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1. Giroldo da Lugano e Giroldo da Como nella storia critica. . I. G L : ’ T

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I. G

IROLDO DA

L

UGANO

:

L

ITER DI UN COMACINO IN

T

OSCANA

.

1. Giroldo da Lugano e Giroldo da Como nella storia critica.

Indagini biografiche.

Il nome di Giroldo fu reso noto per la prima volta da Giovanni Targioni Tozzetti1

che ne rese pubbliche le due iscrizioni, nelle quali però l’artefice si firma con modalità diverse, ubicate rispettivamente sulla destra del portale del Battistero di Volterra, 1252 (fig. 2), e sulla cornice della vasca del fonte battesimale custodito nella cattedrale di Massa Marittima e che Tozzetti data al 1262 (fig. 28). È interessante notare, infatti, come per l’iscrizione più tarda l’autore si interroghi se, nel copiarla, non avesse per caso errato la provenienza dello scultore, che è detto da Como, poiché “egli è lo stesso Giroldus de Lugano che scolpì l’Iscrizione per memoria della sottomissione di Monteveltraio ai Volterrani”2. Si tratta appunto

dell’epigrafe posta nel suddetto battistero a cui l’autore rimanda ricordando che nel 1213 i consoli di Monteveltraio, l’odierno Montevoltraio, si intromisero per pacificare Volterra con il suo vescovo mentre nel 1252 decisero di sottomettersi alla città. Di questi accadimenti esiste testimonianza proprio nell’iscrizione “incisa in Marmo, accanto alla porta della Chiesa di S. Giovanni in Volterra, al lato destro esteriore […] Vi si vede dunque scolpita l’Arme della Famiglia de’ Conti della Gherardesca, quasi appunto come quella che usano di presente […]”3.

Diversamente da quanto sosterranno studiosi decisamente più recenti, già Tozzetti dunque intravede la possibilità di una coincidenza delle due figure identificate sotto i nomi di Giroldo da Lugano architetto e Giroldo da Como scultore. Sulla

1 G. Targioni Tozzetti, Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana per osservare le produzioni naturali e gli antichi monumenti di essa, Forni editore, Bologna 1751

(1971).

2 Idem, vol. IV, cit. p. 130. 3 Idem, vol. III, cit. p. 128.

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base di questa indicazione, più di un secolo dopo, Giuseppe Campori4 inserisce

tra le sue Memorie il nome dell’artista in qualità di architetto nativo di Lugano operante in Toscana nella seconda metà del XIII secolo. Si riconduce alle osservazioni del Tozzetti citando rispettivamente l’epigrafe volterrana, GIROLDUS DE LUGANO ME FECIT, e quella presente nei resti, tra cui un rilievo (fig. 6), di un pulpito realizzato per il Duomo di S. Miniato (S. Miniato, Museo Diocesano

d’Arte Sacra), FACTUM EST HOC OPUS PER MAGISTRUM GIROLDUM QUONDAM

IACOBI DE CUMO SUB AN. 1279. Circa quest’ultima citazione devo però aggiungere

che la data, come vedremo, si rivelerà imprecisa e che il rimando bibliografico di Campori al testo di Tozzetti in realtà non corrisponde. Di qualche anno più tardo è poi l’intervento di August Schmarsow5. L’autore, in un breve paragrafo in cui

tratta la storia di Volterra, afferma che nel 1252 fu conclusa la costruzione del battistero della città per opera di tale Giroldo da Lugano che egli riconosce anche come artefice del successivo fonte battesimale (fig. 21) di Massa Marittima contribuendo così a portare avanti e consolidare l’ipotesi della duplice identità dell’artista. Nel Novecento anche Luigi Petrocchi6, indagando la presenza di

maestranze comacine a Massa, riconosce l’opera di un maestro Giroldo originario di Lugano, e appartenente alla diocesi di Como, figlio di tale maestro Iacopo già documentato in città dalla presenza di un contratto7, datato al 1231. Tale contratto

è riferito a “Iacobo, maestro marmorario lombardo”8 che Petrocchi riconosce

appunto come padre del nostro Giroldo. In realtà l’autore tace circa le vicende

4 G. Campori, Memorie biografiche degli scultori, architetti, pittori ecc. nativi di Carrara e di altri luoghi della provincia di Massa, con cenni relativi agli artisti italiani ed esteri che in essa dimorarono ed operarono e un saggio bibliografico, Tipografia di Carlo Vincenti, Modena

1873, p. 127.

5 A. Schmarsow, S. Martin von Lucca und die Anfänge der toskanischen Skulptur im Mittelalter, Druck und Verlag von Schottlaender, Breslau 1890, p.223.

6 L. Petrocchi, Massa Marittima. Arte e Storia, Venturi, Firenze 1900, p. 17.

7 Petrocchi riconduce tale documento all’Archivio di Stato di Siena, Cartapecore di Massa ad annum.

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posteriori all’arrivo dell’artista in Toscana e, nella sua rassegna delle notevoli opere architettoniche e scultoree che arricchiscono la città, si limita a ricordare il felice caso del fonte autografo. Un altro fondamentale contributo per la ricostruzione della vicenda biografica di Giroldo si deve a Guido Carocci9.

L’autore, infatti, elencando le bellezze monumentali che adornano S. Miniato, cita anche la pieve, poi divenuta cattedrale, di cui parlava già Campori nelle sue

Memorie, dedicata ai santi Maria e Genesio e all’interno della quale si conservano

numerose opere. Tra queste sono i resti che facevano parte dell’antico pergamo e si conserva in particolare un bassorilievo raffigurante un’Annunciazione (fig. 6) di cui Carocci racconta “Della scultura del pergamo ebbi la ventura di ritrovare la data dell’esecuzione, 1274, ed il nome dell’autore Giroldo di Iacopo, celebre artista comacino che eseguì altre importanti opere per le chiese della Toscana”10. A

questo studioso va dunque il duplice merito di aver identificato la firma dello scultore in un’opera finora citata soltanto, come si è visto, da Campori, per di più in modo errato, e aver quindi aggiunto un’altra tappa all’itinerario toscano percorso dall’artista. Poco più tardi anche Mario Salmi11 si occupa di questo

personaggio trattando il rilievo (fig. 4) allora custodito nella Badia di Montepiano (Prato, Museo dell’Opera del Duomo). Citandone l’iscrizione che compare nella cornice superiore, GIROLDO ME FECE, egline conferma l’attribuzione ma nulla dice

circa la datazione. Per quanto concerne la descrizione del rilievo che invece ci offre vi torneremo più tardi, al momento pongo l’attenzione su quanto segue. Salmi afferma “Questo comacino è già noto: a Volterra un’iscrizione ricorda una chiesa e una torre oggi scomparse, eseguite nel 1252 da un Giroldus de Lugano,

9 G. Carocci, Gli edifizi monumentali di S. Miniato, in “Miscellanea storica della Valdelsa”, a.

XII, n. 32, Castelfiorentino, maggio 1904.

10 Idem, pp. 76-77.

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che io dubito molto sia effettivamente il nostro artefice; mentre ritroviamo lui stesso nel 1267 a Massa Marittima a lavorare la vasca battesimale, dove si firmò; […]”12. È esclusivamente questo secondo Giroldo dunque che l’autore mette in

relazione con l’opera di Montepiano alla luce di analogie stilistiche con il fonte di Massa e con il rilievo di S. Miniato rappresentante un’Annunciazione riconducibile al suo nome e alla data 1274. Distaccandosi pertanto dalla critica antecedente, che si uniformava nel sostenere la possibilità di un autore unico sia per i lavori architettonici che scultorei, Salmi costituisce il solo caso deciso a mantenere distinte le due personalità. Secondo l’autore quindi, il rilievo di Montepiano non soltanto va ad arricchire l’esigua produzione del Giroldo scultore ma, in base alle conclusioni stilistiche che egli trae, rispecchia una datazione certamente anteriore alle altre due sculture trattate indicandoci infine la via che forse il comacino tenne per scendere in Toscana dagli Appennini passando appunto per Montepiano. Una breve sintesi degli studi compiuti fino a questo momento fu offerta da Georg

Swarzenski13 il quale annota la presenza di Giroldo tra gli artisti comacini attivi

nella Toscana del XIII secolo. Oltre alla sua attività di architetto, testimoniata in primo luogo a Volterra dalla presenza delle due epigrafi firmate di cui si è già detto (fig. 1-2), egli ricorda piuttosto la sua attività in qualità di scultore ritenendola importante per lo sviluppo della scultura toscana del tempo, seppur all’ombra del grande contemporaneo Nicola Pisano. Nel suo breve intervento l’autore illustra le tre sculture conservate che gli sono attribuite. Ricorda quindi il rilievo per la badia di Montepiano che, nonostante sia privo di una datazione precisa, è da lui ritenuto l’opera probabilmente più antica sulla quale troviamo la firma GIROLD(US) ME FEC(IT). A seguire è ricordata la grande vasca battesimale

12 Idem, p. 167.

13 G. Swarzenski, alla voce Giroldo da Lugano, in Künstler Lexikon, a cura di U. Thieme, F.

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monolitica della Cattedrale di Massa Marittima, datata 1267 e anch’essa felice caso autografo di cui l’autore riporta l’epigrafe suggerendo di poter identificare in questo “Giroldo da Como” lo stesso “Giroldo” del rilievo antecedente. Il terzo ed ultimo lavoro certamente conosciuto è il rilievo con l'Annunciazione realizzato per il Duomo di S. Miniato nel 1274. Anche Walther Biehl14 si ricollega alla

tradizione che generalmente identifica Giroldo di Jacopo da Como con lo stesso Giroldo da Lugano autore della lapide di Volterra datata al 1252, precisando appunto che la prima opera firmata “da Como” è il fonte battesimale in travertino della Cattedrale di Massa Marittima. Circa quest’opera erroneamente Biehl corregge quella che reputa una scorrettezza di Petrocchi15, il quale datava l’opera al

1267, collocandola invece al 1266. Si occupa poi del rilievo per la Badia di Montepiano dove anche lui, come altri, precisa che l’iscrizione dell'artista e la data sono purtroppo quasi scomparse, se ne ricavano soltanto le parole GIROLDUS ME FECIT ANNO E DO(MINI) MCCL. L’autore è però certo che si tratti dello stesso

Giroldo di Jacopo del fonte massetano. Lo rivelano, secondo le sue considerazioni, in primo luogo la stretta somiglianza delle lettere incise presenti nell’epigrafe con quelle realizzate sul fonte nonché la figura della Madonna che nei due lavori è quasi identica. Secondo Biehl dunque le due opere non devono essere cronologicamente troppo distanti tra loro. Prosegue poi con i resti del pulpito per S. Miniato, del 1274, di cui ricorda l’iscrizione FACTUM EST HOC OPUS [...] QUONDAM JACOBI DE MAGISTRUM GIROLDUM CUMO […]. Un confronto con le

epigrafi precedenti anche in questo caso conferma, nelle lettere, lo stesso tipo di incisione presente a Massa Marittima. L’autore conclude, aggiungendoli per la prima volta all’elenco delle produzioni dello scultore, con i resti dell’altare in

14 W. Biehl, Toskanische Plastik des Frühen und hohen mittelalters, E. A. Seeman, Leipzig

1926, pp. 87-90.

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marmo (fig. 7-8) creato per la chiesa di S. Frediano a Lucca (Lucca, Museo Nazionale di Villa Guinigi) che egli riconduce stilisticamente, come vedremo, al rilievo di S. Miniato. Di Giroldo parla anche Pietro Toesca16 offrendoci

pochissime e severe parole, che al momento rimandiamo, frutto delle considerazioni stilistiche sulle opere che lo scultore lombardo lasciò sparse per la Toscana romanica. L’anno successivo l’intervento di Toesca è di nuovo Salmi17

che, occupandosi anch’egli dei principali scultori attivi in Toscana nel XIII secolo, annovera Giroldo da Como portando avanti, dopo un’evidente conversione, l’ipotesi già da tempo avanzata da altri in base alla quale Giroldo da Lugano e Giroldo da Como potessero effettivamente rispondere alla medesima voce. Facendosi forza su un atto del 21 Novembre 128218 in cui il notaio scrive

“Magister Giroldo lapicida de Lugano”19, l’autore suggerisce l’identificazione di

questo Giroldo con lo stesso che firmò la lapide murata presso il battistero di Volterra e in cui troviamo scritto GIROLDUS DE LUGANO ME FECIT20. Egli si

sofferma poi su una breve trattazione stilistica, al momento posticipata, di alcune opere coinvolgendo il rilievo di Montepiano, il fonte battesimale di Massa, il rilievo per il Duomo di S. Miniato e, sulla scia di Biehl, il gruppo scultoreo che costituisce parte dei resti dell’altare realizzato per il S. Frediano a Lucca. Singolare è il caso di Ugo Donati21 il quale, tra gli artisti ticinesi attivi in Toscana, cita tale

Giroldo da Arogno che vediamo corrispondere al nostro Giroldo da Lugano grazie all’attribuzione di alcune opere, con certezza ormai riconosciute a quest’ultimo, tra

16 P. Toesca, Storia dell’Arte Italiana I, III, Unione Tipografico-editrice torinese, Torino 1927,

p. 786.

17 M. Salmi, La Scultura Romanica in Toscana, Rinascimento del libro, Firenze 1928, p 21. 18 Salmi estrapola l’atto tra quelli datati 1282 e 1284 editi per la prima volta da Enrico Ridolfi

nei suoi Diporti Artistici, 1872. Essi testimonierebbero la presenza di maestranze comacine a Lucca.

19 Salmi, La Scultura Romanica, op. cit., p. 21. 20 Ibidem.

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cui il fonte massetano ed il rilievo di S. Miniato. Tra gli autori che trattarono questo artista è poi Curzio Breschi22 che dedica un’intera opera alla descrizione

certosina del fonte massetano senza però dilungarsi o trattare minimamente le vicende biografiche del suo artefice. Anche Enzo Carli, nella sua indagine sulle ricchezze artistiche che ornano Massa Marittima23, nomina Giroldo limitandosi a

ricordarlo quale autore del fonte battesimale custodito nella Cattedrale e che costituisce di per sé una delle più alte espressioni della scultura romanica presente nella città. Non è tuttavia alcun tentativo di trattare o indagare la storia di questo personaggio relegandolo alla sola figura di scultore. Al contrario, in un intervento di poco successivo24, Carli sembrerebbe confermare l’ipotesi che vede Giroldo

attivo anche in veste di architetto. Illustrando la Casa-Torre quale elemento caratteristico dell’architettura volterrana, egli afferma che nel 1250 Giovanni Toscano, tesoriere del re Enzo di Sardegna, fece erigere proprio a Giroldo di Iacopo da Lugano la suddetta abitazione. Da qui l’elogio a Volterra quale centro di irradiamento della scultura lombarda poiché l’artefice delle architetture volterrane trattate è da identificarsi con il Giroldo da Como attivo nel 1267 a Massa Marittima. Carli confermerebbe dunque l’ipotesi, già intuita da altri, di un soggiorno volterrano antecedente l’arrivo a Massa. Nello stesso anno Antje

Middeldorf Kosegarten25 è la prima a parlare di due rilievi che componevano in

origine il fronte di un sarcofago (fig. 9) allora situato nella chiesa di S. Francesco a Pistoia (Pistoia, Museo Civico) il quale stilisticamente si riconduce, sostiene l’autrice, al rilievo dell'Annunciazione, datato 1274 e firmato Giroldo di Giacomo

22 C. Breschi, La voce di un monumento nel travertino massano, Tipografia Clemente Minucci,

Massa Marittima 1940.

23 E. Carli, L’Arte a Massa Marittima, Centrooffset, Siena 1976, p. 36.

24 E. Carli, Volterra nel Medioevo e nel Rinascimento, Pacini Editore, Pisa 1978, pp. 31-32. 25 A. Middeldorf Kosegarten, Identifizierung eines Grabmals von Nicola Pisano, in

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da Como, della cattedrale di S. Miniato. Il confronto con il suddetto rilievo, oltre a portare l’autrice a presumere che anche per questo sarcofago si possa pensare alla mano di Giroldo, fornisce un prezioso indizio sia per la datazione di quest’ultimo agli anni ottanta circa del Duecento, sia per stabilire un’eventuale nuova tappa nell’iter toscano dell’artista. Meno prezioso è l’intervento di Enrico Lombardi26

che in un estratto, custodito dalla biblioteca pubblica Gaetano Badii di Massa Marittima e avente forma di fotocopia di cui però non si conosce la provenienza, insiste sulle poche notizie che si hanno di questo artefice citando in particolare gli ormai superati Tozzetti e Petrocchi di cui si è già parlato. Questo intervento ci è però utile nell’illustrare il momento di stallo in cui si trova il dibattito critico. Lombardi parla, infatti, di uno scisma tra i sostenitori di un’attività toscana condotta da Giroldo tra il 1252 (epigrafe del battistero volterrano) ed il 1274 (ultima opera con certezza conosciuta) e quelli che invece la posticipano tra il 1267 (fonte di Massa) ed il 1274. Alla base di tutto è ancora l’insoluta questione di identificare Giroldo da Lugano con Giroldo da Como. Le opere certamente riconosciute sono qui limitate al fonte di Massa, al bassorilievo della badia di Montepiano, ai resti di un altare creato per il S. Frediano a Lucca e all’Annunciazione del Duomo di S. Miniato. Al di là del solo problema cronologico, riconoscere il periodo più esteso significa attribuire a Giroldo la duplice attività di architetto e scultore. Anni dopo, infatti, Valerio Ascani27, con

un primo vero tentativo di comporre un preciso profilo biografico del soggetto, estende le competenze di Giroldo definendolo “Scultore e architetto […] erede ed ultimo grande esponente della tradizione lombardo-ticinese”28. La ragione di 26 E. Lombardi, Fonte Battesimale di Giroldo di Giacomo da Como (1267) e la Strage degli Innocenti, 1989.

27 V. Ascani, alla voce Giroldo da Como, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, VI, Istituto

dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1995, pp. 775-776.

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questa evoluzione in qualità di architetto è ricondotta innanzitutto al recente riconoscimento della duplice identità dell’artista, dunque della duplice firma, e a seguire nell’esperienza volterrana vissuta dall’artista al tempo in cui la città era, di fatto, interessata da un’intensa attività edilizia resa possibile dalla presenza, già discussa, di un gran numero di maestri comacini. I suoi interventi architettonici sono stati individuati da questo autore nella Casa-Torre di Giovanni Toscano dove appare l’epigrafe più antica (fig. 1) che ne ricorda la fondazione nel 1250, nella vicina chiesa di S. Michele, nel Battistero che fronteggia il duomo della città così come nella pieve di S. Giovanni Battista e nella Torre del Balco a Montevoltraio, al tempo unito a Volterra. Tra le opere scultoree sono citate invece il rilievo di Montepiano, il fonte battesimale di Massa, il pulpito per il Duomo di S. Miniato e l’altare distrutto del S. Frediano a Lucca. Si tornerà successivamente sull’analisi stilistica proposta dall’autore. Un riassunto efficace della storia critica che ha interessato questo personaggio è offerto da Claudia Bardelloni29 la quale inoltre

esamina, lo vedremo successivamente, le sue opere così da determinare in maniera più compiuta un profilo stilistico, oltre che biografico, dello scultore. Giroldo è detto originario di Lugano e figlio del maestro Iacopo. Rimandando a Schmarsow, che secondo l’autrice fu il primo a porre in relazione la firma di Giroldo da Lugano architetto con la firma di Giroldo da Como scultore, ella accredita l’ipotesi della duplice identità e attività dell’artista. Cita inoltre i preziosi interventi di Carocci e Salmi grazie ai quali la critica ha poi costruito la biografia dell’artista attorno allo studio di alcune opere che si sono svelate fondamentali, quali la Maestà di Montepiano, l’Annunciazione di S. Miniato e lo stesso fonte battesimale di Massa Marittima. Riprendendo l’ipotesi già avanzata da Petrocchi l’autrice riconduce poi

29 C. Bardelloni, Giroldo da Como: un artista itinerante nella Toscana di Nicola Pisano, in

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Giroldo a quella schiera di artisti comacini riversatisi nei cantieri toscani. Tra questi già il padre Iacopo doveva essersi trasferito in Toscana come farebbe pensare il contratto firmato a Massa nel 1231 di cui si è discusso precedentemente30. Alla fine degli anni quaranta egli risulta attivo come architetto

a Volterra e ciò confermerebbe dunque l’inizio di un trasferimento dalla Lombardia in Toscana assieme ad una serie di artisti che progressivamente nel corso del tardo Medioevo approdarono nei cantieri toscani. La sfera e l’ambito di formazione di questo personaggio, sottolinea l’autrice, sono però sconosciuti. Ella si riconduce all’ipotesi formulata da Biehl per il quale, in base ad alcune affinità stilistiche riscontrate tra la scena della Disputa degli Ariani nel sottoportico del S. Martino di Lucca ed il fonte massetano, l’artefice delle storie di Lucca potesse essere effettivamente il maestro di Giroldo. Oltre alle implicazioni stilistiche che questo comporterebbe, tale ipotesi è interessante al momento nel suggerirci un primo soggiorno lucchese da parte del nostro scultore che la Bardelloni, pur non condividendo questa impressione stilistica, sembra avallare. Sono nuovamente ricordati, infatti, gli atti notarili, tra cui quello31 datato al 1282, i quali

attesterebbero la presenza di Giroldo a Lucca a questa altezza cronologica e introdurrebbero all’ormai famosa questione dell’identità dell’artista che per molti anni, abbiamo visto, è rimasta la principale problematica sollevata dalla critica. Oltre a ciò è invece per la prima volta che l’autrice tenta di comprendere la ragione del cambiamento di provenienza, Lugano o Como, operato dallo scultore nelle varie iscrizioni. Tale cambiamento è stato interpretato dalla Bardelloni come un atto di superbia da parte di Giroldo che con la crescente, seppur modesta, notorietà preferì evidentemente legare il suo nome al centro più noto, la diocesi di Como

30 Vedi nota 7. 31 Vedi nota 6.

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appunto. L’opera che per prima mostra tale cambiamento è proprio il fonte di Massa. Per la prima volta l’autrice aggiunge alla produzione di Giroldo altre opere quali il rilievo di S. Bartolomeo benedicente (Fiesole, Castello di Vincigliata, fig. 3) e la scultura di S. Iacopo in veste di pellegrino (Pistoia, Museo Civico, fig. 5), facilmente riconoscibile per i suoi attributi, che descrive brevemente. Ancora si riallaccia alla critica antecedente trattando il rilievo di S. Miniato, realizzato per il pulpito di cui rimangono la lapide commemorativa, con la firma e la data, ed il bassorilievo con l’Annunciazione. Dopo quest’ultima opera l’autrice concorda con gli altri studiosi che vedevano Giroldo nuovamente attivo presso Lucca tra gli anni 1282 e 1284 per poi abbracciare la nuova ipotesi espressa dalla Kosegarten per la quale l’artista avrebbe trascorso la fine degli anni ottanta a Pistoia. Qui egli avrebbe compiuto altre opere scultoree tra cui, come è già stato detto, il sarcofago pistoiese di S. Francesco, ancora all’ombra di un Nicola Pisano impegnato nel rifacimento dell’altare di S. Iacopo nella cattedrale. È poi ipotizzato un successivo periodo trascorso probabilmente a Firenze. Si conservano, infatti, a S. Croce alcune opere, tra cui parte di un monumento sepolcrale contenente dei rilievi raffiguranti le pie donne al sepolcro, che per le loro affinità, e stilistiche e iconografiche, con antecedenti opere dell’artista hanno fatto di nuovo supporre una loro possibile attribuzione che condurrebbe dunque il nostro scultore a trascorrere a Firenze, assieme al figlio Lapo, gli ultimi anni della sua esistenza. Il più recente intervento da me individuato sull’opera di questo artista giunge di nuovo da

Ascani32. Egli sottolinea come ancora si ignori la corretta collocazione cronologica

di questo personaggio, ormai però riconosciuto attivo in Toscana a partire dalla metà del Duecento. Ne è ulteriormente sottolineata la provenienza

lombardo-32 V. Ascani, alla voce Giroldo da Como, in Dizionario Biografico degli Italiani, LVI, Istituto

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ticinese ritenuta tipica di numerose maestranze attive nella regione sin dai decenni intorno al Mille. Sebbene non siano stati finora approfonditi legami di parentela diretta dell'artista, la consapevolezza che queste maestranze agivano generalmente entro una fitta rete di legami familiari, nonché le tipiche modalità di formazione degli scultori architetti di questo periodo, spingono Ascani ad ipotizzare anche per Giroldo lo svolgimento di un periodo di formazione avvenuto presso i cantieri condotti dai parenti in Toscana e altrove. Egli suggerisce quindi che la fase di apprendistato si sia svolta innanzi tutto a Lucca, centro principale dell'attività dei Lombardi al di qua dell'Appennino dove l’artista, si è visto e si vedrà meglio in seguito, fu certamente attivo a più riprese. Superando definitivamente il disinteresse che la critica ha finora mostrato per un più obiettivo e complessivo approfondimento storiografico relativo alla figura di questo artista, con questi ultimi interventi si è finalmente in grado di suggerirne un profilo biografico. A tal proposito è ormai da sostenere l’identificazione di Giroldo di Iacopo da Como con il Giroldo di Iacopo da Lugano che compare nelle epigrafi volterrane. Un ulteriore punto ormai accreditato è determinato dall’epigrafe del 1252, la quale prova che Giroldo operò in qualità di architetto, come l’autore già indicava nel suo intervento precedente, nel Battistero volterrano, nella pieve di S. Giovanni e nella vicina Torre del Balco a Montevoltraio. Aperta è, per Ascani, la questione dell’attuale collocazione dell’epigrafe sulla facciata del battistero di Volterra, esso pure dedicato al Battista ma, a suo avviso, non identificabile con la chiesa a cui l’iscrizione fa riferimento33. Certo è che, dagli studi condotti da Ascani, l'epigrafe

del battistero risulta di mano dello scultore. Lo attesta l’uso di una metrica e di una

33 Di questa epigrafe è emersa, in occasione di colloqui intercorsidurante lapreparazione della

tesi, un’ulteriore lettura avanzata da G. Garzella secondo la quale i termini h(aec) ec(c)l(esi)a non sarebbero da riferire tanto alla pieve di S. Giovanni quanto piuttosto allo stesso Battistero. Verrebbe così a cadere l’ipotesi di un eventuale ricollocamento dell’opera sull’edificio volterrano per il quale, invece, essa serebbe pensata fin dall’inizio.

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scelta di termini del tutto identici a quelli della Casa-Torre del Toscano. In ogni caso il posizionamento dell’epigrafe si fa testimonianza sia della possibile appartenenza in quegli anni dell'artista alla colonia lombarda attiva in Maremma, come già supposto, sia di un suo intervento quantomeno nella parte inferiore dell’edificio, presumibilmente concluso al momento della collocazione della lastra. Questa constatazione risulterà importante nel definire eventuali affinità stilistiche presenti nel portale del battistero con la produzione successiva di Giroldo. Oltre alle opere architettoniche concentrate a Volterra, Ascani riporta anche i numerosi lavori scultorei: il rilievo di Montepiano, il fonte battesimale di Massa, il pulpito di S. Miniato e le figure per l’altare di S. Frediano a Lucca dove lo scultore, anche secondo Ascani sulla scia di altri studiosi tra cui Salmi e Biehl, risulta essere presente almeno nel 1282 e 1284. Le tracce dell'artista, conclude l’autore, si perdono negli anni successivi, quando è dato trovare la sua scuola, e in particolare il figlio Lapo, attiva in Toscana, probabilmente anche a Firenze, nel Trecento avanzato. È possibile dunque secondo l’autore che la morte del maestro sia avvenuta intorno al 1295.

Analisi stilistiche ed iconografiche.

E’ attraverso la comprensione delle opere, alcune delle quali conosciute da tempi remoti e in modo inequivocabile, altre invece suggerite in tempi più recenti con ipotesi di attribuzione, che gli studiosi hanno tentato di ricostruire la biografia di questo artista. Dai medesimi interventi è inoltre possibile evincere anche i rispettivi sforzi per costruire un quadro stilistico dello stesso. In realtà notiamo che le prime testimonianze pervenuteci34 si limitano a documentare le opere più antiche

34 Targioni Tozzetti, Relazioni, op. cit., vol. III, p. 130; vol. IV, p. 128; Campori, Memorie, op.

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attribuendole a Giroldo sulla base di firme inattaccabili senza però interessarsi ad alcuna indagine stilistica. Fatto comprensibile dato che si tratta di semplici epigrafi (fig. 1-2). È dunque Schmarsow35 il primo a proporre un giudizio critico che

vedremo protrarsi a lungo nell’opinione degli studiosi successivi. Parlando del fonte massetano, infatti, egli sostiene, senza fornire ulteriori spiegazioni, che i rilievi non sono effettuati in modo uniforme, specialmente nei dettagli dell’Annunciazione a Zaccaria (fig. 30), e dell'incontro tra Maria ed Elisabetta, nel pennacchio tra la prima e la seconda arcata (fig. 30a). Anche Petrocchi, in riferimento al fonte battesimale, definisce “grazioso […] il disegno, bellissime per quei tempi le sculture”36 rimarcando tuttavia la resa inefficace delle figure,

“l’artista imitò goffamente le antiche bellezze”37, e le difficoltà incontrate nel

determinare la loro orchestrazione, “e non seppe esprimere e opportunamente collocare le diverse parti”38. Molto più severo, pur limitandosi alla descrizione del

solo rilievo di Montepiano (fig. 4), è invece Salmi39. Egli ci dice che si tratta di

una pietra rettangolare, forse parte di un altare, semplicemente listata in cui si scorgono la Vergine in Maestà intenta a ricambiare l’abbraccio affettuoso del figlio seduto sul suo grembo. La fiancheggiano a destra i santi Pietro e Paolo con i rispettivi attributi contrapposti, a sinistra, da un angelo, secondo l’autore Gabriele, colto mentre sparge incenso con un turibolo. Tra tutti i personaggi nimbati, si distingue ulteriormente Gesù il cui nimbo, oltre ad essere tipicamente crociato, presenta il monogramma XPS, Christòs. Una minuscola figura incappucciata è

inginocchiata in atto di preghiera ai piedi del trono della Madonna sul cui basamento leggiamo ABBAS BENEVENUTUS FECIT RENOUARE40. In tale scena

35 Schmarsow, S. Martin von Lucca, op. cit., p. 223. 36 Petrocchi, Massa Marittima, op. cit., p. 41. 37 Ibidem.

38 Ibidem.

39 Salmi, Due rilievi, op. cit., pp. 164-168. 40 Idem, p. 167.

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Salmi vede opporsi ad un’iconografia tradizionale il naturalismo dei personaggi centrali, in particolare l’abbandono di un Cristo solenne che qui appare fanciullo inconscio e affettuoso. È posta l’attenzione sul trono della Vergine, sorretto da pilastrini decorati con un motivo a zig-zag molto simili a quelli che decorano il trono di Cristo nel fonte massetano. Identica è anche la presenza di un gonfio guanciale. Relativamente alle figure, l’autore le definisce “basse con grosse teste, con segni quasi di maschera sul viso, con vesti pesanti e sciatte […] più sciatte e disfatte sono le forme non prive da un lontano influsso di Nicola Pisano, e si noti specialmente il tronfio bambino condotto con rozzezza estrema e con molte scorrettezze”41. Comprendiamo dunque perché il termine che volentieri Salmi

avvicina alla maniera di Giroldo sia “provinciale”. Brevemente l’autore prende in esame anche l’Annunciazione di S. Miniato (fig. 6) dove l’angelo e la Vergine sono posti entro edicole per le quali sono supposti modelli di riferimento tratti dalla pittura o dalla miniatura, come per il fonte di Massa. Qui “Giroldo mostra figure più lunghe, più secche, e panneggi più regolari, si allontana in sostanza sempre più dal rilievo di Montepiano”42 che è quindi presumibilmente anteriore.

Più moderato è invece Swarzenski43 il quale, oltre a ricordare le tre opere

dell’artista conosciute al tempo, ovvero il rilievo di Montepiano (fig. 4), il rilievo di S. Miniato (fig. 6) ed il fonte di Massa Marittima (fig. 21), sosteneva, in considerazione soprattutto dello stile rivelato nelle ultime due, come Giroldo sembrasse riproporvi l’apprendimento di lezioni bizantine rimanendo per il momento ancora indipendente dalla coeva attività di Nicola Pisano. Seguiva poi

Biehl44 con l’analisi del fonte battesimale in travertino della Cattedrale di Massa

41 Idem, p. 168. 42 Ibidem.

43 Swarzenski, alla voce Giroldo da Lugano, op. cit., p. 189. 44 Biehl, Toskanische Plastik, op. cit., pp. 87-90.

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Marittima, prima opera firmata Giroldo da Como che però l’autore, come anticipato, datava erroneamente al 1266. Brevemente egli descrive l’opera riccamente scolpita con raffigurazioni, tra le altre cose, dei santi Cerbone e Regolo in gloria (fig. 39). La decorazione a rilievo presenta, infatti, delle nicchie con arco lobato abitate da figure. Queste, a parer dell’autore, rivelano “teste tonde con zigomi prominenti e il naso corto […]. L'espressione è data da qualche ammiccamento volutamente forzato”45. In tutto ciò, per Biehl, Giroldo riprende lo

stile della scuola di Lucca ma vi vede presenti anche altre influenze che lo scultore adatta secondo soluzioni proprie, per esempio con la realizzazione di figure tozze o con la leggera inclinazione della testa. Aggiunge ancora che gli indumenti pesanti e spessi difficilmente consentono di riconoscere i contorni dei corpi sottostanti. Essi si aggrovigliano in pieghe goffe e dense sulle braccia e sulle gambe seguendo una tipologia di panneggio che, secondo l’autore, è da ricercarsi non soltanto a Lucca ma anche in altri lavori dello stesso tempo. Giroldo rappresenta e propone, per Biehl, lo stile di una nuova generazione. Uno stile sorto in una fase di transizione e che emerge proprio con il fonte di Massa Marittima dove infatti scorgiamo il Gotico che inizia già ad affacciarsi. Tratta poi del rilievo di Montepiano (fig. 4), con la Madonna in trono fra un Angelo ed i santi Pietro e Paolo. Sulla scia probabilmente di Salmi, si mette in risalto la figura della Madonna che nei due lavori è quasi identica. Ella siede su un trono caratterizzato da una certa ispirazione bizantina, la stessa che appare, secondo l’autore, nel trono del Salvatore a Massa Marittima (fig.42). Secondo Biehl, lo sviluppo dello stile di Giroldo si è svolto sotto la chiara influenza di Nicola Pisano, dal quale alcune figure vengono prese in prestito con le dovute modifiche. Egli considera tuttavia questo prestito un vero fallimento. Nelle mani del goffo imitatore, spiega, che lottò

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con le sue risorse modeste, queste figure rivelano deformità esagerate. Ciò appare ancor più evidentemente nelle opere successive. Il rilievo di S. Miniato (fig. 6), del 1274, mostra inoltre l’approdo ad una soluzione diversa raggiunta sotto l'influenza del Gotico. Egli descrive la struttura quasi invariata, solo la ponderazione dei personaggi e lo stile del loro abbigliamento sono cambiati. Le vesti vanno, infatti, a individuare la posizione dei corpi grazie alla resa chiaramente effettuata delle pieghe. Le figure acquisiscono maggiore flessibilità e duttilità. In questo lavoro appaiono inoltre le nuove conquiste dell’architettura gotica che si manifesta nell'arco acuto che definisce il baldacchino della Madonna. Per lo stabilirsi di questo nuovo indirizzo stilistico l’opera migliore potrebbe rivelarsi nei resti dell’altare in marmo creato per il S. Frediano a Lucca (fig. 7-8). Ad alto rilievo, esso presenta tre nicchie abitate da altrettante figure, ovvero l’Annunziata, l'Angelo

Gabriele e S. Fausta. Il modello è per Biehl evidentemente ispirato a quello di

un'Annunciazione, ricostruibile per la posizione dei personaggi e nei motivi del panneggio strettamente in linea con il rilievo di S. Miniato. Egli riconosce in quest’opera “il compito storico di Giroldo, cioè la transizione dal Romanico al Gotico, ritenendo un peccato che d'ora in poi questo personaggio scompaia di nuovo nel buio. Egli è però consapevole che le sue modeste forze non gli avrebbero concesso di competere con il genio creativo del primo grande maestro gotico della Toscana”46. Toesca47 al contrario tornava a sua volta a denunciare un

“intimo dissesto” nelle opere che l’artista aveva lasciate sparse per la Toscana. Secondo l’autore si parte, infatti, da una situazione iniziale, per esempio il più antico rilievo di Montepiano, in cui Giroldo dimostra di conservare ancora intatta la plasticità tipicamente lombarda per arrivare poi a forme quali quelle del fonte di

46 Idem, p. 90.

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Massa dove non riesce che in una confusione di figure risultate “involutamente gotiche”48. Allo stesso modo anche il più tardo rilievo di S. Miniato, ribadisce

l’autore, mostrerà un fare schiacciato e incerto. Un anno più tardi Salmi49 affronta

ancora il rilievo della Maestà di Montepiano (fig. 4) dove rimane fermo nel parlarci di figure tozze, dalla testa ingombrante e ritenendo invece l’unico elemento degno di lode, come già sosteneva nel suo intervento del 1914, la spontaneità del gesto del bambino, non più divinità benedicente ma fanciullo inerme che abbraccia istintivamente la madre, cambiamento ritenuto ora frutto della vicinanza di Nicola Pisano che Giroldo ebbe modo di conoscere a Pisa e Lucca. Relativamente al fonte massetano l’autore aggiunge che probabilmente lo scultore riprese le arcate trilobe, ancor prima che dal pulpito del battistero pisano, da pitture duecentesche (in nota indica il Polittico di Meliore Toscano nella Galleria di Parma, una Madonna tra due santi nel Museo di Pisa ed un dossale della Galleria di Siena). Di quest’opera critica lo stile per le figure spesso vuote e gonfie, affini nei panneggi al rilievo per il portico di S. Martino a Lucca. Qualche pittorico accenno paesistico è interpretato come un primo tentativo di avvicinarsi alle nuove soluzioni gotiche che del resto, secondo l’autore, iniziano già ad affacciarsi nel pulpito del Duomo di S. Miniato (fig. 6). Nelle lastre superiori figura, infatti, il rilievo di un’Annunciazione dove ad un angelo rude ancora romanico corrisponde una Vergine goticizzante seppur sotto un’edicola ancora ispirata al modo bizantino. Parimenti anche i resti dell’altare del S. Frediano a Lucca rappresentano S. Fausta, l’Arcangelo Gabriele e l’Annunziata entro edicole ritenute gotiche (fig. 7-8). Salmi ritiene tutto questo una sorta di compromesso, l’ultimo rappresentante della tradizione romanico-lombarda si arrende all’avanzare

48 Ibidem.

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dell’arte nuova. Donati50 pure mostra delle riserve per la confusione della

composizione e per l’imprecisione del modellato da lui notati nei rilievi del fonte battesimale. L’analisi avanzata nell’intervento di Breschi51, focalizzato sull’unica

opera massetana, sarà affrontata nel capitolo dovuto. Preannuncio soltanto che le forme, anche in questo caso definite grossolane, sono per la prima volta contrapposte ad una serie di meriti finora ignorati che, secondo l’autore, Giroldo dimostra di possedere. Prima tra tutti è sottolineata una notevole capacità di sintesi concettuale. Successivamente è Carli52 il quale, nel descrivere il fonte battesimale

(fig. 29-44), si dimostra a sua volta critico verso le figure ritenute piuttosto tozze e portatrici di una rigidezza plastica che rivela l’origine lombarda dello scultore. Prosegue poi con i panneggi, denunciati secchi e manierati, mentre le scene, che appaiono gremite e prive di profondità, sono la ragione per cui l’autore ritiene che Giroldo al tempo non avesse ancora avvertito le novità della lezione di Nicola Pisano impartita sette anni prima con la creazione del pulpito per il Battistero pisano. Carli concorda, infatti, con il Salmi nel ricondurre gli archetti trilobi del fonte più a modelli pittorici che non a questo grande capolavoro. Gli stessi richiami bizantini sono avvertiti dall’autore nell’impostazione dell’iconografia della Deesis visibile parimenti nella quarta faccia del medesimo fonte (fig. 39) e nel successivo rilievo di S. Miniato (fig. 6). Nello stesso anno anche la

Kosegarten53 si dimostra unanime con la critica antecedente. Trattando i tre rilievi

che componevano il fronte del sarcofago di S. Francesco (fig. 9), il quale stilisticamente a suo parere si riconduce al rilievo dell'Annunciazione di S. Miniato, ella definisce questo scultore lombardo riconoscibile per la compatta

50 Donati, Breve storia, op. cit., p. 21.

51 Breschi, La voce di un monumento, op. cit., p. 19. 52 Carli, L’Arte a Massa Marittima, op. cit., p. 37.

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fisicità dei suoi personaggi, ovvero una Madonna col bambino, un angelo con san Francesco ed un angelo con un altro santo non identificato. Come già detto, le affinità riscontrate tra l’opera da lei studiata con il suddetto rilievo, ed in particolare la figura dell’Angelo per la comune disposizione delle ali e la veste dall’orlo similmente frastagliato nel ricordo, tra l’altro, di soluzioni bizantine, forniscono, a suo parere, un indizio e per l’attribuzione a Giroldo dell’opera e per la datazione del sarcofago agli anni ottanta circa del Duecento. Nel suo intervento

Lombardi54 si cimenta invece nella trattazione, molto breve, del fonte battesimale

di Massa Marittima. In realtà per una descrizione adeguata e per l’interpretazione allegorica delle scene che lo decorano rimanda all’opera del suo insegnante, Curzio Breschi, e si occupa invece di spiegare dettagliatamente i termini, sui quali torneremo, che troviamo nell’iscrizione presente sulla cornice della vasca, al momento indiscusso capolavoro riconosciuto. Sull’analisi delle altre opere, di cui si cerca di fare il punto, torna invece Ascani55 con il primo intervento del 1995.

Inizia quindi esaminando il rilievo scolpito per la Badia di Montepiano (fig. 4), figurante una Madonna in trono con il bambino, un angelo turibolante a sinistra ed i santi Pietro e Paolo a destra. L’autore definisce il rilievo riquadrato esattamente secondo l’uso degli scultori di cultura lombardo-ticinese, le forme ampie e monumentali a suo parere ispirate al morbido naturalismo delle prime opere di Nicola Pisano. I panneggi, diligentemente condotti, sono descritti morbidi e spezzati mentre le tipologie dei visi ricondotti alla tradizione dei Bigarelli. Partendo da qui, ed in particolare da dettagli quali il rilevo schiacciato e le proporzioni allungate, Ascani suppone derivazioni, dal punto di vista iconografico, da pitture e miniature bizantineggianti, come già anticipava il Salmi al quale

54 Lombardi, Fonte battesimale, op. cit., pp. 2-5.

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troviamo, infatti, il rimando. A tutto ciò sono da affiancare, secondo l’autore, ricordi di soluzioni compositive e decorative proprie dell’oreficeria monumentale mosana che egli suppone presenti anche per il fonte battesimale di Massa. Della descrizione di quest’ultimo ricordo solo il giudizio circa le scene che “vivaci e accuratamente impostate, si risolvono talvolta in composizioni eccessivamente affollate. Goffaggini ed ingenuità contribuiscono a rendere un generale senso di pesantezza e di inefficacia espressiva”56. Stilisticamente l’autore segnala l’altare

distrutto del S. Frediano a Lucca (fig. 7-8) dove riconosce un’evoluzione da parte dello scultore verso il Gotico francese, sintomo del suo eclettismo e della sua capacità di aggiornamento che “uniti alla ricchezza del repertorio iconografico e decorativo, ne fanno una figura non trascurabile di transizione verso il Gotico toscano”57. Nella sua indagine stilistica, che rispetto agli antecedenti risulta

decisamente più approfondita, la Bardelloni58 ribadisce ancora come la sfera e

l’ambito di formazione di questo personaggio siano ancora solamente immaginabili. L’autrice, come già accennato, si riconduce quindi ad un’ipotesi formulata da Biehl per il quale l’autore delle Storie di S. Regolo nel sottoportico del S. Martino di Lucca potesse essere il maestro di Giroldo per le affinità stilistiche riscontrate nella scena della Disputa degli Ariani con il fonte di Massa (fig. 54). Comuni sono, infatti, il risalto che le figure hanno rispetto al fondo neutro, la loro disposizione di tre quarti e lo schema compositivo. La Bardelloni però non condivide e ritiene lo stile del maestro di Lucca affine piuttosto ai

magistri antelami il cui stile sarebbe ben lontano da quello di Giroldo. La

concezione del rilievo figurato emergente dallo sfondo perfettamente liscio e astratto nonché la composizione rigidamente simmetrica delle scene sono però

56 Idem, p. 776. 57 Ibidem.

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individuati quali componenti certamente legate al romanico lombardo. Anche in questo intervento è sostenuta inoltre la presenza di ricordi bizantini stavolta suggeriti però per il fonte massetano sul quale torneremo. La figurazione robusta, la primitiva rudezza formale, la tipologia anatomica con mani e piedi enormi così come la testa dalle mascelle prominenti e le grandi aureole a forma di piatto qui presenti sono desunti invece, secondo l’autrice, dallo stile tipicamente campionese. Pertinente è anche la tendenza ad appiattire le figure che però Giroldo perderà nelle opere più tarde imparando da Nicola. Il Cristo entro mandorla del fonte, nel pennacchio sinistro dell’arcata (fig. 31a), testimonierebbe, sempre a detta dell’autrice, la conoscenza da parte di Giroldo della cultura emiliana, in particolare di Benedetto Antelami relativamente alla decorazione scultorea del Battistero di Parma (fig. 50-53), e di Guido Bigarelli con la lunetta centrale del Duomo di Lucca (fig. 55). Da quest’ultimo è possibile che Giroldo abbia desunto anche la tipologia dell’angelo in volo con le gambe ripiegate all’indietro visibile nel fonte. Pur in assenza di firma, l’autrice attribuisce all’artista l’epigrafe fiesolana, datata 1259, ornata dal bassorilievo con s. Bartolomeo, con la quale sarebbe presumibilmente iniziata l’attività toscana di Giroldo. L’iscrizione presente ne ricorda la committenza per la ristrutturazione della chiesa dedicata al medesimo santo per ordine di tale Gerardo, identificato nella figura del frate orante genuflesso ai suoi piedi. La decorazione a rilievo raffigura appunto S. Bartolomeo

mentre benedice un frate orante (fig. 3) e l’ipotesi di attribuzione avanzata poggia

sulla considerazione della “goffa e quasi deforme”59 figura del frate con il capo

reclinato, quasi privo di collo, molto simile al bambino del rilievo di Montepiano. La figura umana, infatti, è concepita massicciamente secondo il retaggio lombardo. Le capigliature spesso sono indicate per mezzo di grosse ciocche ondulate che si

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arricciano in prossimità del volto mentre i calzari del santo richiamano l’antico. La sua fisionomia è associata dall’autrice a numerosi volti maschili presenti sul fonte massetano, specialmente a quello del Battista. Anche l’articolazione spezzata del panneggio è la stessa. L’autrice sottolinea spesso l’importanza che la lezione del Pisano esercita sull’attività di Giroldo esortandolo ad una continua riflessione. Un primo tentativo di avvicinarsi all’arte del suo grande rivale è, a parere dell’autrice, già visibile nel fonte e tale caratteristica sarà da questo momento in poi sempre presente, unitamente a ricordi ancora bizantineggianti e ai primi slanci verso il nuovo linguaggio gotico. Diversamente da quanto affermato da alcuni autori antecedenti60, la Bardelloni riconduce l’architettura rappresentata nel fonte ad uno

spunto nicoliano motivata dalle stesse arcate trilobe che inquadrano gli episodi a cui aggiunge però la cornice classica che orna il bordo superiore della vasca, le fiere che la sorreggono, le criniere ondeggianti che si sfrangiano e la leonessa che lecca il suo cucciolo, evidenti richiami al pulpito senese di Nicola (fig. 45). E’ una concezione naturalistica della figurazione che si allontana dall’astrattezza e stilizzazione pisane degli stili antecedenti di Guglielmo o di Guido, ai quali però rimane un legame per il leone che lotta con il drago. L’opera, forse un

antependium, a parere dell’autrice mostra alcune affinità con il rilievo di

Montepiano (fig. 4) dove una data frammentaria che rimanda comunque agli anni sessanta del XIII secolo e la firma dell’autore compaiono sulla cornice superiore della lastra, A(NNO) D(OMINI) MCCLXI[…] GIROLD(US) ME FEC(IT)61. Ciascun

personaggio è identificato dall’iscrizione del proprio nome. Oltre alle affinità ancora evidenti con le figurazioni del fonte, è indicato come il volto della Vergine incorniciato dal maphòrion stellato e la tipologia del trono rimandino a ricordi

60 Salmi, La Scultura Romanica, op. cit., p 21; Ascani, alla voce Giroldo da Como, op. cit., pp.

775-776.

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bizantini. Ai piedi della Vergine è poi una minuscola figura orante riconosciuta da un’ulteriore iscrizione posta alla base del trono nella figura dell’abate Beneventano, genuflesso nella sua posa di committente. Nell’iscrizione del rilievo, come anticipato, la data presente risulta mutila pertanto è in dubbio se esso possa essere anteriore o meno rispetto al fonte del 1267 tuttavia detto abate è menzionato in alcuni documenti riguardanti la badia fino al 1278, ragion per cui il rilievo è stato collocato tra gli anni sessanta e quest’ultima data. Coeva all’esperienza massetana, come farebbero pensare alcune affinità iconografiche individuate dall’autrice, è poi la scultura di S. Iacopo in veste di pellegrino (fig. 5), facilmente riconoscibile per i suoi attributi. E’ evidente l’affinità con il ciclo narrativo di Massa per la fisionomia del volto largo e ossuto, gli zigomi in evidenza, gli occhi grandi e sporgenti, l’iride trapanata profondamente che, secondo l’autrice, conferisce al santo l’aspetto iconico già visto nel Cristo Pantocratore del fonte (fig. 42). E’ questa l’ultima opera prima di un più netto avvicinamento allo stile di Nicola Pisano già dimostrato con il pulpito di S. Miniato del quale rimangono l’epigrafe commemorativa, con la firma e la data, ed il bassorilievo con l’Annunciazione (fig. 6). Qui sono indicate alcune reminiscenze lombarde, quali la squadratura delle figure o l’inserimento dell’ancella che assiste alla scena, unite ad una concezione più naturalistica del panneggio appresa da Nicola e ad una finale apertura al Gotico, visibile per esempio nell’arcata triloba traforata da finestrelle gotiche. Fortemente in relazione con quest’opera è il gruppo scultoreo con l’Angelo annunciante, l’Annunziata e S. Fausta (fig. 7-8) dove tornano, infatti, le edicole architettoniche con l’arcata triloba, le pose in cui sono disposte le figure, le loro fisionomie, le capigliature e tuttavia è qui nettamente più decisa la svolta verso l’eloquenza gotica di Nicola. La Vergine di Giroldo ricorda, infatti, quella

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che il grande maestro aveva realizzato per il pulpito del Duomo senese, non solo per posa e movenze ma anche per l’accuratezza con cui ogni particolare scultoreo è rifinito e levigato. Con questo secondo periodo lucchese si apre dunque una nuova fase stilistica dell’artista nella quale gli aspetti lombardi dominanti nelle sue prime opere toscane, sotto le nuove spinte gotiche, passano ormai definitivamente in secondo piano. Ne offrono un esempio i tre bassorilievi marmorei che costituiscono il fronte del sarcofago custodito a Pistoia (fig. 9) e che, come ricorda l’autrice e come abbiamo visto, solo recentemente la Kosegarten ha attribuito a Giroldo. I rilievi mostrano secondo l’autrice una dolcezza, soprattutto nella gestualità della madre, evidentemente tratta dal Pisano. Anche i panneggi possiedono ora un fare più sciolto e sinuoso, si fanno avvolgenti e dall’andamento spezzato oppure concentrico, secondo i ritmi di Nicola. Le figure acquisiscono anche una maggiore autonomia spaziale emergendo maggiormente dal fondo e conquistando monumentalità. Da qui e dalla fase pistoiese Giroldo trae, secondo l’autrice, nuovi spunti per un avanzamento in senso gotico che ha la possibilità di mostrare in un successivo soggiorno fiorentino dove, abbiamo visto, egli trascorse gli ultimi anni della sua esistenza. Nel suo più recente intervento Ascani62 anticipa

nettamente l’apprendimento della lezione di Nicola Pisano spostandolo addirittura al periodo volterrano. Egli pone, infatti, l’attenzione sul portale posto entro una faccia del battistero ottagonale a parato bicromo ed in particolare sulla cornice che sovrasta l'architrave. Qui, su mensoloni classicheggianti, compaiono i busti di Cristo, Maria e Apostoli entro una cornice ad archetti trilobi. In quest'opera, impostata su una struttura basata sulla conoscenza dei portali di tradizione lombardo-lucchese, l’autore riconosce già una maturità plastica che denuncia lo studio della scultura di Nicola Pisano. A questo è da aggiungersi una volontà di

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ricchezza decorativa e iconografica che, per quanto derivate dallo studio di temi già diffusi sulle facciate dei monumenti religiosi lucchesi e pisani, Giroldo riesce a sviluppare con una convincente autonomia e novità rappresentativa. Parimenti l’artista realizza il portale per la chiesa, ancora volterrana, di S. Michele che Ascani in un primo momento63 reputa successivo alla conclusione del battistero,

cioè dopo il 1283, e che poi ritiene invece anteriore64. Qui l’autore mette in risalto

come la parte inferiore della facciata, a paramento bicromo similmente al battistero, sia percorsa da arcate cieche su capitelli gotici i cui temi sono ricavati e reinterpretati da esempi cistercensi facilmente accessibili grazie alla vicinanza, nella stessa diocesi, dell'abbazia di S. Galgano65. La mano di Giroldo sarebbe

comprovata dal richiamo di questi stessi capitelli ai minuti motivi decorativi presenti sul fonte battesimale di Massa Marittima (fig. 39). Ascani vede in questo, tra l’altro, la riprova di quanto fosse serrata in questo scorcio di Medioevo l'integrazione tra architettura e scultura all'interno di cantieri diretti da un’unica personalità artistica di architetto-scultore e questo, a mio avviso, andrebbe ulteriormente a rafforzare l’ipotesi, ormai scontata, che effettivamente questo personaggio sapesse vestire perfettamente i panni e di architetto e di scultore. Si affronta quindi il rilievo di Montepiano (fig. 4) per il quale l’autore aveva già precedentemente sottolineato il taglio riquadrato tipico degli scultori lombardo-ticinesi. Qui sono notate nuove forme sensibili, nella ricerca del naturalismo, ai primi capolavori di Nicola Pisano. Allo stesso tempo però Ascani, come già detto nel suo intervento di qualche anno antecedente sull’esempio di Salmi, riconduce alcuni elementi, quali la naturalezza affettuosa del gesto del Bambino che si

63 Idem, p. 597.

64 V. Ascani, La traccia di Arnolfo nella cultura artistica trecentesca a Firenze e le sue origini,

in Arnolfo’s Moment, Leo S. Olschki, Florence 2009, p. 72.

65 Ascani, alla voce Giroldo da Como, op. cit., pp. 597-598; Ascani, La traccia di Arnolfo, op.

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rivolge alla madre abbracciandola, al rinnovamento iconografico toscano che al tempo si svolge in pittura ritenendo però meno incidenti le derivazioni precedentemente ipotizzate da pitture o miniature bizantineggianti. Sono da sommarsi poi i panneggi, dal rilievo moderato, morbidamente mossi ma spezzati, i quali mostrano di superare la tradizione dei grafismi propri della bottega dei Bigarelli. A questo quadro si aggiungono soluzioni compositive e decorative presenti nelle opere dell'oreficeria monumentale propria della vallata della Mosa, anch’esse già precedentemente dichiarate dall’autore. Qui Ascani sottolinea la ricchezza del racconto, l'accuratezza degli elementi decorativi e la notevole varietà dei riferimenti iconografici i quali costituiscono gli elementi caratterizzanti così come la meno brillante espressività delle figure e la loro qualità esecutiva, oltre al talora eccessivo affollamento delle scene, sebbene attentamente congegnate. Queste, le ragioni della pesantezza e dell'inefficacia rappresentativa spesso rimproverate dalla critica mentre rara è la valutazione del gradevole e fine classicismo66 rilevabile, per esempio, nei panneggi all'antica o nelle figure dei

cavalli. Anche Ascani sottolinea dunque il disagio dell'artista davanti a opere, di Nicola soprattutto, che non poteva esimersi dallo studiare e ammirare e a cui cercava di offrire una propria pur debole alternativa dimostrando, secondo l’autore, notevoli sforzi di rinnovamento e grande curiosità culturale cercando di attingere dal patrimonio iconografico classico e da quello nuovo, cistercense. Un successivo stadio stilistico, a parer dell’autore di maggior finezza lineare e inventiva e di più libera organizzazione spaziale, è individuato nel pulpito, dunque nel rilievo di S. Miniato (fig. 6). L’Annunciazione è descritta in una doppia formella, con figure dal fine rilievo appena schiacciato e dalle proporzioni

66 Breschi, La voce di un monumento, op. cit., p. 19; Ascani, alla voce Giroldo da Como, op.

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allungate secondo una soluzione tipicamente bizantina ma “di mano ormai linearisticamente e modernamente gotica, influenzata anche dalla produzione miniata francese, studiata in una invero personale direzione di ricerca, ma sempre moderata dal nobilitante intento di classicistica chiarezza formale”67.

Un'evoluzione e una più decisa svolta in direzione del gotico francese sono riconosciute da Ascani nelle tre figure dell’altare di S. Frediano a Lucca (fig. 7-8). Si tratta di un'Annunciazione con S. Fausta proposta in figure entro edicole coronate da finte architetture tardo romaniche mentre l’elegante timpano sovrastante la santa è ritenuto dall’autore frutto dello studio delle nuovissime produzioni di Arnolfo di Cambio, superando così i riferimenti nicoliani. La datazione di quest'opera andrebbe dunque posta per l’autore intorno al 1285, nell'estrema e lucida maturità dell'artista. Come detto anche dalla Bardelloni, le tracce dell'artista si perdono negli anni successivi, quando è plausibile pensare Giroldo a Firenze fino alla fine dei suoi giorni.

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2. Puntualizzazioni.

Critica ai critici.

Alla luce dei diversi interventi presi in esame risulta evidente che in un primo periodo gli studiosi68 anziché interessarsi a questo singolo artista con il proposito

di fornirne un’immagine più chiara, si sono piuttosto occupati di indagare, più in generale, la presenza e la diffusione in Toscana di artisti lombardi in mezzo ai quali il nome di Giroldo passa decisamente in secondo piano. Solo più tardi e per oltre un secolo, la critica si è interessata alla figura di Giroldo non tanto con propositi biografici ma cimentandosi nella descrizione di pochi, decontestualizzati lavori artistici, legati, infatti, al suo lessico più giovanile e quindi arcaico, e lanciandosi così in precoci e affrettati giudizi stilistici senza aver chiaro, come poi è stato riconosciuto, il quadro e delle sue vicissitudini e delle sue opere. Un simile atteggiamento è stato in qualche modo favorito, come in molti dichiarano69 dal

costante confronto che si presta a imporsi tra il nostro scultore e il coetaneo Nicola Pisano che, attivo nella stessa area geografica, ha spesso contribuito a far muovere Giroldo verso le zone più marginali e a determinarne l'irrevocabile condanna critica70. Il disinteresse che ne è derivato verso la figura di questo scultore e la

sostanziale assenza di un più obiettivo e complessivo approfondimento storiografico, hanno comportato poi la difficoltà di ripercorrere la sua vicenda

68 Targioni Tozzetti, Relazioni, op. cit., vol. III, p. 130; vol. IV, p. 128; Campori, Memorie, op.

cit., p. 127; Petrocchi, Massa Marittima, op. cit., p. 17.

69 Bardelloni, Giroldo da Como, op. cit., p. 27; Ascani, alla voce Giroldo da Como, op. cit., p.

597.

70 Salmi, Due rilievi, op. cit., pp. 164-168; Biehl, Toskanische Plastik, op. cit., pp. 87-90;

Toesca, Storia dell’Arte Italiana I, III, op. cit., p. 786; Salmi, La Scultura Romanica, op. cit., p 21; Donati, Breve storia, op. cit., p. 21; Carli, L’Arte a Massa Marittima, op. cit., p. 37.

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biografica, solo ultimamente ricostruita71 anche tramite una rinnovata volontà72 di

inquadrare meglio la produzione artistica di questo personaggio.

La questione delle epigrafi.

Premesso questo, si è anche visto come l’identità dell’artista sia stata per lungo tempo il principale argomento del dibattito che gli studiosi hanno sollevato. La questione della sua identità fu, infatti, strettamente connessa alle ipotesi di lettura ed interpretazione di alcune iscrizioni in cui scorgiamo le duplici firme, “Giroldo da Lugano” e “Giroldo da Como”, apposte in tempi e luoghi diversi e nelle quali solo recentemente egli è stato riconosciuto come unico artefice. La prima firma, per riassumere, appare nelle due epigrafi commemorative la più antica delle quali (fig. 1) è murata esternamente poco sopra la porta di accesso alla Casa-Torre di Giovanni Toscano, tesoriere del re Enzo di Sardegna, a Volterra73. L’iscrizione74ne

ricorda la costruzione nel 1250 per opera dell’artista. La stessa firma, ornata con lo stemma araldico dei conti della Gherardesca, appare poi nell’epigrafe apposta esternamente alla destra del portale del Battistero di S. Giovanni (fig. 2). Essa commemora l’unione tra i Comuni di Volterra e Montevoltraio, avvenuta nel 1252, nonché, nello stesso anno, la fondazione del Battistero e della Torre del Balco, entrambe opera di Giroldo75. La seconda firma appare invece in una terza

iscrizione, dove per la prima volta troviamo la diversa provenienza dichiarata da Giroldo, posta sulla cornice della vasca battesimale del Duomo di Massa

71 Bardelloni, Giroldo da Como, op. cit., pp. 21-45; Ascani, alla voce Giroldo da Como, op.

cit., pp. 595-599.

72 Middeldorf Kosegarten, Identifizierung, op. cit., pp. 138-139; Bardelloni, Giroldo da Como,

op. cit., pp. 21-45; Ascani, alla voce Giroldo da Como, op. cit., pp. 595-599.

73 Uno studio approfondito delle epigrafi volterrane, con bibliografia antecedente, è condotto da

Andrea Augendi, Massimiliano Munzi, Scrivere la città. Le epigrafi tardoantiche e medievali di

Volterra (secoli IV-XIV), All’Insegna del Giglio, Firenze 1997, pp. 61-65.

74 Augendi, Munzi, Scrivere la città, op. cit., p. 61; Bardelloni, Giroldo da Como, op. cit., p. 46. 75 Augendi, Munzi, Scrivere la città, op. cit., p. 63; Bardelloni, Giroldo da Como, op. cit., pp.

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Marittima (fig. 28) in cui leggo HOC OP(US) SCUPLTUM (EST) A MAG(IST)RO GIROLDO, Q(UOND)AM IACOBI D(E) CUMO. Come molti autori hanno sottolineato, la corretta lettura di queste epigrafi non è funzionale alla sola risoluzione dei dubbi relativi all’identità di Giroldo. Essa aggiungerebbe alla sua attività di architetto anche quella di scultore e anticiperebbe la presenza dell’artefice in Toscana, rivelandone tra l’altro ulteriori spostamenti, ricostruiti attraverso lo studio dei diversi lavori. Da una prima opera realizzata a Massa nel 1267 avvertiamo quindi un artista attivo ancor prima a Volterra, e non solo, negli anni cinquanta.

Cronologia: itinerario e opere.

Alla luce dell’indagine stilistica e dei confronti iconografici condotti dai vari studiosi tra opere da tempo conosciute e quelle recentemente attribuite, è possibile evincere la ricostruzione cronologica della vicenda artistica e dell’iter toscano percorso da Giroldo. Ricordandone la provenienza lombardo-ticinese e sorvolando le ormai note epigrafi esposte a Volterra presso Battistero e Casa-Torre (fig. 1-2) datate agli anni cinquanta del Duecento, ripropongo l’ipotesi avanzata76 per cui,

considerando i molteplici debiti stilistici che Giroldo contrae nei confronti di Nicola Pisano ma anche i probabili legami familiari o le semplici conoscenze che lo legano alle maestranze lombarde già presenti, risulta plausibile che il soggiorno dell’artista in Toscana inizi proprio a Lucca, presso la fabbrica di S. Martino. Immediatamente successiva è l’epigrafe, datata al 1259, ornata da un bassorilievo (fig. 3) raffigurante S. Bartolomeo che benedice un frate orante (Fiesole, Castello di Vincigliata) anch’essa attribuita allo scultore lombardo, nonostante l’assenza di firma, a causa di elementi quali il capo reclinato, quasi privo di collo, del frate

76 Bardelloni, Giroldo da Como, op. cit., p. 28; Ascani, alla voce Giroldo da Como, op. cit., p.

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posto da alcuni studiosi77 in stretta relazione con il bambino della Maestà di

Montepiano. La concezione massiccia dei corpi, la tipologia delle capigliature e le affinità fisionomiche riscontrate con alcune figure del successivo fonte massetano sembrano aver dato conferma. Di poco successivo è ritenuto il rilievo con la

Maestà (fig. 4) creato per la badia di S. Maria di Montepiano (Prato, Museo

dell’Opera del Duomo), firmato e datato approssimativamente agli anni sessanta del Duecento a causa della data frammentaria presente nell’iscrizione. Nella scena rappresentata sono stati notati l’antitesi che si crea tra l’iconografia tradizionale e il naturalismo di ispirazione nicoliana78, il recupero di modelli bizantini79 e mosani80,

le forme ritenute ora tozze81 ora ampie e monumentali accompagnate da panneggi

morbidi e spezzati82. Nel 1267 Giroldo si trova con certezza a Massa Marittima

dove realizza il fonte battesimale (fig. 21) per il Duomo di S. Cerbone ma ancora si rimanda l’analisi dell’opera. Coeva alla realizzazione del fonte è poi la scultura (fig. 5) di S. Iacopo in veste di pellegrino (Pistoia, Museo Civico), anch’essa posta in relazione con un’opera più tarda di Giroldo, in questo caso il ciclo narrativo che si legge sul fonte massetano83. La produzione di Massa è seguita dal trasferimento

al nord dell’artista che ritroviamo attivo per il pulpito del Duomo di S. Miniato, 1274. Del pulpito rimangono la lapide commemorativa, con la firma e la data, ed il

77 Bardelloni, Giroldo da Como, op. cit., pp. 21-22.

78 Salmi, Due rilievi, op. cit., p. 168; Ascani, alla voce Giroldo da Como, op. cit., p. 776;

Ascani, alla voce Giroldo da Como, op. cit., p. 597.

79 Swarzenski, alla voce Giroldo da Lugano, op. cit., p. 189; Biehl, Toskanische Plastik, op.

cit., pp. 87-90; Salmi, La Scultura Romanica, op. cit., p. 21; Carli, L’Arte a Massa Marittima, op. cit., p. 37; Middeldorf Kosegarten, Identifizierung, op. cit., pp. 138-139; Ascani, alla voce

Giroldo da Como, op. cit., p. 776; Bardelloni, Giroldo da Como, op. cit., p. 22; Ascani, alla

voce Giroldo da Como, op. cit., p. 597.

80 Ascani, alla voce Giroldo da Como, op. cit., p. 776; Ascani, alla voce Giroldo da Como, op.

cit., p. 597.

81 Biehl, Toskanische Plastik, op. cit., pp. 87-90; Salmi, La Scultura Romanica, op. cit., p. 21;

Carli, L’Arte a Massa Marittima, op. cit., p. 37; Middeldorf Kosegarten, Identifizierung, op. cit., pp. 138-139.

82 Ascani, alla voce Giroldo da Como, op. cit., p. 776; Ascani, alla voce Giroldo da Como, op.

cit., p. 597.

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