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La crisi della città globale: intervento di rigenerazione nel quartiere di Hackney, East London

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Facoltà di Ingegneria DESTeC

C.d.l. in Ingegneria Edile–Architettura

La crisi della città globale: intervento di

rigenerazione nel quartiere di Hackney, East London

Relatori:

Prof. Arch. L. Lanini Arch. J. Whiteley Prof V. Mele

Ing. Arch. F. Candido

Tesi di Laurea di:

Giulia Giorgelli

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Ringraziamenti: a chi mi ha sostenuto.

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Indice

Introduzione... 5

La città globale ... 8

1.1. Le città del dopoguerra e ilmovimento moderno ... 9

1.2 La critica al movimento moderno e la nascita della città postmoderna... 15

1.3 L’uscita dalla modernità e la “nuova modernità” ... 26

1.4 La città globale ... 30

1.5 La città generica ... 34

Il caso di Londra ... 41

2.1 Londra: città globale, generica e duale ... 45

2.2 Il quartiere di Hackney, East London: inquadramento ... 60

2.3 Gli attori sociali ... 66

2.3.1 Ricerca I: gli studi di artisti ... 68

2.3.2 Ricerca II: gli spazi commerciali all’interno dei nuovi edifici ad uso misto ………..73

2.4 Conclusioni ... 76

Rigenerazione ... 77

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4 3.2 Strategia progettuale ... 86 3.3 Preserve ... 88 3.4 Adapte ... 92 3.5 Propose ... 97 Conclusioni ... 99 Bibliografia ... 103 Sitografia ... 107

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Introduzione

“Dopo essere state per secoli i centri nevralgici del commercio e delle attività bancarie internazionali, le grandi città assolvono oggiquattro nuove funzioni: quella di “stanze dei bottoni” dell’economia mondiale; quella di sedi privilegiate delle società finanziarie e delle aziende del terziario avanzato che hanno sottratto all’industria il ruolo di settore economico di punta; quella di luoghi di produzione (e di innovazione) per le medesime società e aziende; infine, quella di mercati per la compravendita di quegli stessi prodotti e innovazioni. […] Al giorno d’oggi, il controllo di ingenti risorse si concentra nelle grandi città; le società finanziarie e le aziende del terziario avanzato, inoltre, ne hanno profondamente modificato l’ordine sociale ed economico. Risultato di tutto ciò è la nascita di un nuovo tipo di agglomerato urbano, che chiameremo città globale”.1

“What if we are witnessing a global liberation movement: “down with character!” What is left after identity is stripped? The Generic?[…] The

Generic City is the city liberated from the captivity of center, from the

straitjacket of identity. The Generic City breaks with this destructive cycle

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of dependency: it is nothing but a reflection of present need and present ability. It is the city without history. It is big enough for everybody. It is easy. It does not need maintenance. If it gets too small it just expands. If it gets old it just self-destructs and renews. It is equally exciting- or unexciting- everywhere. It is “superficial” -like a Hollywood studio lot, it can produce a new identity every Monday morning.”2

Chi sono gli attori principali di questa dualità? Da una parte l’industria creativa, motore economico e culturale dello sviluppo che è avvenuto negli ultimi dieci anni all’interno del quartiere, illuminandolo di nuova Londra è città generica e città globale.

Il quartiere di Hackney, situato nell’East End, è emblema della crisi di questo sistema che si esprime nelladualità tra l’adeguamento agli standard della nuova economia globale e la perdita del carattere identitario della città stessa, che tale adeguamento comporta.

2 Traduzione: “e se stessimo assistendo ad un movimento di globale liberazione: “abbasso il carattere!” Che cosa succede dopo che l’identità viene messa a nudo? Il Generico? […] La Città Generica è la città liberata dalla prigionia del centro storico, dalla camicia di forza dell’identità. La Città Generica interrompe questo distruttivo circolo di dipendenza: non è nient’altro che lo specchio delle necessità attuali e delle abilità attuali. É città senza storia. É grande abbastanza per tutti. É semplice. Non ha bisogno di manutenzione. Se diventa troppo piccola, semplicemente si espande. Se diviene vecchia si autodistrugge e si rinnova. É eccitante - o non eccitante – nello stessomodo e ovunque. É “superficiale” come uno studio cinematografico di Hollywood, può produrre una nuova identità ogni lunedì mattina”. Rem Koolhaas,

Bruce Mau, The generic city in S, M, L, XL, p. 1248-1249,010 Publishers, Rotterdam,

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luce e attrattiva, dall’altro lato i fautori di uno sviluppo edilizio sempre più standardizzato e spesso lontano da quelle che sono le reali esigenze del quartiere.

Attraverso l’analisi di questi due fenomeni da un punto di vista spaziale ed architettonico, facendo riferimento a quelli che sono alcuni esempi di sviluppo dello spazio destinato all’industria creativa e alcuni esempi di nuovi edifici, si andranno a delineare alcune linee guida per un diverso approccio alla progettazione all’interno di un quartiere molto particolare come quello di Hackney.

Nell’intervenire dunque su di uno specifico sito del quartieresi prevede un progetto di rigenerazione che tenga conto della necessità di densificare il tessuto dell’abitato e di arricchirlo di nuove funzioni e usi, ma con un occhio di riguardo nei confronti di quello che è il carattere dell’esistente ed i rapporti formali che ne definiscono l’identità.

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8 Capitolo 1

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1.1. Le città del dopoguerra e ilmovimento moderno

Figura 1 Le Corbusier, Ville Radieuse

La seconda guerra mondiale lasciòdietro di sé distruzioni materiali piuttosto ingenti.La pace e la prosperità internazionali dovevano in qualche modo essere ricostruite tramite un programma che incontrasse le aspirazioni di coloro che avevano speso tutte le loro energie in uno

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sforzo che era stato generalmente rappresentato e giustificato come uno sforzo per un mondo più sicuro, un mondo migliore e un futuro migliore. Questo non poteva certo significare un ritorno alle condizioni anteguerra di recessione e disoccupazione e così la tendenzaovunqueera quella di guardare all’esperienza di produzione di massa e di pianificazione del periodo di guerra, per lanciare un vasto programma di ricostruzione e riorganizzazione.

Subito dopo la fine del conflitto mondiale si apre così un periodo di espansione economica che impone grandi trasformazioni sociali, più rapide e più profonde che in ogni altro periodo della storia. Poiché i tempi di questo processo sono molto ravvicinati, si produce quasi dappertutto un conflitto tra i provvedimenti di emergenza richiesti dalle distruzioni e i provvedimenti di più ampio respiro richiesti dallo sviluppo economico,tra ricostruzione e pianificazione.

Quando la guerra finisce la reazione principale è di semplice ed elementare sollievo. Si diffonde un senso di stanchezza ed un desiderio di appagarsi dei risultati immediati e tangibili.

Questo era il contesto in cui le idee del movimento moderno divenneroquadro teorico e giustificazione per ciò che, con molto senso pratico, ingegneri, politici, costruttori e urbanisti erano già in molti casi impegnati a fare per assoluta necessità sociale, economica e politica. In questo quadro generale furono esplorati tutti i tipi di soluzione possibili.

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In Inghilterrafu compiuto uno sforzo eccezionale per adeguare i programmi urbanistici alla esigenze della ricostruzione edilizia, adottando una legislazione urbanistica e territoriale piuttosto rigorosa che si proponeva di limitare la sub urbanizzazione e di sostituirla con lo sviluppo pianificato di nuove città (sul modello Ebenezer Howard3

Molti paesi europei perseguirono progetti simili a quello britannico, non sempre riuscendo però a coniugare la ricostruzione edilizia con il riordinamento urbanistico. Anzi molto spesso le esigenze della produzione e quelle del coordinamento con una più profonda ), o con programmi di insediamento ad alta densità o di rinnovamento (sul modello di Le Corbusier). Sotto lo sguardo vigile e attentodello stato, furono escogitate precise procedure per eliminare i quartieri degradati, costruire nuova edilizia abitativa modulare, scuole, ospedali, fabbriche e così via, attraverso l’adozione di sistemi di costruzione industrializzati e procedure di pianificazione razionale che gli architetti del movimento moderno avevano a lungo proposto.

Tutto questo fu accompagnato dalla profonda preoccupazione, espressa più e più volte nella legislazione, di una razionalizzazione dei sistemi spaziali e dei sistemi di circolazione per promuovere l’equità, il social welfare e la crescita economica.

3Sir Ebenezer Howard (1850 - 1928) fu ideatore della garden city e nel suo libro

To-Morrow: A PeacefulPath to Real Reform (1898), descrisse i tratti di una città utopica in

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progettazione urbanistica, si contrastavano a vicenda, rendendo assai problematico il raggiungimento di un certo equilibrio.

Gli Stati Uniti invece, si avviavano verso una ricostruzione urbana di tipo completamente diverso. Una sub urbanizzazione rapida e debolmente controllata che rappresentava la risposta al sogno di ogni soldato congedato: questa urbanizzazione fu sviluppata privatamente ma accompagnata da consistenti finanziamenti pubblici per costruire infrastrutture e autostrade.

Il deterioramento dei centri urbani dovuto all’allontanamento dei posti di lavoro e delle popolazioni portò ad una risposta, sempre di finanziamento pubblico, volta alla ricostruzione e ripulitura dei vecchi centri città. Fu in questo contesto, che a New York, Robert Moses4

Anche la soluzione americana, per quanto diversa nella forma da quella inglese, contava ampiamente sulla produzione in serie e su un concetto , riuscì, attraverso l’uso di fondi pubblici, a rimodellare l’intera area metropolitana della città, con la costruzione di strade e ponti, la creazione di parchi eil rinnovo urbano.

4Robert Moses (1888 - 1981) è stato un pianificatore che ha lavorato principalmente nell’area metropolitana di New York.Conosciuto come il “maestro costruttore” di New York, Long Island, Rockland County e Westchester County di metà del ventesimo secolo, fu a volte comparato con il Barone Haussmann del Secondo Impero di Parigi e fu senza dubbio una delle figure maggiormente polarizzanti nella storia della pianificazione urbanistica degli Stati Uniti.

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ampio di come le città potessero rinascere attraverso la creazione di uno spazio urbano funzionale e fortemente razionalizzato.

Le città devastate dalla guerra infatti furono così ricostruite.Alcune soluzioni si rivelarono ovviamente più fortunate di altre (si veda ad esempio la generale soddisfazione pubblica nel caso dell’Unitè d’Habitation di LeCorbusier a Marsiglia), ma in generale si ricostruì mantenendo la piena occupazione, l’assistenza sociale e il benessere globale, nonché quell’ordine sociale capitalistico che era stato fortemente minacciato nel 1945.

Gli stili modernisti, la standardizzazione e l’uniformità da catena di montaggio erano sempre presenti nelle nuove ricostruzioni.In tale contesto ebbero tuttavia un ruolo importante ancheil contenimento dei costi e l’efficienza insieme ai vincoli organizzativi e tecnologici.

Si partiva quindi dallegrandiose affermazioni ideologichedel movimento moderno, ma spesso le radicali trasformazioni delle città capitalistiche avevano poi poco a chevedere con tali presupposti. Le speculazioni e le proprietà immobiliari rappresentavanoforze dominanti dell’edilizia e divennero uno dei più importanti settori di accumulazione capitalistica. Il capitale, anche quando limitato da piani regolatori o investimenti pubblici, aveva molto potere e laddove era in posizione di dominio come negli Stati Uniti, si appropriava del linguaggio modernista per costruire

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grandi monumenti simboli del potere aziendale come, ad esempio, l’edificio del Chicago Tribune e il Rockefeller Center.

E’ quindi grazie alla notevole varietà di costruzioni moderniste presenti nel dopoguerrachetali sentimenti si diffusero largamente.

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1.2 La critica al movimento moderno e la nascita della città

postmoderna

Figura 2StudioGrau. Manifesto per la mostra « Via novissima », biennale di architettura « La Presenza del passato » Corderie dell’arsenale di Venezia, 1980, 98 x 68 cm

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A partire dagli anni Settanta si inizia a delineare un cambiamento che comporterà la crisi e la fine del movimento moderno: se da un lato l’architettura moderna si diffonde il tutto il mondo e accumula risultati sempre più numerosi e più vari, essa perdeperò le caratteristiche di un movimento unitario.

Questo profondo cambiamento si delinea nella crisi delle forme associative che erano state proprie dei cinquanta anni precedenti, nella morte dei grandi maestri del movimento moderno – Le Corbusier, Gropius e Mies van derRohe5

“Le architetture di Kahn combinano riferimenti antichi e moderni con una serietà senza precedenti. I prestiti dai maestri moderni, dal classicismo greco e romani, dall’architettura medievale, islamica e persino dall’accademismo ottocentesco sono usati in un modo che

- e nella realizzazione di esperienze progettuali di grandi dimensioni che mettono alla prova dei fatti i modelli di aggregazione studiati in precedenza.

Gli indirizzi divergenti nel dibattito sulla città si fondano siasulla critica delle situazioni esistenti, sia sulla speranza che esistano altre strade praticabili dell’invenzione architettonica, diverse da quella unitaria indicata nei quarant’anni precedenti e diverse anche fra loro, cioè non sottoposte ad un controllo razionale.

Questa aspirazione viene convalidata da risultati nuovi e soprattutto dalla comparsa di un maestro atipico: Louis Kahn (1901-1974).

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rende antiquati di colpo i revivals tentati nel periodo precedente: perdono la consueta carica polemica, sono ricondotti all’essenziale e convivono con naturalezza, come se fossero emersi improvvisamente dalla memoria, dopo una lunga attesa. […] Nasce un mondo di forme nuove, ambigue che non comunicano orientamenti univoci ma stimolano l’invenzione di altre forme in modo discreto e irresistibile.”6

6 Benevolo, Storia dell’architettura moderna, p. 891, Editore Laterza, Bari, 1960 Kahn nel suo breve e per certi aspetti effimero passaggio (le sue opere non suscitano una scuola vera e propria) attraverso il mondo dell’architettura, lascia però un’eredità durevole: interrompe nei fatti quella che era l’unità ideologica della ricerca moderna, dimostrando la possibilità di esplorare soluzioni quanto più diverse.

Il movimento moderno aveva smantellato la tradizione eclettica e per una generazione intera si era concentrato su una pianificazione urbana su scala metropolitana, tecnologicamente funzionale ed efficiente, sostenuta da un’architettura assolutamente priva di fronzoli.

Nei primi anni Settanta il rallentamento delle realizzazioni e la crescita della pubblicistica favoriscono insieme un vasto tentativo di sistemazione e classificazione delle molteplici esperienze in corso. Innumerevoli sono le esperienze architettoniche che vengono affrontate e senza dubbio il 1980 segna il culmine di questa ondata.

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In quell’anno infatti Paolo Portoghesi diventa responsabile del settore architettonico della Biennale di Venezia e raduna molti dei più rinomati architetti mondiali – fra cui H. Hollein, J.P. Kleihues, R. Venturi, F. Purini, L. Thermes, R. Bofill, C. Moore, R. Stern, A. Isozaki – in una mostra singolare: una doppia serie di facciate posticce in un capannone dell’Arsenale, che realizzano un percorso ispirato alle strade della città antica, chiamato “Strada Novissima”. In quell’occasione Portoghesi pubblica un libro7

“Il disegno urbano semplicemente aspira ad essere sensibile alle tradizioni vernacolari, alla storia locale, a particolari volontà, bisogni, fantasie, generando così forme architettoniche specializzate, spesso dove passa in rassegna tutte le esperienze e le retrospettive degli ultimi tre decenni, considerandole a questo punto consolidatein un movimento mondiale.

Negli anni successivi la polemica contro il movimento moderno si espande in tutti i campi, fino a quello della politica e della grande pubblicistica. Si apre così una grande catena di discussioni fra gli architetti e i critici specializzati che contrappongono i difensori del “moderno” e del “postmoderno” e della rottura ostentata di ambedue i linguaggi.

Il cosiddetto movimento postmoderno coltiva la concezione di un tessuto urbano necessariamente frammentato, un palinsesto di forme messe una sopra l’altra, un collage di usi correnti.

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altamente personalizzate che possono variare da spazi intimi e personali, attraverso la tradizionale monumentalità, fino alla gioia dello spettacolo. “8

8 Harvey D., La crisi della modernità, p.89, Il Saggiatore, Milano, 1993

Più di tutto, il movimento postmoderno si discosta radicalmente dalla concezione moderna del modo in cuiguardare lo spazio: mentre i modernisti lovedono come qualcosa che deve essere modellato per scopi sociali e sempre comunque asservito alla costruzione di un progetto sociale, i postmoderni vedono lo spazio come qualcosa di indipendente e di autonomo, che deve essere modellato in accordo ad obiettivi e principi estetici che non hanno necessariamente a che fare con alcun obiettivo sociale, salvo, forse, il raggiungimento della bellezza “senza tempo” e “disinteressata” come obiettivo in sé e per sé.

In questo acceso dibattito critico attorno al movimento moderno, emergono le opinioni di Leon Krier, architetto e urbanista lussemburghese, secondo cuila pianificazione urbana moderna funziona principalmente tramite una zonizzazione monofunzionale. Come risultato, la circolazione delle persone da una zona all’altra attraverso la creazione di arterie artificiali, diviene la preoccupazione principale del pianificatore, generando un pattern urbano, che a giudizio di Krier è

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“La povertà simbolica dell’architettura e del paesaggio urbano attuali è il risultato diretto e l’espressione della monotonia funzionalista determinata dalla pratiche di zonizzazione funzionale. I principali tipi moderni di costruzione e modelli urbanistici come il grattacielo, l’edificio basso e disteso, il centro degli affari, l’area commerciale, la zona degli

uffici, il sobborgo residenziale, sono invariabilmente

superconcentrazioni orizzontali o verticali di singole utilizzazioni in una zona urbana, in un edificio o sotto un solo tetto”9

9Krier, R.; Tradition-modernity-modernism: some necessary explanations, Architectural Design Profile, 65, 1987

Krier propone quindi la good city (per sua natura ecologica) all’interno della quale la totalità delle funzioni sociali è fornita tramite compatibili e

piacevoli walking distances.

Riconoscendo che una tale forma urbana non può crescere estendendosi in larghezza e in altezza ma può soltanto moltiplicarsi, Krier propone una forma urbana fatta di comunità urbane complete e

finite, ciascuna delle quali costituisce un quartiere urbano indipendente

all’interno di un ampio gruppo di quartieri urbani che al loro volta costituiscono quindi delle città nelle città.

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Un’altra interessante critica nei confronti della città moderna è quella sviluppata da Jane Jacobs nel libro “Vita e morte delle grandi città”,uno dei primi e più autorevoli trattati antimodernisti che cercadi andare a definire un nuovo modo per comprendere la vita urbana.

Jane Jacobs denuncia“la Grande Tragedia della Monotonia” che denota una profonda incomprensione del senso della città. Nella sua analisi Jacobs sostienel’importanza dei processi sociali di interazione, i quali, se sviluppati in ambienti urbani “sani”, determinano un intricato sistema di complessità organizzata, una vitalità derivante dalla diversità, dalla complessità e dalla capacità di gestire l’inatteso in modi controllati ma creativi.

“Una volta che si considerano le città in termini di processi, ne consegue la necessità di ricercare cosa catalizzi questi processi e anche ciò che in essi è essenziale”.Alcuni processi di mercato contrastano la diversità e producono conformità di usi del territorio. Il problema era reso più complesso dal fatto che, secondo la Jacobs, gli urbanisti erano nemici della diversità e temevano il caos e la complessità in quanto disorganizzati, brutti e disperatamente irrazionali. Jane Jacobs si lamentadunque del fatto che “l’urbanistica e gli architetti urbani non rispettino la spontanea autodiversificazione delle popolazioni urbane e tantomeno si sforzi di sollecitarla, così come è strano che gli architetti urbani non sembrino riconoscere questa forza di auto diversificazione,

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né sembrino attratti dai problemi estetici inerenti alla sua espressione”.10

Jencks afferma quindi che gli architetti operino adesso fuori da quei limiti presenti nell’immediato dopoguerra e che sia quindi più facile comunicare con diversi gruppi di clienti in modo personalizzato, Uno dei più importanti cronisti del dibattito tra moderno e postmoderno, è senza dubbio il critico inglese Charles Jencks (1984), secondo cui l’architettura post moderna affonda le sue radici nell’abbattimento dei “consueti confini di spazio e tempo” che hanno prodotto un nuovo internazionalismo e forti differenziazioni basate sul luogo, sulla funzione e sull’interesse sociale. Secondo Jencks questa“frammentazione prodotta” hala capacità di gestire l’interazione sociale attraverso lo spazio in modo estremamente differenziato e l’architettura e il disegno urbano hanno così più ampie opportunità di diversificare la forma spaziale. Grazie alla tecnologia e ai modelli computerizzati si può raggiungere la produzione flessibile di “prodotti quasi personalizzati” con grande varietà di stili, quasi più vicini all’artigianato, con l’uso di materiali da costruzione e un’imitazione quasi perfetta di vecchi stili.

10Jacobs, J., The death and life of great American cities, New York, 1961 (trad. It. Vita e morte delle grandi città. Saggio sulle metropolis americane, Torino 1969)

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adattando i prodotti alle varie situazioni, funzioni e “culture di gusto”. Essi si preoccupano di “segni di status, storia, confort, commercio, appartenenza etnica, segni che indicano socievolezza”11

La corsa a soddisfare le esigenze dei migliori offerenti portacosì a dare maggiore importanza alla differenziazione dei prodotti del disegno urbano, esplorando il campo dei gusti differenziati e delle preferenze estetiche e conducendo alla produzione e al consumo di ciò che Bourdieu

, prendendosi cura di ogni gusto anche deipiù comuni e banali.

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La spinta modernista, per ragioni pratiche, tecniche ed economiche, ma anche per ragioni ideologiche, fece quanto possibile per rimuovere il capitale simbolico dalla vita urbana. Naturalmente l’imposizione di tale democratizzazione forzata, nonché la tendenza ad un egualitarismo del

chiama capitale simbolico.

Il capitale simbolico viene definito come “la raccolta di beni di lusso che dimostrano il gusto e la distinzione del proprietario”.

Il tentativo quindi di comunicare distinzioni sociali attraverso l’acquisizione di ogni tipo di status symbols rappresenta secondo Bordieu una caratteristica della vita urbana.

11 Jencks, C., The language of post-modern architecture, Londra, 1984

12Pierre Bordiueu (1930-2002) era un sociologo, antropologo e filosofo francese. Il termine capitale simbolico viene introdotto per la prima volta nel libro La distiction, pubblicato a Parigi nel 1979.

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gusto nonostante le forti distinzioni sociali tipiche di quella che dopotutto era ancora una società capitalistica fortemente classista, generarono senza dubbio una sorta di desiderio represso. Desiderio che probabilmente spinse il mercato verso ambienti urbani e stili architettonici sempre più diversificati.

Ovviamente il gusto è tutt’altro che una categoria statica ed oggettiva e questo comporta che il capitale simbolico resti tale soltanto fino a quando sia sostenuto dalla moda.

Ben presto nell’ambito della dialettica tra sostenitori del movimento moderno e sostenitori del movimento postmoderno, diviene infatti evidente che i motivi dell’adesione o del distacco da determinate correnti di pensiero, non derivano dal merito dei problemi in sé, bensì dalle leggi di un mercato sempre più esteso. Alcuni protagonisti del dibattito, per avvalorare con maggiore forze le proprie convinzioni, finiscono per operare direttamente nel mercato dei mezzi visivi piuttosto che in quello della progettazione.

La connessione tra l’opera d’arte e il mercato della cultura, intesi come mezzo per promuovere con successo le proprie posizioni, con le teorie architettoniche e urbane si fa sempre più stretta.

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Ci furonodunque e ci sono tutt’ora profondissime lotte, secondo Sharon Zukin13

13Zukin S., L’altra New York, Il Mulino, Bologna, 2013

, tra i creatori del gusto.Unendo l’idea del capitale simbolico con l’attenzione al mercato, appaiono più chiari i concetti della

gentrification, della produzione di comunità, della ricostruzione di

paesaggi urbani e del recupero della storia.

Tutto questo allontana fortemente l’architettura dall’ideale di un linguaggio unificato e la suddivide in discorsi estremamente diversificati tra loro. Il linguaggio dell’architettura si articola e si dissolve in giochi formali estremamente specializzati, ciascuno adeguato ad una diversa interpretazione.

Il risultato non è che quello di frammentazione: la metropoli è concepita come un sistema di segni e simboli che varia continuamente e nelle forme più diversificate ed indipendenti l’una dall’altra.

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1.3 L’uscita dalla modernità e la “nuova modernità”

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Negli anni ottanta il significato della parola moderno cambia.

Nell’analisi delle vicende fino ad ora osservate moderno indica l’avvicinamento ad un futuro, desiderato o temuto. L’impresa dell’architettura, come quella di tante altre attività umane, èimmaginata in forma ascendente, in analogia al progresso tecnologico, allo sviluppo economico e all’evoluzione biologica.

I giudizi positivi o negativi sul nuovo non cambiano comunque la fiducia nella fattibilità dell’impresa, nella possibilità di contrapporre ad un obiettivo sbagliato un altro più giusto.

Questa fiducia nella modernità cosìcome la si è intesa fino a questo momento viene messa in dubbio e la problematicità della nozione di progresso viene molto ben descritta dalle parole di Walter Benjamin:

“Un dipinto di Klee intitolato Angelus Novus mostra un angelo che sembra allontanarsi da qualcosa che sta fissamente contemplando. I suoi occhi sono spalancati, la bocca aperta, le ali spiegate. Così ci si deve presentare l’angelo della storia. Il suo viso è voltato verso il passato. Dove noi percepiamo una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe che continua ad accumulare rovina su rovina e le rovescia ai suoi piedi. L’angelo vorrebbe fermarsi, destare i morti, rimettere insieme quel che è stato spezzato. Ma una tempesta soffia dal Paradiso, e si è impigliata nelle sue ali con tale violenza che l’angelo non le può più chiudere. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente verso il futuro, a cui egli

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volta le spalle, mentre il cumulo dei detriti ai suoi piedi sale fino al cielo. Questa tempesta è ciò che chiamiamo progresso.”14

• La varietà del repertorio formale, che utilizza un’ampia gamma di riferimenti – dalla tradizione “moderna” ai movimenti contrapposti degli anni ’70 e ’80 e alle fonti storiche relative – senza accettare di farsi rinchiudere in nessuno di questi sistemi formalizzati. L’omogeneità stilistica si allenta, o viene volutamente abbandonata e la combinazione di stilemi con La querelle tra moderno e post modernopuò essere intesa a questo punto come tutta interna alla vecchia modernità, ormai individuata e criticata dal pensiero teorico. Il rifiuto non conduce a proporre un nuovo linguaggio alternativo, bensì a declassare le scelte linguistiche, già messe alla pari nel mercato delle immagini, e ad impiegarle come strumenti per risolvere in modo appropriato i singoli casi concreti.

Quel che ne risulta è un eclettismo di genere ancora nuovo e senza paragoni. Si ha dunque uno spostamento dell’attenzione dalle scelte generali a quelle proprie di ogni occasione. Si assiste alla svalutazione dei diaframmi stilistici che ha un effetto liberatorio su tutta l’architettura.

Quali sono i caratteri comuni delle opere di questo periodo?

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diverse origini mette in evidenza non la prevalenza di uno stile su un altro (resa impossibile dalla mobilità del mercato) bensì l’ampliamento del repertorio figurativo contemporaneo, che include (superate le polemiche dei primi tre quarti del XX secolo) le geometrie analitiche e moderne come parti di un inventario ormai giunto a compimento.

• La ricerca di una sintesi per la specifica situazione da affrontare, tenendo conto delle caratteristiche e delle esigenze del tema proposto.

• Il minimo denominatore metodico che sottende la varietà degli approcci e delle esperienze è la fedeltà al dato reale, accessibile mediante la ragione e il paziente lavoro.

Ecco quindi che, mentregli anni Settanta sono il momento della contrapposizione tra le tendenze, basate su diversi riferimenti al passato, gli anni Ottanta sono caratterizzati dal deprezzamento eclettico delle tendenze contrapposte, che da obiettivi diventano strumenti per risolvere specifiche problematiche.Sarànegli anni Novanta inveceche ricomparirà l’invenzione pura, basata su una strenua ricerca delle combinazioni tra i fattori tecnici, economici, funzionali e ambientali.

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1.4 La città globale

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Le esperienze architettoniche degli anni Ottanta stentano dunque ad integrarsi in progetti coerenti di trasformazione urbana. La difficoltà di progettare nella grande scala persiste, anche quando la crescita della città si esaurisce e l’obiettivo è il perfezionamento dell’ambiente di vita per una comunità pressappoco stabilizzata: l’aderenza alle singole situazioni comporta in prima battuta la rinuncia ai ragionamenti d’insieme.

Negli anni Novanta invece il riferimento alla scala cittadina acquista nuova importanza e si ricomincia, cautamente a progettare nella grande scala, urbana e territoriale, con una nuova attenzione alla concretezza delle procedure realizzative.

Il Global Report dell’ONU nell’8615

15Global report on human settlements1986 , United Nations Centre for Human

Settlements, Oxford University Press, 1987

, con riferimento alla situazione complessiva mondiale e al sistema complessivo degli insediamenti umani, giudica insufficienti le valutazioni e le politiche degli anni ’70, centrate sull’housing e sull’intervento pubblico diretto. Ciò che invece si raccomanda sono le enabling settlement strategies: “non sembra che esista alternativa al sostegno governativo per programmi autonomamente determinati, organizzati e gestiti, nel quadro di un’azione estesa all’intero insediamento”.

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Emerge dunque il quesito della struttura insediativa generale, in cui collocare gli interventi congiunti dell’amministrazione pubblica e degli operatori privati.

Da questi contesti si accentuano sempre più palesemente quelle che Saskia Sassen, chiama le città globali, vale a dire quelle metropoli in cui si concentrano le funzioni di comando dell’economia internazionale. Nel mondo informatizzato di oggi, i mezzi di comunicazione consentono una dispersione illimitata delle attività produttive sul territorio, e la realizzazione di un mercato mondiale unitario; ma il management di queste attività, in scala internazionale richiede una quantità di servizi di alto livello, che invece si concentrano in pochi luoghi di comando.

Sono tre le città globali secondo Saskia Sassen: Londra, New York e Tokyo.

Nell’ottica della Sassen, questo processo di dispersione territoriale e integrazione globale conferisce alle metropoli come Londra un nuovo ruolo strategico:

“Dopo essere state per secoli i centri nevralgici del commercio e delle attività bancarie internazionali, le grandi città assolvono oggi quattro nuove funzioni: quella di stanze dei bottoni dell’economia mondiale; quella di sedi privilegiate delle società finanziarie e delle aziende del terziario avanzato che hanno sottratto all’industria il ruolo di settore economico di punta; quella di luoghi di produzione (e di innovazione)

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per le medesime società e aziende; infine, quella di mercati per la compravendita di quegli stessi prodotti e innovazioni. […] Al giorno d’oggi, il controllo di ingenti risorse si concentra nelle grandi città; le società finanziarie e le aziende del terziario avanzato, inoltre, ne hanno profondamente modificato l’ordine sociale ed economico. Risultato di tutto ciò è la nascita di un nuovo tipo di agglomerato urbano, che chiameremo città globale”16

16Sassen S., Citta Globali, p. 4, Utet, Torino, 1997.

Questa tesi smentisce le conclusioni di una prima ondata di studi sulla globalizzazione che, combinando le osservazioni sulla de-industrializzazione con quelle della diffusione delle tecnologie telematiche, avevano profetizzato un decentramento accentuato e persino la rapida obsolescenza, se non addirittura la scomparsa delle città.

I nuovi fenomeni di concentrazione che avvengono in queste città premono specialmente sulle aree centrali, e producono effetti inconsueti.

In questo genere di città infatti la pressione crescente dei grandi interessi economici non ha ancora trovato una risposta progettuale organizzata e aggiornata: il loro assetto è un grande problema tuttora aperto.

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1.5 La città generica

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L’introduzione del concetto di città globale ci rimanda ad un’altra importante metafora concettuale utilizzata in sociologia urbana: la città generica.

Questa espressione viene per la prima volta utilizzata dall’architetto Rem Koolhaas, il quale, analizzando ilmodello cittadino di Singapore vi individua il prototipo di ogni città, che rappresenta secondo l’architetto, ilfuturo di tutte le nuove città future.

«La città rappresenta la produzione ideologica degli ultimi tre decenni nella sua forma pura, incontaminata da residui contestuali sopravvissuti. È guidata da un regime che ha escluso l’accidente e la casualità; anche la sua natura è interamente rifatta. È pura intenzione; se c’è caos, è caos

ideato; se è brutta, è di una bruttezza progettata; se è assurda, è di una

assurdità voluta»17

Koolhaas indaga soprattutto città e megalopoli in movimento perché in espansione, che raddoppiano o triplicano le loro dimensioni in pochi anni. Tra queste Singapore, l’isola asiatica sorta meno di 50 anni prima che rappresenta la Città futuribile: effetto congiunto di un’impetuosa L’urbanisticadopo l’esplosione economica di paesi come Cina, India, Brasile, torna ad essere untema politico. E la città diviene un nodo decisivo per la progettazione del futuro.

17Koolhaas, R., Singapore Songlines. Ritratto di una metropoli Potemkin... O trent'anni di tabula rasa, 1995

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crescita economica e insieme di una nuova formadi democrazia autoritaria. A Singapore Lee KuanYew18

18Lee KuanYew (1923 - 2015), è stato Primo Ministro di Singapore ed ha governato per più di tre decadi, dal 1959 al 1990.

ha realizzato quello che Koolhaas chiama il «parossismo dell’operativo», ovvero una nuova città interamente costruita in tempi rapidi, priva di storia e di tuttiquegli archetipi spaziali chesi erano fino ad allora ritenuti necessari e fondamentali per la creazione di unacittà: strade, piazze, vie.

Koolhaas afferma quindi che l’essenza di Singapore è quella di ogni nuova città: è proprio la sua non fondazione a essere la traccia principale daseguire nella progettazione architettonica e urbanistica del futuro. O meglio: una fondazione dalnulla. La città qui pensata è una città senza luogo, una città la cui forma è oggetto costante di trasformazione.

È appunto la città generica, quella sorta da una tabula rasa e pianificata, pensatae imposta dall’alto.Non ha avuto un movimento proprio delle città canoniche: il suo movimento è dato dal non fondarsi,da un’origine non individuabile, se non nella decisione arbitraria del gesto politico della fondazione.

Koolhaas ci parla di una città di sensazioni deboli e rilassate, sempre uguale a sé stessa in qualsiasi parte del mondo appaia, liberata dalla

camicia di forza dell’identità, sedata, dominata da una terribile quiete,profondamente multirazzialeed in cui la strada è morta.

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[…] 1.6 The Generic City is the city liberated from the captivity of center, from the straitjacket of identity. The Generic City breaks with this destructive cycle of dependency: it is nothing but a reflection of present need and present ability. It is the city without history. It is big enough for everybody. It is easy. It does not need maintenance. If it gets too small it just expands. If it gets old it just self-destructs and renews. It is equally exciting- or unexciting- everywhere. It is “superficial” -like a Hollywood studio lot, it can produce a new identity every Monday morning. […] 3.1 The Generic City is what is left after large sections of urban life crossed over to cyberspace. It is a place of weak and distended sensations, few and far between emotions, discreet and mysterious like a large space lit by a bed lamp. Compared to the classical city, the Generic City is sedated, usually perceived from a sedentary position. Instead of concentration- simultaneous presence-in the Generic City individual “moments” arespaced far apart to create a trance of almost unnoticeable aesthetic experiences[…]3.3 The Generic City is fractal, an endless repetition of the same simple structural module; it is possible to reconstruct it from its smallest entity, a desktop computer, maybe even a diskette. 3.4 Golf courses are all that is left of otherness. 3.5 The Generic City has easy phone numbers, not the resistant ten-figure frontal-lobe crunchers of the traditional city but smoother versions, their middle numbers identical, for instance. 3.6 Its mainattraction is its anomie.[…]”19

19Koolhaas R. – Mau B.The generic city in S, M, L, XL, p. 1248-1249, Editore: 010

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Dellacittà generica edel rapporto tra città e globalizzazionesi occupa anche l’antropologo francese Michel Agier.

Egli afferma che la vita in città è sempre più frammentata: nelle politiche di gestione, nei percorsi, nelle rappresentazioni.

“La città generica è, su scala planetaria, una catena articolata di forme urbane mimetiche: frattale, essa riproduce all’infinito lo stesso modello di circolazione, rapida e vellutata, e di consumo, standardizzato e asettico; l'aeroporto ne è un quartiere, se non è il centro. “Post-città” concepita e vissuta come senza storia e senza identità, “la sua principale attrattiva è la sua anomia”, sottolinea l'architetto Rem Koolhaas. Composta da aeroporti e cyberspazi, sovra-equipaggiata, sorvegliata e competitiva, riducendo al massimo grado le necessità del contatto interpersonale, la città generica moltiplica le zone di molteplici solitudini e gli strumenti tecnici di comunicazione a distanza. Essa è riconoscibile da un punto all’altro del globo da tutti quelli che vi circolano, ed è sempre più identificata con laCittà; minoritaria e privilegiata, è il luogo dove si pensano le dominazioni, economiche e politiche, sul resto del mondo.”20

Agier fa quindi riferimento al concetto di città genericaper descrivere le caratteristiche del declino della città contemporanea, contraddistinto da standardizzazione, sparizione della sfera pubblica e omogeneità.

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Un altro elemento che per alcuni caratterizza la città generica è l’omogeneizzazione del paesaggio, fenomeno che si concretizza nella perdita del luogo, teorizzata dal sociologo statunitense Richard Sennet, e nella “diffusione delle cosiddette architetture-involucro, che hanno una doppia particolarità: quella di garantire dappertutto le stesse possibilità di comfort, e nello stesso tempo di essere facilmente riconfigurate, seguendo l’incerto destino che caratterizza le attività dell’economia globale e anche il successo di uno spazio e di una città”21 L’omogeneizzazione del paesaggio urbano, dovuta alla sostanziosa e rapida costruzione di spettacolari edifici, modifica continuamente il panorama urbano, ma al tempo stesso lo standardizza, creando spesso dei veri e propri non-luoghi. 22

Secondo Sennet, questa nuova forma di capitalismo flessibile, tipica del XXI secondo produce superficialità e sgretolamento delle relazioni sia nella città, sia nei luoghi di lavoro, poiché comporta un tipo di occupazione di breve termine che impedisce agli individui di radicarsi in un determinato territorio. Dal punto di vista dello studioso esiste un rapporto dialettico tra flessibilità e indifferenza che si manifesta in tre diverse forme. La prima riguarda l’attaccamento fisico alla città: il lavoro

21Sennet, R., Capitalism and the City: Globalization, Flexibility, and Indifference, Y. Kazepov (eds.), Cities of Europe, Balckwell, Oxford 2005

22 Marc Augè identifica come non-luoghi quegli spazi privi di tre elementi che caratterizzano un luogo antropologico: identità, storia e relazioni (Augè 1993)

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a tempo determinato o a progetto impedisce l’emergere di un senso di appartenenza al luogo di lavoro. La seconda è data dalla standardizzazione dell’ambiente urbano risultante da questa nuova economia della provvisorietà che genera indifferenza ed esclusione. Infine, la terza forma è quella che si manifesta nella relazione tra la famiglia e il lavoro urbano, in quanto il lavoro altamente flessibile disorienta e impedisce la vita familiare: l’unione di orari flessibili, spazi urbani in continuo cambiamento, precarietà e instabilità dei guadagni rendono impossibile l’idea della costruzione di un nucleo familiare per molte fasce di popolazione.

La mercificazione dello spazio urbano va a modificare le modalità di aggregazione, socialità e produzione culturale storicamente radicate nei territori.

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41 CAPITOLO 2

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Quello della città di Londra rappresenta un caso piuttosto interessante nella trattazione delle tematiche riguardanti la città e le sue evoluzioni. Tra i numerosi e fondamentali momenti nell’evoluzione di Londra, (e più in generale dell’Europa Continentale), ciò che ha più cambiato il volto della città è senza dubbio la Rivoluzione Industriale.

Essa ha rappresentato l’inizio del processo di trasformazione e stratificazione urbana e sociale che ha definito Londra nel modo in cui la conosciamo oggi. Conseguenza immediata della industrializzazione, è stata la grande espansione della città. Londra nel 1750 era la più grande città in Europa con una popolazione di mezzo milione di abitanti.

La struttura della città mostra oggi quelli che sono i segni di una pianificazione ampiamente collaudata da già mezzo secolo di pianificazione e ne conserva infatti alcuni vantaggi acquisiti: la dimensione demografica stabilizzata, la green belt che la circonda e la distanzia dai centri circostanti con un sistema di comunicazioni esteso su scala territoriale.

Ma la grandissima importanza che ha acquisito a livello economico mondiale, ha ben presto modificato gli equilibri spaziali ed economici della città, rendendo oggi altissima la competizione per occuparne i luoghi centrali.

Competizione alimentata da interessi economici illimitati, che trovano il modo di esprimersi in forme evidenti ed aggressive.

Nel 1986 il governo conservatore della città abolì il Greater London Council(GLC), istituito nel 1965. L’aggiornamento del piano generale che

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era stato preparato nel 1984 venne lasciato cadere e il ministero dell’ambiente preparò una guida strategica non vincolante in attesa che il piano vigente dal 1976 fosse sostituito dai piani dei 33 comuni. Tutto ciò aveva cambiato solo parzialmente il sistema centralizzato delle regolazioni pubbliche, e la tutela delle aree e degli edifici protetti non fu posta in discussione. Ma intanto un’operazione di grande rilievo, come il riutilizzo delle aree portuali abbandonate lungo il Tamigi,ebbe inizio e fu portata avanti senza un calcolo sufficiente dei tempi e del disegno generale, con risultati ineguali e deludenti.

La regia complessiva dell’operazione venneaffidata dal 1981 alla London Docks Development Corporation (LDDC) che risultò avere però poteri e strumenti inadeguati; il passaggio dalla bassa densità propria dei nuovi insediamenti periferici, all’alta densità metropolitana colse dunque impreparati sia gli imprenditori sia i progettisti.

Un nuovo programma urbanistico per la capitale inglese fu reso possibile dalla riforma amministrativa del 1999.

In quest’anno viene istituita la Greater London Authority (GLA) un organismo molto più agile del GLC (450 addetti invece di molte migliaia), diretto da un sindaco e da un’assemblea di 25 membri, con compiti non esecutivi ma di programmazione strategica. Il primo sindaco, Ken Livingstone viene eletto nel 2000 ed è riconfermato nel 2004 per un nuovo quadriennio. Il territorio della Greater London viene ormai

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immaginato come un organismo policentrico, avviato a una nuova fase di accrescimento.23

23 I dati sono ricavati da siti informativi sulla città di Londra e dagli studi di: Castells M., The informational city, London, 1989 e Sassen S., The global city, New York, London, Tokyo, Princeton 1991

In seguito ai recenti mutamenti nel panorama economico globale, la tendenza delle politiche governative è quella di insediare nuovi abitanti e nuovi posti di lavoro nelle aree dismesse senza occupare le aree libere della città e il verde.

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2.1 Londra: città globale, generica e duale

Facendo riferimento a quanto analizzato fino ad ora si andranno ad individuare nella storia e nella conformazione urbana della città di Londra quelle caratteristiche che rimandano ai concetti di città globale e generica trattati nel capitolo precedente.

La compresenza di questi aspetti determina una forte dualità tra l’adeguamento agli standard della nuova economia globale e la profonda trasformazione del carattere identitario della città che tale adeguamento comporta.

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46 Londra città globale

Figura 6 The City

Per comprendere la natura dei cambiamenti che hanno modificato l’aspetto della città di Londra, dobbiamo innanzitutto comprendere il modo in cui è mutato il suo ruolo nell’economia globale e nel sistema finanziario.

Infatti, con la crisi del fordismo e la conseguente terziarizzazione dell’economia, cioè il passaggio da un modello di produzione di tipo

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manifatturiero ad un massiccio sviluppo dei servizi finanziari, servizi alla produzione e servizi al consumo, si è innescato il processo di mutamento economico e sociale della città, generando cambiamenti nella sua struttura occupazionale, in quella dei redditi e dei guadagni, nel mercato immobiliare, nella composizione etnica e sociale, nella geografia e nel paesaggio fisico.

Se fino alla secondo metà degli anni ’60, un terzo della forza lavoro era impiegata nel settore manifatturiero, già alla fine degli anni ’90, gli impiegati nel settore dei servizi finanziari e alle imprese rappresentavano un terzo dei lavoratori londinesi.

A questo proposito, nel già citato studio sulle città globali, Saskia Sassen dà una particolare importanza al settore terziario (servizi finanziari, commerciali, per la produzione) e alle innovazioni. Per la sociologa questi servizi hanno infatti simultaneamente permesso e tratto beneficio dalla progressiva dispersione e frammentazione dell’industria manifatturiera, influenzando la gestione e il controllo delle reti aziendali e sostituendo di fatto una pratica di controllo globale, resa efficace dall’internazionalizzazione della gestione aziendale e dei trasferimenti di capitale.

Questa alta concentrazione di attori del mercato finanziario internazionale all’interno della città, sebbene comporti un aumento dell’afflusso dei capitali e, di conseguenza, maggiori investimenti e ricchezza, incide marcatamente sull’equilibrio occupazionale e sociale. Di fatti, un’altra caratteristica che Sassen evidenzia è il grado di

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polarizzazione dei guadagniall’interno del settore dei servizi rispetto a quello manifatturiero: il settore terziario infatti contiene una proporzione maggiore di lavoratori sia ad alto che a basso reddito rispetto al settore manifatturiero.

Un altro fondamentale aspetto riguardo al ruolo delle città nell’economia globale è quello proposto da Nigel Thrift, amministratore delegato dell’Università di Warwick. Egli sostiene che la City, termine con il quale viene identificato il più antico ed economicamente influente quartiere finanziario di Londra, si presenta sul mercato come centro di

autorità culturale, luogo in cui affluiscono persone da tutto il mondo per

scambiare conoscenze e informazioni, per commerciare e contrattare. L’aspetto della produzione culturale sta diventando una componente sempre più fondamentale per le metropoli: nel capitalismo avanzato del XXI secolo il ruolo simbolico di beni e servizi è diventato più importante che mai e le città globali agiscono come centri per la produzione e la circolazione di significati e immagini culturali.

Londra infatti è proprio una delle città, insieme a New York e Tokyo, prese come modello di città globale da Sassen poiché presenta, sotto luci diverse, tutti gli aspetti finora introdotti: è uno dei centri nevralgici del commercio e delle attività bancarie internazionale; è uno strategico centro finanziario che ospita le sedi delle compagnie più influenti nel mercato della finanza internazionale; è un prolifico luogo di produzione e innovazione a cui tutto il mondo guarda come modello da imitare; è un importante centro di autorità e produzione culturale.

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In particolare possiamo andare ad individuare come centri nevralgici della città di Londra intesa come città globale, la City, il più piccolo e antico quartiere di Londra, che rappresenta il cuore pulsante del mercato dei servizi finanziari ed assicurativi e Canary Wharf, secondo centro finanziario, nato da un ambizioso piano di rigenerazione urbana nei primi anni ‘90 e che ospita le sedi di un gran numero di banche nazionali ed internazionali.

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50 Londra città generica

Figura 7 Kensington, uno dei quartieri più prestigiosi della città

Così come si è fatto per il concetto di città globale, è possibile individuare all’interno di alcuni aspetti della città di Londra i caratteri

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della città generica. Questi si esprimono senza dubbio nella diffusione di grandi spazi commerciali, di quartieri finanziari tecnologicamente avanzati, e di quartieri di lusso sorvegliati e protetti e con caratteristiche simili a tutte le latitudini.

Di fatti l’espressione si riferisce alle conseguenze che si ripercuotono sullo spazio urbano in seguito alla concentrazione di èlite urbane nella città globali, bisognose di lavoratori altamente specializzati e con stili di vita e di consumo particolarmente facoltosi.

Senza dubbio, Londra, che ha visto sorgere negli ultimi vent’anni imponenti complessi commerciali e ben due centri bancari e finanziari di prima importanza nel mercato globale, si caratterizza in alcuni suoi spazi come una città generica.

La standardizzazione del paesaggio urbano, dovuta alla sostanziosa e rapida costruzione di spettacolari edifici, nonché la creazione di quartieri abitativi destinati ad un'unica classe sociale, ultra blindati e sicuri, rimanda con forza all’idea dei nonluoghi.

Marc Augé24 luoghi

antropologici

definisce i nonluoghi in contrapposizione ai

, come tutti quegli spazi che hanno la prerogativa di nonessere identitari, relazionali e storici. Fanno parte dei nonluoghi sia le strutture necessarie per la circolazione accelerata delle persone e dei

24etnologo e antropologofrancese, che per la prima volta nel 1992, nel suo libro

Non-lieux. Introduction à une anthropologie de la surmodernité, tradotto in italiano nel

1996, con il titolo Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità introduce il concetto di non luogo.

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beni (autostrade, svincoli e aeroporti), sia i mezzi di trasporto, i grandi centri commerciali, gli outlet, i campi profughi, le sale d'aspetto, gli ascensori. Spazi in cui milioni di individualità si incrociano senza entrare in relazione, sospinti o dal desiderio frenetico di consumare o di accelerare le operazioni quotidiane o come porta di accesso a un cambiamento (reale o simbolico).

I nonluoghi sono prodotti della società della surmodernità, incapace di integrare in sé i luoghi storici confinandoli e banalizzandoli in posizioni limitate e circoscritte alla stregua di curiosità o di oggetti interessanti. I nonluoghi sono incentrati solamente sul presente e sono altamente rappresentativi della nostra epoca, che è caratterizzata dalla precarietà assoluta (non solo nel campo lavorativo), dalla provvisorietà, dal transito e dal passaggio e da un individualismo solitario. Le persone transitano nei nonluoghi ma nessuno vi abita.

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53 Londra città duale

Figura 8 La dualità di Londra: in primo piano councilestates residenziali dell’East End, sullo sfondo le torri della City

La trasformazione del sistema economico globale, della struttura occupazionale e delle logiche su cui si fondano i progetti di

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riqualificazione urbana, ha inciso profondamente sulla geografia socio-spaziale di Londra.

Saskia Sassen afferma che nel secondo dopoguerra, la crescita economica è stata caratterizzata da un progressivo allargamento delle classi medie, dalla formalizzazione del lavoro e dall’instaurazione di precisi modelli di consumo. Il miglioramento economico ha dato vita alla creazione della inner city, caratterizzata dall’alta concentrazione di residenti a basso reddito e dai prolifici programmi di edilizia pubblica a beneficio delle varie minoranze etniche e sociali. Qualche decennio più avanti, con la crisi del fordismo, le politiche di sostegno sociale vengono abbandonate in favore di iniziative volte alla riqualificazione del paesaggio e al rilancio dell’immagine della città per attrarre investimenti e turismo.

La grave recessione del 2008 ha sicuramente contribuito ad evidenziare le contraddizioni che il neoliberalismo ha prodotto nel contesto urbano: la speculazione immobiliare e la sregolata crescita del capitale finanziario ha prodotto effetti devastanti sui soggetti più deboli della città e sulla città stessa.

Con il termine gentrificazione (adattamento della parola inglese gentrification, derivante da "gentry", ossia la piccola nobiltà inglese e in seguito la borghesia o classe media), in sociologia, si fa riferimento all'insieme dei cambiamenti urbanistici e socio-culturali di un'area urbana, tradizionalmente popolare o abitata dalla classe operaia, risultanti dall'acquisto di immobili da parte di popolazione benestante.

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Questo termine è stato introdotto in ambito accademico dalla sociologa inglese Ruth Glass nel 1964 per descrivere i cambiamenti fisici e sociali di un quartiere di Londra che sono seguiti all'insediamento in tale quartiere di un nuovo gruppo sociale di classe media, appunto denominato “urban gentry”.

A tal proposito Chris Hamnett25

« Essa identificò la gentrification in un processo complesso, o un assieme di processi, che comporta il miglioramento fisico del patrimonio immobiliare, il cambiamento della gestione abitativa da affitto a proprietà, l'ascesa dei prezzi, e l'allontanamento o sostituzione della popolazione operaia esistente da parte delle classi medie».

scrive:

Questi cambiamenti si verificano nelle periferieurbane, ma soprattutto nei centri storici e nei quartieri centrali, nelle zone con un certo degrado da un punto di vista edilizio e con costi abitativi bassi e una volta che è iniziato il processo di gentrificazione di un certo distretto, “questo

25 Chris Hamnett è professore di geografia al King's College London. È autore di diversitestitra cui:Winners and Losers: home ownership in modern Britain, Routledge; Unequal City: London in the Global Arena, Routledge and Shrinking the State:

Privatisation in Cross National Perspective Cambridge UP. Scriveanche per The Times, Guardian, Independent e FT.

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perdura finché tutta, o la maggior parte della classe operaia residente, è dislocata e l’intero carattere sociale del distretto è modificato.”26

Secondo Sassen, vi è una grande contraddizione implicita nella città globale: la mobilità delle persone è in contrasto con la fissità di gran parte dei punti di vendita e dunque le metropoli come Londra sono Secondo Saskia Sassen la gentrificazione è il riflesso fisico e materiale dei processi socioeconomici ai quali sono sottoposte le nuove città globali, ovvero la terziarizzazione delle economie, la deregolamentazione della gestione dei flussi di capitale e la privatizzazione delle imprese e dei servizi. Essa dunque è vista come conseguenza di alcuni importanti cambiamenti nell’assetto sociale e culturale delle città: il cambiamento della struttura industriale ed occupazionale delle città divenute città globali, così come il cambiamento nell’orientamento culturale, nelle preferenze e nei modelli di lavoro della nuova classe media, che si predispone a spostarsi e vivere nuovamente nella innercity piuttosto che nei sobborghi residenziali ai confini della città, vicina ai centri di produzione economica e culturale.

Questo processo non fa che aumentare la forte dualità già presente all’interno di alcuni quartieri di Londra.

26Glass R., London: Aspects of Change , Centre for Urban Studies at University College London, 1964

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metropoli di facciata, non soltanto nel senso architettonico evidente negli stili contemporanei.

Possiamo infatti individuare all’interno della città globalequella che puòsociologicamente essere definita comefront region, caratterizzata cioè da affascinanti stili architettonici, dalla predominanza di una èlite urbana e dai suoi particolari stili di vita, che presuppone però l’esistenza di un’altra faccia: la back region. Questa è legata all’economia informale, al lavoro in nero o a basso costo e per questo motivo la città globale dà luogo alla formazione sociale di grandi e probabilmente crescenti conflitti, scandita da processi di esclusione e marginalizzazione sociale. Per i ceti più bassi la riqualificazione e il repentino innalzamento del valore immobiliare delle aree soggette al fenomeno di gentrificazione rappresenta molto spesso la necessità di abbandonare tali aree, non potendo restare al passo con l’aumento del costo delle vita.

Si potrebbe quindi affermare che i cambiamenti economici legati allo sviluppo della città comportano conseguenze spaziali su di essa:la crescente polarizzazione dell’economia si riflette nella crescente polarizzazione e dualità dei quartieri.

Un altro interessante punto di vista sul tema della gentrificazione è quello esposto da Sharon Zukin nei suoi studi su New York:

“La battaglia tra la città degli affari e il villaggio urbano prosegue ancora oggi. Viene combattuta non solo nella concretezza dei nuovi progetti edilizi, ma anche nei termini di quali gruppi abbiano il diritto di abitare le

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varie forme della città, sia quelle vecchie che quelle nuove. Chi beneficia della rivitalizzazione della città? È riconosciuto a tutti il diritto di essere protetti dallo sfratto? Queste questioni, che il teorico sociale francese Henri Lefebvre chiama “diritto alla città” rendono importante stabilire come l’autenticità della città venga prodotta, interpretata e utilizzata.”27

Alla base dei cambiamenti nelle grandi città c’è una retorica universale della crescita in direzione di una maggiore esclusività, fondata sia sul potere economico del capitale e dello Stato che sul potere culturale dei media e dei gusti dei consumatori.

La rivendicazione dell’autenticità diventa predominante in un’epoca in cui le identità sono instabili. L’autenticità diventa uno strumento accanto a quelli del potere economico e politico per controllare non solo l’aspetto ma anche l’uso dei veri luoghi urbani: quartieri, parchi, giardini comunitari, strade dello shopping.

L’autenticità è quindi una forma culturale di potere sullo spazio.

Se però, aggiunge Zukin, ridefinissimo l’autenticità come un diritto culturale di tutti a fare della città il proprio luogo permanente in cui vivere e lavorare, essa potrebbe offrire un’alternativa al genere di crescita che provoca l’allontanamento di molti gruppi: rivendicare l’autenticità può diventare uno strumento per assicurare un certo potere di controllo ad ogni gruppo.La cultura può essere intesa come strategia e tema della riqualificazione urbana.

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È proprio sulla base di queste riflessioni che si introduce il concetto di città duale.

Il termine coniato da Borja e Castells nel loro testo Local and Global

Mangement of Cities in the Information Age28

“Questo comporta il fondamentale dualismo urbano dei nostri tempi. Esso contrappone il cosmopolitismo delle èlite che vivono la quotidianità in connessione con l’intero mondo (dal punto di vista funzionale, sociale e culturale), al tribalismo delle comunità locali, confinate negli spazi che cercano di controllare per resistere ai macro poteri che definiscono le loro vite senza che queste possano opporsi”

, indica la polarizzazione sociale ed economica che consegue dal profondo cambiamento subito dai sistemi economici e produttivi di tutto il mondo.

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28Eatrhscan, London; trad. It. La Città Globale, Istituto Geografico DeAgostini, Novara

2002

29Castells M., European Cities, Informational society and the Global Economy, p.566, Journal of the Economic and Social Geography, 1993.

La dualità economica, proiettata sulla città crea anche una dualità spaziale ed architettonica, segno evidente e tangibile della debolezza della città globale.

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L’East End è la parte della città che potremmo definire esemplare del dualismo londinese di cui si è fino ad ora parlato.

Hamnett afferma che l’East End rappresenta l’avanguardia in termini di gentrificazione a Londra, nella maggior parte dei quartieri infatti sono state compiute o sono in corso opere di riqualificazione urbana. All’interno dei quartieri dell’Est End si trovano i council estates più degradati dell’intero paese, ma allo stesso tempo alcuni degli edifici più lussuosi della città.

Culture etniche forti e radicate convivono con le nuove tendenze e le avanguardie artistiche dell’area ed è proprio in questi quartieri che si riversa la gioventù londinese.

Il panorama di componenti sociali spaziali economiche e culturali è sorprendentemente vario, il trasferimento delle classi medie nelle inner cities comporta infatti la fine della segregazione spaziale tra ceti differenti della popolazione, ma comportaal tempo stesso segregazione al livello micro spaziale in una convivenza a strettissimo contatto tra lavoratori professionisti di ceto medio-alto e residenti di case popolari con basso reddito e bassa specializzazione.

Il quartiere di Hackney si trova nell’East End: risalendo Bishopgate, strada che ospita alcuni degli edifici maggiormente conosciuti dello

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skyline di Londra, si trovano Shoredicht, Hoxton e poco più a nord Dalston, le aree oggi considerate cuori pulsanti dello sviluppo della cultura contemporanea e culle di avanguardie artistiche e culturali. L’elemento più sorprendente è che queste nuove aree di sviluppo urbano, sorgono là dove qualche decennio fa era quasi impossibile immaginarle.

Come sostiene anche Hamnett “il pensiero che qualcuno aprisse una galleria d’arte nell’East End, avrebbe provocato grandi risate.[…] L’avanguardia culturale risiede nell’East End, è l’equivalente di Montmartre a Parigi alla fine del XIX secolo. Aree come Notting Hill hanno perso la loro centralità e sono diventate aree residenziali per le classi medio-alte. L’azione culturale è ad Est non più ad Ovest”

Il censimento del 2011 riguardo alla popolazione di Hackney contava 246.300 persone, con un aumento rispetto al censimento del 2001 di circa 43.500 persone, pari acirca il 21%in più.

Nel Giugno 2013 la stima ONS di metà anno della popolazione poneva la popolazione di Hackney intorno ai 260.000 abitanti, in continua crescita,conuna popolazione relativamente giovane, di cui un quarto del totale sotto i 20 anni di età.

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Figura 9La crescita della popolazione di Hackney. Fonte: census2001&2011 & GLA SHLA population projection 2012

La proporzione dei residenti che hanno tra i 20 e i 29 anni è infatti cresciuta negli ultimi dieci anni e adesso è circa il 21% della popolazione totale, mentre le persone che hanno più di 55 anni occupano soltanto il 14% della popolazione.

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Un altro dato molto interessante riguarda la percentuale di cambiamento di residenti occupati nell’ambito della cultura dei media e dello sport tra il 2001 e il 2011.

Se si osserva il grafico seguente si potrà vedere come Hackney sia il quartiere in cui la percentuale di persone impiegate in ambito culturale che vi si è trasferita nel corso degli ultimi dieci anni, risulta la più alta.

Percentuale di cambiamento delle persone impiegate nell’ambito della cultura, dei media e sport che abitano nel quartiere, 2001-11, source: GLA population projections

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Tutto questo comporta una crescita velocissima del costo delle abitazioni, che se comparato con il guadagno medio degli abitanti di ciascun quartiere pone Hackney in una posizione di particolare squilibrio.

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2.3 Gli attori sociali

Chi sono gli attori di un assetto sociale così complesso e variegato e come gli sforzi degli uni e degli altri modificano l’assetto spaziale architettonico e culturale dell’esistente?

Troviamo da una parte l’industria creativa, motore culturale ed economico dello sviluppo che è avvenuto negli ultimi dieci anni all’interno del quartiere, illuminandolo di nuova luce e attrattiva, dall’altro lato i fautori di uno sviluppo edilizio sempre più standardizzato e spesso lontano da quelle che sono le reali esigenze del quartiere. Un recente studio pubblicato dalla GLA Economics30

L’aumento della popolazione, la crescita smisurata del costo dei terreni e l’alta percentuale di giovani e creativi all’interno del quartiere comporta una perdita di quelli che sono gli spazi necessari ad accogliere il cambiamento.

ed intitolato “L’industria Creativa di Londra” ha stimato il valore della cosiddetta industria creativa di Londra intorno ai 34.6 miliardi di sterline, cifra che rappresenta il 10.7% della produzione economica della città. Inoltre si stima che coloro che lavorano all’interno del settore della produzione creativa e culturale guadagnino in media circa il 20% in più di coloro che non sono impiegati all’intero del settore creativo.

Questi dati fanno della città di Londra un importante centro di autorità e produzione culturale.

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