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PARTE PRIMA – STATO DELL’ARTE

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Academic year: 2021

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PARTE PRIMA – STATO DELL’ARTE

CAPITOLO 1 – I PONTI AD ARCO

L’arco è, grazie alla sua forma, una struttura che sopporta i carichi verticali tramite un meccanismo resistente nel quale risulta predominante lo sforzo normale di compressione. L’arco, durante tutta la storia delle costruzioni, è stato e continua ad essere la struttura resistente per eccellenza. La sua capacità di resistere è dovuta alla geometria cosicché si potrebbe anche dire che esso è forma geometrica divenuta capacità resistente.

Può essere considerato la prima e anche la più grande invenzione dell’uomo nel campo delle strutture. Si potrebbe contestare questa affermazione considerando che altre strutture hanno preceduto l’arco, ad esempio le travi in legno o le costruzioni megalitiche a trilite; in esse tuttavia non si riscontra ancora l’invenzione di un meccanismo strutturale, poiché in queste venivano semplicemente utilizzati i materiali che la natura stessa metteva a disposizione. Si potrebbe inoltre obiettare che il ponte sospeso è un’invenzione simile e coeva all’arco, ma così non è, perché la fune sospesa per due punti assume spontaneamente la forma della catenaria; si tratta quindi di una struttura che si genera in modo spontaneo senza alcuna invenzione. L’arco, al contrario, è un’invenzione umana in quanto gli elementi di pietra, molto resistenti a compressione ma non altrettanto a trazione, non prendono spontaneamente la forma dell’arco, ma questa viene scelta avendone compreso la sua funzione resistente ed il suo funzionamento.

1.1- Evoluzione e sviluppo dei ponti ad arco

Come già anticipato, il ponte storico per antonomasia è quello con archi in pietra poiché nel primo periodo della storia dei ponti, dai Romani fino alla fine del secolo XVIII, la pietra era l’unico materiale per le costruzioni che poteva resistere all’azione del tempo e che garantiva sufficiente resistenza a compressione. Inoltre, i carichi mobili che al tempo transitavano sul ponte erano di modesta entità rispetto ai carichi permanenti e quindi la loro applicazione induceva una spostamento della curva delle pressioni di entità tale da non fuoriuscire in nessuna sezione dal nocciolo centrale d’inerzia, cioè da non generare sforzi di trazione in nessun punto dell’arco, i quali non sarebbero stati sopportati dal materiale.

Molti ponti in pietra, appartenenti ad epoche diverse, si conservano ancora; alcuni di questi, con più di duemila anni di vita, sono tuttora in servizio senza alcuna limitazione di carico oppure sono utilizzati unicamente dal traffico pedonale.

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Fig. 1.1 – Ponte romano a Mérida in Spagna sul fiume Guadiana, risalente al I secolo d.C., che fino a poco tempo fa era percorso da veicoli.

Fig. 1.1 – Ponte romano di Salamanca in Spagna, risalente al I-II secolo d.C., oggi unicamente utilizzato dal traffico pedonale.

Insieme alla pietra, anche il legno fu utilizzato fin da epoche remote per la costruzione di molti ponti, anche se sono sempre stati considerati di minore importanza rispetto a quelli in pietra.

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I più grandi archi in legno furono costruiti all’inizio del XIX secolo per le prime linee ferroviarie, ma col tempo vennero tutti sostituiti da ponti metallici a causa dei numerosi incendi che si verificarono e che segnarono l’estinzione di questo materiale per la costruzione dei ponti in generale.

Col tempo l’entità dei carichi mobili andò via via aumentando soprattutto con l’avvento della ferrovia (prodotto della Rivoluzione Industriale che avvenne in tutta Europa a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo) che richiedeva, tra l’altro, l’adozione di livellette di modesta pendenza portando alla necessità di superare luci sempre maggiori. Tali esigenze resero quindi necessaria una diminuzione sostanziosa dei carichi permanenti e fronte di un deciso aumento di quelli accidentali e delle luci in gioco. L’avvento di nuovi materiali, ferro prima e cemento armato poi, rese di fatto il classico arco in muratura obsoleto e lo relegò ad una posizione marginale.

C’è da dire che, essendo l’arco la struttura tipica dei ponti in muratura, era anche la struttura più conosciuta dagli ingegneri della fine del XVIII secolo, quando si cominciò ad usare il ferro per la costruzione dei ponti.

Per questo i primi ponti di ferro e acciaio furono ad arco, sebbene le idee sul loro comportamento resistente e sulle modalità di connessione tra arco e impalcato fossero poco chiare, dato che era necessariamente diverso da quello dei ponti in pietra.

Fig. 1.3 – Ponte di Coalbrookdale, anche conosciuto come Iron Bridge, con i sui 30 metri di luce, è il primo ponte ad arco metallico costruito (1779).

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Durante il XIX secolo quasi tutti i ponti ad arco che vennero costruiti furono in ferro ed i migliori ingegneri dell’epoca si succedettero nello sviluppare nuove tecniche di calcolo e di costruzione, rese possibili dalle notevoli innovazioni tecnologiche anche in ambito siderurgico. Studiosi come Thomas Telford e Gustave Eiffel progettarono nuovi ponti ad arco a via superiore di luce sempre maggiore, che ancora oggi sono riconosciuti come monumenti di grandissimo valore estetico e storico.

Fig. 1.4 – Ponte di Holt Flett, progettato nel 1829 da Thomas Telford sul fiume Severn; luce complessiva di 45 metri.

Fig. 1.5 – Viadotto Garabit sul fiume Truyére in Francia, progettato da Gustave Eiffel nel 1884; luce complessiva di 166 metri.

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Fig. 1.6 – Ponte di Maria Pia sul fiume Douro a Porto in Portogallo, progettato da Gustave Eiffel nel 1877; luce complessiva di 160 metri.

L’acciaio fece la sua comparsa come elemento strutturale portante alla fine del 1800 e da questo momento in poi sostituì progressivamente il ferro battuto fino ad eliminarlo completamente dalla scena. Ciò permise di aumentare ulteriormente le luci in gioco fino alle diverse centinaia di metri dei ponti ad arco metallici odierni.

Fig. 1.7 – Ponte di St. Louis sul fiume Mississipi, costituito da tre archi di 152+157+152 metri di luce. È uno dei primi ponti in cui fu utilizzato l’acciaio per la struttura resistente principale (1874).

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Fig. 1.8 – Ponte di Sidney, luce complessiva di 503 metri. Ponte ad arco reticolare, è stato per molti anni il più lungo del mondo (1925).

Fig. 1.9 – Ponte di New River Gorge negli Stati Uniti. Con i suoi 518 metri di luce è ad oggi il ponte ad arco più lungo del mondo (1976).

Gli inizi del calcestruzzo armato sono datati alla fine del secolo XIX, con pieno sviluppo agli inizi del XX; la diffusione di questo materiale fu molto veloce e si estese a tutto il mondo; il cemento armato risultò essere, infatti, il materiale più adatto per ponti di piccola e media luce, che sono quelli di maggior numero. Grazie a questo materiale vennero realizzati ponti dapprima secondo le tipologie precedentemente sperimentate con il ferro, poi molto rapidamente queste vennero modificate per adattarle al nuovo materiale e alle nuove strutture. Infatti, la maggior parte dei primi ponti in calcestruzzo furono archi, essendo questo materiale particolarmente adatto per resistere a sforzi di compressione. Progettisti e studiosi famosi per aver fatto del

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calcestruzzo la materia con la quale realizzare le loro opere, sono: Francois Hennebique, Robert Mailart, Eugene Freyssinet e l’italiano Riccardo Morandi.

Fig. 1.10 – Ponte Risorgimento sul Tevere a Roma, progettato da F.Hennebique nel 1911; luce complessiva di 100 metri.

Fig. 1.11 – Ponte di Salgina-Tobel sul fiume Schrau in Svizzera progettato da R.Maillart nel 1930; luce complessiva di 90 metri.

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Fig. 1.12 – Viadotto Fiumarella vicino a Catanzaro, progettato da R.Morandi nel 1962; luce complessiva 231 metri.

1.2– Ponti in sistema collaborante arco – trave

Il sistema collaborante arco – trave nasce a seguito dell’avvento dei nuovi materiali quali acciaio e soprattutto cemento armato quando, con l’intento di diminuire notevolmente i carichi permanenti, si rende necessario separare l’elemento portante del ponte, cioè l’arco, dal resto della costruzione. Ecco quindi che l’arco si mostra nudo nella sua forma estraendosi dalla costruzione; il terrapieno degli archi in pietra è sostituito da una cortina di elementi verticali che collegano l’arco stesso alla via superiore, costituita da travi in grado di resistere a flessione. In questa maniera, l’arco non è più gravato da un carico uniforme ma da carichi concentrati che, in funzione della posizione dei carichi accidentali, mutano d’intensità generando nell’arco sforzi di flessione.

All’interno di questa evoluzione, l’arco mantiene la sua vocazione di elemento prevalentemente compresso, ma la sua esilità mette in risalto i problemi legati all’instabilità. L’impalcato si riduce all’essenziale e si manifestano problemi di fatica e di durabilità. La progettazione si fa via via più complessa e raffinata e l’analisi matematica integra necessariamente le buone regole dell’arte, che fino a quel momento erano state le uniche utilizzate nella progettazione delle costruzioni. Uno dei padri di questa nuova concezione strutturale per i ponti ad arco è, come già anticipato, Robert Maillart, ingegnere svizzero che operò prevalentemente nella sua nazione

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d’origine tra il 1900 e il 1940, anno della sua morte. Per lui, il ponte ad arco assunse la conformazione di un ponte a via superiore in cemento armato, dove il collegamento tra arco e impalcato è realizzato mediante elementi verticali. L’arco e l’impalcato possono conservare la loro individualità oppure saldarsi nella zona centrale del ponte, come avviene nel famoso ponte di Salgina-Tobel, mostrato in figura 1.11 al paragrafo 1.1. Altri esempi importanti della genialità e dell’innovazione che apportò questo progettista, sono riportati nelle figure successive.

Fig. 1.13 – Ponte sul fiume Rossgraben in Svizzera, progettato nel 1932; luce complessiva di 82 metri.

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I ponti ad arco Maillart, come furono in seguito definiti, si adattano bene al superamento di profonde gole, dove sia possibile impostare gli estremi dell’arco su solida roccia, in grado di assorbire l’elevata spinta derivante dall’arco, a causa del suo forte ribassamento. Diversamente, l’assorbimento della spinta richiederebbe l’adozione di fondazioni importanti in modo da traferire al terreno modeste componenti orizzontali.

Inoltre, nel caso di attraversamento di corsi d’acqua, questa tipologia di ponte, che sviluppa le sue membrature portanti tutte al di sotto del piano viabile, pone problemi di natura idraulica che possono essere risolti ponendo il ponte molto in alto rispetto al corso d’acqua stesso.

Per quanto riguarda i metodi di costruzione, tali ponti richiedono la posa in opera di centine molto costose e si ha un bassissimo livello di prefabbricazione, al limite applicato ai soli elementi dell’impalcato, che comporta costi e tempi di esecuzione elevati. Tali ragioni hanno decretato, dopo la prima metà del XX secolo, una certa perdita d’interesse verso questa soluzione e l’orientamento verso nuove tipologie.

Nascono così i ponti ad arco a via intermedia o superiore e si va verso soluzioni a spinta eliminata, in cui si fa sempre più esteso l’utilizzo dell’acciaio strutturale.

Tuttavia, anche nella seconda metà del XX secolo, si hanno sporadiche applicazioni della tipologia ad arco a via superiore, interamente in cemento armato, in cui sono state applicate innovative tecniche di costruzione con risultati decisamente positivi. Tali tecniche derivano da quelle proprie dei ponti strallati o sospesi.

Fig. 1.15 – Ponte di Wanxian sullo Yangtze in Cina, in prossimità della diga delle Tre Gole. Completato nel 1997, con i suoi 420 metri di luce, è ad oggi il ponte ad arco in cemento armato più lungo del mondo.

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1.3– Ponti ad arco a spinta eliminata e realizzazioni recenti

Il ponte ad arco a spinta eliminata è necessariamente un ponte in sistema collaborante arco – trave che nasce quando i progettisti cominciano a spostare l’arco stesso sempre più in alto, passando da una soluzione a via intermedia fino ad una a via inferiore, in cui l’impalcato diviene catena dell’arco eliminandone la spinta. Questo schema strutturale consente l’attraversamento a raso di corsi d’acqua importanti in zone essenzialmente pianeggianti dove l’orografia naturale impone alle livellette pendenze modeste; inoltre, l’eliminazione della spinta permette di poter fondare le spalle anche su terreni con scarse caratteristiche meccaniche come i terreni alluvionali che si ritrovano in prossimità delle rive dei fiumi in pianura. Altre caratteristiche importanti di questo sistema strutturale sono l’insensibilità ai cedimenti di fondazione, data l’isostaticità dei vincoli esterni, e agli sbalzi termici uniformi, poiché una variazione di distanza tra le imposte dell’arco sarebbe uguale alla corrispondente variazione di lunghezza della catena. Questa tipologia di ponte non ha avuto in Italia quel successo e quella diffusione che ha avuto nel resto d’Europa, in particolare in Germania e Belgio, probabilmente a causa del fatto che le condizioni orografiche, prima specificate, sono poco diffuse nel nostro paese.

Gli elementi fondamentali di un ponte in sistema combinato arco - trave a spinta eliminata sono costituiti dall’arco, soggetto prevalentemente a compressione, dal sistema di sospensione, soggetto a sforzi di trazione, il quali realizza il collegamento tra l’arco e la trave d’impalcato che ne costituisce la catena eliminando la spinta. La trave d’impalcato è quindi soggetta a elevati sforzi di trazione assiali e da sforzi di flessione contenuti, grazie alla presenza dei pendini.

Esiste, inoltre, la possibilità di rendere reticolare l’insieme arco impalcato con aste rigide, ottenendo una struttura che rappresenta il confine tra l’arco e la trave.

Per quanto riguarda la disposizione dei pendini, essa può essere duplice: nel caso di cortina di sospensione verticale abbiamo la Trave Langer mentre nel caso in cui i pendini siano inclinati secondo due direzioni simmetriche rispetto alla verticale abbiamo la Trave Nielsen. Entrambi questi nomi derivano da quelli dei progettisti che per primi proposero questi sistemi strutturali, rispettivamente alla fine del XIX secolo e nel secondo quarto del XX secolo.

Tale distinzione comporta anche delle differenze di carattere strutturale; infatti, nella trave Langer i pendini sono soggetti a trazione per qualunque condizione di carico mentre nel sistema Nielsen quelli più esterni possono essere soggetti a sforzi alternati di trazione e compressione, per cui è necessario pretesarli o non considerare la loro collaborazione, quando in essi si presentano sforzi di compressione. Al contrario, nella trave Nielsen, il reticolo di cavi che si crea migliora sensibilmente la collaborazione tra arco e impalcato nei confronti dei carichi concentrati o asimmetrici e per questo consente di diminuire sensibilmente le dimensioni di

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questi due elementi, rispetto ad una corrispondente trave Langer. Come già anticipato, i maggiori esempi di queste due varianti dei ponti ad arco a spinta eliminata si trovano nel nord dell’Europa (Germania, Olanda, Belgio e Svezia) e più recentemente in Giappone.

Fig. 1.16 – Ponte tra Duisburg e Rheinhausen in Germania; costruito nel 1950 con schema a trave Langer di luce complessiva pari a 255 metri.

Fig. 1.17 – Ponte di Fehmarnsund in Germania; costruito nel 1963 con schema a trave Nielsen di luce complessiva pari a 248 metri.

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A partire dagli ultimi decenni del XX secolo sino ad oggi, stiamo assistendo ad una diffusione ed applicazione di questa tipologia di ponti anche in contesti diversi da quelli fino ad ora discussi, grazie alle sue valide caratteristiche strutturali, alla sua poliedricità d’impiego ed alla sua pregevole valenza estetica.

Nel nostro paese, ad esempio, il famoso progettista Santiago Calatrava ha adottato questa soluzione per la sistemazione dello svincolo e del casello autostradale di Reggio Emilia.

Fig. 1.18 – Uno dei 3 ponti di Calatrava a Reggio Emilia; progettato dallo Studio Romaro di Padova e costruito nel 2006; luce complessiva pari a 221 metri.

Altri esempi di ponti di questa tipologia in Italia sono riportati nelle figure seguenti.

Fig. 1.19 – Ponte di Vadena in provincia di Bolzano; progettato dallo Studio Romaro di Padova nel 1998 con schema a trave Langer di luce complessiva pari a 70 metri.

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Fig. 1.20 – Ponte sul torrente San Bernardino a Verbania; progettato nel 2001 dallo Studio De Miranda Associati come arco a spinta eliminata con sospensione a rete; luce complessiva di 85 metri.

Fig. 1.21 – Ponte Socchieve in provincia di Udine, progettato dallo Studio SETECO nel 2011 con schema a trave Langer di luce complessiva pari a 132 metri.

Fig. 1.22 – Ponte “Leonardo da Vinci” ad Arezzo progettato dallo Studio SETECO nel 2009; complessivamente lungo 500 metri è composto da 4 campate, di cui le 2 centrali in sistema combinato arco – trave secondo lo schema a trave Langer.

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