregotti
Giovanni Jona-Lasinio
La complessità secondo Prigogine
Le pagine di Liber
Biblioteca europea
RECENSORE
AUTORE
TITOLO
4
•
Il Libro del Mese
•
Cesare Cases Robert Sheckley Ritomo nell'universo
•
Letteratura
mJames Barlow Torno presto
5 Baldo Meo Robert Phillips (a cura di) Trionfo della notte 6 Mai Mouniama Nguyen Huy Thiep Il generale in pensione
Pham Thi Hoài Il Messaggero celeste
Edoarda Masi Lu Wenfu Vita e passione di un gastronomo cinese 8 Anna Chiarloni Sigrid Damm Cornelia Goethe
Anna Baggiani Franz Werfel Una scrittura femminile azzurro pallido
10 Daniela De Agostini Georges Perec W o il ricordo d'infanzia
1 1
Poesia poeti poesie
Edoardo Esposito Vittorio Sereni Frontiera; Il grande amico
Giorgio Patrizi Mario Socrate Allegorie quotidiane
Narratori italiani
12 Angela Bianchini Paolo Milano Note in margine a una vita assente
Gian Luigi Beccaria Lorenzo Mondo Il passo dell'unicorno
13 Remo Ceserani Gianni Riotta Cambio di stagione
14 Alfonso Berardinelli Giulio Ferroni Storia della letteratura italiana-, Il Novecento
14
Best & Seller
Alessandro Baricco Breat Easton Ellis American Psycho
15
Inedito
Bilancio di un trentennio letterario, di Romano Luperini
18 Giuseppe Sertoli Laurence Sterne Un viaggio sentimentale
19 Gianpiero Cavaglià Jane Austen Sanditon
Ragione e sentimento
Giuliana Ferreccio Gigli La passione dell'ironia. Saggio su Jane Austen
Musica e Cinema
m21 Giorgio Pestelli Giovanni Di Stefano La vita come musica.
22 Antonio Costa Francesco Càllari Pirandello e il cinema
RECENSORE
AUTORE
TITOLO
PRIMO
ZANICHELLI
VOCABOLARIO ELEMENTARE DI ITALIANO a cura di Mario Catinella
LA donzelletta
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ZANICHELLI I ZANICHELLI
•
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RECENSORE
AUTORE
TITOLO
23
H
Le pagine di Liber
•
•
Arte
•
27 Giovanni Romano Giovanni Previtali Studi sulla scultura gotica in Italia
30
Intervista
Vittorio Gregotti risponde a Enrico Castelnuovo
•
Storia
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32 Daniele Menozzi William V. Bangert S J . Storia della Compagnia di Gesù
33 Adriano Prosperi Ricardo Garda-Villoslada Sant'Ignazio di Loyola. Una nuova biografia 35 Gabriele Ranzato Alain Corbin Un villaggio di cannibali nella Francia
del-l'Ottocento
36 Anna Maria Bruzzone Liliana Picciotto Fargion Il libro della memoria.
Mario Isnenghi Claudio Pavone Una guerra civile.
37 Marco Revelli
39 Alberto Cavaglion G. Todeschini, P.C. Ioly Zorattini (a c. di) Il mondo ebraico
Michele Luzzati (a cura di) Ebrei di Livorno tra due censimenti
•
Economia e Filosofia
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40 Augusto Graziarli John Maynard Keynes Le conseguenze economiche della pace La fine del "laissez-faire" e altri scritti
Andrea Catone Etienne Balibar, Immanuel Wallerstein Razza nazione classe. Le identità ambigue 42 Annamaria Loche Eugenio Lecaldano Hume e la nascita dell'etica contemporanea
Marco Vozza Gianni Vattimo (a cura di) Filosofia '90
43
•
Libri di Testo
m
Maria Arcà AA.VV. Bscs verde. Biologia: il punto di vista ecologico Gianalberto Ummarino Hermann Weyl Analisi matematica del problema dello spazio
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Scienze
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44 Giovanni Jona-Lasinio Grégoire Nicolis, Ilia Prigogine La complessità
Ruggero Gallimbeni
45 Simona Argentieri Margaret S. Mahler Memorie
Piergiorgio Battaggia Maurizio Gasseau, Giulio Gasca Lo psicodramma junghiano
RECENSORE
AUTORE
TITOLO
SOFTWARE
& HARDWARE
DIZIONARIO
DEI TERMINI INFORMATICI ITALIANO-INGLESE INGLESE-ITALIANO
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NUMERI
MEMORABILI
DIZIONARIO DEI NUMERI MATEMATICAMENTE CURIOSIdi David Welk
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^ • D E I L I B R I D E L M E S E B Ì
NOVEMBRE 1991 - N. 9, PAG. 4
Il Libro del Mese
Stasera grande M.T. Cicerone Show
di Cesare Cases
ROBERT SHECKLEY, Ritomo nell'uni-verso, Mondadori, Milano 1991, ed.
orig. 1990, trad. dall'inglese di Mau-ra Arduini, pp. 324, Lit 20.000.
Emerso negli anni cinquanta, per noi soprattutto negli anni sessanta, Robert Sheckley fu allora considera-to il massimo scritconsidera-tore di fantascien-za. Se il suo nome fosse cominciato per M sarebbe stato messo insieme a Marx, a Mao e a Marcuse. Era certo uno scrittore per intellettuali, e lo re-sta. Qualche volta, anche la pur bra-va traduttrice di questi racconti get-ta la spugna e lascia Archiloco nella forma inglese. E di Archilochi i rac-conti di Sheckley sono pieni, poiché ciò che lo caratterizza è la sua allegra ignoranza dell'univocità del flusso temporale. Mentre altri scrittori di fs si compiacciono di descrivere città, uomini, flore e faune inventate, ma si attengono al tabù di Asimov per cui di veramente impossibile c'è solo la macchina del tempo, per Sheckley è in qualche modo l'inverso: i remoti pianeti sono solo fondali per allego-rie dell'aldiqua che hanno il loro cen-tro nell'inversione temporale e nella revocabilità della morte. Egli ha su-bito capito che in una società in cui la vita vale tanto meno quanto più vi ci si aggrappa, la morte deve, contro ogni verosimiglianza, essere uno sta-to transista-torio.
In un suo racconto un soldato in-viato contro un lontano nemico si la-menta di essere continuamente risu-scitato per ovviare alla mancanza di uomini di truppa. Sembra un gioco sull'impossibile, ma all'epoca della guerra del Vietnam uscì il libro di un medico militare americano che rac-contava della perfetta organizzazio-ne in base alla quale i feriti di cui ri-manevano anche solo pochi lacerti venivano portati in elicottero a un ospedale militare, ricuciti perfetta-mente e fatti riposare fino al prossi-mo impiego, che il medico cercava di rimandare lottando contro l'autorità militare. Quello che resta forse il ca-polavoro di Sheckley, Anonima
aldi-là, immagina un futuro in cui la gente
si suicida in apposite cabine per assu-mere a volontà la personalità di altri deceduti.
Salvo errore, i primi racconti di Sheckley apparvero in Italia nella fa-mosa antologia Le meraviglie del
pos-sibile (1959). Ma nel suo caso più che
di meraviglie del possibile si sarebbe dovuto parlare di orrori
nell'impossi-bile quasi realizzato. Solo un velo di ipocrisia cristiana separa le manife-stazioni quotidiane di lotta per la vi-ta dalle feroci tenzoni organizzate che insanguinano il pianeta Omega
(Gli orrori di Omega) o dalla caccia
al-l'uomo concepita come passatempo nel famoso racconto La decima
vitti-ne, come uno dei suoi personaggi che comprano un biglietto per salire sulla prima astronave che parte per desti-nazione ignota. Questo dipese anche dal fatto che il tempo gli correva die-tro e gli orrori sopravanzavano la sua fantasia, l'indescrivibile, per dirla con Goethe, era fatto compiuto. Questo Ritomo nell'universo è
anzi-lano per più rispetti superiori agli umani, smascherando le fissazioni di onnipotenza militare e tecnologica di costoro, che riescono a cavarsela gra-zie alla capacità di taluni (spesso con nome ebraico, uno addirittura rabbi-no di una terra chiamata Perdido in cui vivrebbero le tribù perdute di Israele) di uscire dai pregiudizi e di
Effetto Raskol'nikov
JAMES BARLOW, Torno presto, Sellerio, Paler-mo 1991, trad. dall'inglese di Maria Altieri, pp. 339, Lit 25.000.
Il compianto Sciascia aveva una straordinaria capacità di fiutare nella letteratura del passato capolavori trascurati, consigliandone la ristampa all'amica Elvira Sellerio. Un caso è quello del giallo (o antigiallo) La fine è nota di Geoffrey Holiday Hall: un semplice giallo Mondadori scovato per caso in una stazione di provincia e che risplende dopo tanti anni come oro nel leta-me. Questo romanzo di Barlow era già uscito nel 1956 da Longanesi e qualche anno dopo da Mondadori. Non si può dunque dire che non avesse babbo e mamma al di fuori di un nome, come nel caso di Hall, eppure come in questo l'e-ditore dichiara di non saper nulla dell'autore, che potrebbe saltar fuori quando uno meno se l'aspetta e reclamare i diritti. Anche qui si tratta di qualche cosa di più di un giallo, e anche di più di un romanzo prospettico a più voci come ne scrivono talvolta Sébastien Japrisot e altri che si ispirano al Kurosawa di Rashomon.
Poiché il prospettivismo non serve qui a relati-vizzare la verità, a far sorgere dei dubbi sulla pos-sibilità di catturarla; anzi tutto converge a fissar-la in modo indiscutibile e irrevocabile. Le tre se-zioni corrispondono a tre punti di vista: quello della vittima, la ragazza gallese inurbata, Ol-wen, sana di corpo e d'anima, fidanzata con un giovane caduto nella seconda guerra mondiale,
poi innamorata di un commesso viaggiatore, se-duttore professionale, che le promette il matri-monio ma la uccide quando apprende che è in-cinta, credendo di essere al di sopra di ogni so-spetto; quello del commesso viaggiatore, che tie-ne scrupolosamente nota delle sue conquiste, anche dell'ultima che sfocia nell'omicidio; infi-ne quello del commissario di polizia incaricato dell'indagine. L'ultima parte occupa da sola la metà del volume, ciò che autorizza a inserire il li-bro nel genere giallo, ma l'autore vuole che il let-tore sappia già tutto prima, perché come Do-stoevskij intende sottolineare il rapporto tra de-litto e castigo, rapporto che affonda le sue radici in un mondo anteriore al giallo propriamente detto, quello della morale e della religione, men-tre già Poirot spreme qualche lacrima sulle vitti-me, ma soprattutto esulta per la vittoria delle sue cellule grige e per quella dell'ordine sociale tur-bato dalla delinquenza.
Barlow fa invece del suo meglio per isolare i rappresentanti del bene e del male di fronte al conflitto metafisico. Ciò determina anche il cambiamento dei moduli narrativi. La prima parte, salvo qualche pagina del diario di Olwen, è narrazione oggettiva con viva partecipazione dell'autore; la seconda, cioè la versione del-l'assassino, è un diario che riflette tutta la sua perversità, con cui evidentemente non vogliono avere a che fare né l'autore né il detective, al
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Dopo tre romanzi e alcune raccol-te di geniali racconti la vena di Shec-kley sembrò girare a vuoto. Già il fa-ticoso Scambio mentale non era de-gno dei precedenti, poi Sheckley ab-bandonò addirittura la fantascienza e si perse nei meandri del gratuito, dei romanzi di spionaggio e di
azio-tutto il ritorno alla ribalta dello scrit-tore Sheckley, sbarcato dall'astrona-ve del gratuito quando meno ce lo si aspettava.
Quasi tutti gli otto racconti sono degni del miglior Sheckley. Molti hanno per oggetto incontri alla peri-feria del cosmo con alieni che si
rive-HO
fAUKA DEL PUi'O /WWE' ERO
PA SOLO
NEL LÈTTO/
HO PAURA &UANP0
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KLO.
Il libro delle paure
Il libro delle famiglie
sotto forma di animali
Il libro dei posti segreti
Gli animali che ci piacciono
Diario di un deportato
Dirty City - Diario Tossico
(Alessandro, anni 9)
Quattro libri scritti e
il-lustrati dai bambini di
una scuola elementare
e due inquiete storie
di privazione svelano
un m o n d o o p p r e s s o
dai fantasmi ma
desi-deroso di vivere.
GELKA Editori: V i a R o m a , 9 4 - 9 0 1 3 3 P a l e r m o t e l . 0 9 1 / 6 1 6 7 5 4 9
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GELKA _
INEDITI PIACERI
immedesimarsi nella mentalità alie-na. "Lo so, — dice il rabbino di Per-dido, —; sono spesso anche troppo critico. E una tendenza giudea uni-versalmente nota. Ma noi ebrei di Perdido possediamo una percentuale anche maggiore di paranoia giudaica, forse a causa della precarietà del no-stro stato" (in quanto non sono rico-nosciuti dagli altri ebrei). Così il rab-bino riesce a capire la mentalità dei Khaliani (predoni cosmici nemici dell'uomo, dal corpo a forma di lunga donnola), che disprezzano la tecnica e non sono capaci di riparare le mac-chine belliche che hanno predato, mentre il loro ideale è quello di mori-re da eroi per essemori-re cantati in poemi epici composti da aedi che portano nomi come "Omero Cantalontano". Il tenente Brodsky, inviato a occu-parsi degli Eleroi, che si rifiutano di entrare nella Grande Alleanza, li convince promettendo che l'Allean-za stessa rispetterà il loro desiderio di non essere coinvolti in posizioni di responsabilità, perché "le carenze della programmazione biochimica al-truistica non avrebbero permesso lo-ro di rifiutare, mentre l'intelligenza avrebbe fatto di tutto per dissuader-li". Timori, spiega Brodsky, del tut-to infondati: "i Presidenti e i genera-li dovrebbero consegnare il comando a voi semplicemente perché siete più intelligenti e più in gamba di loro? Non pensateci neanche. Il mondo là
fuori funziona in modo ben diver-so". Gli alieni sono sempre superiori agli umani e ai loro alleati in quanto stanno dalla parte della natura, intel-ligenza compresa, contro il potere e la tecnica. L'invasione di Xanadu fallisce perché un popolo di scarafag-gi intelligenti, indignato per il tenta-tivo di imporre al pianeta una flora estranea, sposta nottetempo il palaz-zo del grande ammiraglio Esplenda-dor, che si sveglia sull'orlo dell'abis-so. Certo siamo mal ridotti se Shec-kley spera nelle donnole e negli sca-rafaggi, magari aiutati da un paio di ebrei, come possibili salvatori del co-smo (sempre meglio però di Heideg-ger che sperava soltanto in Dio).
L'utopia dei verdi, ignota al primo Sheckley, ha contagiato i suoi piane-ti. Di suo ci sono però sempre i bef-fardi riferimenti alla contemporanei-tà. Non so se questi eserciti dell'Al-leanza che pongono ultimatum a tranquilli pianeti siano stati concepi-ti prima o dopo la guerra del Golfo, ma è certo che gli Eleroi la sanno lun-ga sulla politica americana. Uno di essi esclama: "Proprio il genere di cose che fanno i barbari: formano leanze tra di loro per rovesciarne al-tre... Il loro metodo d ' azione è molto semplice: obbligano la gente a unirsi a loro". Se questi motivi si trovano ormai in molti scrittori di fs, soprat-tutto donne, tipicamente sheckleya-no è il riferimento al mito, alla leg-genda, alla religione, come stretta-mente connessi alla follia tecnologi-ca. Anche quella delle tribù perdute di Israele è un'antica leggenda ebrai-ca diffusa nel medioevo. Ma Omero Cantalontano, l'aedo dei Khaliani, ha presente soprattutto la mitologia greca e spiega le difficoltà della sua gente (e non solo loro) con i compu-ter ricorrendo al mito di Pandora. "La leggenda narra di due magazzini che gli Dei della Comunicazione ave-vano regalato agli antichi Khaliani. Da uno era permesso prendere tutto quanto vi fosse di buono. L'altro, in-vece, non andava nemmeno toccato. A poco a poco, i Khaliani diventaro-no avidi e sprezzanti della religione, tanto che decisero di aprire anche il secondo magazzino aspettandosi chissà quali e quante ricchezze. Ne uscì invece una miserabile piccola creatura con un lungo pungiglione sulla coda, il demone chiamato 'Sy-stem error', che da allora ha conti-nuato a perseguitarci". La crescente difficoltà di controllare razionalmen-te il mondo della razionalmen-tecnologia ci tra-sforma sempre più in Khaliani che per trovare una spiegazione si appel-lano al mito. Marx è in ribasso e Mir-cea Eliade in auge.
La mitologia è attuale perché vi-viamo tra mitologemi. Già nel 1966 Renato Solmi osservava su "Quader-ni piacenti"Quader-ni", a proposito dei
Testi-moni di Joenes, che Sheckley
prende-va in giro la tendenza della democra-zia americana a identificarsi con quella greca o romana "sopprimendo addirittura la differenza cronologica e spaziale fra la Grecia e gli Stati Uniti, facendo vivere Socrate e altri personaggi nell'America attuale, so-stituendo un cervello elettronico al-l'oracolo di Delfo e così via". In fon-do ci sono tanti Campifon-dogli, Parte-noni e Erettei che Aristide e Pericle dovrebbero sentirsi a casa propria. L'indifferenza per il tempo e lo spa-zio induce lo scrittore a cercare i suoi termini di confronto anche nell'A-verno. Ghiribizzi di morte (Death
Freaks) è un racconto situato tutto in
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| D E I L I B R I D E L M E S E |
NOVEMBRE 1991 - N. 9, PAG. 5
Appuntamenti intimi con il fantasma
di Baldo Meo
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quel luogo oggi quasi piacevole, co-me già intuiva Shelley in una famosa poesia ripresa da Brecht in cui di-chiarava che l'inferno è una città si. mile a Londra. In quello di Sheckley i nuovi arrivati sono addirittura con-tenti. Dicono: "Dove sono? All'in-ferno? Sia ringraziato il cielo, crede-vo di trovarmi a Jersey City!".
Ancora più contenti sono gli habi-tués, poiché da Sheckley sia sulla ter-ra che in inferno si può morire e risu-scitare parecchie volte, come sappia-mo, e c'è un Impresario dell'inferno che fa ricucire i defunti ammazzati (essere ammazzati è quasi altrettanto facile laggiù come in terra) con una leggerezza ignota agli infami autori di horror narrativi e cinematografici. Sade, per esempio, ogni volta che sbarca è subito fatto fuori dai morali-sti ("è incredibile — dice — quanti moralisti ci siano all'inferno"). Ra-gion per cui Sade organizza un grup-po di malcontenti, capitanati da lui, Sacher Masoch e Gilles de Rais, che vogliono ribellarsi a Satana al grido "Rendiamo l'inferno più inferna-le!". Ma Satana organizza la controf-fensiva affidandola ai poeti maledet-ti francesi, con Baudelaire in testa, e ad altri satanisti moderati come Ar-chiloco e Edgar Allan Poe, importan-te per i suoi rapporti con l'America. Nella battaglia campale i moderati, nonostante la debolezza dei pallidi poeti simbolisti, hanno infatti la me-glio sulle sterminate orde dei sadiani grazie all'intervento dei pellirosse capitanati da Geronimo. Raramente la fantasia di Sheckley è così scatena-ta come in questo racconto, ma chi si spaventi dei troppi nomi mobilitati per questa battaglia infernale può ri-piegare sul bellissimo racconto che apre il volume, in cui il personale dei morti viventi è ridotto al minimo ne-cessario. Murchison, nominato dal Presidente degli Stati Uniti direttore del marketing per l'operazione simu-lacri, incarica l'esperto Simms di ri-chiamare in vita (simulata) Cicerone e Bakunin, onde metterli al servizio della Tv. Perché proprio loro due? Neanche Simms lo sa, ma forse il let-tore lo scopre proseguendo nella sto-ria. La reazione dei due è infatti di-versissima. Bakunin non collabora, immagina che quel che gli succede sia un ennesimo trucco della polizia zari-sta per impadronirsi di lui e finisce per intenerire Simms, che appaga il suo desiderio di libertà procurando-gli una "chiave di accesso universa-le" che gli permette di aggirarsi a suo piacimento in tutte le reti compute-rizzate. Ma s'intende che Simms fa questo dopo aver dato le dimissioni. Invece Cicerone afferra subito la si-tuazione e mercanteggia la sua colla-borazione con Murchison finché questi non gli procura un corpo vero al posto di quello simulato, il che per l'autore Adi'Anonima aldilà costitui-sce una difficoltà abbastanza trascu-rabile. Ora Cicerone è pronto per esibirsi in un musical dal titolo Ciò
che accadde in realtà nel Foro.
Insomma, l'alternativa che ci of-fre Sheckley è quella tra sopravvive-re nella libertà come simulazioni (e anche questo è il prodotto di un mi-racolo non troppo sicuro perché Murchison sguinzaglia dietro a Ba-kunin un "programma killer di ricer-ca") o collaborare e ascendere all'O-limpo dei big come Cicerone. Non a torto qui si immagina che la seconda alternativa sia facilitata dalla duttili-tà mentale, la prima da una certa sto-lidità e monomania, quali oggi carat-terizzano chi ha conservato un mini-mo di senso mini-morale. Niente di più probabile, ma prima di essere del tut-to vittime di questut-to inesorabile pro-cesso speriamo di poter leggere altri racconti di questo rabbino di Perdi-do, uno dei pochissimi scrittori che ci parli del nostro tempo facendoci divertire senza togliergli nulla del suo orrore.
Trionfo della notte, a cura di Robert
Phillips, Mondadori, Milano 1990, ed. orig. 1989, trad. dall'inglese di Lidia Zazo, pp. 442, Lit 12.000.
Come altre antologie sul gotico, anche questa di Robert Phillips di-mostra che un genere così ben codifi-cato vive su archetipi, stilistici e te-matici, ricorrenti. Ma c'è in que-st'antologia una caratteristica che ne fa un esempio particolare di gotico psicologico di lingua inglese. Non è
un caso che essa ruoti strutturalmen-te su un cardine esemplare: quel plu-riantologizzato The Jolly Corner (1908) di Henry James che segna la via di questo versante del gotico no-vecentesco (dove troviamo anche Blackwood e de la Mare) rispetto a quello ancestrale di Machan o di Lo-vecraft. Ne L'angolo ameno il prota-gonista ha la rivelazione di quello che avrebbe potuto essere un suo diverso passato sotto forma di fantasma mu-tilato. Al momento del riconosci-mento definitivo egli, dopo l'ansiosa caccia per le stanze della vecchia ca-sa, trova aperta la porta che gli con-sente l'incontro ravvicinato con "l'altro se stesso". Ebbene tra le tan-te verità narrative che questo capola-voro racchiude, una risulta fonda-mentale come chiave di lettura del genere gotico: ogni racconto di fan-tasmi è racconto di un passaggio. Quello che è difficile da stabilire è se la porta sia "d'entrata o di uscita". Si ha paura di lui o di lei non tanto perché il loro aspetto sia terrifico, ma perché la loro presenza dimostra che la morte (e con essa l'irredimibile e l'indicibile) è una porta da cui si en-tra e si esce con estrema facilità. Sia che ci permetta di tornare in contat-to con un passacontat-to inestinguibile, an-cora nostalgicamente da conoscere, sia che consenta l'avvicinamento al mistero della morte, l'incontro con il fantasma viene vissuto come
familia-rizzazione con i rituali oscuri del-l'inconscio. Il fantasma acquista la dimensione di presenza intima, spec-chiandosi come un doppio cadaveri-co nei gesti e nei sentimenti quoti-diani. E tanto più è prosaico e rico-noscibile l'ambiente in cui essi ir-rompono, tanto più forte lo scardinamento dell'universo razio-nale. La moderna ghost story psicolo-gica si rivela, dunque, un genere so-stanzialmente di frontiera o "sul margine" dove la raffigurazione
del-l'evento soprannaturale è parte del suo destino narrativo, soglia tra
ro-mance e racconto realista, ricordo e
visione, verosimile e perturbante, scetticismo e voglia di sospendere l'incredulità, secondo il richiamo di Coleridge. Trionfo della notte racco-glie esempi di questa particolare vi-sione dove il fantasma è la somma di tutti i suoi complessi aspetti psicolo-gici e narrativi. A cominciare da quell'autentico capolavoro che è il racconto di Elizabeth Bowen, la grande scrittrice irlandese morta nel
1973 e ancora tutta da scoprire in Italia. Ne L'amante infernale (o "il demone amante" secondo la bella traduzione che del racconto ne han-no dato Benedetta Bini e Maria Stel-la in E morta Mabelle, Verona 1986) la signora Drover tornerà nella vec-chia casa abbandonata sotto i bom-bardamenti della seconda guerra mondiale e vi troverà un biglietto del suo povero amante morto venticin-que anni prima, nella prima guerra mondiale. Ed è ad un appuntamento stabilito, un anniversario senza scampo a cui viene chiamata — quasi simbolo di una colpa e di un rimpian-to comune per i morti innocenti — dentro il taxi che la porta via per i sobborghi infernali di un'altra Lon-dra. Il tranquillo signor Spence de
Gli altri dell'americana Joyce Carol
Oates un giorno comincerà a ricono-scere, tra i passanti, persone del suo
morto passato sempre più numerose, fino a lasciarsi trascinare nella loro strana folla un mattino, scendendo verso la metropolitana. Altro discor-so per il racconto della Woolf, dove il fantasma viene assunto come espe-diente stilistico per quel puntinismo psicologico, per quella rarefazione di istanti e emozioni che ordiscono la sua luminosa rete di parole. Le stesse labili e cristalline presenze che torna-no ad animare stanze ed esistenze, come nell'intensità breve e
commo-vente delle pagine di Jean Rhys. A volte invece sono l'ambigua memoria faulkneriana di William Goyen o l'a-lienazione mentale dell'inglese Char-lotte Perkins Gilman nel bellissimo
La carta da parati gialla (1895) o,
infi-ne, la misurata ironia di Muriel Spark a tracciare i confini di questo mondo e di quell'altro, di vecchi e nuovi amanti. Il sostrato erotico del-l'apparizione del fantasma diventa chiaro nel racconto di Tennessee Williams, dove il protagonista si sal-verà dall'angoscia per ogni accoppia-mento pericoloso nel buio del cinema Joy Rio solo nelle mani del suo vec-chio amante morto. Davanti ad un cinema la signora del racconto di Truman Capote incontrerà Miriam, maliziosa bambina senza età di cui non si libererà più. Sempre nel buio di un cinema le fisiche tracce in carne ossa e sangue di un omicidio confer-mano, nel posticino di Graham Gree-ne, che 0 legame tra paura e autoin-ganno talvolta non è così scontato. Altre volte è attraverso il punto di vi-sta infantile che il fantasma visita le nostre vite, come per le inspiegabili permanenze del racconto di Dylan Thomas, o come nel vero e proprio saggio sull'ossessione soprannaturale che è il jamesiano La zia di Seaton (1923) di Walter de la Mare, dove gli occhi insaziabili della terribile vec-chia incombono indagatori sulla vita e sulla morte del nipote.
<
le la lettura del diario risolverebbe tutti i proble-mi {ma lo scopre solo quando ha individuato l'assassino, mentre la Provvidenza gli fa scoprire presto il diario della ragazza, poco utile all'inda-gine perché l'uomo ha nascosto tutti quei dati che potevano individuarlo, ma utile per esaltare la virtù della vìttima). Infine la terza parte ci pre-senta l'angelo vendicatore in azione. Egli rappre-senta più che mai il dover essere di fronte all'ini-quità dell'esistente; ha una famigliola che imper-sona ciò che Olwen e il commesso viaggiatore avrebbero potuto realizzare. In fondo anch'egli era un uomo forte e intelligente che avrebbe po-tuto testimoniare della bontà della Creazione. Invece come Nietzsche e Raskol'nikov si è con-vinto che Dio non esiste e quindi tutto è lecito.
Si è gridato da molte parti al capolavoro igno-rato, e infatti ci siamo molto vicini. L'imposta-zione metafisica rida sostanza al giallo, lo sottrae alla banalità e lo rimette nella tradizione che va da Dante a, appunto, Dostoevskij. L'effetto Ras-kol'nikov funziona ancora e l'ultimo dialogo tra il commissario e l'assassino, in cui entrambi sco-prono le loro carte ideologiche, è all'altezza di quelli tra Porfirij e il protagonista del romanzo di Dostoevskij (il titolo originale di questo di Bar-low, molto più calzante di quello della versione italiana, è II protagonista.). Tuttavia c'è qualco-sa che non funziona. Dante, e ancora Dostoevs-kij, credevano nella teodicea, Barlow forse an-che, ma in un'epoca che non ci crede più. Per quanti contorcimenti acrobatici facciamo, fino alla strana idea di Hans Jonas per cui Dio è in
fieri, quindi si potrà considerare responsabile di
Auschwitz solo dopo che avrà raggiunto la mag-gior età, i teologi ricorrono alla teodicea solo per amor di firma. Raskol'nikov di fronte al delitto individuale doveva confrontarsi solo con i mas-sacri artigianali dello zar. Ma Barlow scrive poco dopo la seconda guerra mondiale e per quanto non si identifichi con essa sembra avere simpatia per i buoni soldati e antipatia per il commesso viaggiatore, che considera anche la guerra come una scala verso l'autoaffermazione, vantandosi di quel che non ha fatto. Monsieur Verdoux ave-va gridato ai giudici l'impossibilità di commisu-rare i suoi delitti a quelli dei generali e degli uo-mini politici. Barlow se ne guarda bene, per lui la lotta si svolge al di fuori della società, che è quella che è. Il romanzo giallo nasce su questa ipotesi e per questo è un genere tipicamente pro-testante. Le poche eccezioni, come il padre Brown di Chesterton, avrebbero chiesto a Bar-low se per avventura anche il commissario nella sua presunzione di giudice inesorabile non pecca d'orgoglio e non è quindi più vicino a Satana che a Dio. Non si fa male a vedere in un seduttore di provincia "il protagonista" e nel suo castigo l'in-tervento di una teodicea che avrebbe potuto tro-vare migliore applicazione altrove? Giustamente gli autori di gialli ordinari ammazzano un muc-chio di gente senza pensarci troppo, sanno che in confronto ai grandi massacri della guerra, della mafia o della droga sono quisquilie. Eppure lo sono e non lo sono, ed è bene che a ricordarcelo siano bei romanzi come questo, che senza l'on-data di religioneria seguita al crollo del comuni-smo non avrebbe costituito un successo postumo nonostante gli encomiabili sforzi di Sciascia e
Sellerio. (c.c)
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• • D E I L I B R I D E L M E S E | ^ H NOVEMBRE 1991 - N. 9, PAG. 6
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NGUYÉN HUY TRAÉP, Il generale in pensione, Eurostudio, Torino 1990,
trad. dal vietnamita di Huong Thièn, pp. 69, Lit 8.000.
PHAM THI HOÀI, Il Messaggero
cele-ste, Marietti, Genova 1991, a cura di
Sandra Scagliotti, trad. dal vietnami-ta di Tran Tu Quàn e Luca Tran, pp. 152, Lit 25.000.
concessioni" non canta più le pro-dezze e le virtù degli eroi, la lotta del popolo contro le forze straniere ma parlano della difficoltà di esistere in un paese lacerato e isolato, fanno i conti con gli errori politici e il prezzo pagato dagli individui, rivendicano un ritorno alla soggettività. Sono vo-ci un po' stridenti, dissacratorie, sco-mode. Ora in Italia sono usciti II
ge-nerale in pensione di Nguyèn Huy
Thièp e II Messaggero celeste di Pham Thj Hoài, e dobbiamo ringraziare i traduttori e la curatrice per questa iniziativa.
Il generale in pensione è il primo
racconto di Nguyèn Huy Thièp, qua-rant'anni, storico di formazione. Do-po la morte di un generale, il figlio ne
dre a cui deve tutto, lavora come in-gegnere, abita in una villa nella peri-feria di Hanoi, insieme alla madre, la moglie medico, le due figlie, condu-cendo una vita organizzata e tran-quilla. Il narratore è una brava perso-na che non si perde in dubbi o aperso-nali- anali-si, la sua percezione dei rapporti non è problematica, le emozioni che esprime sono convenzionali; si defi-nisce un "conservatore maldestro e imprevidente" e presenta la moglie come una donna "moderna" con cui ha dei rapporti "armoniosi". La nar-razione procede senza sollevare so-spetti benché alcune precisazioni fat-te sempre con questo tono formale in una lingua piana, cauta, dimessa, at-tenta a raccontare i fatti nella loro
Gastronomia e politica
di Edoarda Masi
Lu WENFU, Vita e passione di un gastronomocinese, Guanda, Parma 1991, ed. orig. 1982,
trad. dal cinese di Cristina Pisciotta, pp. 140, Lit 26.000.
Fra i molti argomenti che alla fine degli anni venti e nei trenta furono oggetto di discussione negli ambienti colti cinesi (riformatori o rivolu-zionari e vicini ai comunisti) fu largamente di-battuto il tema della satira e dello humour — analogie e differenze, e opzioni soggettive a favo-re dell'una o dell'altro: alla discussione pfavo-resero parte anche personalità di primo piano, come Lu Xun e Lao She. Il gastronomo di Lu Wenfu ri-chiama quella disputa: da un'intenzione allego-rico-satirica l'autore approda a risultati prevalen-temente umoristici. La vena umoristica è un do-no naturale di Lu Wenfu, è l'occhio stesso col quale guarda e traduce in immagini il mondo -, dà forza alla sua scrittura e contribuisce alla riuscita
letteraria del racconto. (Come racconto lungo in-fatti, più che romanzo, va classificato questo li-bro, che conferma un orientamento generale: nel racconto, lungo o breve o brevissimo, la narrati-va cinese contemporanea raggiunge i risultati mi-gliori). Lo humour, d'altra parte, fa tutt'uno con l'approccio narrativo semisurreale, semiveristico (bozzettistico) — consono ad un contesto dove
sulla quotidianità più elementare e materiale (per esempio, riuscire a procurarsi il cibo) si inne-stano condizionamenti sociopolitici continua-mente mutevoli e non intelligibili all'uomo co-mune. Il quale infine li accetta come ovvietà e si adatta a nuotare nell'assoluta incertezza e nel-l'assurdo. La voce del protagonista narrante è quella di un uomo onesto e modesto, animato da spirito civico e da buona volontà socialista, inca-ricato suo malgrado di gestire un ristorante a Suz-hou (città famosa non solo per antica cultura e bellezza, ma anche per la grande tradizione culi-naria); pur non provando nessun interesse a occu-parsi di cibo e di cucina, per tutta la vita non riu-scirà a liberarsi da quell'incombenza. L'antago-nista, che pure per tutta la vita si ritrova davanti, oggetto di durevole disprezzo ma anche non desi-derato compagno di sventura, è il ricco ghiottone Zhu Ziye; agli occhi del narrante è un parassita, perfino sul piano culinario, dove sfrutta la bravu-ra della moglie; ma alla fine, nel nuovo clima della modernizzazione, ricomparirà come
"esperto" — di che cosa? del saper mangiare? Gli verrà attribuita l'etichetta di "gastronomo" e il protagonista dovrà accettarlo come collabo-ratore. Ancora suo malgrado.
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Nel 1987, dopo il sesto congresso del partito comunista, nello slancio di apertura che si verifica in Viet-nam, gli scrittori vengono invitati a "non curvare la penna". Giovani sconosciuti riescono a pubblicare, e le loro opere suscitano consensi e po-lemiche. Questa "generazione senza
narra la storia per difenderne la me-moria. Il racconto inizia con 0 ritor-no del padre, dopo una breve esposi-zione del quadro familiare: Thuàn, arruolatosi a dodici anni, ha passato la propria vita nelle armi e nelle guer-re e, settantenne in pensione, torna dal figlio che quasi non conosce; que-sti ha studiato all'estero grazie al
pa-obiettività destino leggeri interroga-tivi, inquietudini quasi impercettibi-li: l'agiatezza della famiglia proviene in gran parte da un allevamento di cani e si fonda sul lavoro di una cop-pia — padre e figlia — accolta dopo che un incendio li ha lasciati senza tetto. Il ritorno del padre avviene senza tensioni e senza paure. Al
ge-nerale non spetta la sorte del Colonel Chabert, il personaggio dell'omoni-mo racconto di Balzac, eroe delle guerre napoleoniche che, tornando al momento della Restaurazione, non solo non viene riconosciuto ma si ve-de pure negata una vita ve-decorosa e fi-nirà mezzo matto in un ospizio. Il ge-nerale, invece, viene accolto come un eroe, venerato e ammirato non solo dalla famiglia, ma dal paese, cioè da . una società retta da principi confu-ciani che in seguito appariranno un po' tarlati. Con la convivenza — ba-sata su una forma di tolleranza reci-proca e un'adesione a certi valori co-muni che sono poi le condizioni di sopravvivenza materiale e spirituale del gruppo — sorgono piccole incri-nature, poi vere crepe che provocano nel padre prima perplessità, dubbi, poi indignazione e dolore, senza che ci sia stata da parte dei figli la benché minima intenzione di offenderlo. Se nei rapporti non c'è calore né intimi-tà, esistono però rispetto e attenzio-ne. I dissensi non riguardano nem-meno la sfera del carattere, bensì quella dei valori. Piccoli dettagli del-la vita quotidiana, che sembrano di ordinaria amministrazione ai figli, turbano man mano il padre, al punto che, sentendosi sempre più estraneo, torna al fronte dove trova la morte. I vietnamiti hanno riconosciuto nel l'"uccisione del padre" la messa a morte di una certa rivoluzione. Il pa-dre non può sopravvivere in una so-cietà che ha tradito gli ideali per cui ha combattutto, dove i deboli vengo-no ancora sfruttati e esclusi, dove la dura legge della sopravvivenza ha fatto dimenticare certi valori. Quan-do scopre che i cani e i maiali vengo-no nutriti con feti "riciclati" dalla nuora, quest'uomo di guerra non può trattenere l'indignazione e le lacrime davanti al figlio che, pure essendone al corrente, non vi dava nessuna im-portanza. "Quello che conta è man-giare" dichiara la nuora: quando una cugina si lamenta dell'umiliazione ri-servata alle donne, e il padre la con-sola dicendo: "Più grande è il cuore, maggiore è il senso dell'umiliazio-ne", lei li interrompe invitandoli a tavola dove viene servito un pollo con cuori di loto, con una battuta: "sempre di cuore si tratta". I lotofa-gi, si sa, non hanno memoria. Certi personaggi dei racconti di Nguién Huy Thièp sembrano aver perso non solo la memoria ma tutto... fuorché l'istinto di sopravvivenza, come se un cataclisma terribile li avesse tra-volti e lasciati amputati di una parte del cervello. Però, bisogna pure nota-re che la nuora dall'agghiacciante senso pratico è anche quella che ga-rantisce una vita decorosa a tutti e che il padre, così integro, appare ogni tanto fuori dal mondo, come
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I Novità
GILLES DELEUZE SPINOZA. FILOSOFIA PRATICA
«Saggi», pp. 176, L. 28.000
Con il consueto rigore Deleuze scava alle radici dell'ontologia spinoziana e ne dimostra il legame diretto con l'etica, intesa come la scienza pratica dei modi di essere: un'etologia, quindi, e non una morale. Di qui il ruolo del tutto particolare di Spinoza, di un pensiero tuttora scandaloso.
S 0 R E N KIERKEGAARD LA RIPETIZIONE
Un esperimento psicologico di Costantin Costantius
«Saggi», pp. 192, L. 28.000
Compiuti i trent'anni Kierkegaard scrisse La ripetizione, un «libriccino» in cui il lettore troverà qualcosa meno della filosofia - una storia intricata d'amore; e qualcosa più - una smentita sonora di ogni metafisica. Un'ope-ra di prestigio - la presente tUn'ope-raduzione italiana Un'ope-rappresenta fUn'ope-ra l'altro la prima edizione critica mondiale - nella quale una critica attenta non tarderà a riconoscere la parentela stretta con altri capolavori eccentrici, quali il Discorso sul metodo di Cartesio e la Fenomenologia dello spirito di Hegel.
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• I L D E I L I B R I D E L M E S E | |
NOVEMBRE 1991 - N. 9, PAG. 7
«
sottolinea Bòng, il fratellastro: "Ma cosa credi? Migliaia di persone, in questo paese, muoiono ogni giorno nella disgrazia e nella sofferenza; so-lo i tuoi soldati hanno avuto una vita facile, 'Pam' e bell'e fatto". Sì, forse è meno difficile morire come un eroe che ricostruire un paese, e una vita che abbia senso. È nella scelta stili-stica poi, di una lingua scarna, asciut-ta che risiede la forza e l'efficacia del racconto.
Ne II Messaggero celeste ci sono due gemelle, non sono tutte e due belle come le due famose sorelle Kièu e Vàn della letteratura vietnamita: l'u-na prospera di tutto quello che l'altra non mette a frutto. Hang cresce con seni sodi e attrae tutti i maschi di Hanoi, va all'università, viene sedot-ta dal suo professore di francese, s'innammora ricambiata del poeta Ph. ma finisce per sistemarsi con un funzionario del ministero degli esteri che ha una fissazione: la carta igieni-ca. L'altra, Hoài, la narratrice, rifiu-ta di crescere e, a quattordici anni, con un petto già vizzo si contrae co-me una lumaca fino a sparire. Nessu-no la vede ma lei vede tutto e tutti dal riquadro della finestra e si allena la vista (il suo occhio diventa lente, cannocchiale, telescopio) e il giudizio (si crea un metodo critico che divide gli esseri umani in Homo-A, capaci di amare, e Homo-Z, incapaci di amare). E attraverso il suo occhio ipertrofico e quadrato di adolescente insonne, solitaria, lucida che vedia-mo sfilare la Hanoi fin de siècle, rita-gliata in venti capitoli che ruotano come i tasselli di un cubo di Rubik. Ogni capitolo forma un tutto a sé e si accosta all'altro senza omogeneità e senza continuità, sperimenta uno sti-le (dall' autobiografico-lirico alla scrittura automatica) o un genere (dalla favola al dialogo drammatico, al Tombeau), sicché si presenta come un exercice de style. Non c'è niente di esotico — se l'esotico è il dolente, il languido, le lune di primavera, i fiori di pesco, le pagode e i bonzi, le caval-lette arrostite, — ma c'è Hanoi con le sue strade affollate di biciclette, dove si aggira un uomo senza testa, il suo lago-occhio che risucchia l'invisi-bile e il segreto, il suo clima a servire da sfondo agli eventi: il caldo soffo-cante (41°) al funerale dello scrittore del regime che ha passato la seconda metà della vita nel ricordo glorioso della prima, il giorno glaciale della morte di Hon, "il messaggero cele-ste", la piccina tutta sorrisi che arri-va quando nessuno l'aspetta e che se ne va come una morticina perché nessuno la bacia. Il freddo è anche il
deus ex machina della passione
impre-vedibile tra il fratello Hùng, il con-formista, carico di diplomi sovietici e l'emarginata di nascita, la meticcia
mezza texana, la ballerina
entraìneu-se, senza nome e senza dimora,
l'eter-na errante che sarà abbandol'eter-nata per un posto di responsabilità. Ci sono le piogge torrenziali come quattro oceani che bucano il tetto e risveglia-no le liti fra la madre e il padre, così l'acqua si trasforma in lacrime salate, in acido che incide sulla lastra del cervello della narratrice l'immagine della rispettabilità a scapito del com-fort e dell'amore. Ci sono i 16 metri quadrati in un quartiere sovraffolla-to dove vive la famiglia di Hoài, la narratrice-protagonista che ha lo stesso nome dell'autrice, Pham Thi Hoài, trent'anni, archivista all'Isti-tuto di storia, traduttrice di Kafka, Diirrenmatt, Giinter Grass. Dal
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prime letture disordinate e bulimi-che tra i libri vietnamiti, francesi, russi: una scelta troppo ristretta se-condo lei che augura alle generazioni future "un quadro più universale". Il culto del letterato — figura centra-le della cultura vietnamita — e la sa-cralità dello scritto vengono scherni-ti come rischerni-ti funerei, attraverso la ma-nia imbalsamatrice e collezionista del padre che accumula libri e sogna di diventare in vecchiaia un prestalibri. Lei invece i libri li divora alla rinfusa e spara giudizi: "Tre quarti non era-no che specchietti per allodole...". Il solo a salvarsi è Don Chisciotte, l'eroe solitario e sognatore. Come in ogni città, c'è una. prigione dove si ritro-vano, alla fine del romanzo, due
av-come arriva se ne va — viene denun-ciato dalla fidanzata, una "cittadi-na". Hoàng, un personaggio "esem-plare" dei tempi, che ha provato tut-to: ex dandy del regime, di quelli che parlano una lingua frammista di ger-go universitario, di parole e risate "francofone", ex poeta, ex patito di Victor Hugo, ex marito, ex professo-re e ex amante della bella Hang che ne rimarrà frigida per tutta la vita e cambierà amanti come fazzoletti, ex padrone dell'impero del ghiaccio di Saigon. Fallito il suo tentativo di di-ventare un "ex-patriato", varcando la frontiera, finisce dietro le sbarre dove si riposa, mangia e spara afori-smi un po' deludenti per uno che ha tanto vissuto: "Nessuno ci potrà
li-Le alterne vicende del ristorante — da locale raffinato di alta cucina a mensa popolare, poi di nuovo a ristorante e infine a spaccio di fast food — si svolgono nel periodo della Liberazione fino agli anni ottanta e, con la problematica tragico-mica che le accompagna, hanno una valenza al-legorica ricca e complessa, se pure giocata in tono minore. Lu Wenfu appartiene alla generazione più sacrificata di scrittori, quelli che, condannati come destristi nel 1957 e nel '58, sono riusciti a tornare alla loro normale attività solo dopo il 1978-79: pure, a differenza di molti suoi colle-ghi, non cade nella faziosità né nel lamento, con-serva chiaroveggenza politica e spirito critico, ri-conosce i veri nemici nei burocrati incompetenti e voltagabbana, non li confonde con la causa della gente semplice del popolo, per la quale ma-nifesta simpatia e solidarietà (vedi il personaggio di A Er, con la sua famiglia). Ironizza sugli entu-siasmi socialisti del suo protagonista e sul di-sprezzo di quest'ultimo per il ghiottone Zhu Ziye, ma infine ne condivide i valori fondamen-tali e il buon senso.
Valori e buon senso dell'intelligencija piccolo borghese, ceto che ha un grande peso in Cina, do-ve la massa della popolazione è di contadini se-mianalfabeti, e fra gli abitanti delle città un pro-letariato industriale numeroso, dalla fisionomia indipendente, comincia a comparire solo oggi, troppo tardi, quando la sua figura e la sua funzio-ne sociale già si oscurano e — anche in quel pae-se — annegano nell'universale alienazione.
Do-mina, in quella piccola borghesia colta (nei suoi settori propriamente intellettuali come in quelli burocratici ad essi contrapposti) la coscienza di una propria missione pedagogica e semidirigente, e insieme l'incomprensione della divisione in classi della società. Domina l'aspirazione a una certa giustizia sociale e ad una condizione di or-dine, l'accettazione di uno stato forte purché non sopraffattore e che lasci qualche libertà ai cittadi-ni.
Nei primi anni cinquanta il partito comunista al potere sembrava avere realizzato condizioni si-mili, agli occhi di quel ceto, inconsapevole della realtà turbolenta e delle contraddizioni violente che percorrevano il paese. Perciò gli autori della generazione di Lu Wenfu tendono a mitizzare i primi anni cinquanta. Non così gli appartenenti alle generazioni successive, che hanno attraversa-to la rivoluzione culturale e la sua catastrofe, e non l'hanno solamente subita — ritrovandosi al-la fine liberi dai limiti del ceto d'origine. In que-sti autori più giovani troveremo il sentimento del tragico e la capacità vera della satira — senza la ricerca e l'accettazione di equilibri illusori.
Il limite culturale e di ceto di Lu Wenfu si tra-sforma in qualità positiva nella scrittura. Equili-brio e bonarietà, anche dove ì toni sono i più amari, attenuano la forza satirica ma rafforzano l'effetto umoristico. Gli eventi sfuggono al giudi-zio del buon senso, le contraddigiudi-zioni appaiono incomprensibili, i comportamenti umani assur-di, in un grande gioco a pedine intercambiabili, dove domina il paradosso ed esplode la risata. Che a volte si spegne nel sorriso.
Tamburo di latta prende spunto la
"nana" del suo "romanzo n. 1", dal-la voce stridente, daldal-la lingua imper-tinente di "autodidakten" che scom-piglia la prosodia classica, una lingua farcita di parole e riferimenti occi-dentali. C'è poi il Tempio della Let-teratura, simboleggiato dalla biblio-teca del padre dove Hoài fa le sue
venturieri e un "elemento sospetto". Il fratello maggiore Hac — diventa-to, dopo una vita di espedienti, pa-drone del lotto clandestino di Hanoi, poi della rete di distribuzione del ghiaccio della tropicale Saigon che vince al gioco, riempiendo i 16 metri quadri familiari di ogni ben di Dio, finché tutto crolla perché Fortuna
berare dalla straordinaria potenza del denaro", "mangiare innanzitut-to!". In prigione, c'è anche il poeta Ph. per aver scritto una poesia erme-tica e per aver rivendicato la scrittu-ra come modo di essere al mondo!
». Nuova Editoria per un Mondo Migliore
' D o p o la p u b b l i c a z i o n e d e . " L a Visione S i s t e m i c a d e l M o n d o " d i E r -v i n Laszlo, uscita in o t t o b r e , p u b b l i c h e r e m o a u t o r i noti (Gibran, c o n le sue più belle l e t t e r e d ' a m o r e e la sua b i o g r a f i a scritta dal p i ù a u t o -r e v o l e s t u d i o s o d e l l ' o p e -r a G i b -r a n i a n a , Suheil B u s h m i ; A . Bausani, c o n la sua t r a d u z i o n e dal g r e c o i n r o m a n e s c o del V a n g e l o di S. M a t -t e o e le s u e s o r p r e n d e n -t i e d i n e d i -t e poesie) e n a r r a -t o r i i n e d i -t i c h e s a r a n n o a u t e n t i c h e rivelazioni a b e n e f i c i o di u n m o n d o c h e v o g l i a m o e sarà migliore. V u o l e essere I N S I E M E a noi? P e r f a v o r e , ci spedisca la f o t o c o p i a di q u e -sta i n s e r z i o n e , c o m p l e t a n d o l a coi suoi d a t i . A t u t t i i n v i e r e m o u n piccolo d o n o con la p r o m e s s a di n o n lasciarci mai più e riceverà ogni q u a t t r o mesi g r a t u i t a m e n t e :
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LEGGERE IL FILM
Martedì 12 novembre - ore 18.40
Presentazione del libro Scriviamo un film, Pratiche editrice, Parma 1990 di Age.
Ne discutono con l'autore Gianni Volpi e Stefano Della Casa.
Per la prima volta Age, uno dei maggiori e più amati sceneggiatori italiani, ci racconta con affettuoso distacco, pungente ironia e sapiente consapevolezza il suo "mestiere". Martedì 19 novembre - ore 18.30
Presentazione del libro Cinema e pittura, Loescher editore, Torino 1991 di Antonio Costa.
Ne discutono con l'autore Gianni Rondolino e Giovanni Romano.
In che modo il cinema ha condizionato l'evoluzione della pittura in questo secolo, e in che modo la pittura ha preparato l'avvento del cinema?
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