Universit`a degli Studi di Bologna
Facolt`a di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali
Corso di laurea in Fisica
INFN - Laboratori Nazionali di Legnaro
Studio sulla formazione dell’alone in un linac
ad alta intensit` a
Relatore: Chiar.mo Prof. Giorgio Turchetti Correlatori: dott. Armando Bazzani
dott. Andrea Pisent
Candidato: Andrea Franchi
Anno Accademico 2000/2001
Indice
Introduzione 5
1 Il progetto TRASCO e gli acceleratori ad alta intensit`a 9
1.1 Il progetto TRASCO . . . 9
1.1.1 La questione energetica e lo smaltimento delle scorie . . . 9
1.1.2 TRASCO e l’amplificatore di energia . . . 10
1.1.3 Schema e status di TRASCO . . . 12
1.2 Gli acceleratori ad alta intensit`a . . . 14
2 Dinamica trasversa e carica spaziale 17 2.1 Moto trasverso ed equazione di Hill . . . 18
2.1.1 Equazioni del moto . . . 18
2.1.2 Soluzione periodica dell’equazione di Hill . . . . 21
2.1.3 Coordinate normali di Courant-Snyder . . . 24
2.1.4 Mappa sul giro e funzioni ottiche . . . 26
2.1.5 Matrici di trasferimento per drift e quadrupoli . 28 2.1.6 Micromappe . . . 29
2.1.7 La cella FODO . . . 31
2.1.8 Implementazione in HALODYN . . . 32
2.2 Carica spaziale . . . 33
2.2.1 Approccio di Vlasov . . . 34
2.2.2 Distribuzioni statistiche . . . 37
2.2.3 La perveanza . . . 40
2.2.4 Parametri di qualit`a del fascio . . . 42
2.2.5 Soluzione periodica K-V e funzioni ottiche . . . 43
2.2.6 Implementazione in HALODYN . . . 45
2.3 I sestupoli . . . 47
2.3.1 Sestupoli e mappa di Henon . . . 48
2.3.2 Apertura dinamica . . . 50
2.3.3 Implementazione in HALODYN . . . 54
3 Struttura e caratteristiche di HALODYN 2-D 55 3.1 La struttura . . . 55
3.1.1 Generazione delle particelle . . . 56
3.1.2 Il modello Particle-In-Cell . . . 58
3.1.3 Il Poisson Solver . . . 59
3.1.4 Il modello Particle in Core . . . 61
3.1.5 Gestione dell’output . . . 65
3.1.6 Il post processing . . . 66
3.2 Librerie MPI e parallelizzazione del codice . . . 69
3.2.1 Elementi di programmazione parallela con MPI 69 3.2.2 Implementazione su HALODYN 2D-MPI . . . . 71
3.3 Analisi dei tempi di CPU . . . 72
3.3.1 Versione scalare . . . 72
3.3.2 Versione parallelizzata . . . 75
3.4 Analisi degli errori . . . 78
3.4.1 Funzioni ottiche . . . 78
3.4.2 Valori RMS . . . 80
3.4.3 Considerazioni statistiche . . . 80
4 Formazione dell’alone e crescita dell’emittanza viste attraverso HALODYN 2-D 83 4.1 Simulazioni . . . 83
4.1.1 Simulazione 1 . . . 84
4.1.2 Simulazione 2 . . . 86
4.1.3 Simulazione 3 . . . 92
4.1.4 Simulazione 4 . . . 95
4.1.5 Simulazione 5 . . . 100
4.2 Instabilit`a della KV . . . 100
4.2.1 Instabilit`a d’inviluppo . . . 102
4.2.2 Instabilit`a di Poisson-Vlasov . . . 104
5 Dinamica dei linac 109 5.1 Dinamica longitudinale . . . 110
5.2 Fattore di tempo di transito (TTF) . . . 113
5.3 Moto all’interno di una cavit`a accelerante . . . 115
5.4 Carica spaziale, perveanza generalizzata, modelli PC e PIC . . . 121
5.5 Effetti dell’accelerazione . . . 125
5.6 Poisson-Vlasov e distribuzioni 6-D . . . 127
6 HALODYN 3-D 133 6.1 Struttura e implementazione della dinamica longitudinale133 6.2 Il Poisson Solver 3-D . . . 135
6.3 Implementazione dell’accelerazione . . . 136
6.4 Analisi dei tempi di CPU . . . 137
6.5 Confronti con PARMILA . . . 139
6.5.1 Confronto P1 . . . 140
6.5.2 Confronto P2 . . . 143
6.5.3 Confronto P3 . . . 147
6.6 Simulazione dell’ISCL di TRASCO . . . 148
Conclusioni 153
Ringraziamenti 155
Introduzione
Negli ultimi anni `e andato crescendo l’interesse verso gli acceleratori lineari (linac) ad alta intensit`a. Si parla di alta intensit`a quando la cor- rente I trasportata dal fascio `e superiore al mA. Questo tipo di fascio
`e richiesto per diverse applicazioni, come la produzione di neutroni per spallazione, la trasmutazione delle scorie nucleari, la fusione inerziale, la realizzazione di un reattore nucleare a fissione sotto-critico e la pro- duzione di radioisotopi per applicazioni mediche. In queste macchine
`e necessario avere un controllo estremamente buono delle perdite del fascio in quanto anche piccole perdite determinano un inaccetabile liv- ello di radioattivit`a della struttura. Per il controllo di questo tipo di fasci `e necessario capire quali sono i meccanismi che ne regolano le in- stabilit`a derivanti dalla mutua repulsione columbiana. Simulazioni al calcolatore, infatti, evidenziano situazioni nelle quali queste instabilit`a vengono alimentate, portando alla formazione di un alone di particelle attorno al core. Per alone si intende la presenza di particelle ad una distanza di almeno 4 o 5 volte quella del core. Il controllo di questo alone `e necessario per evitare perdite del fascio lungo l’acceleratore.
Ci sono diversi esperimenti in corso per la realizzazione di Linac ad alta intensit`a. Per quanto riguarda la produzione di neutroni per spallazione, il principale programma attivo `e l’americano SNS, in costruzione nei laboratori di Oak Ridge (ORNL). Questi fasci di neutroni verrano utilizzati principalmente per lo studio della mate- ria condensata e delle reazioni nucleari. Altri progetti, fermi tuttavia allo studio di fattibilit`a, sono attivi in Europa (European Spallation
Source ESS) ed in Giappone (JAERI/KEK) 1.
Per quanto riguarda la trasmutazione delle scorie nucleari, il pro- getto italiano TRASCO-ADS verr`a descritto in dettaglio nel primo capitolo. Nei laboratori di Los Alamos (LANL) `e in fase di realiz- zazione un analogo progetto denominato ATW (Acceleration-driven Trasmutation of Waste).
Gli acceleratori ad alta intensit`a sono di interesse anche per quan- to riguarda la produzione d’energia. L’idea di Rubbia 2 dell’Energy Amplifier prevede la realizzazione di un reattore nucleare a fissione sottocritico nel quale i neutroni necessari a mantenere stazionario il livello di potenza del reattore sarebbe fornito appunto da un’accel- eratore di protoni ad alta intensit`a. Questi protoni, urtando su un bersaglio di metallo, producono un fascio di neutroni i quali a loro volta saranno iniettati nel nocciolo del reattore. Il vantaggio rispetto ai tradizionali reattori `e duplice: da un lato il reattore, lavorando ad un livello sottocritico, pu`o essere spento in qualsiasi momento senza il rischio della reazione incontrollata; dall’altro il materiale fissile utilizz- abile produrrebbe scorie dalla vita media di diversi ordini di grandezza inferiore a quelli tradizionali .
Anche la ricerca sulla fusione termonucleare sta rivolgendo atten- zione verso questo tipo di macchine. Oltre alla fusione da plasmi con- finati elettromagneticamente si stanno progettando macchine in cui la fusione sia attivata da un fascio di ioni pesanti (ad esempio il bismuto) molto intenso che comprima un nucleo di trizio (fusione inerziale). Per questo tipo di applicazione sono necessarie correnti di fascio di diverse centinaia di mA, oggi non disponibili con le attuali tecnologie.
1per una presentazione dei programmi vedi:
http : //www.ess − europe.de/essjs/index.html e http : //cens.tokai.jaeri.go.jp/EN GLISH/index.html
2L’idea di usare gli acceleratori come piloti per un reattore `e degli anni cin- quanta, ma il gruppo di Rubbia al CERN `e stato il primo a dimostrare l’effettivo guadagno energetico da un simile processo
I linac ad alta intensit`a sono, infine, utilizzati in diverse terapie sperimentali per la cura dei tumori, tra cui la Boron Neutron-Capture Therapy (BNCT). Il boro pu`o essere fissato per via farmacologica ai tessuti tumorali. Se il paziente viene sottoposto ad un flusso di neutroni termici, la reazione di cattura del neutrone da parte del boro provoca l’emissione di particelle α e quindi un danno localizzato alle sole cellule malate.
In questa tesi verr`a studiata la dinamica del fascio in questo tipo di linac ad alta intensit`a. Il parametro fisico legato agli effetti di cari- ca spaziale (repulsione columbiana) `e chiamata perveanze o perveance.
Per piccoli valori di questo parametro tali effetti sono trascurabili (bas- sa intensit`a e alte energie). Non `e questo il caso della prima parte dell’acceleratore del progetto TRASCO in cui l’intensit`a del fascio `e di 30 mA e l’energia in ingresso `e di soli 5 MeV. Questa analisi verr`a effettuata attraverso simulazioni numeriche utilizzando il programma HALODYN, scritto dal prof. Turchetti e dal prof. Rambaldi a cui sono state apportate alcune modifiche da chi scrive. In particolare `e stato realizzato un pacchetto software per il post-processing grafico e statistico. L’esigenza di simulazioni numeriche specifiche deriva dal fatto che non sono ben chiari ancora i meccanismi legati alla carica spaziale. Per un corretto funzionamento della macchina e per perme- ttere la normale manutenzione, bisogna evitare perdite del fascio che possano produrre radiazione. `E dunque importante capire sotto quali condizioni un fascio intenso `e stabile o meno e quale sia il ruolo della carica spaziale nelle sue instabilit`a.
Di questo programma esistono due versioni: una 2D (in versione scalare e parallelizzata, utilizzando le librerie Message Passing Inter- face MPI) ed una 3D scalare. Attualmente viene studiata una cella periodica FODO, ma l’obiettivo per i prossimi mesi e di renderlo uti- lizzabile per ogni tipo di configurazione anche non periodica sul mod- ello del programma di simulazione PARMILA dei laboratori di Los Alamos, col quale verranno effettuati dei benchmark.
Nel primo capitolo viene descritto il progetto TRASCO ed esposte le principali caratteristiche degli acceleratori ad alta intensit`a.
Nel secondo capitolo `e esposta la teoria del moto trasverso del fascio con riferimento alle routine del programma che descrivono tale dinamica
Nel terzo capitolo si descrive la struttura di HALODYN 2D.
Nel quarto capitolo vengono presentate alcune simulazioni 2D e introdotta la teoria delle instabilit`a.
Nel quinto capitolo `e esposta la dinamica longitudinale e il suo accoppiamento con quella trasversa.
Nel sesto capitolo si descrivono la struttura di HALODYN 3-D, alcuni confronti con PARMILA ed una prima simulazione dell’ISCL di TRASCO.
Capitolo 1
Il progetto TRASCO e gli acceleratori ad alta intensit` a
1.1 Il progetto TRASCO
1.1.1 La questione energetica e lo smaltimento delle scorie
Lo smaltimento delle scorie radioattive prodotte dagli attuali impianti nucleari e dal disarmo delle armi nulceari costituisce un grande proble- ma. Queste scorie, infatti, contengono quantit`a significative di pluto- nio, altri attinidi fissionabili ed altri prodotti di fissione il cui stoccag- gio costituisce un problema ambientale, dato che la vita media di tali prodotti `e dell’ ordine dei 100000 anni. Stime sulla produzione di scorie 1 affermano che nei prossimi quindici anni si dovranno stoccare 250000 tonnellate di scorie di cui 2000 di plutonio.
Proiezioni sul consumo di energia 2 affermano che le riserve fossili consentono di arrivare alla fine del secolo, mentre quelle nucleari al quarto millennio 3. Lo sfrutamento di risorse fossili (petrolio, carbone
1Venneri F. et altr. Disposition of nuclear waste using subcritical Accelerator- Driven System: technology choices and implementation scenario, 6th International Conference on Nuclear Engineering ICONE-6-10-15 Maggio 1998
2Fells I. The Need of energy, Europhysics News, Springer Vol 29,(fusion special issue), 192 1998
3Si stanno studiando tecnologie per estrarre uranio anche dal mare, vedi Degetto S. Atti del XXI congresso di radioprotezione, Ancona settembre 2000
e metano), oltre ad essere per definizione esauribile e non sostenibile4 , hanno come effetto collaterale l’aumento di CO2 nell’atmosfera, con noti squilibri climatici causati dall’effetto serra.
Le fonti di energia rinnovabili, per quanto effettivamente poco utiliz- zate, non sembrano essere risolutive a causa della loro bassa efficienza.
L’energia da fissione nucleare, infine, ha due grossi problemi: la si- curezza degli impianti e lo smaltimento delle scorie. L’idea di Rub- bia di usare un acceleratore all’interno del reattore dovrebbe superare questi due problemi.
1.1.2 TRASCO e l’amplificatore di energia
Il progetto TRASCO (acronimo di TRAsmutazione SCOrie) nasce da una collaborazione tra ENEA e INFN e prevede lo studio e lo sviluppo di tecnologie per la realizzazione di un sistema composto da un reattore sottocritico alimentato da un acceleratore di protoni ad alta intensit`a, secondo lo schema dell’Energy Amplifer di Rubbia5. L’INFN sta stu- diando fattibilit`a dell’acceleratore 6, l’ENEA sta principalmente lavo- rando sul reattore sottocritico. Come materiale fissile possono essere utilizzati prodotti da fissione convenzionale, in una sorta di riciclaggio che permette di avere come prodotti finali elementi radioattivi dalla vita media di diversi ordini di grandezza inferiori a quelli convenzion- ali. Analogamente possono essere usati come materiale fissile elementi naturali come il torio, non utilizabile con gli attuali reattori, che non ha il plutonio come prodotto di scarto.
Test effettuati al CERN 7 hanno dimostrato che l’energia prodotta dalla fissione di queste scorie attraverso un fascio di protoni `e superi-
4Si definisce sostenibile quello sfruttamento di risorse che non ne impedisca l’utilizzo alle future generazioni
5C. Rubbia, J.A. Rubio, A tentative programme towards a full scale energy amplifier CERN/LHC/96-11 (EET) Geneva 1 Nov 1996
6I prototipi sono in costruzione nei Laboratori Nazionali di Legnaro (LNL), i Laboratori Nazionali del Sud (LNS) e le sezioni INFN di Milano e Genova
7C. Rubbia et al., An Energy Amplifier for Cleaner and Inexhaustible Nuclear Energy Production Driven by a particle Accelerator, CERN/AT/93-47(ET) 1993
ore a quella consumata dall’acceleratore. Da qui, appunto il nome di Amplificatore d’Energia.
In un reattore convenzionale il numero di neutroni prodotti dal- la reazione per unit`a di volume `e mantenuto rigorosamente uguale a quello dei neutroni assorbiti dalla reazione e dal moderatore, lasciando il reattore in perenne condizione di criticit`a, dato che al di sotto di quel valore la reazione non avviene mentre al di sopra si rischia una reazione a catena incontrollata. In un reattore sottocritico alimen- tato da un acceleratore, invece, la reazione verrebbe interrotta speg- nendo l’acceleratore, con evidente guadagno in termini di sicurezza dell’impianto.
Globalmente il guadagno energetico del reattore pu`o essere espres- so da un parametro, il guadagno G, definito come
Pout= GPf ascio
dove Pf ascio`e la potenza del fascio e Poutla potenza termica prodot- ta. Nel caso dell’Energy Amplifer vale la relazione:
G = G0 1 − k
dove G0 ≃ 2.5 e k `e il fattore di moltiplicazione definito come il rapporto tra numero di neutroni prodotti e neutroni assorbiti (nel caso di k = 1 si ha appunto la criticit`a e questa relazione non `e pi`u valida).
In generale il guadagno di potenza, overo la potenza messa a dis- posizione nella rete elettrica, dovr`a tener conto del fatto che non tutta l’energia termica sar`a converita in elettrica e che si consuma poten- za per alimentare l’acceleratore. Definendo con ηterm l’efficienza delle turbine si ha
Prete = ηtermPout− Pacc
D’altra parte anche l’acceleratore avr`a una sua efficienza di con- versione Pf ascio= ηaccPacc. Alla fine abbiamo quindi che
Prete =
ηterm G0
1 − k − 1 ηacc
Pf ascio
Possiamo quindi capire da questa relazione come un aumento del- l’efficienza dell’acceleratore possa assicurare uno stesso guadagno di potenza con un minor k, diminuendo il rischio di incidente.
A titolo d’esempio, una centrale fortemente sottocritica (k = 0.95), con un’efficienza termica attorno al 50%, della potenza di 675 MW richiederebbe un fascio di protoni da 1 GeV e 30 mA della potenza di circa 30 MW. 8
1.1.3 Schema e status di TRASCO
Per garantire i parametri precedentemente elencati, il linac considerato nel programma TRASCO 9 dovr`a trasportare protoni da 30 mA di corrente e 1 Gev di energia.
La prima parte `e una sorgente di protoni da 0.08 Mev gi`a costruita nei Laboratori Nazionali del Sud (LNS) dell’INFN. Essa `e in grado di generare un fascio da 80 mA. La seconda parte del linac `e costitui- ta da un Quadrupolo a RadioFrequenza, pi`u noto come RFQ, 10 in costruzione. La terza parte `e cosituita dall’ISCL (Indipendent phased Superconducting Cavity Linac), in fase di progettazione. La quarta
8La scelta dell’energia in uscita dipende dal flusso di neutroni prodotti. per Watt di fascio incidente. Tale flusso cresce linearmente con l’energia a basse energie per poi saturare attorno ad 1 Gev. La corrente scelta `e quella per la quale, fissata la potenza in uscita abbiamo k = 0.95, vedi Rubbia C. A high gain energy amplifier operated with fast neutrons ,AIP, conference proceedings Interantional Conference on Accelerator-Driven trasmutation technology and applicatione, Las Vegas, luglio 1994
9vedi STATUS OF TRASCO, Internal Report INFN-TC-00-23 21 dicembre 2000. Per lo status globale dei progetti di ADS vedi A European roadmap for de- veloping Accelerator-Driven-System (ADS) for nuclear waste Incineration , aprile 2000
10Per un’introduzione all’RFQ, vedi cap. 8 di T. Wangler RF Linear Accelerators
Schema generale dell’Energy Amplifier
ed ultima componente `e un linac superconduttivo per alte energie. Il fatto che il linac sia costituito da diverse componenti in cascata deri- va dal fatto che ad ogni intervallo di energie ci sono problematiche specifiche che vanno affrontate con diverse scelte ingegneristiche.
La dinamica del fascio per la parte dell’RFQ `e stata studiata con i programmi di simulazione PARMETEQM, dei laboratori di Los ALamos (LANL), e LIDOS.RFQ e TOUTATIS, del CEA/Saclay. Per L’ISCL verr`a usato, oltre a PARMILA (LANL), il progamma scritto dal gruppo di Bologna del programma TRASCO.
1.2 Gli acceleratori ad alta intensit` a
Come accennato nell’introduzione, si parla di acceleratori di alta in- tensit`a quando la corrente trasportata dal fascio `e superiore al mA. Gli effetti di carica spaziale riguardano i regimi di bassa energia. Gli ac- celeratori di alta energia non hanno questo problema. Per capire ci`o basta notare come la repulsione columbiana sia compensata dall’at- trazione magnetica (vedi cap. 2). La somma di questi due contributi
`e proporzionale a 1 − v2/c2 = 1/γ2. Gli effetti di carica spaziale sono praticamente nulli solo ad alte energie. A titolo d’esempio, il fascio di protoni all’ingresso del futuro LHC del CERN avranno un’energia di 450 Gev, con un 1/γ ∼ 10−3.
Nella dinamica del fascio di particelle in un acceleratore di alta intensit`a ed energia intermedia si possono distinguere tre componenti:
1. ottica lineare (quadrupoli magnetici) per la collimazione del fascio.
2. ottica non lineare creata da eventuali sestupoli inseriti per cor- rezioni cromatiche e da errori nella costruzione dei magneti.
3. effetti di carica spaziale.
Tutti questi aspetti sono stati inseriti nel programma di simu- lazione HALODYN, come meglio descritto nei capitoli 2 e 3, tranne quello relativo al disallineamento dei magneti, da inserire in futuro.
Oltre alle instabilit`a legate agli effetti di carica spaziale, va infatti ri- cordato che risonanze ed instabilit`a sono legate, soprattuto negli accel- eratori circolari, a imperfezioni costruttive della macchina. `E dunque interesse dei progettisti stabilire una tolleranza al di sotto della quale il fascio non entra in regimi di instabilit`a.
Capitolo 2
Dinamica trasversa e carica spaziale
In questo capitolo verranno esposti gli elementi della dinamica trasver- sa di un fascio all’interno di un acceleratore lineare. La dinamica trasversa in un acceleratore circolare, dovendo contemplare anche la curvatura del fascio, `e leggermente diversa, e (cosa di non poco conto per un neofita) presenta notazioni e convenzioni diverse. Ci limitere- mo dunque ai linac.
In realt`a, mentre la dinamica in un acceleratore circolare pu`o essere scomposta in una parte trasversale ed in una longitudinale, ci`o non `e pi`u possibile in un linac. Lo studio del moto trasverso `e quindi solo una semplificazione, utile tuttavia come primo approccio per uno stu- dio tridimensionale completo. L’impossibilit`a di disaccoppiare i due moti deriva dal fatto che il fascio non `e un continuo flusso di parti- celle, ma `e pulsato in cosiddetti bunch, le cui dimensioni, longitudinale e trasversale, sono dello stesso ordine di grandezza. In un accelera- tore circolare, invece, i bunch sono allungati ed `e quindi una buona approssimazione considerare il fascio come continuo e limitarsi ad una dinamica trasversa (e quindi bidimensionale).
Un altro motivo per cui negli acceleratori circolari `e sufficiente una dinamica trasversa `e che l’accelerazione fornita `e pi`u piccola rispetto a quella fornita nei linac. Nei primi `e quindi sensato postulare, in pri- ma approssimazione, la velocit`a costante, mentre nei secondi bisogna
tener conto degli effetti dell’accelerazione.
Nella dinamica trasversa esposta in questo capitolo, ed implemen- tata in HALODYN, non sono dunque previsti l’accelerazione (quindi le cavit`a acceleranti) e la curvatura (quindi i dipoli magnetici), ma solo gli elementi di trasporto (drift), di focalizzazione (quadrupoli e celle FODO) e di correzione cromatica (sestupoli). A questi elementi si aggiunge poi la carica spaziale, con i suoi effetti che verranno de- scritti nel secondo paragrafo.
Questo tipo di dinamica, dunque, descrive in prima approssimazione anelli d’accumulazione di bassa energia (e/o per ioni pesanti), nei quali si possono trascurare l’accelerazione e gli effetti di radiazione di sincrotone derivanti dalla curvatura. 1
2.1 Moto trasverso ed equazione di Hill
2.1.1 Equazioni del moto
Come sistema di riferimento scegliamo una terna cartesiana (ex, ey, ez) con ez parallelo all’asse del tubo, ex giacente sul piano orizzontale che contiene idealmente tale asse (l’acceleratore, tranne i vecchi Van der Graff, `e sempre posizionato orizzontalmente) ed ey orientato vertical- mente verso l’alto. Chiamando s l’ascissa curvilinea, il nostro sistema di riferimento si muove con la stessa velocit`a ˙s (e lo stesso verso) delle particelle in moto. In letteratura, dagli anni ’60 in poi, come variabile indipendente per la dinamica viene scelta la s al posto del tempo t, e viene sempre usata l’approssimazione s ≃ z, dato che le dimensioni trasversali del fascio sono dell’ordine dei mm, rispetto alle centinaia di metri percorsi longitudinalmente dal fascio. La relazione tra tempo
1Il problema della radiazione di sincrotone `e complesso, ma un’introduzione la si pu`o trovare nei classici di elettrodinamica come il Jackson Elettrodinamica Classi- ca e sulle dispense del corso di Elettrodinamica Classica presso la documentazione.
HALODYN non tiene conto di questi effetti
e ascissa curvilinea `e 2
ds = vdt = βcdt ≃ vzdt (2.1) Le equazioni del moto per la x e la y sono
dpx
dt = Fx
dpy dt = Fy
(2.2)
dove ~F `e la forza di Lorentz. Nel nostro caso, vale l’approssimazione
~v = (0, 0, v), mentre, non avendo campo elettrico e componenti longi- tudinali del campo magnetico 3 , ~B = (Bx, By, 0). La forza di Lorentz
`e quindi
Fx = −q(~v × ~B)x = qvBy
Fy = −q(~v × ~B)y = −qvBx
(2.3)
Il campo magnetico discende da un potenziale V che `e il potenziale esterno applicato al fascio. Nel nostro caso, bidimensionale e senza accelerazione, `e di tre tipi: nullo quando il fascio attraversa un ele- mento di trasporto (che da adesso in poi chiameremo drift), quadratico quando attraversa un quadrupolo (o un solenoide) e cubico quando at- traversa un sestupolo.
V =
0 nel drift
−Gqxy nel quadrupolo
−Gs
6 (x3− 3xy2) nel sestupolo
(2.4)
2In realt`a questo cambio di variabile indipendente non `e indolore, avendo dei riflessi in meccanica hamiltoniana assolutamente non ovvi. Per una trattazione formale rigorosa e complessa di questo aspetto vedi B. Schnizer Hamiltonian me- chanics with a space coordinate as indipendent variable, CERN 70-7, 13 maggio, 1970
3Questo `e sempre vero nei linac, tranne negli RFQ. Per una panoramica intro- duttiva sui campi elettromagnetici all’interno degli acceleratori e sulle soluzioni dell’equazione di Laplace vedi il cap.1 e 2 di T. Wangler RF linear accelerators
Gq `e chiamato gradiente di quadrupolo, Gs `e chiamato gradiente di sestupolo. Il nome assegnato ad ogni componente, deriva dallo svilup- po in multipoli col quale pu`o essere espanso il potenziale (elettrico o magnetico). Lo sviluppo generale `e dato da
V = G0x−G1
2 (x2−y2)−G2
6 (x3−3xy2)+· · · = −Re
k
X
n=1
Gn−1
n! (x + iy)n (2.5) dove il primo termine `e detto di dipolo (quando `e rivolto lungo y fa curvare il fascio negli acceleratori circolari), il secondo appunto di quadrupolo ed il terzo di sestupolo. Il termine di quadrupolo, come si vede, viene sempre ruotato di 45 gradi rispetto allo sviluppo. 4 Tenendo solo il termine di quadrupolo, le componenti trasverse del campo magnetico sono
Bx = −∂V∂x = G0y
By = −∂V∂y = G0x
(2.6)
quindi
Fx = qvBy = qvG0x = qβcG0x Fy = −qvBx= −qvG0y = −qβcG0y
(2.7)
Esplicitando i momenti ed ipotizzando costante la velocit`a (γ = cost)
mγ d2x dt2 = Fx
mγd2y dt2 = Fy
(2.8)
4Per un illuminante spiegazione su come vengono implementate concretamente queste soluzioni vedi cap. 4 di Wiedemann H. Particle accelerator physics 1, Springer 1998, disponibile in biblioteca
sostituendo ds = βcdt otteniamo
mγβ2c2d2x
ds2 = qβcG0x mγβ2c2d2y
ds2 = −qβcG0y
(2.9)
da cui
d2x
ds2 = qGq
mγβcx d2y
ds2 = − qGq
mγβcy
(2.10)
Dato che trascuriamo l’accelerazione, e quindi la variazione di γ e β, il coefficiente a destra delle equazioni `e costante. Questo non sar`a pi`u vero quando le particelle attraversano una cavit`a accelerante, come vedremo nel capitolo 5. Senza perdere di generalit`a possiamo quindi scrivere
x′′= k(s)x y′′= −k(s)y
(2.11)
dove gli apici stanno per la derivazione rispetto all’ascissa curvilinea e k(s) per il nuovo gradiente. La dipendenza da s sta nel fatto che sar`a nullo nei drift, costante nei quadrupoli. Come si intuisce dall’e- quazione precedente, i quadrupoli hanno un effetto focalizzante su un piano, ma defocalizzante nell’altro: una serie di quadrupoli ruotati di 90 gradi avranno, come vedremo nella cella FODO, un complessivo effetto focalizzante. 5 L’equazione del tipo
x′′+ k(s)x = 0 (2.12)
`e nota come equazione di Hill.
2.1.2 Soluzione periodica dell’equazione di Hill
Supponiamo che nell’equazione di Hill il coefficiente k(s) sia una fun- zione periodica di periodo L, ovvero k(s + L) = k(s). Cerchiamo una
5Per focalizzare si usano, tra i tanti, anche i solenoidi, i quali forniscono una fo- calizazione costante ed uguale in entrambi gli assi. Questo sistema viene chiamato Constant Focusing e lo si distingue dal FODO, detto Periodic Focusing.
soluzione del tipo r = A(s)exp(i(φ(s) + γ)) tale che ( lavoriamo con x ma il discorso `e identico per y )
x = Re(A(s)e(i(φ(s)+γ))) = A(s) cos (φ(s) + γ) (2.13) sostituendo la r di prova dentro l’equazione di Hill e separando parte reale e immaginaria si ottengono le due relazioni:
A′′(s) − φ2(s)A(s) + k(s)A(s) = 0 φ′′(s)A(s) + 2φ′(s)A′(s) = 0
(2.14)
Dalla seconda risulta che d
ds(φ′(s)A2(s)) = 0, da cui φ′(s)A2(s) = C2 (2.15) dove C `e una costante il cui significato fisico verr`a chiarito in se- guito. Inserendo la (2.15) nella (2.14) nasce l’importante equazione d’inviluppo
A′′(s) − C4
A3(s) + k(s)A(s) = 0, (2.16) la cui soluzione ci fornisce l’ampiezza (nominale) del fascio di particelle in assenza di carica spaziale. A(s) `e, infatti, l’ampiezza massima di oscillazione che una particella pu`o compiere in un determinato pun- to s. k `e periodico, ma la soluzione A(s) in generale non lo `e. Si definiscono quindi due tipi di soluzione per A: quella periodica (detta matched o mecciata) per cui A(s + L) = A(s) e quella non periodi- ca (detta di mismatch). Naturalmente, dato che negli acceleratori si hanno strutture praticamente periodiche, si cerca di generare un fas- cio con condizioni inziali tali da soddisfare la condizione di periodicit`a (che discuteremo pi`u avanti). Un fascio mecciato offre pi`u garanzie di stabilit`a rispetto ad uno non mecciato, dato che in quest’ultimo si pos- sono creare delle instabilit`a e delle risonanze. Cercare una soluzione periodica non `e dunque un limite matematico (come chi scrive ha pen- sato per troppo tempo) ma una precisa esigenza per i costruttori di acceleratori.
Naturalmente la periodicit`a di A implica che φ′(s + L) = φ′(s). Si
definisce la nota variabile β (dalla quale la dinamica trasversa prende il nome di betatronica)
β(s) = 1
φ′(s), da cui φ(s) = Z s
0
ds′
β(s′) (2.17) anch’essa periodica β(s + L) = β(s).
Dalla (2.15) segue che A(s) = Cpβ(s) e l’equazione d’inviluppo di- venta:
1
2β(s)β′′(s) − 1
2β′4(s) + k(s)β2(s) = 1, (2.18) La soluzione da noi cercata per l’equazione di Hill sar`a del tipo
x(s) = Cpβ(s) cos (φ(s) + γ). (2.19) Chiamiamo con < β−1 > il valor medio della funzione periodica β−1(s).
Per quanto non risulti immediato, utilizzando la sua espressione inte- grale, si pu`o far vedere che la φ(s) pu`o essere scomposta in
φ(s) =< β−1 > s + ˆφ(s) = 2πνs
L + ˆφ(s) (2.20)
dove ˆφ(s) `e una funzione periodica; da φ(0) = 0 segue che ˆφ(nL) = 0.
Quindi la variazione di fase dopo un giro (ovvero un percorso di lunghezza L) `e
φL(s) = 2πν =< β−1> L, cio`e ν = 1 2π
Z L 0
ds′
β(s′); (2.21)
ν viene chiamato tune.
In maniera na¨ıve si pu`o interpretare il tune come una sorta di fre- quenza di Larmour, il numero di giri che la particella compie sul pi- ano trasverso in un periodo. Il tune di un fascio collimato `e maggiore rispetto al tune di un fascio pi`u largo: la particella, trovandosi ad una distanza dall’asse maggiore, deve in un certo senso percorrere pi`u strada prima di completare un ”giro”. Vedremo che la carica spaziale, avendo l’effetto di allargare il fascio (repulsione columbiana) abbasser`a il tune del fascio. Un parametro che descrive il suo peso sar`a, come
vedremo, il rapporto tra il tune nominale e quello in presenza di carica spaziale (tune depression).
Dopo un po’ di algebra (che si rimanda alla letteratura o ad un utile esercizio matematico) la soluzione nello spazio delle fasi pu`o essere scritta come:
x x′
= V (s) C cos (2πνLs + γ)
−C sin (2πνLs + γ)
= V (s)R(2πνs
L)V−1(0) x(0) x′(0)
(2.22) R `e la matrice di rotazione R(θ) = cos θ sin θ
− sin θ cos θ
, mentre V(s)
`e la matrice simplettica a determinante 1
V (s) =
pβ(s) cos ( ˆφ(s)) pβ(s) sin ( ˆφ(s)) β′(s) cos ( ˆφ(s)) − 2 sin ( ˆφ(s))
2pβ(s)
β′(s) sin ( ˆφ(s)) + 2 cos ( ˆφ(s)) 2pβ(s)
(2.23)
2.1.3 Coordinate normali di Courant-Snyder
Introduciamo ora delle nuove coordinate, dette di Courant-Snyder, attraverso le quali sar`a pi`u chiaro il significato fisico della soluzione dell’equazione di Hill (2.22). Definiamo la matrice W e la sua inversa
W (s) =
pβ(s) 0
β′(s)
2pβ(s) 1
pβ(s)
, W−1(s) =
pβ(s)1 0
β′(s)
2pβ(s) pβ(s)
(2.24) anch’esse simplettiche e a determinante 1. 6 Non `e difficile mostrare che V (s) = W (s)R( ˆφ(s)).
Sia V che W generano quindi due trasformazioni canoniche nel piano (x, x′ = px) (ma lo stesso vale per il piano (y, y′) con le funzioni relative
6In realt`a questa definizione nasconde una gauge dato che nella (2.22) possiamo moltiplicare per una matrice di rotazione costante e per la sua inversa senza che il risultato cambi. Usiamo questa gauge per fissare W (1, 2) = 0
ad y ). Le trasformazioni sono le seguenti
˜x(s)
˜ px(s)
= W−1(s) x(s) px(s)
(2.25)
ˆx(s) ˆ px(s)
= V−1(s) x(s) px(s)
(2.26)
Le prime sono chiamate coordinate di Courant-Snyder, e sono quelle usate da HALODYN: un generatore random genera una dis- tribuzione iniziale di particelle in queste coordinate. HALODYN, dopo aver calcolato la β e la β′, genera la trasformazione inversa ar- rivando alle coordinate cartesiane. Tralasciando la trasformazione con V−1(s), studiamo come si scrive la soluzione dell’equazione di Hill nelle coordinate normali, unendo la (2.24) e la (2.22)
˜x(s)
˜ px(s)
= W−1(s) x(s) px(s)
= W−1(s)V (s)R(sπνs
L)V−1(0) x(0) px(0)
(2.27)
Dato che W−1(s)V (s) = R( ˆφ(s)) e che R( ˆφ(s)) ◦ R(sπνLs) = R(φ(s))
˜x(s)
˜ px(s)
= R(φ(s)) ˜x(0)
˜ px(0)
(2.28)
Nel sistema (˜x, ˜px) il moto `e dunque circolare con velocit`a angolare ω = φ′(s) = 1/β(s). Fissando le condizioni iniziali
˜
x(0) = x(0) = C cos γ e p˜x(0) = px(0) = −C sin γ,
si capisce dunque che la costante C `e il raggio del cerchio su cui si svolge il moto. Essendo la dinamica lineare l’azione invariante `e data dall’area di questo cerchio:
j = area cerchio
2π = πR2
2π = x˜2+ ˜px2
2 = C2
2 (2.29)
Alla quantit`a 2j si da il nome di emittanza ǫ, che vedremo essere un importante parametro nella dinamica del fascio: C =√
2j =√ ǫ. La
soluzione dell’equazione di Hill pu`o allora essere scritta come
x =√
βxǫxcos (φx(s) + γ) y =pβyǫycos (φy(s) + γ)
(2.30)
2.1.4 Mappa sul giro e funzioni ottiche
La soluzione cercata `e periodica. Andiamo quindi a scrivere la matrice sul giro, ovvero la matrice di trasferimento che descrive l’evoluzione di una particella da un punto iniziale a quello successivo di periodo L (nel nostro caso, ad esempio, dal primo drift della cella FODO a primo della cella successiva). Tutto ci`o, naturalmente, senza carica spaziale, quindi con gli assi cartesiani indipendenti tra loro. Riscrivi- amo la (2.28) in coordinate cartesiane:
x(s) px(s)
= W (s) ˜x(s)
˜ px(s)
= Wx(s)R(φx(s)) ˜x(0)
˜ px(0)
= Mtot,x(s) x(0) px(0)
(2.31)
dove Mtot,x(s) = Wx(s)R(φx(s))Wx−1(0).
L’equazione per la (y, py) `e identica nella forma ma avr`a le proprie matrici e funzioni Mtot,y, Wy, φy(s).
Sostituiamo s = L e, per ognuno dei due assi avremo:
rx,y(L) px,y(L)
= Mtot,x,yrx,y(0) px,y(0)
(2.32)
dove la matrice sul giro Mtot,x,y `e
Mtot,x,y =
cos (φL,x,y) + αx,ysin (φL,x,y) βx,ysin (φL,x,y)
−1 + α2x,y
βx,y sin (φL,x,y) cos (φL,x,y) − αx,ysin (φL,x,y)
,
(2.33)
con: αx,y = −βx,y′
2 e φL,x,y =
Z L 0
ds′
βx,y′ (s′) = 2πν.
α e β sono chiamate funzioni ottiche, φL`e chiamata avanzamento di fase ed `e, come si vede, uguale al tune a meno di un fattore 2π. Nota la matrice sul giro, si possono ricavare dalla (2.33) nel modo seguente:
φL,x,y = arccosTrMtot,x,y
2
βx,y = Mx,y,1,2
sin (φL,x,y)
αx,y = Mx,y,1,1− cos (φL,x,y) sin (φL,x,y)
(2.34)
In generale le funzioni ottiche sono funzioni di s. Nella (2.34) sono scritte quelle di fine (e inizio) periodo . Come vedremo, HALODYN le calcola lungo tutta la cella, anche se i valori che serviranno davvero (per il cambio di coordinate nella distribuzione iniziale) sono, appunto quelle iniziali. La loro importanza sta nel fatto che ad esse sono legate le funzioni d’ampiezza e le loro derivate:
Ax,y =pǫx,yβx,y, A′x,y = √ǫx,y
βx,y′ 2pβx,y
= −√ǫx,y
αx,y
pβx,y
(2.35)
Naturalmente, lavorando in uno spazio delle fasi 4-D, la matrice sul giro completa sar`a Mtot = Mtot,x⊕ Mtot,y.
Resta da stabilire, tuttavia, se questi valori siano reali o meno.
Se |TrMtot,x,y| < 2, non ci sono problemi nelle definizioni sopra date ed il punto fisso (cos`ı viene chiamata la soluzione periodica dai fisici matematici) `e detto ellittico ed `e stabile.
Se, tuttavia,|TrMtot,x,y| > 2, il discorso finora fatto vale a patto di sostituire sin 7→ sinh e cos 7→ cosh. 7 Il punto fisso, in questo caso,
`e instabile e viene chiamato iperbolico. Come accennato nell’intro-
7La cosa, per quanto non immediata, non `e difficile da dimostrare. Per una panoramica globale su questo aspetto e sul significato geometrico delle funzioni ottiche, vedi M. Reiser, par.3.8.2 di Theory and design of charged particle beams, disponibile anche presso la biblioteca del dipartimento di Fiscia
duzione all’equazione di Hill, quando in un acceleratore viene inserito un quadrupolo, esso focalizzer`a su un piano (|TrMtot,i| < 2), ma defo- calizzer`a nell’altro |TrMtot,j| > 2. Al primo corrisponder`a una matrice di seni e coseni, al secondo una di seni e coseni iperbolici.
2.1.5 Matrici di trasferimento per drift e quadrupoli
Torniamo all’equazione di Hill e cerchiamo una soluzione esplicita in tre casi particolari che corrispondono a due elementi presenti negli acceleratori.
Nel caso del drift kx(s) = ky(s) = 0 . Il moto `e dunque uniforme:
x(s) = x(0) + vxt = x(0) + px(0)s px(s) = px(0)
y(s) = y(0) + vyt = y(0) + py(0)s py(s) = py(0)
(2.36)
Definendo la matrice:
O(s) =1 s 0 1
(2.37) possiamo scrivere la soluzione nello spazio delle fasi nel seguente modo:
x(s) px(s)
y(s) py(s)
=
O(s) 0
0 O(s)
x(0) px(0)
y(0) py(0)
(2.38)
Nel caso del quadrupolo kx(s) = −ky(s) = k . Il moto sar`a dunque oscillatorio nel piano in cui ki > 0, iperbolico nell’altro. Ponendo ad esempio kx > 0, la soluzione si scrive:
x(s) = x(0) cos√
ks + px(0) sin
√ks
√k px(s) = −√
kx(0) sin√
ks + px(0) cos√ ks y(s) = y(0) cosh√
ks + py(0) sinh
√ks
√k py(s) = −√
ky(0) sinh√
ks + py(0) cosh√ ks
(2.39)
Definendo le matrici F (k, s) =
cos√
ks sin√
√ ks k
−√
k sin√
ks cos√ ks
D(k, s) =
cosh√
ks sinh√
√ ks k
−√
k sinh√
ks cosh√ ks
(2.40)
possiamo scrivere la soluzione nello spazio delle fasi nel seguente modo:
x(s) px(s)
y(s) py(s)
=
F (k, s) 0
0 D(k, s)
x(0) px(0)
y(0) py(0)
(2.41)
In questo caso avremo focalizzato in x ma defocalizzato in y. Con un quadrupolo ruotato di 90◦ scambiamo formalmente x ↔ y, ma praticamente kx ↔ ky, ottenendo come risultato
x(s) px(s)
y(s) py(s)
=
D(k, s) 0
0 F (k, s)
x(0) px(0)
y(0) py(0)
(2.42)
2.1.6 Micromappe
Stabilito che il nostro acceleratore sia composto da drift e quadrupoli (ruotati di 90 gradi tra loro), presentiamo ora un approccio con cui stu- diare l’evoluzione delle particelle al suo interno. Quello qui presentato
`e detto approccio con micromappe. L’idea `e quella di dividere il nostro periodo (e quindi la nostra macchina) in N elementi di lunghezza ds, ognuno dei quali sar`a descritto dalla propria micromappa Mm. Questa micromappa sar`a la O(ds) se siamo in un drift, F (k, ds) in un piano e D(k, ds) nell’altro, se ci troviamo in un quadrupolo. L’evoluzione totale sar`a la composizione di queste matrici.
Questo apprroccio ha il vantaggio di essere facilmente implementabile in un codice, ed `e quello che `e stato usato in HALODYN, come de- scritto pi`u avanti. Esso inoltre ci permette di separare la dinamica del fascio tra i vari casi, dovendo risolvere soltanto un’equazione a coeffi- cienti costanti invece che costanti a tratti.
L’unico accorgimento da prendere `e che la nostra discretizzazione fac- cia coincidere micromappe ed estremi degli elementi, in modo da evitare che una micromappa debba descrivere parte di un elemento
e parte di un altro.
Vediamo ora il funzionamento di questo metodo, poich`e rispecchia la sua implementazione su HALODYN. Sia ds la lunghezza di questi el- ementi (non `e obbligatorio che siano uguali, ma cos`ı li prendiamo per comodit`a esplicativa). La lunghezza totale sar`a L = Nds, la lunghez- za del drift sar`a lo, quella dei quadrupoli lf e ld. Il numero di mi- cromappe per elemento sar`a dunque no = lo/ds per il drift,nd= ld/ds e nf = lf/ds per i quadrupoli. La variabile s varier`a dunque in maniera discreta si = ids. 8 La mappa di trasferimento totale, di punto iniziale s0, sar`a
Mtot(s0) = Mm(sN −1) ◦ Mm(sN −2) ◦ . . . ◦ Mm(s1) ◦ Mm(s0), (2.43) dove Mm(si) `e la matrice di trasferimento da si e si+1.
Mtot(s1) = Mm(sN) ◦ Mm(sN −1) ◦ . . . ◦ Mm(s1) ◦ Mm(s1), (2.44) Moltiplicando Mtot(s1) per Mm(s0) ◦ Mm−1(s0), e sostituendo la (2.43) si ottiene che
Mtot(s1) = Mm(sN)◦Mtot(s0)◦Mm−1(s0) ≡ Mm(s0)◦Mtot(s0)◦Mm−1(s0) (2.45) Iterando da s1 a s2 si ottiene la stessa cosa
Mtot(s2) = Mm(s1) ◦ Mtot(s1) ◦ Mm−1(s1) (2.46) Generalizzando vale la seguente relazione
Mtot(si) = Mm(si−1) ◦ Mtot(si−1) ◦ Mm−1(si−1) (2.47) Note quindi la matrice di trasferimento dell’elemento e quella sul giro in un punto, si calcola la matrice totale al punto successivo.
8Nel caso tridimensionale, questa impostazione avr`a delle conseguenze impor- tanti, imponendo al ds di essere maggiore della lunghezza del bunch. Qualora il bunch fosse pi`u lungo del ds, le particelle poste alla sua estremit`a verrebbero de- scritte da una micromappa che non corrisponde all’elemento reale in cui si trovano.
HALODYN 3-D, qualora ci`o accada, interrompe l’esecuzione avvisando l’utente di ci`o che successo.
2.1.7 La cella FODO
Descriviamo ora in dettaglio la struttura pi`u comunemente usata per la focalizzazione del fascio. Come accennato si tratta di due drift alternati da due quadrupoli ruotati tra loro di 90◦. Non `e evidente che questa combinazione di focalizzazione e defocalizzazione abbia un effetto globalmente focalizzante. Infatti non `e sempre vero, come ve- dremo. Nell’equazione di Hill il k(s) `e una funzione costante a tratti cos`ı definita:
kx =
k1 nel focusing: 0 < s < lf
0 nel drift : lf < s < lf + l0,1
−k2 nel defocusing: lf + l0,1 < s < lf + l0,1+ ld 0 nel drift : lf + l0,1+ ld< s < lf + l0,1 + ld+ l0,2
(2.48)
ky = −kx
lo,1, lo,1, lf, ld sono rispettivamente la lunghezza del primo drift, quella del secondo, quella del primo quadrupolo e quella del secondo. Come si vede non `e necessario che i due quadrupoli abbiano la stessa lunghez- za e lo stesso gradiente (in generale k1 6= k2). Vedremo nel capitolo 4 come il comportamento del fascio sia, dal punto di vista delle in- stabilit`a, assai diverso nel caso a gradienti uguali rispetto a quello a gradienti diversi.
Il moto tra i due piani `e ancora disaccoppiato. Le due matrici di trasferimento sul giro saranno:
Mx,tot = O(l0,1) ◦ D(k2, ld) ◦ O(l0,2) ◦ F (k2, lf) My,tot = O(l0,1) ◦ F (k2, ld) ◦ O(l0,2) ◦ D(k2, lf)
Abbiamo detto che affinch`e la traiettoria sia stabile, le matrici devono soddisfare le relazioni |TrMtot,x,y| < 2. Non si ha dunque libert`a to- tale nello scegliere i gradienti dei quadrupoli e la loro lunghezza, ma bisogna accoppiarli nel modo opportuno. 9 Nell’utilizzo di HALO- DYN bisogna stare dunque attenti ad inserire parametri sensati. Il
9vedi par. 6.2.2 di Wiedeman H Particle accelerators physics 1
codice (ancora) non effettua controlli sui valori di lunghezza e gradi- ente. Qualora si esca dalla regione di stabilit`a, i risultati che le routine di ottica (cos`ı viene chiamata questa parte della dinamica), saranno senza senso: ampiezze negative o classici Not-A-Number, meglio noti come NAN, i pi`u temuti, dato che in FORTRAN, su di loro non `e pos- sibile fare alcun controllo. Non si tratta dunque di algoritmi sbagliati ma di parametri non corretti.
2.1.8 Implementazione in HALODYN
In HALODYN sono due le routine che vengono chiamate per questa prima parte della dinamica. La prima `e FODO micro maps. Come suggerisce il nome, essa calcola le matrici di trasferimento dei singoli elementi (le micromappe, appunto). L’utente all’inzio deve aver inser- ito in un include file i parametri di cui sopra, ovvero lunghezze degli elementi (drift, primo e secondo quadrupolo) ed i gradienti di questi ultimi. Oltre alle matrici calcola anche le loro inverse, poich`e, come si
`e visto nella (2.47) servono anche loro. Una volta calcolate le inserisce in:
common/map FODO/F(4,4),D(4,4),O(4,4),FI(4,4),DI(4,4),OI(4,4).
La loro definizione rispecchia quella data nelle (2.38),(2.41) e (2.42).
I dso,dsf e dsd dipendono dalla discretizzazione scelta e vengono cal- colati nell’include file. Lo stoccaggio delle matrici di trasferimento servir`a, oltre che all’ottica con carica spaziale, anche nella dinami- ca delle singole particelle. Una volta generata la distribuzione, infatti, ogni particella evolver`a soggetta ai campi esterni, descritti appunto da queste matrici, e al campo elettrostatico di carica spaziale, calcolato dal Poisson Solver (vedi capitolo successivo).
La seconda routine,FODO calcola la matrice sul giro M e le funzioni ottiche (senza carica spaziale) lungo tutta la cella FODO.
Come prima cosa prende le matrici di trasferimento calcolate da FO- DO micro maps e le compone come nella (2.43), ottenendo la matrice sul giro M. Usando le relazioni (2.34), calcola i tune νx, νy e le funzioni
ottiche iniziali αx, αy, βx e βy. Usando le (2.35) calcola le ampiezze d’inviluppo Ax, Ay e le loro derivate.
Usando infine la (2.47) calcola la matrice sul giro in ogni punto e le relative funzioni ottiche ed ampiezze che vengono scritte nei file halo 1 (funzioni ottiche) e halo 10 (ampiezze e loro derivate).
2.2 Carica spaziale
Fino ad adesso ci siamo occupati della dinamica nell’ipotesi di trascu- rare gli effetti derivanti dalla repulsione columbiana tra le particelle.
Questa ipotesi `e soddisfatta in tutti gli acceleratori a bassa inten- sit`a e,o di alta energia. Quando, tuttavia, vengono trasportati fasci i cui bunch contengono 1010 ∼ 1011 particelle cariche, concentrate nello spazio di qualche mm, questa ipotesi viene a mancare ed `e richiesto un nuovo approccio per tenere conto di questa interazione. Un ap- proccio puramente dinamico `e impensabile, a causa dell’enorme nu- mero di gradi di libert`a, non solo dal punto di vista matematico ma anche numerico, dato che la complessit`a computazionale diverrebbe proporzionale al quadrato del numero di particelle simulate.
Un’approccio statistico sembra essere pi`u adeguato. L’idea `e di descri- vere il nostro sistema attraverso la distribuzione delle particelle nello spazio delle fasi, la cui evoluzione `e descritta dall’equazione di Liou- ville. Due sono gli approcci in questo senso. Il primo, detto di Vlasov, ipotizza l’indipenza tra le singole particelle: tutte sentono uno stesso campo esterno da loro generato (campo medio), ma nessuna `e soggetta all’interazione columbiana diretta con le altre. Questo approccio ha il vantaggio di essere semplice, di avere un intervallo di validit`a molto ampio e di essere di immediata implementazione numerica. Il secondo, basato sull’equazione di Fokker-Plank, tiene conto anche delle inter- azioni di singola particella, introducendo, oltre al campo medio, un potenziale che tiene conto dello scattering columbiano. 10
10Per un ampia panoramica su quest’aspetto si rimanda al cap. 5 di M. Reiser theory and design of charged particle beams
Noi studieremo solo l’approccio di Vlasov implementando in HALO- DYN una sua soluzione autoconsistente. 11
2.2.1 Approccio di Vlasov
Come noto dalla meccanica hamiltoniana, un sistema di Np parti- celle che interagiscono (nel nostro caso elettrostaticamente) `e descritto da un Hamiltoniana e da una funzione di distribuzione definita nello spazio delle fasi 6Np-dimensionale ρtot(~q1, · · · , ~qNp, ~p1, · · · , ~pNp, t) che soddisfa l’equazione di Liouville
dρtot
dt = ∂ρtot
∂t +
3Np
X
i=1
n∂ρtot
∂qi ˙qi +∂ρtot
∂pi ˙pi
o= 0 (2.49)
L’ipotesi di Vlasov `e che siano trascurabili gli efetti degli urti columbiani.
Questo significa che, pur essendoci, il loro contributo `e descritto da un campo medio. Due sono le principali condizioni affinch`e quest’assunto sia verificato. 12
1. la discretizzazione (mesh) del Poisson Solver non deve essere pi`u piccola di 10−5 m. In generale non deve scendere al di sotto di un parametro detto lunghezza di Debye che dipende dall’energia del fas- cio e dalla densit`a di particelle.
2. Il numero di particelle n all’interno della cella del mesh deve essere tale da poterne trascurare la fluttuazione statistica (∼√n−1)
Come vedremo nel capitolo dedicato alle simulazioni, siamo sempre stati attenti a non scendere al di sotto di queste soglie. In generale si pu`o dire che pi`u `e alto il numero di particelle simulate pi`u il nostro modello `e realistico: per questo una simulazione numerica valida deve essere effettuata con almeno 107∼ 108 particelle.
11Non tutti sono d’accordo sulla possibilit`a di implementare numericamente un modello di Vlasov. Senza entrare nei dettagli, la discretizzazione e il noise nu- merico introdotto dai calcolatori hanno inevitabilmente l’effetto di simulare pi`u un modello basato sull’equazione di Fokker-Plank, che un Vlasov: vedi J. Struck- meier Concept of entropy in the realm of charged particle beams Phy. Rev. E vol.54 N. 1, luglio 1996
12Vedi A. Bazzani Space charge study at the Bologna University in ICFA Beam Dynamics Newsletter n.24, DESY M 01-01, aprile 2001 e par. 5.4.2 di M. Reiser, op. cit.
Verificata la validit`a di queste ipotesi vediamo quali sono le sempli- ficazioni matematiche che ne derivano. Supporre trascurabili gli urti significa poter fattorizzare la distribuzione ρtot in un prodotto di fun- zioni di distribuzione di particella singola, ovvero rendere la dinamica dipendente solo da un campo medio uguale per tutte le particelle.
ρtot =
Np
Y
i=1
f (~qi, ~pi, t) (2.50)
La f `e una funzione definita nello spazio delle fasi 6-dimensionale.
Sostituendo questa definizione nell’equazione di Liouville otteniamo l’equazione di Vlasov:
df dt = ∂f
∂t +
3
X
i=1
n∂f
∂qi
˙qi+ ∂f
∂pi
˙pio
= 0 (2.51)
Nota la funzione di distribuzione, la densit`a di carica spaziale ρ e la densit`a di corrente ~j sono date da:
ρ = Q Z
f (qi, pi, t)d3p e ~j = Q Z
~vf (qi, pi, t)d3p (2.52) dove Q `e la carica totale del fascio per unit`a di lunghezza. 13
In realt`a a noi interessa soltanto la densit`a di carica spaziale ρ da- to che il campo magnetico generato dalle cariche in moto `e uguale a
−βtr2 volte il campo elettrico. La velocit`a trasversa `e tuttavia decisa- mente non relativistica e quindi `e sensato trascurare il campo mag- netico visto dal bunch. Come accennato nella definizione del sistema di riferimento, HALODYN `e solidale al bunch. Le equazioni del moto nel sistema del laboratorio sono, tuttavia, le stesse, dato che le co- ordinate trasverse non vengono contratte. L’unica cosa che cambia (nelle equazioni del moto come nell’Hamiltoniana) `e il campo elettro- magnetico. Quello visto dal bunch `e soltanto elettrico, mentre quello visto dal laboratorio `e la somma dello stesso campo elettrico e di un nuovo campo magnetico (il bunch si muove con velocit`a βc e dunque
13Il lettore ricordi che c’`e una componente longitudinale di cui non dobbiamo dimenticarci
il laboratorio vede una densist`a di corrente ~j 6= 0). Applichiamo le trasformazioni di Lorentz ai due campi 14
Exlab = γ(Exbunch− βBybunch), Bxlab = γ(Bxbunch+ βEybunch) Eylab = γ(Eybunch+ βBxbunch), Bylab = γ(Bbunchy − βExbunch) Ezlab = Ezbunch, Bzlab = Bbunchz
(2.53)
Essendo nullo il campo magnetico visto dal bunch nella nostra ap- prossimazione
Exlab = γExbunch, Bxlab = γβEybunch Eylab = γEybunch, Bylab = −γβExbunch
Ezlab = Ezbunch, Bzlab = 0
(2.54)
Prendendo soltanto le componenti trasverse, la forza di Lorentz nel laboratorio diventa:
F~lab = q( ~Elab− c−1(~v × ~Blab)) = q
γE~bunch (2.55) dove il campo elettrico ~E discende dal potenziale scalare φ che soddisfa l’equazione di Poisson 15
∇2φ = −ρ
ǫ0 (2.56)
ovvero
∇2φ = −Q ǫ0
Z
f (qi, pi, t)d3p (2.57) Come si vede le due equazioni, la Vlasov (2.51) e la Poisson (2.57), sono accoppiate, dato che la distribuzione f genera un campo elettrico
14vedi par.1.3.2 di Wiedemann H. Particle accelerator physics 1
15questo `e vero nell’ipotesi di campo magnetico statico, col quale ∇ × ~E = 0 e quindi `e possibile definire un potenziale scalare. Altrimenti avremmo 2φ = ρ
ǫ0
il quale modifica a sua volta la distribuzione. Una soluzione auto- consistente `e una f soluzione di entrambe le due equazioni.
Tra le tante soluzioni possibili di questo sistema, noi siamo interessati a quelle stazionarie, ovvero indipendenti dal tempo, ∂f
∂t = 0. 16 Le soluzioni stazionarie sono quelle che dipendono dagli integrali primi del moto. Siano infatti I1, I2, · · · i nostri integrali primi
df dt =
6
X
i=1
∂f
∂Ii
∂Ii
∂zi = 0 (2.58)
Da adesso in poi, fin quando tratteremo il caso bidimensinale consid- eriamo valide le seguenti ipotesi:
1. Il moto trasverso e quello longitudinale sono disaccoppiati. Quindi H = H⊥+ Hk e f (x, y, z, px, py, pz) = f (x, y, px, py)
2. ρ = ρ(x, y) e di conseguenza ~E = (Ex, Ey)
2.2.2 Distribuzioni statistiche
Per quanto strano possa sembrare, esiste una sola distribuzione stazionar- ia soluzione di Poisson-Vlasov sia nel caso del constant focusing (solenoide) che della cella FODO. Si tratta della soluzione di Kapcinschij-Vladiminschij, meglio nota (per ovvi motivi di trascrittura) come K-V. Essa `e costru- ita a partire degli invarianti trasversi definiti nella (2.29) ed `e scritta, nello spazio di Courant-Snyder nel seguente modo:
f (˜˜x, ˜px, ˜y, ˜py) = Aδjx
jx0
+ jy
jy0 − 1
= Aδx˜2+ ˜p2x ǫx0
+y˜2+ ˜p2y ǫy0 − 1
(2.59) dove le ǫ0 sono le emittanze iniziali del fascio. Si tratta quindi di un elissoide uniformemente popolato che ha la popriet`a di avere tutte le sue proiezioni bidimensionali uniformemente popolate. Questo `e molto importante poich`e, come vedremo, il campo elettrico generato
`e lineare. Gli invarianti prima definiti sono tali, infatti, soltanto se la dinamica `e lineare. Altre distribuzioni come la gaussiana, ad esempio,
16Di nuovo, non si tratta di un limite, ma di una esigenza: ottenere un fascio la cui distribuzione nelle fasi `e la pi`u stazionaria possibile, `e il sogno di ogni acceleratorista!