1 Capitolo 1
1.1 Approccio sistemico
Prima di addentrarci nel cuore della tesi e nelle sue motivazioni di base, è opportuno dedicare alcuni approfondimenti riguardanti gli aspetti che si pongono alla base della teoria che s’intende riportare e esplicitare in questa sede.
Alla base del Conflict Resolution e delle sue numerose evoluzioni vi troviamo la «teoria generale dei sistemi» evoluzione, a sua volta, delle scienze contemporanee che hanno influenzato le più recenti riflessioni sociologiche e posto maggiore attenzione ai processi sociali. Questa teoria diviene il tentativo ultimo di superare i limiti dell’analisi scientifica classica che si limitava allo studio delle relazioni tra cause ed effetti tra variabili diverse, e di fornire uno schema generale astratto di riferimento per l’unificazione delle varie scienze.
Sarebbe opportuno a questo punto, fare un passo indietro e concentrarsi sull’evoluzione storica che ha condotto gli studiosi, e lo stesso Ludwig V. Bertalanffy, all’istituzione della teoria dei sistemi. Come accade sempre nei vari campi di ricerca e delle scienze, il concetto di sistema ha dietro di sé una lunga storia che coincide con lo sviluppo dei diversi pensieri che caratterizzarono l’evoluzione ideologica della filosofia naturale. In decenni più recenti, troviamo i primi lavori preliminari in tale campo, uno fra tutti è bene ricordare quello condotto da Lotka nel primo dopoguerra, il quale affrontò il concetto generale di sistema senza alcuna restrizione a pochi ambiti delle scienze naturali, come invece fecero i suoi predecessori.
Negli anni a seguire, gli studiosi, iniziarono a interessarsi di un eventuale applicazione della teoria generale dei sistemi anche per la risoluzione di problemi teorici, emergenti nelle scienze biosociali, e pratici, derivanti dal progresso della tecnologia moderna. Si cominciò gradualmente a capire che la teoria che s’intendeva sviluppare, doveva essere un tentativo di elaborare delle interpretazioni scientifiche e delle teorie per quei settori di ricerca ove esse mancassero e di raggiungere un grado di generalità ben maggiore di quello relativo alle scienze particolari e servendosi delle parole dell’ economista K. Boulding che scrisse nel 1953, Bertalanffy, spiegò che tale teoria rispondeva a una segreta tendenza interna a diverse discipline.
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Una spinta positiva per lo sviluppo di tale teoria fu data verso la fine degli anni ’40, con lo sviluppo della teoria della cibernetica di Wiener, dell’informazione di Shannon e Weaver e dei giochi di von Neumann e Morgenstern 1.
Per non soffermarsi troppo e per non perdere il filo del discorso, possiamo stabilire che la moderna teoria dei sistemi, che come è stato osservato ha radici lontane e diverse da quelle connesse all’industria pesante militare e ai relativi sviluppi tecnologici, può essere vista come l’apice di un vasto spostamento della prospettiva scientifica in lotta per l’egemonia negli ultimi secoli 2
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L’oggetto di studio alla base di questa disciplina, sorta nel secondo dopoguerra, consiste nella formulazione e nella derivazione di quei principi che sono validi per i sistemi in generale.
Essa costituisce un utile strumento capace di fornire, da un lato modelli che possono essere impiegati in campi differenti e trasferiti dall’uno all’altro di questi, e dall’altro lato, di difenderci dalle vaghe analogie che hanno spesso danneggiato i progressi interni a quegli stessi campi di ricerca. Tale teoria è, in linea di principio, capace di fornire definizioni esatte per simili concetti e, in casi opportuni, di inserirli nell’ambito dell’analisi quantitative.
Al suddetto approccio basato in termini di sistemi, venne dato l’obiettivo fondamentale di ricercare i modi ed i metodi relativi alla sua realizzazione richiedendo uno specialista in sistemi che prenda in considerazione le soluzioni alternative e scelga, entro una rete di interazioni complesse, quelle procedure di ottimizzazione che siano le più promettenti dal punto di vista della massima efficienza e del minimo costo; tutto questo attraverso tecnologie che trascendano le capacità del singolo matematico.
La principale finalità di tale teoria riguarda essenzialmente una maggiore integrazione nelle varie scienze, naturali e sociali di cui si ha tanta necessità. Questo poiché sino a quel momento, l’integrazione era vista in termini di riduzione delle scienze alla fisica, così come la riduzione di tutti i fenomeni in eventi fisici; ora invece, l’obiettivo è quello di trovare dei costrutti e, possibilmente, delle leggi applicabili ai vari livelli scientifici. Difatti, la teoria generale dei sistemi (T.G.S), nel suo significato più ristretto tenta di derivare, a partire da una definizione generale di sistema, inteso come complesso di
1 L. Von Bertalanffy, Teoria generale dei sistemi: fondamenti, sviluppo, applicazioni, Mondadori editore, 1971. Pp. 35 e segg.
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componenti in interazione reciproca, concetti che siano caratteristici delle totalità organizzate e di applicarli a fenomeni concreti 3.
Nella mente dell’autore, tale teoria era concepita alla stregua di un’ipotesi di lavoro; sulla base del proprio background di studi, egli vedeva la funzione principale dei modelli teorici nella spiegazione, nella predicibilità e nella possibilità di controllare dei fenomeni ancora inesplorati. La critica che gli fu mossa a riguardo, era il pericolo di considerare il modello teorico alla stregua di un modello chiuso e definitivo.
Difatti, all’interno della stessa, troviamo che la teoria dei sistemi aperti ne è una componente. Questa concezione teorica verte su principi che sono applicabili ai sistemi in generale, indipendentemente dalla natura dei loro componenti e delle forze che li regolano. Con la teoria generale dei sistemi si raggiunge un livello in cui non vengono trattate entità fisiche o chimiche, ma viene discusso della globalità di natura completamente generale. Il modello di sistema aperto rappresenta quindi, un’utile ipotesi di lavoro che permette di compiere nuove indagini, di elaborare enunciati quantitativi e di effettuare verifiche sperimentali 4. Le caratteristiche che possiamo rintracciare riguardante i sistemi aperti sono: l’importazione di energia dall’ambiente esterno; la trasformazione di questa, attraverso una certa riorganizzazione dell’input; la produzione, in un secondo momento, di output attraverso un sistema ciclico di eventi; la presenza di retroazioni informative di tipo negativo che permetta al sistema di correggere le sue eventuali deviazioni rispetto al corso designato; lo stato stazionario che non significa immobilità assoluta o vero equilibrio, l’omeostasi dinamica: alla base di questi due principi risiede il meccanismo evidenziato da Le Châtelier «qualsiasi fattore interno o esterno tendente a distruggere il sistema è controbilanciato da forze che riportano il sistema più vicino al suo stato iniziale»; ed infine dal principio dell’equifinalità, secondo cui un sistema può raggiungere lo stesso stato finale partendo da differenti condizioni iniziali e percorrendo strade diverse 5.
Possiamo stabilire che secondo il suo fondatore, L. von Bertalanffy, le impostazioni che derivano dalle teorie comportamentiste e dalla psicanalisi nella considerazione della personalità umana, come il prodotto causale della natura e dell’educazione, sono carenti, in quanto sottolineano eccessivamente il condizionamento da parte dell’ambiente
3 Ibidem, pp. 26, 66, 68, 69, 72, 72, 153. 4 Ibidem, pp. 165, 166, 235, 236.
5 F. E. Emery, La teoria dei sistemi: presupposti, caratteristiche e sviluppi del pensiero sistemico, collana scientifica franco angeli editore, Milano, 1974. Pp. 102-111.
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esterno e puntano al mantenimento dell’equilibrio e della stabilità dell’uomo, trascurando le parti del comportamento che sono l’espressione di attività spontanee. L’uomo non è solo un ricevitore di stimoli provenienti dal mondo esterno in maniera passiva, ma, è egli stesso l’artefice del proprio universo.
Questo nuovo approccio ha, al centro, il concetto di sistema visto sia come le relazioni fra le parti che lo compongono, sia come specificità di un contesto in cui un fatto o un fenomeno si situa.
All’interno di questo punto di vista divengono importanti sia i fattori personali e strutturali sia quelli definiti situazionali che si pongono alla base dell’analisi dei processi, ovvero di quei fattori che non presentano un carattere stabile e definito ma che sono legati invece al comportamento delle parti all’interno di un processo interattivo. Il che comporta porre al centro dell’attenzione non le azioni singole, quanto più la sequenza di azioni e reazioni all’interno di un conflitto o di un processo interattivo. D’altra parte gli elementi che distinguono i sistemi rispetto alle strutture sono proprio i processi 6.
In Europa, intorno agli anni Settanta, la teoria generale dei sistemi, ha avuto meno influenza di sviluppo rispetto al pensiero sistemico. Il quale incarna una differente comprensione di sistema. L’autore chiave di questa alternativa tradizione fu C. West Churchman, le cui idee fondamentali sono state prese in una varietà di differenti direzioni.
Precedentemente al lavoro di Churchman, si pensava che i contorni del sistema fossero fissati dalla struttura della realtà, al contrario, l’autore, mise in luce che i contorni dovessero essere socialmente e personalmente costrutti che definivano i limiti della conoscenza che dovevano essere presi come pertinente all’interno di un’analisi.
Possiamo riportare alcuni brevi esempi per comprendere meglio la distinzione dei due approcci, nella teoria generale dei sistemi, si assume che il sistema esista, che esso sia reale e che i nostri modelli rappresentino, al meglio possibile, una conoscenza completa; nel modello di Churchman, invece, il sistema è una costruzione sociale e personale ed i confini evidenziano le inevitabili mancanze della completezza 7.
6 A. L’Abate, Metodi di analisi nelle scienze sociali e nella ricerca per la pace: una introduzione, Multimage, Firenze, 2013. Capitolo 17, p. 322, 323, 324, 325.
7 G. Midgley, Systemic intervention: pholosophy, methodology and pratice, Springer science+business media, New York, 2000. Pp. 35-36
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Il pensiero sistemico, quindi, muove dall’idea di completezza, ma allo stesso tempo, diviene consapevole della sua impossibilità di raggiungimento di essa 8.
Altri studiosi, come ad esempio Fisher, nello studiare il conflitto come processo attraverso l’approccio sistemico ne pongono in risalto il salto epistemologico che ne richiede: anziché ricercare la spiegazione dei fatti nelle cause che li hanno originati, soffermarsi a ricercarla all’interno dell’intero processo. Considerando anzitempo, il conflitto come un processo interno di sistemi sociali, con una regolarità e con una organizzazione, e con una sua storia che è importante analizzare e confrontare per comprenderne la dinamica. Il processo viene poi esplicitato come un modello di eventi, i quali non sono casuali ma si ripetono e si susseguono nel tempo in una sequenza regolare.
Questo significa che dal punto di vista metodologico, lo studioso, dovrà ricostruire la storia naturale dell’evento, ovvero le diverse fasi in cui questo si è sviluppato e vedere comparativamente, se questa storia tende a ripetersi anche in situazioni diverse oppure no. L’analisi dei processi, a suo modo, tende a porre l’accento sulle sequenze comuni a più situazioni 9.
All’interno del un pensiero internazionale esposto dallo studioso K. N. Waltz, si evince che per comprendere meglio l’approccio sistemico in tale contesto e riuscirne a delineare gli aspetti positivi ed i limiti sia opportuno anche compararlo ad un altro approccio delle scienze: il metodo analitico. Esso, considerato il metodo scientifico per eccellenza, richiede la riduzione delle entità alle sue parti distinte e l’esame delle proprietà e delle relazioni di tali parti. Il tutto viene compreso attraverso lo studio degli elementi che lo compongono, nella loro relativa semplicità e attraverso l’osservazione delle relazioni fra loro. Ma non sempre l’analisi è sufficiente, essa lo sarà solamente dove gli effetti di livello sistematico sono assenti o abbastanza deboli da poter essere ignorati.
Nella politica internazionale possiamo notare il funzionamento di forze a livello di sistema, e pertanto, possiamo comprendere i sistemi politici in modo compatibile con i modelli in uso all’interno della teoria dei sistemi.
Spesso però, accade che gli studiosi fraintendono gli scopi ultimi.
8 Ibidem, p. 129.
9 A. L’Abate, Metodi di analisi nelle scienze sociali e nella ricerca per la pace: una introduzione, Multimage, Firenze, 2013. Capitolo 17, P. 322, 323, 324, 325.
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Alcuni credono che lo scopo della teoria dei sistemi sia solo quello di definire le condizioni di equilibrio e di mostrare come esse possono essere mantenute. Altri, sostengono che tale teoria cerca di mostrare come i sistemi determinino il comportamento delle singole unità e le loro interazioni, come se le cause operassero solamente verso il basso.
Gli obiettivi della teoria sistemica all’interno della politica internazionale sono di due tipi: il primo, tenta di individuare la prevedibile evoluzione dei diversi sistemi internazionali, indicandone la capacità di durata e quella di mantenere la pace; il secondo invece, cerca di mostrare come la struttura del sistema influenzi le unità interagenti e come queste, a loro volta, influenzino la struttura.
Fig. 1
Waltz, prosegue affermando che per trasformare un approccio sistemico in una teoria, è opportuno passare dalla usuale vaga identificazione delle forze e degli effetti sistemici a una loro più precisa specificazione, attraverso l’identificazione del peso relativo delle cause sistemiche e sottosistemiche e del modo in cui tali forze mutano da un sistema all’altro 10
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In generale, gli autori di politica internazionale che affermano di seguire un approccio sistemico, possiamo inserirli all’interno di due categorie. Coloro che utilizzano i termini
Fig. 1: raffigurazione di come l’approccio sistemico concepisce il sistema politico internazionale.
Tratto dal volume di K. N. Waltz, Teoria della politica internazionale, il Mulino, Bologna, 1987. Pagina 102.
10K. N. Waltz, Teoria della politica internazionale, il Mulino, Bologna, 1987. Pp. 97-102. STRUTTURA INTERNAZIONALE
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sistema o struttura come parole in voga nel gergo sempre in evoluzione della disciplina, sono coloro che producono al tempo stesso, analisi degli eventi internazionali e delle relazioni tra gli stati che non sarebbero differenti se tali termini fossero omessi. Altri, invece, strutturano il loro lavoro sul modello generale dei sistemi, con effetti negativi qualora il soggetto non si adattasse al modello in maniera precisa da renderlo utile 11. Una teoria sistemica in tale contesto, infine, spiega le trasformazioni da un sistema all’altro, non quelle che si verificano all’interno di un singolo sistema, in quanto la vita all’interno di un dato sistema non è affatto totalmente caratterizzata dalla ripetizione: vi sono importanti discontinuità le cui cause, vanno ricercate al livello delle unità. Se avviene una deviazione rispetto alle aspettative, è perché succede qualcosa al di fuori dalla portata della teoria stessa. Una teoria sistemica della politica internazionale considera le forze che sono in gioco a livello internazionale, non a quello nazionale 12. Un vero approccio sistemico, non può trascurare il fatto che Stati non sono realtà date una volta per tutte, ma al contrario, sono in continua evoluzione grazie alle complesse dinamiche interne ed alle relazioni con le altre entità che agiscono a livello sistemico. Per quanto riguarda il concetto stesso di sistema, vi sono differenti tipologie che possiamo classificare in: sistemi naturali, che sono ad esempio, quelli inanimati; sistemi
artificiali, progettati e costruiti dall’uomo stesso ed infine sistemi di attività umana, che
hanno alcune caratteristiche dei primi due sistemi menzionati, alle quali vanno aggiunte caratteristiche in più non riconducibili ad essi. Sono sistemi di attività collegate tra loro da una struttura logica che definisce le relazioni e le gerarchie fra esse. La struttura di tali sistemi, è il prodotto di un progetto. Fanno parte di tale insieme, ad esempio, i conflitti in genere, in quanto realtà estremamente complesse e decentrate, con molteplici componenti e con diversi e contrastanti obiettivi 13.
Il fondatore del centro di ricerca per la gestione costruttiva dei conflitti di Berlino del 2005, N. Ropers, propose un'analisi del pensiero sistemico che partisse dal concetto sviluppato dal pioniere della risoluzione dei conflitti attraverso l'approccio sistemico: P. Coleman.
11 Ibidem, p 132. 12 Ibidem, pp. 151-152.
13 Cit. materiale d’esame del corso “Approccio sistemico all’analisi dei conflitti” , corso di laurea magistrale in Scienze per la pace, anno accademico 2014-2015.
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Il pensiero sistemico si pone radicato in una vasta corrente di teorie e pratiche che possono essere interpretate come la reazione alla prima tendenza moderna di atomizzazione, separazione e decostruzione con l'obiettivo ultimo di controllare il corso degli eventi.
L'approccio sistemico che viene preso in considerazione dall'autore, accetta due assunti di base, vale a dire: tutte le dichiarazioni devono essere viste ed interpretate all'interno del contesto sociale caratterizzante lo studioso, e le spiegazioni dei fenomeni sociali sono spesso molto complesse e di carattere circolare.
In particolare, l'approccio sistemico, fu influenzato anche dall'approccio della dinamica dei sistemi, istituito dall'ingegnere elettrotecnico ed informatico statunitense, Jay W. Forrester nel 1968. Egli mise a punto uno specifico metodo per la comprensione e la simulazione dei comportamenti dei complessi sistemi nel tempo. Utilizzò a sostegno del suo approccio, un diagramma d'interazione entro una forma di sistema interconnessa da anelli di retroazione e ritardi, enfatizzando sul fatto che la crescita di uno dei fattori all'interno del sistema raramente si sviluppa in maniera lineare all'infinito. Più spesso, invece accadeva che tale crescita fosse bilanciata o controllata da molteplici altri fattori. Questo semplice modello, può essere implementato da altre variabili di cui il peso e le interazioni occasionali possono essere anche qualificate ed esposte ad esercizi di simulazione. I risultati di tali simulazioni dipendono dalle variabili utilizzate, dal modello strutturale e dalle supposizioni o ipotesi casuali. Questo è il motivo per cui i critici della teoria della dinamica dei sistemi hanno sostenuto che tali modelli potrebbero produrre esattamente i risultati che si vogliono prefissare.
Uno dei vantaggi principali di questo approccio è che offre uno strumento pratico per la comprensione e la spiegazione non lineare degli sviluppi e del complesso cambiamento politico e sociale.
All'interno di tale approccio della dinamica dei sistemi, sono stati delineati quattro passaggi di base da utilizzare all’interno di una possibile analisi dei conflitti:
Definizione dei confini del sistema che vogliamo analizzare e modellare. Identificazione delle parole chiave e della relazione fra flussi e ritardi nel
tempo e le modalità in cui questi influenzano i livelli di stock in questione. In una fase successiva, le informazioni riguardo a questi fattori, vengono raccolte per determinarne l'affidabilità e la validità.
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Concettualizzazione dei principali anelli di retroazione e di altri casuali, per la produzione di un'architettura o di un disegno completo e adeguato per una simulazione del modello al computer.
Discussione e riflessione della composita interazione casuale come punto di partenza per l'individuazione dei punti di ingresso per un eventuale
intervento 14.
Il concetto di confine diviene essenziale all’interno di un approccio sistemico all’analisi della realtà, e lo possiamo considerare come caratterizzato da due aspetti: confine come limite della nostra capacità nell’affrontare un problema che ci costringe a semplificare per arrivare ad affrontarlo o a risolverlo, e confine come necessità epistemologica che ci permette di conoscere solo a seguito di una distinzione da ciò che quell’entità in esame non è.
I confini definiscono il sistema in esame e quindi, anche la parte che ne rimane fuori, quella che possiamo assumere come non modificata da ciò che avviene all’interno del sistema. Il concetto di confine si colloca all’interno del pensiero sistemico, in quanto ogni cosa è direttamente o indirettamente connessa con ogni altra, e la scelta dei confini diviene un aspetto cruciale all’interno di ogni analisi. E’ bene tenere a mente, che ogni definizione di confine, deriva da una costruzione sociale, cioè da modi che noi utilizziamo per descrivere e rappresentare la realtà.
La delimitazione di un confine, non è un dato ma bensì una scelta. E’ un operazione di natura non neutra, che dipende dai nostri obiettivi, dalla nostra cultura, dai nostri valiti e dalle numerosissime implicazioni etiche 15.
La trasformazione dei conflitti, in questo contesto, può essere vista come il processo che raramente porta ad un punto di riferimento stabile, ma piuttosto ad un corridoio di differenti tipi di mitigazione, soluzione e ri-escalazioni.
La riflessione sistemica ha richiamato all'attenzione, le cause e le resistenze alla base e la necessità di trovare una modalità per affrontare la mentalità connessa con gli atteggiamenti dominanti nella classe politica e all'interno della società 16.
14 N. Ropers «systemic conflict transformation: reflections on the conflict and peace process in Sri
Lanka» all’interno del volume T. Woodhouse, H. Miall, O. Ramsbotham and C. Mitchell, The
contemporary conflict resolution reader, Polity, Cambrige, 2015. Pp. 152-156.
15 Cit. materiale d’esame del corso “Approccio sistemico all’analisi dei conflitti” , corso di laurea
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L’applicazione dell’approccio sistemico all’analisi del conflitto consiste in una serie di passaggi che vanno poi a risolvere una situazione problematica. Il primo passo è quello dell’individuazione delle caratteristiche fondamentali della situazione presa in esame; all’interno di tale sistema devono essere presi in considerazione i ruoli diversi degli attori, i loro valori, la loro cultura e i loro interessi ed esigenze fondamentali. Oltre agli attori, vanno individuati anche i confini e le componenti del sistema che costituiscono la linea di separazione tra ciò che è in nostro interesse e ciò che è al di fuori di esso. E’ importante tenere a mente, che i confini presentano diverse dimensioni, dall’estensione alla profondità, fino a giungere alla dimensione temporale. La scelta dei confini è guidata dalla ricerca di un equilibrio fra due esigenze, quella di non trascurare nessun elemento utile a comprendere il conflitto e le sue dinamiche, e quella di avere un modello non eccessivamente complesso e facilmente utilizzabile.
Un secondo passo riguarda la creazione di sottosistemi d’interesse, corrisponde alle differenti attività e/o funzioni di sistema in esame. Successivamente avviene la fase della costruzione di modelli concettuali del sistema, evidenziando le relazioni funzionali fra le varie componenti rispettando ad ogni modo i fattori di correttezza, efficacia ed efficienza.
Infine con la fase della simulazione del sistema attraverso la messa a confronto dei modelli con la realtà e la simulazione per via manuale o tecnologica, inizia il procedimento della discussione dei cambiamenti volti a migliorare la realtà in esame, essi dovranno rispondere al requisito della sistematicamente desiderabilità e del culturalmente realizzabile.
Il passaggio conclusivo riguarda la verifica e l’attuazione dei cambiamenti discussi in precedenza, per giungere a nuovi cicli 17.
16 N. Ropers «systemic conflict transformation: reflections on the conflict and peace process in Sri
Lanka» all’interno del volume T. Woodhouse, H. Miall, O. Ramsbotham and C. Mitchell, The
contemporary conflict resolution reader, Polity, Cambrige, 2015. Pp. 152-156.
17 Cit. materiale d’esame del corso “Approccio sistemico all’analisi dei conflitti” , corso di laurea