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CAPITOLO VI

LA DISCIPLINA DELLE SPESE

1. La regolazione delle spese del procedimento di mediazione; 1.1 Nessun contenzioso, nessun rimborso; 1.2 I rapporti con le altre disposizioni in materia di spese processuali.

1. La regolazione delle spese del procedimento di mediazione

Un forte disincentivo all’instaurazione della fase processuale si rinviene nel disposto del decimo ed ultimo comma dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, a norma del quale: “la

parte soccombente è condannata a rimborsare, in aggiunta alle spese di giudizio, una somma pari al 50 per cento delle spese di giudizio a titolo di rimborso delle spese del procedimento disciplinato dal presente articolo. Nelle medesime controversie, fuori dei casi di soccombenza reciproca, la commissione tributaria, può compensare parzialmente o per intero le spese tra le parti solo se ricorrono giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione, che hanno indotto la parte soccombente a disattendere la proposta di mediazione”.

Ne consegue che, in sede di pronuncia della sentenza conclusiva del giudizio, la Commissione tributaria provinciale:

- condanna la parte soccombente a versare all’altra parte una somma a titolo di rimborso delle spese del procedimento di mediazione, normativamente fissata nel cinquanta per cento delle spese di giudizio; dal momento che il comma 10 dell’articolo 17-bis precisa che tale somma è “in aggiunta alle spese di giudizio”, la condanna al rimborso non trova applicazione nei casi di compensazione delle spese di lite;

- fuori dei casi di soccombenza reciproca, i giudici possono compensare, parzialmente o per intero, le spese di lite solo se ricorrono giusti motivi, da indicare esplicitamente nella motivazione della sentenza.

Sul punto si impongono alcune considerazioni.

1) Anzitutto è doveroso segnalare che nessun rimborso di spese è previsto nel caso in cui il procedimento di reclamo abbia esito positivo e non sfoci nel giudizio tributario. In questa ipotesi la parte reclamante, pur ottenendo l’annullamento dell’atto o

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pervenendo alla mediazione, non ha la possibilità di ottenere il rimborso delle spese legali sostenute.

2) Se invece il reclamo ha esito negativo e si converte in ricorso, la commissione tributaria provinciale deve pronunciare una condanna alle spese maggiorate del 50% nei confronti della parte soccombente. Le spese possono anche essere compensate, ma soltanto in presenza di giusti motivi, espressamente indicati, tali da aver indotto la parte soccombente a rifiutare la proposta di mediazione. Si rende allora necessaria l’individuazione dell’ambito di applicazione nella previsione de qua e dei possibili problemi di coordinamento con la disciplina dettata dall’art. 15 del d.lgs. n. 546 del 1992 e dagli articoli 91, comma 1, e 96 c.p.c., applicabili anche al processo tributario per effetto del rinvio di cui all’art. 1, comma 2, del citato decreto legislativo.

1.1 Nessun contenzioso, nessun rimborso

Riguardo al primo aspetto non è mancato chi, tra i primi commentatori della norma, ne ha evidenziato l’irragionevolezza, sollevando più di qualche dubbio sulla sua costituzionalità 1

. Se è condivisibile che il perfezionamento della mediazione comporti la compensazione fra le parti delle spese del relativo procedimento, può apparire discutibile che il contribuente, che veda accolto il proprio reclamo, debba sostenerne i relativi oneri.

Si potrebbe obiettare che, in fondo, anche in caso di esercizio del potere di autotutela al di fuori del giudizio, non è prevista alcuna forma di rimborso degli oneri sopportati dal contribuente, ma a ben guardare, tra le due attività difensive – presentazione dell’istanza di riesame in autotutela e proposizione dell’istanza di reclamo – ci sono alcune differenze fondamentali: la domanda di annullamento di un atto in via di autotutela è un’istanza facoltativa, senza particolari requisiti formali, che può essere redatta personalmente dal contribuente, quindi anche senza l’ausilio di un professionista.

Il reclamo, al contrario, altro non è che una copia del ricorso, in tutto e per tutto ad esso sovrapponibile, di cui condivide le medesime esigenze di forma e di contenuto.

Non vi è alcun dubbio, pertanto, che il contribuente, in sede di reclamo, debba predisporre un atto identificabile con il ricorso 2 e che lo stesso richieda, ai sensi del comma 6 dell’art.

1 Su tutti, G. Marini, Profili costituzionali del reclamo e della mediazione, in Corr. trib., 2012, pag. 855.

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17-bis del d.lgs. n. 546/1992, nella parte in cui espressamente richiama l’art. 12 del decreto, l’assistenza di un difensore abilitato, ove il valore della controversia superi il limite di cui al comma 5 dell’art. 12 del d.lgs. n. 546/1992.

Il contribuente che riceve un atto sottoposto alla disciplina del reclamo risulta quindi penalizzato qualora debba rivolgersi ad un professionista, poiché il relativo costo resterà a suo carico nell’ipotesi in cui le sue ragioni vengano riconosciute dall’Amministrazione finanziaria mediante l’accoglimento del reclamo.

Si viene così a creare una palese disparità di trattamento delle parti, con un indubbio vantaggio per l’Agenzia delle Entrate che, potendo conoscere “in anticipo” i motivi di difesa del contribuente, potrà valutare se accogliere o meno il reclamo, ovvero formulare o accettare una proposta di mediazione, anche sulla base degli elementi addotti dal contribuente, e sulla probabilità di soccombenza, con conseguente condanna alle spese di giudizio.

In buona sostanza, il contribuente, ricevuto l’atto impositivo, è obbligato a difendersi al meglio, sostenendo le relative spese; e tanto più valido è il risultato dell’attività difensiva, tanto più sarà penalizzato in termini di sopportazione degli oneri di difesa. Qualora, infatti, le sue tesi difensive vengano accolte, avrà sì il vantaggio dell’annullamento dell’atto ma, come detto, dovrà sopportare l’onere delle spese sostenute per la difesa, non potendosi rivolgere al giudice tributario per chiederne la refusione; qualora, invece, le tesi difensive non vengano condivise dall’Ufficio, in tutto o in parte, il contribuente avrà la possibilità di rivolgersi al giudice tributario che, oltre ad accogliere il ricorso, potrà riconoscergli le spese sostenute per il patrocinio difensivo, anche nella fase pre-processuale.

Tale irragionevole effetto discende dalla scelta operata dal legislatore di identificare il reclamo con il ricorso 3.

Due potevano essere le soluzioni:

a) una prima ipotesi sarebbe consistita nello spogliare il reclamo della sua veste di atto prodromico all’instaurazione del processo, rendendolo in buona sostanza

2 Cfr. M. Basilavecchia, Reclamo, mediazione fiscale e definizione delle liti pendenti, in Corr. trib., 2011, pag. 2492.

3 In questo senso, F. De Domenico, L’accoglimento del reclamo, il conseguente ritiro dell’atto e il

regime delle spese processuali, in Un “reclamo” scoordinato rispetto a ruolo esecutivo e spese di lite, in

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paragonabile ad un’istanza di autotutela; uno strumento per mezzo del quale poter innescare un riesame totale o parziale dell’atto impositivo, per la predisposizione del quale non avrebbe dovuto essere necessario il patrocinio di un difensore. In sede di ricorso giurisdizionale sarebbe stato possibile indicare motivi diversi – specie di natura processuale – rispetto a quelli sviluppati nel reclamo 4;

b) in alternativa, le spese del procedimento di reclamo avrebbero potuto essere disciplinate in termini analoghi a quanto previsto per la fase giudiziale, ossia rimborsate dall’Amministrazione finanziaria in caso di accoglimento del reclamo, come peraltro avviene nelle ipotesi di annullamento o ritiro dell’atto che forma oggetto del contendere 5.

Se, infatti, può essere condiviso l’orientamento secondo cui “il rimborso delle spese in caso di accoglimento del reclamo avrebbe potuto costituire un ostacolo al sereno dispiegarsi dell’autotutela” da parte dell’Agenzia delle Entrate 6

, non si può non esprimere perplessità in ordine alla ragionevolezza di siffatta norma, soprattutto alla luce dell’intervento della Corte Costituzionale che, con la sentenza 12 luglio 2005, n. 274 7 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della previsione contenuta nell’art. 46, comma 3, del d.lgs. n. 546/1992, nella parte in cui disponeva la compensazione

ope legis delle spese processuali anche nel caso di cessazione della materia del

contendere conseguente all’annullamento in autotutela dell’atto impugnato, introducendo “un ingiustificato privilegio per la parte che pone in essere un comportamento…di regola determinato dal riconoscimento della fondatezza delle altrui ragioni”, e un corrispondente “ingiustificato pregiudizio per la controparte, specie quella privata, obbligata ad avvalersi, nella nuova disciplina del processo tributario, dell’assistenza tecnica di un difensore e, quindi, costretta a ricorrere alla mediazione (onerosa) di un professionista abilitato alla difesa in giudizio”. Il principio di ragionevolezza che nel 2005 ha indotto il giudice delle leggi a dichiarare

4 A questa conclusione perviene, ad es., F. De Domenico, cit.

5 In questo senso, cfr. F. Pistolesi, Il reclamo e la mediazione nel processo tributario, in Rass. trib. n.

1 del 2012, pag. 65.

6 Così F. Pistolesi, cit.

7 In Corr. trib. n. 34/2005, pag. 2693, con commento di C. Glendi e in GT – Riv. giur. trib. n. 9/2005,

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illegittimo l’art. 46, comma 3, del d.lgs. n. 546/1992 sembra doversi applicare anche al procedimento di reclamo: come il ritiro dell’atto in autotutela, invero, anche l’accoglimento del reclamo presuppone da parte dell’Agenzia delle Entrate il “riconoscimento della fondatezza delle altrui ragioni”, in presenza del quale si ripropongono le medesime esigenze di ristoro delle spese legali sostenute dal contribuente.

La questione non è stata affrontata né in sede legislativa, in occasione del recente restyling dell’art. 17-bis ad opera dell’art. 1, comma 611, lettera a), della l. 27 dicembre 2013, n. 147, né dalla Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 98 del 16 aprile 2014 8 ne ha dichiarato l’inammissibilità per difetto di rilevanza 9

. Invero, il vaglio della Consulta sulla conformità alla Legge fondamentale dell’art. 17-bis cit., nella parte in cui, nel caso di accoglimento del reclamo, non prevede alcun ristoro delle spese che il contribuente ha sostenuto per la presentazione dell’istanza e lo svolgimento della successiva procedura amministrativa potrebbe incontrare degli ostacoli tecnici.

Il contribuente dovrebbe infatti costituirsi in giudizio, dopo l’accoglimento del reclamo, solo al fine di far dichiarare la soccombenza virtuale dell’Amministrazione finanziaria per ottenerne la condanna alle spese e, quindi, sollevare in quella sede la questione di legittimità costituzionale 10.

1.2 I rapporti con le altre disposizioni in materia di spese processuali

In relazione al secondo profilo, il comma 10 dell’art. 17-bis del d.lgs. n. 546/1992 introduce una regola peculiare per le spese di lite nel processo tributario. Infatti, l’art. 15 del d.lgs. n. 546/1992, per sua espressa previsione, deve essere integrato, per quanto attiene alla compensazione di dette spese, con la disciplina recata dall’art. 92, comma 2, c.p.c. Quest’ultima norma, modificata dalla l. n. 69/2009, stabilisce che, oltre al caso di soccombenza reciproca, la compensazione (integrale o parziale) può essere sancita dal

8 In banca dati fisconline.

9 Poiché i ricorrenti, nei giudizi instaurati dinanzi alla Commissione tributaria rimettente, non hanno presentato reclamo e, di conseguenza, non hanno sostenuto i relativi oneri.

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giudice allorché concorrano “altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione” della sentenza.

Dunque, per le liti per le quali è ora imposto il preventivo procedimento di reclamo e mediazione, il regime della compensazione delle spese di causa prescinde dai profili che ordinariamente vengono apprezzati dal giudice qualora si orienti in tal senso 11 e si incentra esclusivamente sulla valutazione circa la sussistenza o meno di “giusti motivi” sottesi alla determinazione del soccombente di disattendere l’eventuale proposta di mediazione avanzata dal proprio contraddittore. Peraltro, può accadere che tali “giusti motivi” possano rinvenirsi anche fra quelli che solitamente inducono il giudice a pronunciare la compensazione delle spese: si pensi al caso della parte che rifiuti di aderire alla proposta di mediazione poiché conscia di un orientamento giurisprudenziale a sé favorevole, che risulta tuttavia superato e disatteso nel momento in cui la causa viene trattenuta in decisione 12. Inoltre, va notato che il comma 10 in commento può applicarsi solo quando un’ipotesi di mediazione sia stata concretamente coltivata. Perciò, ove il contribuente abbia presentato un reclamo privo di proposta di mediazione e non abbia ricevuto alcuna comunicazione in ordine ad esso o lo abbia visto rigettato o solo parzialmente condiviso ma senza che il Fisco abbia accompagnato tale propria decisione con un tentativo di mediazione, opera l’ordinario regime delle spese di giudizio delineato dagli artt. 15 del d.lgs. n. 546/1992 e 92, comma 2, c.p.c.

Altra questione dibattuta è se, e in che modo, la regola prevista dal comma 10 dell’art. 17-bis, d.lgs. n. 546/1992 conviva con gli altri precetti normativi accomunati dalla stessa

ratio, consistente nello scoraggiare condotte processuali temerarie e oltranziste. Il

riferimento è ovviamente agli articoli 91, comma 1, secondo periodo e 96, comma 3, c.p.c. In base alla prima di tali disposizioni, a seguito della novella apportata dalla l. n. 69/2009, se il giudice accoglie la domanda in misura non superiore alla proposta di conciliazione intervenuta nelle more del procedimento, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo tale proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della stessa, salvo che non sia statuita la compensazione.

11 Si pensi, per esempio, alla condotta processuale delle parti, alla novità delle questioni controverse, alla presenza di un contrasto giurisprudenziale sul tema oggetto di lite e via discorrendo.

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È di palmare evidenza che un siffatto assetto normativo può determinare una condanna di natura economica alla parte che rifiuta la proposta conciliativa senza un giustificato motivo, pur se poi quella stessa parte sia dichiarata parzialmente vittoriosa all’esito del grado di giudizio di riferimento.

Nella circolare n. 17 del 31 marzo 2010 13, la Direzione Centrale Normativa e Contenzioso dell’Agenzia delle Entrate ha riconosciuto, nell’attesa dei primi responsi giurisprudenziali, l’applicabilità del riformulato art. 91 c.p.c. non esimendosi dall’esprimere qualche perplessità 14.

In effetti l’osservazione è pienamente condivisibile, tenuto conto che il legislatore della riforma del codice di rito ha adottato una formula volutamente omnicomprensiva al fine di accomunare un principio a vari istituti deflativi del contenzioso – non solo civile 15.

È dunque logico chiedersi se sia ammissibile un cumulo della condanna ex art. 17-bis, comma 10, del d.lgs. n. 546/1992 con quella conseguente al rifiuto di una “proposta conciliativa”, laddove quest’ultima sarebbe rappresentata – per il tema che ci occupa e per interpretazione estensiva – da una infruttuosa “proposta di mediazione” formulata dalle parti.

In altre parole, le due ipotesi di “rifiuto” possono ben assimilarsi stante il fatto che, come già rilevato in dottrina 16 si può pacificamente ritenere che la procedura ex art. 17-bis del d.lgs. n. 546/1992 rappresenti, in qualche modo, un’anticipazione della conciliazione ex art. 48 dello stesso decreto.

Del resto, il divieto di applicazione della conciliazione nel procedimento di reclamo-mediazione, di cui al comma 1 dello stesso art. 17-bis, è finalizzato ad evitare la duplicazione di uno strumento deflattivo e denota quindi un’ampia analogia tra i due istituti.

13 In banca dati fisconline.

14 In base al documento di prassi “si ritiene che la citata disposizione possa trovare applicazione

anche nel processo tributario, ancorché la conciliazione giudiziale di cui all’art. 48 del d.lgs. n. 546 del 1992 preveda una disciplina diversa dalla proposta conciliativa cui si riferisce l’articolo 91 c.p.c.”.

15 Così F. D. Busnelli-E. D’Alessandro, L’enigmatico ultimo comma dell’art. 96 c.p.c.: responsabilità

aggravata o condanna punitiva?, in Danno e Resp. n. 6/2012, pag. 585.

16 A. Guidara, D. Stevanato, R. Lupi, Mediazione fiscale: un provvedimento improvvisato su una

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Tuttavia, tale assimilazione tra proposta di conciliazione e proposta di mediazione non consente di superare una sorta di incompatibilità tra la condanna ex art. 17-bis del d.lgs. n. 546/1992 e quella di cui all’art. 91, comma 1, secondo periodo, c.p.c. 17

.

Questo perché la prima norma si manifesta come “speciale” rispetto alla seconda; è infatti indubbio che la sanzione “aggiuntiva” di cui al commentato comma 10 sia propria del procedimento di reclamo-mediazione, mentre quella di cui alla norma processualcivilistica abbia un ambito di applicazione generale; la natura “speciale” assunta dalla disposizione ex art. 17-bis cit. va pienamente riconosciuta anche perché se non fosse identificata come tale, ovvero se si ritenesse ammissibile il cumulo de quo, il soccombente si ritroverebbe a subire, per il medesimo titolo, una (ingiustificabile) doppia condanna.

Deve poi riscontrarsi un’altra rilevante differenza tra le due norme sopra indicate: infatti, mentre quella contenuta nel codice di procedura civile consente la condanna alle spese, maturate dopo il rifiuto della proposta transattiva, anche della parte vittoriosa, il precetto del d.lgs. n. 546/1992 sembra applicare la sanzione aggiuntiva alla sola parte soccombente. Infine, non può sottacersi che la proposta di cui all’art. 91 c.p.c. interviene in una fase giudiziale, a differenza della proposta di mediazione che, nonostante alcuni dubbi sollevati in dottrina 18, deve ritenersi inerente ad una fase amministrativa paraprocessuale 19.

Quest’ultima considerazione induce a presumere che, proprio la collocazione dell’art. 91 c.p.c., abbia spinto il legislatore all’emanazione di una norma speciale correlabile al rifiuto di una proposta conciliativa in una fase diversa da quella strictu sensu giudiziale.

Resta da appurare se la condanna alle spese di giudizio, maggiorate del cinquanta per cento a titolo di rimborso delle spese relative al procedimento di cui all’art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992, sia cumulabile con la condanna per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. Come è noto, quest’ultima disposizione regola la fattispecie del c.d. “illecito processuale”, sanzionando il comportamento in giudizio del soccombente che abbia agito o resistito in

17 Così A. Russo, La condanna processuale “aggiuntiva” del reclamo-mediazione e il confronto con

gli artt. 91 e 96 del codice di procedura civile, in Il fisco n. 44 del 26 novembre 2012.

18 Cfr. M. Basilavecchia, Dal reclamo al processo, in Corr. trib. n. 12/2012, pag. 841.

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mala fede o con colpa grave. Trattasi di una responsabilità di tipo extracontrattuale, fonte dell’obbligazione di risarcire i danni concretamente arrecati alla controparte 20

.

L’articolo in commento si è arricchito, a seguito della “mini-riforma” del codice di rito ex l. n. 69/2009, di un nuovo comma, il terzo, il quale consente al giudice “in ogni caso” di condannare la parte soccombente al pagamento di una somma liquidata in via equitativa a favore della parte vittoriosa.

Proprio la locuzione “in ogni caso” ha sortito l’acceso dibattito sulla natura della norma e sui suoi rapporti con la previsione di cui al primo comma dello stesso articolo.

Secondo una prima, accreditata, impostazione 21, in materia di responsabilità aggravata, i commi 1 e 3 dell’art. 96 c.p.c. delineano ipotesi distinte ma perfettamente compatibili e, pertanto, nel quadro applicativo del comma 1, il danneggiato da lite temeraria potrà dedurre e provare il danno effettivamente subito, eventualmente più grave, per particolari circostanze, di quello normalmente pronosticabile; nel quadro di applicazione del comma 3, lo stesso danneggiato potrà ottenere soltanto il risarcimento delle normali conseguenze pregiudizievoli della condotta processuale altrui, quantunque non dedotte e provate 22. A questa conclusione, che riconosce una funzione risarcitoria alla condanna de qua, se ne contrappone un’altra, secondo la quale la pronuncia ex art. 96, comma 3, c.p.c. introduce nell’ordinamento una forma di danno punitivo per scoraggiare l’abuso del processo e preservare la funzionalità del sistema giustizia, deflazionando il contenzioso ingiustificato 23

.

Neanche la dottrina esprime un orientamento unanime.

Per alcuni 24, la condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c., deriva dal carattere temerario della lite, essendo questo stesso fatto in sé riprovevole. La ratio sottesa alla previsione normativa, evidentemente, non è quella di ripristinare una situazione patrimoniale antecedente al verificarsi di un evento dannoso – il che la renderebbe una sorta di “doppione” della

20 Cfr. art. 96, comma 1, c.p.c.

21 App. Roma, Sez. III, 7 marzo 2012; sostanzialmente conformi: Trib. Reggio Emilia, 18 aprile 2012,

Trib. Lamezia Terme, 12 luglio 2011, Trib. Varese, Sez. I, 21 gennaio 2011.

22 Trib. Oristano, 17 novembre 2010; Trib. Milano, Sez. V, 20 ottobre 2010.

23 Trib. Piacenza, 15 novembre 2011; Trib. Pordenone, 18 marzo 2011.

24 B. Veronese, L’art. 96, comma 3, c.p.c. nell’interpretazione della più recente giurisprudenza di

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responsabilità prevista dall’art. 96, comma 1, c.p.c. – ma quella di irrogare una sanzione afflittiva che funga da deterrente rispetto al futuro verificarsi di condotte della medesima specie.

Per altri, invece, la determinazione equitativa della somma da erogare, sganciata com’è dai rigidi parametri normativi di riferimento, parrebbe doversi intendere come una modalità di liquidazione dei danni risarcibili, suscettibili di essere adottata in via residuale, “in ogni caso”, appunto, ossia quando non siano in grado di operare i criteri normativi generali postulati dal comma 1 dell’art. 96 che, stando alla presumibile originaria intenzione del legislatore, mirava a risarcire i danni patrimoniali 25.

Il quadro non univoco appena delineato complica non poco la soluzione intorno all’ammissibilità del cumulo tra la condanna ex art. 17-bis, comma 10, d.lgs. n. 564/1992 e quella ex art. 96 c.p.c.

Con tutte le cautele del caso, l’ipotesi del cumulo, limitatamente all’adozione interpretativa del teorema “risarcitorio”, sembra astrattamente percorribile, in quanto alla sanzione aggiuntiva ex art. 17-bis, comma 10, ben può accompagnarsi una condanna, come quella di cui all’art. 96, comma 1, c.p.c. fondata sugli elementi soggettivi della mala fede e della colpa grave che lo stesso art. 17-bis non prevede.

In definitiva, per risolvere la questione, non si può prescindere dall’individuazione di elementi diversi, o meno, tra le due norme, laddove la corretta possibilità di cumulo può trovare applicazione sole se, configurandosi distinti presupposti tra le due sanzioni, si scongiuri il rischio di una duplicazione della condanna sulla scorta di un unico titolo.

In base a tale principio il cumulo sembrerebbe inammissibile qualora si giungesse alla conclusione che l’art. 96, comma 3, c.p.c. sia da considerare norma con finalità punitiva. In questo caso, infatti, la previsione codicistica si troverebbe a collidere con il carattere indubbiamente punitivo che già comporta la norma speciale in materia di mediazione.

25 Così F. D. Busnelli-E. D’Alessandro, L’enigmatico ultimo comma dell’art. 96 c.p.c.: responsabilità

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BIBLIOGRAFIA

BASILAVECCHIA M., Dal reclamo al processo, in Corr. trib. n. 12 del 2012, pag. 841; ID., Reclamo, mediazione fiscale e definizione delle liti pendenti, in Corr. trib. n. 31 del 2011, pag. 2492; V. BUSA, Le nuove prospettive della mediazione tributaria, in Corr. trib. n. 11 del 2012, pag. 765; F.D. BUSNELLI, E. D’ALESSANDRO, L’enigmatico ultimo

comma dell’art. 96 c.p.c.: responsabilità aggravata o condanna punitiva?, in Danno e Resp.

n. 6 del 2012, pag. 585; F. DE DOMENICO, L’accoglimento del reclamo, il conseguente

ritiro dell’atto e il regime delle spese processuali, in Un “reclamo” scoordinato rispetto a ruolo esecutivo e spese di lite, in Dial. trib. n. 3 del 2012; A. GUIDARA, D. STEVANATO,

R. LUPI, Mediazione fiscale: un provvedimento improvvisato su una strada giusta, in Dial. trib. n. 1 del 2012; G. MARINI, Profili costituzionali del reclamo e della mediazione, in Corr. trib. n. 12 del 2012, pag. 855; F. PISTOLESI, Il reclamo e la mediazione nel processo

tributario, in Rass. trib. n. 1 del 2012, pag. 65; A. RUSSO, La condanna processuale “aggiuntiva” del reclamo-mediazione e il confronto con gli artt. 91 e 96 del codice di procedura civile, in Il fisco n. 44 del 26 novembre 2012; B. VERONESE, L’art. 96, comma 3, c.p.c. nell’interpretazione della più recente giurisprudenza di merito: alcuni punti fermi,

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