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COMPETENZA E GIURISDIZIONE CIVILEFatto Diritto P.Q.M.

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COMPETENZA E GIURISDIZIONE CIVILE Cass. civ. Sez. Unite, 09-01-2001, n. 1

COMPETENZA E GIURISDIZIONE CIVILE

Fatto Diritto P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONI UNITE CIVILI Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Corrado CARNEVALE - Primo Presidente f.f. - Dott. Vincenzo BALDASSARRE - Presidente di sezione -

Dott. Francesco AMIRANTE - Presidente di sezione - Dott. Antonio VELLA - Consigliere -

Dott. Giovanni PRESTIPINO - Consigliere - Dott. Erminio RAVAGNANI - Consigliere -

Dott. Giovanni PAOLINI - Consigliere - Dott. Antonino ELEFANTE - Consigliere - Dott. Enrico ALTIERI - Rel. Consigliere - ha pronunciato la seguente

SENTENZA sul ricorso proposto da:

SCHINDLER CHRISTINA HENRIETTE, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA IPPOLITO NIEVO 61, presso lo studio dell'avvocato ERASMO ANTETOMASO, che la rappresenta e difende, giusta procura speciale del notaio in Roma F. De Paola rep. 124327 del 24 luglio 2000;

- ricorrente - contro

TRIBUNALE PER I MINORENNI DI ROMA, PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE PER I MINORENNI DI ROMA, PISCHEDDA PIETRINO;

- intimati - avverso il decreto n. 3903/2000 del Tribunale per i minorenni di ROMA, depositato il 18/07/00;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/12/00 dal Consigliere Dott. Enrico ALTIERI;

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udito l'Avvocato Erasmo ANTETOMASO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Vincenzo NARDI che ha concluso per la giurisdizione del giudice italiano.

Svolgimento del processo

Con decreto del 14 luglio 2000 il tribunale per i minorenni di Roma rigettava i ricorsi di Christina Henriette Schindler, cittadina tedesca, e di Pietrino Pischedda, genitori naturali della minore Lea Pischedda, tendenti ad ottenere l'affidamento della stessa minore, già affidata al servizio sociale con precedente decreto e collocata presso il padre con provvedimento emesso ai sensi dell'art.403 cod.civ..

Il tribunale riteneva che il padre non desse garanzia di comprendere la situazione psicologica della figlia e fosse quindi portato a sottovalutarne l'eventuale evoluzione negativa; che la madre dimostrasse con evidenza una cieca volontà di vivere con la figlia senza fissa dimora e senza regole. Pur non ricorrendo i presupposti per pronunciare l'allontanamento da entrambi i genitori, era quindi opportuno, in via d'urgenza, mantenere l'affidamento già disposto, in attesa di ulteriori accertamenti.

Avverso tale decreto, nonché quelli precedentemente emessi dal tribunale per i minorenni, Christina Henriette Schindler ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di due motivi.

L'intimato non ha svolto attività difensiva.

La causa, originariamente assegnata alla prima Sezione civile della Corte, è stata, a seguito di ordinanza di tale Sezione, rimessa dal Primo presidente alle Sezioni Unite, in quanto il ricorso si fonda anche su motivi attinenti alla giurisdizione.

I motivi di ricorso

2.1. I fatti e le vicende processuali vengono ricostruiti dalla ricorrente nel modo che segue.

Nel 1992 aveva conosciuto in Germania Pietrino Pischedda. Tra loro si era instaurata una relazione, dalla quale, nel 1994, era nata una bambina di nome Lea. Il Pischedda era, quindi, ritornato in un paese della provincia di Oristano, dove era parroco; successivamente era rientrato in Germania e aveva riconosciuto la figlia, alla quale era stato attribuito anche il suo nome.

Essendosi interrotto il rapporto, la Schindler si era rivolta all'Amtsgericht di Hannover - tribunale per la famiglia -, il quale, con decreto del 13 gennaio 2000, attribuiva all'istante la tutela parentale sulla bambina, fissandone la residenza in Marburg.

Il 20 maggio 2000, in Roma, dove la Schindler si era recata con la figlia, a seguito dell'intervento della polizia su richiesta del Pischedda, la donna e la bambina venivano condotte in un commissariato. Sulla base della relazione di servizio della polizia, dalla quale risultava che la Schindler presentava un aspetto dimesso ed aveva fornito false indicazioni sulla propria identità personale, la piccola Lea, con provvedimento del pubblico ministero presso il tribunale per i minorenni, veniva collocata temporaneamente presso il padre.

Con decreto del 22 maggio 2000 il tribunale disponeva il provvisorio affidamento della minore al servizio

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sociale, mantenendo, sempre in via provvisoria, il collocamento presso il padre.

I ricorsi presentati al tribunale per i minorenni per violazione delle convenzioni in materia di affidamento dei minori venivano respinti dallo stesso tribunale, il quale, con decreto 23 giugno 2000 (non notificato) e con quello emesso il 14 luglio 2000, confermava le misure adottate in via d'urgenza.

2.2. Premesso quanto sopra, col primo motivo la ricorrente denuncia violazione della legge 15 gennaio 1994, n.64, con la quale sono state ratificate e rese esecutive le convenzioni in materia di decisioni sull'affidamento di minori, in relazione all'art.360, n. 1, 2 e 3 cod. proc. civ.

Deduce che, secondo la sopra riportata normativa convenzionale, l'autorità giudiziaria italiana non poteva disconoscere le decisioni del giudice tedesco (e cioé la sentenza dell'Amtsgericht di Hannover del 13 gennaio 2000). I provvedimenti per la protezione dei minori, in forza della disciplina convenzionale introdotta nell'ordinamento italiano dalla legge 15 gennaio 1994, n.64, devono essere adottati dall'autorità del luogo ove gli stessi devono avere attuazione; nella specie, poiché la minore è residente in Germania ed ivi svolge la sua vita familiare, doveva ritenersi esclusivamente competente il giudice tedesco.

La decisione di quest'ultimo non poteva, pertanto, essere modificata dal giudice italiano.

2.3. Col secondo motivo, denunciando inesistente e /o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all'art.360, n.5, cod. proc. civ., la ricorrente lamenta che i provvedimenti impugnati non contengano alcuna motivazione circa le ragioni che sconsigliavano la protrazione dell'affidamento della minore al padre (dubbi sull'abbandono del ministero sacerdotale, convivenza con altra donna, mancata corresponsione degli alimenti). In sostanza, secondo la ricorrente, i provvedimenti assunti dal tribunale per i minorenni sarebbero in profondo contrasto con lo spirito della cooperazione internazionale europea in materia di affidamento di minori.

Motivi della decisione

3.1. Deve, anzitutto, ritenersi l'ammissibilità del ricorso per cassazione nei confronti dei provvedimenti impugnati (quanto meno per il secondo e il terzo, in relazione ai quali non risulta scaduto il termine per ricorrere).

Infatti, pur essendo stati gli stessi emessi in via provvisoria ed urgente ai sensi dell'art.333 cod. civ., gli stessi, in quanto incidono su posizioni di diritto soggettivo in conflitto, sono suscettibili di ricorso ex art.111 Cost.

3.2. Il primo motivo non merita accoglimento. La ricorrente prospetta che, secondo il regime convenzionale reso esecutivo in Italia con la legge 15 gennaio 1994, n.64 (Convenzioni di Lussemburgo del 20 maggio 1980, dell'Aja del 25 ottobre 1980, del 5 ottobre 1961 e del 28 maggio 1970), sussisterebbe una riserva di giurisdizione a favore del giudice del luogo in cui il minore ha la propria residenza abituale. E poiché non è contestato che tale residenza sia in Germania, la giurisdizione apparterrebbe esclusivamente al giudice tedesco che, d'altra parte, si sarebbe già espresso, con provvedimento definitivo, sull'affidamento della minore alla madre.

I decreti impugnati costituirebbero, pertanto, anche

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un'illegittima modificazione di un provvedimento giurisdizionale emesso dall'autorità straniera.

Per risolvere tale questione è necessario svolgere alcune considerazioni fondate sul diretto esame degli atti, che le Sezioni Unite possono compiere, dovendo decidere sulla giurisdizione.

3.3. Con ricorso del 22 maggio 2000 il P. M. presso il tribunale per i minorenni di Roma chiedeva l'apertura di un procedimento ai sensi dell'art.333 cod. civ. nei confronti della Schindler, chiedendo che la figlia minore venisse affidata al servizio sociale e collocata, insieme alla madre, in idonea struttura.

La minore era stata provvisoriamente collocata presso il padre con provvedimento dello stesso P.M., emesso ai sensi dell'art.403 cod. civ.

Col citato decreto del 25 maggio 2000 il Tribunale per i minorenni, provvedendo in via provvisoria ed urgente, riteneva l'esistenza di una condotta irregolare della Schindler, dalla quale poteva derivare un pregiudizio personale per la minore.

Il tribunale affidava, perciò, quest'ultima al servizio sociale competente, dando mandato allo stesso di

"valutare e prolungare l'attuale collocamento presso il padre ovvero, nell'ipotesi di difficile convivenza, prevedere l'inserimento insieme alla madre in idonea struttura protetta".

Con ricorso depositato il 20 giugno 2000 la Schindler chiedeva che il tribunale per i minorenni, in via immediata ed urgente, disponesse la riconsegna della bambina alla madre.

Con decreto in data 23 giugno 2000 il tribunale rigettava il ricorso, ritenendo che non ricorressero elementi per modificare il precedente decreto e ribadendo che la condotta della donna (la quale si era allontanata dal proprio domicilio in Germania senza dare alcuna notizia di sé, e teneva se stessa e la figlia, all'atto dell'intervento della polizia italiana, in condizioni di grave trascuratezza) giustificava il provvisorio allontanamento della figlia dalla madre.

Il tribunale dava atto che la Schindler aveva invocato un provvedimento di affidamento della minore emesso dall'autorità tedesca, la quale aveva anche respinto le istanze del Pischedda tendenti all'affidamento della minore al padre.

Secondo il tribunale, l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice italiano, sollevata dalla difesa della Schindler, era infondata, nonostante fossero intervenute decisioni dell'autorità tedesca, dovendosi ritenere tale competenza giurisdizionale attribuita al giudice italiano, in base al disposto a degli articoli 3, 9 e 37 della legge 31 maggio 1995, n.218, essendo il padre e la stessa minore cittadini italiani.

Gli ulteriori ricorsi dei genitori tendenti ad ottenere il separato affidamento della figlia erano stati, come si è già detto, respinti dal Tribunale per i Minorenni col decreto del 14 luglio 2000.

3.4. Ciò premesso, le Sezioni Unite osservano che la giurisdizione del giudice italiano in relazione ai provvedimenti assunti dal tribunale per i minorenni di Roma si fonda su ragioni giuridiche diverse da quelle svolte nel decreto del 23 giugno 2000.

Infatti, la materia non è disciplinata dagli articoli della legge n.218 del 1995 indicati nel detto provvedimento, bensì dall'art.42 della stessa legge, il quale, per la regolamentazione del riparto della competenza, giurisdizionale e amministrativa, e per l'individuazione della legge applicabile in tema di protezione dei minori, rinvia alla Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 24 ottobre 1980, n.742.

Deve ritenersi, infatti, che i provvedimenti assunti dal P.M. e dal Tribunale per i minorenni, pur incidendo sull'esercizio della potestà dei genitori, debbano essere considerati e valutati in relazione alla loro precipua funzione di protezione della minore e, quindi, ricompresi nella previsione dell'art.1 della detta Convenzione, la quale attribuisce la competenza giurisdizionale e amministrativa, in via di principio, alle autorità dello

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Stato di residenza abituale del minore.

Tale norma, come generalmente ritenuto nell'applicazione giurisprudenziale dei diversi Stati firmatari, non contiene un elenco tassativo di provvedimenti, né una loro definizione generale, considerando gli stessi, non sotto il profilo della loro natura giuridica, ma soltanto sotto quello della finalità perseguita (e cioé la protezione dei minori). Non vi è dubbio, pertanto, che in tale Generalklausel rientrino anche i provvedimenti previsti dall'art.333 cod. civ.

Nel caso di specie vi è, preliminarmente, da considerare che la minore possiede la cittadinanza italiana, oltre a quella tedesca, ed é residente in Germania.

Non possono, quindi, applicarsi le regole dettate dall'art. 4 della Convenzione, le quali stabiliscono la prevalenza delle misure adottate dalle autorità dello Stato di cui il minore è cittadino su quelle adottate dalle autorità dello Stato di residenza abituale.

Neppure può farsi ricorso alla regola generale dettata dall'art.19, comma secondo, della legge n.218/95, secondo cui, se la persona possiede più cittadinanze e tra queste vi è quella italiana, quest'ultima prevale.

Tale disposizione, infatti, deve subire i necessari adattamenti derivanti dalle altre Convenzioni internazionali vigenti, in forza della regola dettata dall'art.2 della stessa legge n. 218 del 1995.

Occorre, infatti, considerare che la Convenzione in materia di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia di affidamento dei minori e di ristabilimento dell'affidamento, firmata a Lussemburgo il 20 maggio 1980 e ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 15 gennaio1994, n.64, non pone alcuna regola di priorità circa le decisioni giurisdizionali assunte in diversi Stati firmatari, prevedendo una possibilità di reciproco riconoscimento delle decisioni stesse.

L'art.4, primo comma, della detta Convenzione, infatti, stabilisce che "Chiunque abbia ottenuto in uno Stato contraente un provvedimento relativo all'affidamento di un minore e desideri ottenere in un altro Stato contraente il riconoscimento o l'esecuzione di tale provvedimento può rivolgersi, a tale scopo, mediante ricorso, all'autorità centrale di ogni Stato contraente".

La Convenzione non recepisce, quindi, la regola dettata dall'art.4, ultimo comma, della Convenzione dell'Aja del 1961, secondo la quale le autorità della Stato di cui la persona ha la cittadinanza possono modificare o sostituire coi propri provvedimenti le decisioni assunte dalle autorità dello Stato di residenza abituale.

Vi è da aggiungere, inoltre, che, trattandosi di soggetti cittadini di Paesi membri dell'Unione Europea, l'applicazione al caso di specie della regola di priorità stabilita dal citato art.19, comma secondo, si tradurrebbe, inevitabilmente, in una discriminazione fondata sulla nazionalità, vietata dall'art. 12 (ex art.6) del Trattato CE, norma considerata dalla costante giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee di diretta applicazione.

Non resta, quindi, che ritenere l'appartenenza della giurisdizione allo Stato firmatario che abbia col minore un collegamento più stretto, e cioé, nel caso concreto, la Germania, di cui la minore è cittadina e nel cui territorio ha la residenza abituale.

Come si è detto, sull'affidamento della minore alla Schindler si é pronunciata in via definitiva l'autorità giudiziaria tedesca (Tribunale della famiglia dell'Amtsgericht di Hannover).

Occorre, però, porre in chiaro che l'affidamento della minore alla ricorrente non è una situazione giuridica che deriva direttamente dal provvedimento del giudice tedesco.

Secondo la legge tedesca (~ 1705 del Burgerliches Gesetzbuch), infatti, l'esercizio della tutela parentale (elterliche Sorge) sul figlio nato fuori dal matrimonio è attribuito ex lege esclusivamente alla madre.

Nel provvedimento del 13 gennaio 2000 si dà atto che non sussistono motivi per impedire alla Schindler l'esercizio della tutela parentale (come era stato precedentemente disposto, in via d'urgenza, con decreti in

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data 5 e 6 gennaio 2000), in considerazione del fatto che la madre e il genitore della stessa davano garanzie di occuparsi adeguatamente della minore; pertanto, detti decreti venivano annullati. Dai certificati degli Amtsgerichte di Hannover e di Marburg e del Landrat di Hannover risulta, altresì, che, alla data del 19 giugno 2000, non risultava pendente alcun procedimento avente ad oggetto l'esercizio della tutela parentale da parte della madre o emesso alcun provvedimento tendente ad escludere o a limitare tale diritto.

Risulta, altresì, che il giudice del predetto Tribunale di Hannover aveva respinto, con provvedimento del 19 gennaio 2000, un'istanza del Pischedda diretta ad ottenere l'affidamento della figlia.

In definitiva, la decisione del giudice tedesco stabilisce, in via definitiva, che l'esercizio della tutela parentale da parte della madre non poteva essere escluso o limitato.

Pertanto, in forza della disciplina dettata dalla Convenzione del 1961, opportunamente integrata da quella del 1980, sussiste una riserva di competenza a favore delle autorità dello Stato tedesco o, comunque, un vincolo al provvedimento definitivo da quest'ultimo assunto, ove lo stesso sia stato riconosciuto in Italia secondo la disciplina contenuta nella citata Convenzione di Lussemburgo o debba, comunque, ritenersi riconosciuto dalle autorità italiane.

Già l'art. 7 della Convenzione dell'Aja del 1980 disponeva che "Le misure adottate dalle autorità competenti ai sensi dei precedenti articoli della presente Convenzione sono riconosciute in tutti gli Stati contraenti".

Soltanto nel caso in cui si fossero resi necessari atti di esecuzione in uno Stato diverso da quello in cui erano state adottate, il riconoscimento e l'esecuzione dovevano avvenire, secondo lo stesso art.7, secondo il diritto interno dello Stato in cui l'esecuzione era richiesta.

Vi è, inoltre, da considerare che la legge n. 218 del 1995 ha introdotto il principio dell'automatica efficacia dei provvedimenti di giurisdizione volontaria assunti all'estero (art. 66, il quale richiama l'art. 64). Tale è il regime che deve ritenersi applicabile anche nel caso di specie, che pure è soggetto alla Convenzione dell'Aja del 1961, per due considerazioni:

a) perché nella specie non si tratta di eseguire il provvedimento emesso dal giudice tedesco e, come si è detto, il dovere di riconoscimento della misura assunta in Germania discendeva direttamente dall'art. 7 della Convenzione del 1961;

b) perché l'esistenza di uno speciale regime convenzionale sul riconoscimento ed esecuzione delle decisioni giurisdizionali (ivi compreso quello introdotto dalla citata Convenzione di Lussemburgo del 1980) non impedisce agli Stati firmatari di adottare un regime giuridico di riconoscimento automatico. Appare significativo rilevare che la Convenzione di Lussemburgo del 1980, il cui Titolo III contiene soltanto alcune disposizioni sulla procedura di riconoscimento dei provvedimenti relativi all'affidamento di minori, esigendo soltanto che tale procedura deve essere "semplice e rapida".

Si deve, pertanto, concludere nel senso che la competenza giurisdizionale all'adozione, in via definitiva, di misure per la protezione della minore è attribuita alle autorità della Repubblica Federale di Germania, le quali, secondo l'art. 2 della Convenzione dell'Aja del 1961, "adottano le misure previste dalla loro legislazione interna", la quale "stabilisce le condizioni di istituzione, modifica e cessazione di dette misure".

Pertanto, l'atto che contiene l'applicazione di misure in via definitiva, e dal quale deriva un vincolo per le autorità degli altri Stati, ivi compreso il giudice italiano, è quello emanato dall'Amtsgericht di Hannover il 13 gennaio 2000.

3.5. Occorre, a questo punto, verificare se le misure assunte dal tribunale per i minorenni di Roma costituiscano una indebita invasione nella sfera di competenza giurisdizionale del giudice tedesco, secondo i principi sopra enunciati.

Non pare revocabile in dubbio che si tratti di misure assunte in via d'urgenza, come esposto nella premessa del primo decreto e come risulta dalla motivazione di quello del 14 luglio 2000, secondo cui il tribunale non intendeva pronunciarsi definitivamente sull'allontanamento, riservandosi di compiere ulteriori accertamenti.

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Sembra pertanto evidente che i provvedimenti impugnati non contengono alcuna statuizione diretta ad eliminare o a modificare il provvedimento (definitivo) assunto dal giudice tedesco.

Per quanto attiene ai provvedimenti urgenti, l'art.9 della Convenzione dell'Aia del 1961 prevede che "In tutti i casi di urgenza, le autorità di ogni Stato contraente sul territorio del quale si trovano o il minore o dei beni a questo appartenenti, adottano le necessarie misure di protezione.

Le misure adottate in applicazione del precedente capoverso cesseranno, salvi i loro effetti definitivi, non appena le autorità competenti ai sensi della presente Convenzione avranno adottato le misure imposte dalla situazione".

Ricorreva, pertanto, un'ipotesi nella quale era consentito l'esercizio della giurisdizione italiana.

La soluzione non muta anche se si voglia far richiamo all'art. 4 della legge n. 64 del 1994, il cui terzo comma dispone che "Il tribunale per i minorenni del luogo in cui il minore risiede è competente ad adottare i provvedimenti provvisori ed urgenti previsti dagli articoli 8 e 9 della convenzione de l'Aja del 5 ottobre 1961".

La portata di tale disposizione, infatti, non può essere tale da impedire ai giudici del luogo in cui la protezione del minore richiede immediati interventi l'adozione di quelle misure necessarie ad assicurare tale protezione. Un'esclusiva riserva di giurisdizione in materia di misure urgenti a favore del giudice del luogo di abituale residenza, infatti, non consentirebbe di assicurare quella rapida ed immediata tutela in situazioni verificatesi nel luogo in cui il minore si trova, tutela che proprio la disciplina convenzionale vuole invece assicurare.

La norma deve, pertanto, essere intesa nel senso che la competenza giurisdizionale in materia di provvedimenti provvisori ed urgenti, attribuita in via di principio alle autorità dello Stato di residenza abituale del minore, non esclude quella concorrente ed eventuale del giudice dello Stato in cui il minore viene occasionalmente a trovarsi.

Tale attribuzione, residuale ed eventuale, comporta, però, che l'autorità competente deve essere immediatamente investita dell'esame della situazione, sia al fine di mantenere ferme le misure adottate, sia al fine di disporre modifiche al regime definitivo originariamente disposto, attraverso l'applicazione della lex fori.

Pertanto, nei rigorosi limiti sopra enunciati, i provvedimenti assunti dal tribunale per i minorenni di Roma devono ritenersi immuni da censure sotto il profilo della competenza giurisdizionale.

Tale giudizio contiene una duplice implicazione: innanzitutto la natura provvisoria dei provvedimenti impedisce che gli stessi determinino una regolamentazione stabile del rapporto; in secondo luogo, ogni decisione sul mantenimento di tali misure in via provvisoria, come pure su quelle precedentemente adottate in via definitiva, spetta al giudice del luogo di residenza abituale della minore, al quale deve essere data immediatamente comunicazione degli stessi provvedimenti. in forza dell'art.11 della Convenzione dell'Aja del 1961.

3.6. Quanto al secondo motivo, si tratta di censure inammissibili, non potendosi, in sede di ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., compiersi alcun sindacato sulla congruità della motivazione.

3.7. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato, dichiarandosi la giurisdizione del giudice italiano, dovendosi ritenere i provvedimenti assunti dal tribunale per i minorenni di Roma immuni dai denunciati vizi di legittimità, nei limiti in cui, con gli stessi, il tribunale ha assunto in via provvisoria ed urgente le misure necessarie per la protezione della minore.

In applicazione del disposto dell'art.11 della Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961 e della Convenzione di Lussemburgo del 20 maggio 1980, copia della presente sentenza deve essere trasmessa alle Autorità centrali italiana (Ufficio Centrale per la Giustizia minorile del Ministero della Giustizia) e della Repubblica

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Federale di Germania (Generalbundesanwalt beim Bundesgerichtshof - Procuratore Generale presso la Corte giudiziaria federale).

Non avendo l'intimato svolto attività difensiva, nessuna statuizione deve essere assunta sulle spese.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite;

rigetta il ricorso; dichiara la giurisdizione del giudice italiano.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni Unite civili, il 7 dicembre 2000.

DEPOSITATO IN CANCELLERIA IL 9 GEN. 2001

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