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Capitolo VI Falkland o Malvinas? Soluzioni pacifiche e prospettive future

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Capitolo VI

Falkland o Malvinas?

Soluzioni pacifiche e prospettive future

6. 1 Sviluppi postbellici

Durante il periodo postbellico, tra il 1982 e il 1989, l’Argentina presentò presso il Comitato per la Decolonizzazione nonché presso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ottenendo una serie di risoluzioni che richiamavano i due paesi a riallacciate i negoziati bilaterali al fine di addivenire ad una soluzione pacifica1.

Nei giorni 18 e 19 luglio 1984 Berna ospitò il primo incontro ufficiale, dopo la rottura dei rapporti diplomatici, delle delegazioni diplomatiche di Argentina e Gran Bretagna. Scopo di tale incontro avrebbe dovuto essere l’apertura di uno spiraglio comunicativo tra il governo inglese e il nuovo esecutivo democratico argentino2. Nonostante i buoni uffici offerti dalla delegazione elvetica, in veste di mediatrice, l’incontro non produsse nessun risultato utile3. La ripresa delle relazioni diplomatiche tra Regno Unito e Argentina si ebbe nell’agosto del 1989, quando le delegazioni dei due paesi si incontrarono a New York dove si adottarono tutta una serie di accordi provvisori su questioni pratiche connesse alle isole. Tali accordi ovviamente non avrebbero implicato in alcun modo l'accettazione della situazione di fatto presente nelle isole. La stipula di tali accordi fu resa possibile grazie dall'adozione della c.d. «clausola di salvaguardia di sovranità», in base alla quale si sarebbero riallacciate le relazioni diplomatiche, escludendo qualsiasi controversia sulla sovranità delle isole.

1 Risoluzione 37 del 4 novembre 1982; 38 del 16 novembre 1983; 39 del 1 novembre 1984. Consultabili al sito: http://www.un.org/documents/resga.htm

2 F. Murra, Londra e Buenos Aires trattano sulle Falkland, in “La Repubblica”, 19 luglio 1984.

3 Alcuni autori sostengo che fu l’intransigenza britannica la causa del fallimento dell’incontro di Berna. Invero, dinanzi alla richiesta della delegazione argentina di cercare una soluzione pacifica circa la sovranità delle isole Falkland/Malvinas, la delegazione inglese avrebbe espresso un secco diniego facendo presente che Londra non era interessata a trattare l’argomento. R. Palazzi, Antártida y Archipiélagos Subantárticos. Buenos Aires, Editorial Pleamar, 1994, p. 559.

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92 L'esistenza del contenzioso e delle rispettive rivendicazioni di sovranità venne riconosciuta da entrambe le parti, ma si decise di rinviare la loro trattazione nei successivi negoziati.

Tra il 1989 e il 1990 furono adottate a Madrid due Dichiarazioni Congiunte (Accordo di Madrid I – II) tra Argentina e Gran Bretagna con le quali si decise la ripresa delle relazioni consolari tra i due paesi nonché il rilancio delle relazioni economiche tra l’Argentina e i paesi facenti parte della Comunità Europea per il tramite del Regno Unito. Negli anni successi, furono siglati altri accordi con l’intento principale di rilanciare la cooperazione economica tra i due paesi4. Se in quegli anni,in merito alla sovranità sulle isole Falkland/Malvinas, la Gran Bretagna accarezzò l’idea di congelare la richiesta argentina; invece, nella mente e nel cuore del popolo argentino rimase una richiesta viva e persistente.5

In poco tempo, riguardo la «Questione delle Malvinas», si registrò una correzione della politica estera argentina6. Il 25 aprile 2005, durante la celebrazione del 23° anniversario del Giorno dei Veterani e dei Caduti della guerra delle Malvinas, il Presidente Kirchner dichiarò che il tempo dell’attesa era terminato e che la Gran Bretagna doveva affrontare la situazione una volta per tutte. Poco tempo dopo, il 26 settembre 2006, dinanzi all’Assemblea delle Nazioni Unite, lo stesso Kirchner ribadì la posizione argentina, sottolineando la necessità di instaurare delle trattative bilaterali al fine di addivenire ad una soluzione del problema. In quell’occasione, inoltre, l’Argentina denunciò la violazione degli accordi siglati circa lo sfruttamento delle risorse naturali presenti nelle zone limitrofe all’arcipelago. Secondo Buenos Aires, infatti, il governo di Londra si era

4 Successivamente vennero siglati altri accordi. Il 28 novembre 1990, sempre a Madrid, fu siglata la Dichiarazione congiunta per la tutela delle risorse marine. Il 27 settembre del 1995, venne siglata la Dichiarazione argentino-britannica per l’esplorazione petrolifera nell’Atlantico del Sud. Il 14 luglio fu firmato l’Accordo di Londra con il quale vennero ristabiliti i collegamenti aerei tra l’Argentina e le isole Falkland/Malvinas.

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Nel 1994, venne modificata la prima disposizione transitoria della Costituzione argentina. Questa recita: «La Nazione ratifica la sua legittima sovranità sulle isole Malvinas , Georgia del Sud e isole Sandwich del Sud e le corrispondenti zone marittime e insulari, essendo parte integrante del territorio nazionale. Il recupero di detti territori e il pieno esercizio della sovranità, rispettando il senso di vita dei loro abitanti e secondo i principi del diritto internazionale, costituiscono un obiettivo permanente e inalienabile del popolo argentino».

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Durante la riunione del 12 luglio del 2000, dinanzi all’Assemblea Generale dell’ONU, il ministro per il commercio internazionale argentino, Adalberto Rodríguez Giavarini dichiarò che era arrivato il momento per poter affrontare bilateralmente la questione della sovranità sulle isole Falkland/Malvinas.

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93 reso autore di alcune modifiche unilaterali alla Dichiarazione per l’esplorazione e lo sfruttamento di idrocarburi del 1995. Il 27 Marzo 2007 si ebbe un ulteriore inasprimento della politica argentina verso Londra. Il governo argentino decise infatti di sospendere la Dichiarazione, notificando due giorni dopo tale decisione a tutte le compagnie petrolifere inglesi che operavano nelle zone limitrofe delle isole all’arcipelago.

6.1.1 Recenti sviluppi

A più di trenta anni da quel 14 giugno 1982, giorno della resa delle truppe argentine, per Buenos Aires la questione sulla sovranità delle isole Falkland/Malvinas, rappresenta ancora una ferita aperta. Gli storici hanno affrontato la questione interpretando il conflitto come un gesto irresponsabile, voluto da un regime senza appoggio popolare. Le rappresentazione storiografiche e mediatiche hanno abbandonato la figura del soldato come una vittima giovane e senza esperienza immolato, per presentare casi di eroismo e di dedizione alla patria. Nell’ultimo decennio, l’opinione pubblica ha avviato un processo di «riappropriazione del conflitto» e ha fatto proprie le ragioni dell’appartenenza dell’arcipelago al paese sudamericano. Poco più di un anno addietro, con una lettera aperta pubblicata sul quotidiano britannico “The Guardian”, la Presidentessa Cristina Fernandez de Kirchner riprese la questione della sovranità delle isole Falklands/Malvinas, chiedendo al premier inglese, David Cameron, di riaprire i negoziati per la restituzione dell’arcipelago7. Nello specifico venne chiesto a Londra di applicare quanto previsto dalla Risoluzione 1514 (XV) e dalla Risoluzione 2065 (XX)8. La Gran Bretagna avrebbe dovuto, quindi, riavviare immediatamente i negoziati sull’arcipelago.

Il Foreign Office prontamente respinse ogni ipotesi di trattativa, ribadendo che il futuro delle isole sarebbe stato deciso, in applicazione del principio di auto-determinazione, solo dagli abitanti dell’arcipelago9.

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Cristina Fernández de Kirchner's letter to David Cameron, in “The Guardian”, 2 gennaio 2013. Il testo della lettera è consultabile all’indirizzo internet: http://www.theguardian.com/uk/2013/jan/02/cristina-fernandez-kirchner-letter-cameron

8 Entrambe le risoluzioni sono consultabili al sito internet: http://www.un.org/documents/resga.htm 9 M. Strada, Inghilterra pronta a combattere per difendere le Falkland, in “Corriere della Sera”, 6 gennaio 2013.

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94 Di concerto con Londra, il 12 giugno 2012, il governo delle isole Falkland/Malvinas (Falkland Islands Governement) annunciò la sua intenzione di celebrare un referendum per permettere agli isolani la possibilità di esprimere la loro opinione in merito alla condizione politica delle isole10. La consultazione sullo status politico delle isole si tenne nei giorni 10-11 marzo 2013; il risultato fu plebiscitario. Dei 1.518 di aventi diritto al voto, il 92% si recò alle urne. Dei voliti validamente espressi, 1.513 persone votarono per il “Sì” (99.8%), dichiarando di voler mantenere sull’arcipelago lo status politico di territorio britannico d’oltremare; solamente 3 isolani espressero parere negativo alla richiesta di conferma della situazione attuale11.

Il governo argentino reagì alla vittoria schiacciante dei "sì" disconoscendo la validità dell’esito del voto, sostenendo inapplicabile il diritto all’autodeterminazione per gli isolani12.

6.2 Autodeterminazione o decolonizzazione?

Uno degli aspetti più controversi della questione delle Isole Falkland/Malvinas è quello relativo allo status di territorio non autonomo delle isole. Quali norme internazionali in materia di decolonizzazione sono applicabili? Due sono le caratteristiche che distinguono la condizione delle Falkland/Malvinas da quelle degli altri territori contesi: una popolazione proveniente esclusivamente dallo Stato amministratore e la rivendicazione di sovranità da parte dell’Argentina.

Per la Gran Bretagna non vi è nessun dubbio che gli abitanti delle Falkland/Malvinas abbiano diritto all’autodeterminazione, ossia di decidere essi stessi il proprio «status costituzionale» e che, pertanto, il futuro dell’arcipelago debba essere stabilito in conformità ai desideri degli abitanti senza che nessun trasferimento di sovranità possa

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L’ordinanza istitutiva del referendum, approvata dall’Assemblea legislativa delle isole e promulgata dall’esecutivo è consultabile all’indirizzo internet: https://www.gov.uk/government/publications/the-overseas-territories

11 Le Falkland vogliono restare britanniche, in “Corriere della Sera”, 12 marzo 2013.

12 All’indomani dell’esito del referendum, la presidentessa Kirchner definì l’evento una «parodia» e sottolineò il comportamento degli Stati Uniti, che pur riconoscendo la gestione britannica del territorio, non espressero nessuna posizione sulla sovranità delle isole. Argentine president calls Falklands referendum a 'parody', in “The Telegraph”, 13 marzo 2013; N. Gardiner, The Obama administration’s response to the Falklands referendum is insulting, wrong and mean-spirited, in “The Telegraph”, 12

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95 avvenire senza che questi siano preventivamente consultati. Per il governo di Londra, il diritto all’autodeterminazione della popolazione delle Falkland/Malvinas trova il proprio fondamento giuridico negli artt. 1 par. 2 e 55 della Carta dell’ONU13, nonché nell’art. 1 dei Patti delle Nazioni Uniti sui diritti dell’uomo14.

Il ricorso all’autodeterminazione viene invece contestato dall’Argentina sulla base di considerazioni che attengo principalmente alle finalità che essa dovrebbe perseguire nell’ambito della decolonizzazione. Per l’Argentina infatti l’autodeterminazione è un mezzo per raggiungere la decolonizzazione, per accelerare lo sradicamento del sistema coloniale e porre fine alla dominazioni delle potenze coloniali. Pertanto, il principio in questione non può essere invocato dai residenti di nazionalità inglese che occupano le isole, priva di un effettivo attaccamento al territorio a cause delle frequenti migrazioni stagionali e che non desidera ottenere una «completa» indipendenza15.

L’Argentina sostiene quindi un concetto di autodeterminazione, che si identifica sostanzialmente con la fine della dominazione della potenze occidentali sui loro possidenti coloniali.

La Gran Bretagna invece ritiene che l’esercizio del diritto di autodeterminazione possa portare alla scelta di qualsiasi statuto politico e quindi, anche al mantenimento di vincoli con la ex potenza coloniale non incontrando nessun limite nell’assenza della dominazione straniera. A questo punto bisogna chiedersi: esiste nel diritto internazionale positivo un principio di autodeterminazione?

13 L’art. 1 par. 2 stabilisce che i fini delle Nazioni Unite sono «sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio…dell’autodecisione dei popoli». L’art. 55 elenca specificatamente le azioni che l’ONU intraprenderà «al fine di creare le condizioni di stabilità e di benessere…necessarie per avere rapporti pacifici ed amichevoli fra le nazioni, basati sul rispetto del principio di…autodecisione dei popoli».

14 Si tratta dell’art. 1 del Patto Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali e dell’art. 1 del Patto Internazionale sui diritti civili e politici i quali recitano entrambi al par. 1: «Tutti i popoli hanno diritto all’autodeterminazione. In virtù di questo diritto essi decidono liberamente il loro sviluppo economico, sociale e culturale».

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L’Argentina rileva, altresì, che il potere decisionale degli isolani cui fa riferimento la Gran Bretagna non sarebbe altro che una fictio juris in quanto l’intera vita dell’arcipelago, il commercio, le comunicazioni e ogni altro aspetto delle attività economiche, sarebbero gestite dalla Falkland Islands Company, società gestita dal governo londinese.

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96 La quasi totalità della dottrina è ormai concorde nel ritenere il principio di autodeterminazione dei popoli una norma di natura consuetudinaria16, consolidatasi per effetto dell’attività delle Nazioni Unite e a cui la Corte Internazionale di Giustizia ha riconosciuto carattere cogente17.

In questo contesto, qual è il suo significato? La sua portata è veramente quella sostenuta dalla Gran Bretagna?

Innanzitutto bisogna considerare che nel contesto della decolonizzazione, l’autodeterminazione ha assunto un significato del tutto particolare. Il suo esercizio ha avuto come fine la creazione di Stati indipendenti laddove esistevano possedimenti coloniali. Nella maggior parte dei casi infatti l’Assemblea Generale ha accolto la richiesta di indipendenza quale risultato fisiologico del processo di decolonizzazione. A tal proposito, autorevole dottrina ha criticato la tesi della Gran Bretagna, sostenendo che il diritto all’autodeterminazione ha un significato nell’ambito della decolonizzazione se riferito ad un popolo «effettivamente subordinato» ad un soggetto estraneo dal quale intenda separarsi. Quando la volontà del popolo all’autodecisione rappresenti la determinazione a costituire un gruppo a sé stante con un proprio assetto politico, totalmente svincolato dall’ex potenza coloniale18. Pertanto il principio di autodeterminazione non sarebbe applicabile al caso delle Falkland/Malvinas in quanto: legate da esclusi rapporti economici e culturali con Londra e mancanza di un’autonoma coscienza sociale nel voler costituire un’unione indipendente.

La situazione delle Falkland/Malvinas, sostiene l’Argentina, rappresenta un modello coloniale differente da quello classico in quanto frutto di un atto di forza militare da

16 Si vedano il parere consultivo reso dalla Corte Internazionale di Giustizia il 21 giugno 1971, relativo al caso della Namibia e il parere del 16 ottobre 1975 inerente al caso del Sahara Occidentale. Entrambi sono consultabili al sito: http://www.icj-cij.org. Per la dottrina contraria nonché minoritaria si veda R. Emerson, Self-Determination, in American Journal of International Law, 1971, Vol. 65, n. 3, pp. 461-475; G. Arancio-Ruiz, The normative role of the General Assembley of the United Nations and the Declaration of Principles of Friendly Relations, in Recueil de Cours, 1972, Vol. 3, p. 431 ss.

17 Nella sentenza relativa al caso di Timor Orientale, la Corte Internazionale di Giustizia ha definito il diritto all’autodeterminazione dei popoli come «principio essenziale del diritto internazionale contemporaneo» considerandolo come un obbligo a efficacia erga omnes e, quindi, opponibile a tutti gli Stati della comunità internazionale. Si veda anche il parere consultivo reso dalla Corte il 9 luglio 2004, in merito alle conseguenze legali della costruzione di un muro nei territori Palestinesi occupati. La sentenza e il parere sono consultabili al sito: http://www.icj-cij.org

18 M. Iavone, Le Falkland/Malvinas: autodeterminazione o decolonizzazione?, in N. Ronzitti, op. cit., p. 100.

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97 parte del Regno Unito che, nel periodo di massima espansione dell’imperialismo delle grandi potenze, ha sopraffatto un paese di recente indipendenza impadronendosi di una parte del suo territorio19.

L’occupazione delle isole Falkland/Malvinas sarebbe, quindi, il risultato di un’impresa coloniale perpetrata ai danni dell’Argentina la cui soluzione sarebbe la restituzione del territorio allo Stato che ne è stato illegittimamente privato20.

Nel caso in esame, quindi, non vi sarebbe un popolo assoggettato a dominazione e sfruttamento straniero, da cui svincolarsi esercitando il diritto all’autodeterminazione, bensì un territorio sul quale una ex potenza coloniale europea mantiene una presenza estranea al continente americano e pertanto, la decolonizzazione delle Falkland/Malvinas dovrebbe avvenire per effetto di un loro trasferimento sotto la sua sovranità, indipendentemente da una consultazione degli abitanti21.

Dal confronto delle superiori posizioni scaturiscono i seguenti interrogativi: la prassi è riuscita ad esprimere una particolare soluzione giuridica per la decolonizzazione dei territori oggetto di rivendicazioni di sovranità? Che valore e quale ruolo può attribuirsi a fattori storico-geografici nella decolonizzazione di un territorio?

6.2.1 La prassi in materia di decolonizzazione di territori rivendicati da Stati contigui

Una risposta a questi interrogativi può venire dalla rassegna, seppur sommaria, della prassi relativa ad altri territori coloniali caratterizzati dall’esistenza di rivendicazioni di

19

In questo senso si sono espressi gran parte dei paesi dell’America Latina, afro-asiatici e del blocco sovietico. In dottrina, tale tesi è stata sostenuta da D. Mathy, L’autodétermination de petits territoires revendiqués par des Etats tiers, 1ère partie, in Revue belge de droit International, 1974, n. 1, p. 201 ss; G. Cohen Jonathan, Les îsle Falkland (Malouines), in Annuaire français de droit ienternational, 1972, vol. 18, pp. 235-262. L’articolo di D. Mathy è consultabile al sito: http://rbdi.bruylant.be/public/index.php 20 Tra le motivazioni degli Stati favorevoli alla tesi Argentina si fa spesso riferimento all’elemento della collocazione geografica dell’arcipelago di fronte alle coste argentine. In particolare, Cuba e Nicaragua considerano le Falkland/Malvinas come un’«inaccettabile» enclave coloniale nel continente americano. Per un approfondimento maggiore degli standards politici piuttosto che giuridici che possono servire da guida per prendere decisioni fondate sull’equità piuttosto che sul diritto si veda R.Y. Jennings, The Acquisition of Territory in International Law, New York, Oceana Pubblications Inc., 1963, p. 69 ss.

21 Questa soluzione troverebbe il proprio fondamento nella citata Risoluzione 1514 (XV) del 14 dicembre 1960 adottata dall’Assemblea generale della Nazioni Unite. In dottrina, l’interpretazione argentina è sostenuta da D. Mathy, L’autodétermination de petits territoires revendiqués par des Etats tiers, 2ème partie, in Revue belge de droit International, 1975, n. 1, p. 129 ss. L’articolo è consultabile al sito: http://rbdi.bruylant.be/public/index.php

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98 sovranità da parte dei paesi vicini. In alcuni casi, l’Assemblea Generale ha sostenuto la richiesta di integrità territoriale dello Stato vicino, indipendentemente dalla consultazione degli abitanti oppure, ha avallato forme di consultazione indiretta in cui la volontà popolare non si è espressa pienamente; in altri casi invece ha riconosciuto il diritto della popolazione all’autodeterminazione e alla indipendenza, rigettando le rivendicazioni territoriali dello Stato limitrofo.

Appartengono al primo gruppo i casi di: Irian occidentale; Goa; Gibilterra; Hong Kong. Rientrano nel secondo gruppo, i casi relativi a: Timor Orientale; Belize; Sahara Occidentale.

Irian occidentale: parte occidentale dell’isola della Nuova Guinea, che nonostante

l’indipendenza dell’Indonesia, è stata amministrata dal governo olandese, per il quale qualsiasi cambiamento di status avrebbe dovuto essere il frutto della volontà popolare. Il 16 agosto 1962 i due paesi raggiungessero un accordo. Questo prevedeva: inizialmente l’amministrazione temporanea delle Nazioni Unite, con particolari funzioni del Segretario Generale previa delega dell’Assemblea Generale; successivamente il trasferimento dell’amministrazione del territorio all’Indonesia a seguito dello svolgimento di un atto di autodeterminazione (referendum) da parte della popolazione locale22. Atto di autodeterminazione che, tuttavia, non è avvenuto tramite suffragio universale bensì, con la consultazione dei soli capi locali23. In merito a ciò la dottrina ha espresso seri dubbi sulla genuinità del risultato sostenendo che il procedimento previsto dal citato accordo più che esprimere la volontà popolare, in realtà, non abbia fatto altro che rendere meno traumatico per l’Olanda il passaggio del territorio sotto la sovranità dell’Indonesia24.

Goa: nel 1961 l’India, invocando il rispetto della propria integrità territoriale, annesse le enclaves portoghesi di Goa, Damao e Diu, senza ricevere alcuna condanna da parte

22

Sull’accordo siglato il 15 agosto 1962 si veda F. Monconduit, L’accord du 15 août 1962 entre la République d'Indonésie et le Royaume des Pays-Bas relatif à la Nouvelle-Guinée occidentale (Irian occidental); in Annuaire français de droit international, vol. 8, 1962, pp. 491-516.

23 Metodi e risultati della consultazione sono stati approvati il 19 novembre 1969, previo consenso dell’Olanda, dall’Assemblea Generale con la Risoluzione 2504 (XXIV). La risoluzione è consultabile al sito: http://www.un.org/documents/resga.htm

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M. Pomerance, Methods of Self-Determination and the argument of «Primitivness», in Canadian Yerabook of International Law, vol. 12, 1974, p. 62; J. Morand, Autodetérmination en Iran occidentale et à Bahrein, in Annuaire français de droit International, vol. 17, n. 17, 1971, p. 519.

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99 delle Nazioni Unite. Anzi, nel dicembre dello stesso il Portogallo venne richiamato dall’Assemblea Generale per la sua politica colonialista25. Nel 1974, il Portogallo riconobbe la sovranità dell’India su Goa26.

Gibilterra: la situazione di Gibilterra presenta numerosi punti di contatto con quella

delle Falkland/Malvinas, soprattutto in relazione alla presenza su entrambi i territori di una popolazione costituita di immigrati il cui stanziamento coincide con l’insediamento della potenza amministratrice, Gran Bretagna, oltre che per la rivendicazione di uno Stato contiguo, la Spagna. Quest’ultima, alla stregua dell’Argentina, ha sostenuto l’inapplicabilità del principio di autodeterminazione per risolvere una situazione coloniale che trae origine da un atto di forza perpetrato ai suoi danni e di cui beneficiano degli abitanti non autoctoni, che hanno tratto vantaggio da una tipica impresa coloniale. Anche in questo caso, al pari del caso Falkland/Malvinas, troverebbe applicazione la Risoluzione 1514 (XV) determinandone la restituzione allo Stato cui fu sottratta. Per la Gran Bretagna, invece, la popolazione di Gibilterra ha il diritto di decidere del proprio futuro e di scegliere il proprio statuto politico. Per quanto proveniente da altri paesi, il popolo di Gibilterra ha fatto della «Rocca» la sua unica patria e nessuna retrocessione potrà aver luogo senza il suo consenso.

Con le Risoluzioni 2070 (XX) e 2231 (XXI), l’Assemblea Generale si è limitata a raccomandare alla Spagna e alla Gran Bretagna di negoziare al fine di addivenire ad una soluzione sul futuro di Gibilterra, tenendo conto degli interessi degli abitanti. Con la successiva Risoluzione n. 2353 (XXIII), l’Assemblea Generale, però, accolse esplicitamente l’interpretazione spagnola della Risoluzione 1514 e dichiarò il referendum indetto dalla potenza amministratrice, favorevole al mantenimento dello

status quo, contrario a quanto disposto con la Risoluzione 2231.

25

Risoluzione n. 1699 (XVI) del 19 dicembre 1961. Venne adottata dall’Assemblea Generale, con il voto contrario di: Spagna, Portogallo e Sud Africa. La Francia si astenne. La risoluzione è consultabile al sito: http://www.un.org/documents/resga.htm

26 Per un approfondimento sulle vicende di Goa si veda Q. Wright, The Goa incident, in American

Journal of International Law, vol. 56, 1962, pp. 617-632; M. Flory, Les implications juridiques de l’affaire de Goa, in Annuaire français de droit International, vol. 8, n. 1, 1962, p. 476-491. Si veda anche il caso degli stabilimenti francesi in India; in particolare, il caso della città di Chandernagor ceduta all’India con il trattato del 2 febbraio 1951, dopo il risultato favorevole alla retrocessione del referendum popolare tenutosi in data 19 giugno 1949. Sulla vicenda D. Mathy, L’autodétermination de petits territoires, 2ème partie, op. cit., pp. 177-180.

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100 Tuttavia il richiamo dell’Assemblea Generale non sortì nessun effetto ed anzi, nel 2002, venne indetto un nuovo referendum con il quale si chiedeva alla popolazione se era favorevole o contraria alla condivisione della sovranità. Il 98% della popolazione rigettò la proposta formulata.

Hong Kong: la Cina, una volta divenuta membro dell’ONU, chiese e ottenne che della

questione di Hong Kong non se ne occupasse più il Comitato per la decolonizzazione, in quanto la sua sorte avrebbe formato oggetto di un regolamento diretto tra il governo cinese e quello inglese. L’Assemblea Generale, accogliendo la richiesta cinese, escluse che il futuro di Hong Kong potesse essere deciso dai suoi abitanti27.

La sovranità inglese esercitata su Hong Kong trovava fondamento su tutta una serie di trattati stipulati dalla Gran Bretagna con la Cina tra il 1842 e il 189828. Conosciuti con il nome di Trattati Ineguali, questi erano un insieme di convenzioni concluse da alcuni stati dell'Estremo Oriente con le potenze occidentali tra il XIX secolo e i primi anni del XX. Cina e Gran Bretagna siglarono i primi accordi «ineguali» con il Trattato di

Nanchino del 29 agosto 1842, che segnò la fine della prima guerra dell’oppio29. Il secondo trattato, la Convenzione di Pechino o Prima convenzione di Pechino venne

siglata il 18 ottobre 1860. La firma della Convenzione ebbe l'obiettivo di porre fine

27 Sul punto, il Regno Unito, pur riservando la propria posizione sullo status giuridico di Hong Kong, fu d’accordo nel ritenere che non vi era più la necessità della partecipazione del Comitato per la Decolonizzazione.

28

D. Mathy, L’autodétermination de petits territoires revendiqués par des Etats tiers, 1ère partie, op. cit., p. 181 ss.

29 Il Trattato di Nanchino fu il primo di una serie di trattati cosiddetti "ineguali" conclusi dalla Cina con le potenze occidentali nel XIX-XX secolo. Esso pattuì che il commercio nei porti interessati fosse soggetto a tariffe doganali fisse da concordare tra gli inglesi e i governi Qing. Il governo Qing fu obbligato a pagare a quello britannico 6 milioni di dollari d'argento per l'oppio confiscato, 3 milioni in adempimento dei debiti dei mercanti di Canton verso quelli inglesi, 12 milioni di risarcimento danni di guerra. Il totale di 21 milioni di dollari sarebbe stato versato a rate per tre anni, e sugli adempimenti tardivi il governo Qing avrebbe pagato un interesse al tasso del 5% annuo. Inoltre, il governo Qing si impegnò a liberare tutti i prigionieri di guerra britannici e a concedere un'amnistia generale a tutti i sudditi cinesi che avessero cooperato con gli inglesi durante la guerra. Gli inglesi, dal canto loro, si impegnarono a ritirare tutte le truppe da Nanchino e dal Gran Canale, non appena l'imperatore avesse approvato il trattato e la prima rata del credito fosse stata riscossa. Il governo Qing acconsentì infine a cedere in perpetuo alla regina l'isola di Hong Kong, per offrire ai mercanti britannici un porto in cui scaricare le merci. D. Mathy, L’autodétermination de petits territoires revendiqués par des Etats tiers, 1ère partie, op. cit., pp. 181-183; H.S. Glintzer, La Cina Contemporanea: dalle guerre dell’oppio a oggi, Roma, Carocci, 2005, p. 24.

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101 alla seconda guerra dell’oppio30. Il terzo trattato, la Convenzione per l'estensione del

territorio di Hong Kong o Seconda convenzione di Pechino, fu siglata il 9

giugno 1898 a Pechino31.

Nel 1984 i governi di Regno Unito e Repubblica Popolare Cinese firmarono la

Dichiarazione Congiunta che dispose, per il 1° luglio 1997, il trasferimento alla Cina

della sovranità sui territori affittati, insieme all'isola di Hong Kong e al resto della penisola di Kowloon.

Timor Est: per tantissimo tempo dimenticata, all’indomani della decisione del governo

portoghese di concedere l’autodeterminazione ai territori coloniali amministrati, Timor Est divenne teatro di una delle più gravi crisi della decolonizzazione32. Inizialmente portato avanti dal Portogallo, il processo di auto-determinazione venne interrotto

30 La prima guerra dell'oppio, mise a nudo la debolezza militare della Cina e aprendola alla penetrazione commerciale europea, sconvolse gli equilibri sociali su cui si reggeva l'Impero, facendo convergere su di esso le mire espansionistiche di altre potenze. Nel decennio 1850-1860 la Cina si trovò, così, ad affrontare contemporaneamente una gravissima crisi interna, culminata nella rivolta dei Taiping e in un nuovo scontro con la Gran Bretagna. Il conflitto, impropriamente chiamato “Seconda guerra dell'oppio” ebbe inizio nel 1856 e si concluse nel 1860, con una nuova capitolazione della Cina, costretta ad aprire al commercio straniero anche le vie fluviali interne e a stabilire normali rapporti diplomatici con gli Stati occidentali. Il governo imperiale, paralizzato dai contrasti fra le opposte tendenze, fu costretto a sottoscrivere il trattato di Tianjin nel 1858 e quello di Pechino nel 1860. In base al primo trattato la Cina, oltre a dover pagare una indennità più pesante rispetto a quella versata a seguito della prima guerra dell'oppio, dovette aprire altri porti e concedere la libera circolazione sul suo territorio a mercanti e missionari stranieri. Con il trattato di Pechino, le potenze occidentali ottennero esenzioni doganali ed il libero accesso delle loro flotte alla rete fluviale cinese. E inoltre fu consentito di stabilire delle legazioni diplomatiche all'interno della capitale. Si vedano J. A. Robert, Storia della Cina, Bologna, Il Mulino, 2007; M. Sabatini, P. Santangelo, Storia della Cina, Roma, Laterza, 2013; G. Samarani, La Cina del Novecento. Dalla fine dell’Impero ad oggi, Torino, Einaudi, 2008.

31

In base alla convenzione, i territori a nord dell’attuale Boundary Street e a sud del fiume Sham Chun, insieme alle circostanti isole di Hong Kong, erano affittati al Regno Unito per 99 anni. Il contratto di affitto permetteva agli inglesi di avere piena giurisdizione sui recenti acquisti di territorio, necessari ad assicurare una difesa militare adeguata alla colonia insulare.

32 Nel 1586, Timor Est divenne uno dei possedimenti dell’Impero portoghese. Inizialmente gestito dall'esercito e dalla chiesa, venne assoggettato all’amministrazione governativa nel 1702. Nel 1951 divenne provincia d'oltremare e nel 1972, invece, venne inserito nell’elenco dei possedimenti e, successivamente, incluso nella lista dei territori non autonomi di cui alla Risoluzione dell'Assemblea Generale n. 1542 ( XV) del 15 dicembre 1960. Il processo di decolonizzazione è stato molto lento e difficile stante la resistenza del Portogallo a rinunciare ai propri possedimenti. Il punto di svolta si ebbe con la Rivoluzione dei Garofani del 1974, i cui esecutivi riconobbero alle popolazioni d'oltremare il diritto all’indipendenza e all’autodeterminazione. Per una descrizione dettagliata dei fatti si veda J. M. Sorel, Timor Oriental: un résume de l’histoire du droit International, in Revue Generale de Droit International Public, n. 1, 2000, p. 25. Sulla prima decolonizzazione si veda J. F. Guilhaudis, La question de Timor, in Annuaire frainçais de droit international, vol. 23, 1977, pp. 307-324.

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102 nell'agosto 1975, quando le forze filo-indonesiane attaccarono le forze portoghesi presenti sul territorio, costringendoli a lasciare l'isola; ebbe inizio così la guerra civile tra il FRETILIN (Frente Rivolucionária de Timor Leste Independente) e i movimenti pro-indonesiani dell’UDT (Union démocratique di Timor Oriental) e dell’APODETI (Associaçio Popular Democrática de Timor). Il 28 novembre, il FRETILIN proclamò l’indipendenza e la nascita della Repubblica Democratica di Timor Orientale. Il 30 fu la volta dell’UDT e dei suoi alleati (APODETI, XOTA e Partito Trabalhista) che, al pari del Fronte Rivoluzionario, proclamarono l’indipendenza ma finalizzata all’integrazione con l’Indonesia. La proclamazione d'indipendenza del Fronte Rivoluzionario, partito filo-marxista mosse l’Indonesia a invadere Timor Est, dando via libera alle mire annessionistiche di Giacarta, che si concretizzarono il 7 dicembre 1975 con l’occupazione armata del territorio33.

Sia il Consiglio di Sicurezza34 che l’Assemblea Generale35 condannarono l’intervento indonesiano, proclamando il diritto del popolo di Timor Est all’autodeterminazione e alla indipendenza. Solamente a seguito del massacro di Dili36, avvenuto il 12 novembre 1991 dalle truppe indonesiane, le rivendicazioni dell’indipendenza di Timor Est trovarono risonanza internazionale.

33 Alcuni autori non esitarono a condannare l’intervento indonesiano come una forma di “colonialismo Sud-Sud”, di annessione forzata, frutto di un comportamento colonialista da cui scaturì, non soltanto una repressione contro i presunti esponenti del partito comunista, ma anche di gruppi etnici, razziali e religiosi, sfociando in un vero e proprio genocidio. Sugli aspetti giuridici dell’aggressione compiuta dall’Indonesia si veda Z. Mébidoutte, L’annexion en droit international contemporain, in Revue du droit international et des sciences diplomatiques et politiques, Genève, 1986, pp. 37-57. Sul genocidio perpetrato dalle forze militari indonesiane in danno della popolazione di Timor Est si veda L. Burgorgue-Larse, Le génocide ignoré du Timor Oriental, in R. Vitoria, Génocide(s), K. Boustany-D. Dormoy (eds.), Bruxelles, Editions de l’Université de Bruexlles, 1999, pp.213-250; G. Defert, Timor-Est, le génocide oublié: droit d’un peuple et raisons d’etats, Paris, L’Harmattan, 1992.

34 Risoluzione 384 del 22 dicembre 1975; 389 del 22 aprile 1976. Consultabili al sito: http://www.un.org/en/sc/documents/resolutions

35 Tra le tante si vedano Risoluzione 3485 (XXX) del 12 dicembre 1975; 53 (XXXI) del 1 dicembre 1976; 34 (XXXII) del 28 novembre 1977; 39 (XXXIII) del 13 dicembre 1978; 40 (XXXIV) del 21 novembre 1979; 27 (XXXV) 11 novembre 1980; 50 (XXXVI) del 24 novembre 1981. Consultabili al sito: http://www.un.org/documents/resga.htm

36 Il numero delle vittime fu tra le 200.000 e le 300.000 persone, moltissime delle quali sparirono nel nulla senza mai essere più ritrovate. 3L. Burgorgue-Larse, op. cit., p. 236.

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103 Nel 1998 la destituzione dell’inflessibile Suharto accelerò il processo di revisione della posizione di Timor Est e il 30 agosto 1999 si tenne il referendum per l'indipendenza37. Il 4 settembre furono annunciati i risultati della consultazione elettorale: la fazione indipendentista vinse con il 78,5% dei voti. L’annuncio della consultazione fu immediatamente seguito da un’ondata di violenza ad opera delle milizie integraliste. Il governo indonesiano non si dimostrò in grado di affrontare la situazione di grave disordine e rifiutò la proposta d’aiuto proveniente dalla Nazioni Unite. I tumulti cessarono solamente con l’intervento dell’INTERFET (International Force for East

Timor), corpo di spedizione militare sotto comando unificato dell’ONU38.

Il 20 febbraio 2000 l’UNTAET (United Nations Transitional Administration in East

Timor) rilevò l’INRFET con il compito di ripristinare l'ordine nel Paese e della sua

gestione civile, amministrativa e giudiziaria39. Oltre all'assunzione dell'Amministrazione del Paese, vennero istituiti gli Special Panels, delle sessioni apposite della Corte Penale di Dili, per processare i responsabili dei gravi crimini commessi nel 1999 a Timor Est. Il 20 maggio 2002 Timor Est divenne a tutti gli effetti uno stato indipendente e tutte le forze militari e di polizia confluirono nella missione UNMISET (United Nations

Mission of Support to East Timor), il cui compito era di consolidare l’indipendenza del

neonato stato asiatico.

Belize: noto come Honduras Britannico, il 1 gennaio 1964 ottenne dalla Gran Bretagna

l’autonomia di governo, suscitando l’atteggiamento ostile del Guatemala. Già durante il

37

Il 5 maggio 1999 furono siglati degli accordi che definirono le regole dello svolgimento del referendum. Fondamentale fu l’intervento degli Stati Uniti, dell’Australia e delle Nazioni Unite. In particolare, l’Australia finanziò i 2/3 delle operazioni elettorali e inviò un contingente di 3000 uomini per il mantenimento della pace. Per maggiori dettagli sui contributi dei singoli stati nonché sui termini dei citati accordi si veda R. Goy, L’indépendance du Timor oriental, in Annuaire français de droit international, vol. 45, 1999, pp. 216-219.

38

Risoluzione 1264 del 15 settembre 1999 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Consultabile al sito: http://www.un.org/en/sc/documents/resolutions. Per maggiori informazioni sui limiti del mandato conferito dal Consiglio di Sicurezza alla INTERFET, nonché sulla composizione del contingente si veda R. Goy, op. cit., pp. 222-224. Anche l’Italia partecipò alla missione INTERFET, inviando un contingente di 250 paracadutisti e mezzi logistici – militari a sostegno delle forze internazionali.

39 Istituita con la Risoluzione n. 1272 del Consiglio di Sicurezza, il mandato di UNTAET prevedeva: il mantenimento della sicurezza e della legalità; la creazione di una amministrazione efficiente; assistenza allo sviluppo di infrastrutture pubbliche e servizi sociali; il coordinamento della gestione degli aiuti umanitari; supporto nella creazione di un governo locale autonomo; sostegno alla crescita economica secondo un piano di sviluppo sostenibile.

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104 periodo coloniale il territorio del Belize era conteso fra Spagna e Gran Bretagna. Neppure la firma di un trattato fra Gran Bretagna e Guatemala nel 1859 risolse definitivamente la questione e nella Costituzione del guatemalteca del 1945 il Belize venne indicato come area facente parte del territorio del Guatemala. Quando, il 21 settembre 1981, il Belize ottenne l’indipendenza dalla Gran Bretagna, la controversia non era ancora risolta, nonostante il tentativo effettuato qualche mese prima con il trattato trilaterale che aveva visto come protagonisti Gran Bretagna, Belize e Guatemala, denominato Heads of Agreements40. La questione si è trascinata tra alti (instaurazione delle relazioni diplomatiche) e bassi (scontri di frontiera a inizio del 2000), sino al coinvolgimento dell’OSA. Il 14 marzo 2000 le delegazioni dei due paesi si incontrarono presso l’Organizzazione degli Stati Americani al fine di intraprendere una percorso pacifico per giungere al superamento delle divergenze, il c.d. Facilitation

Process41. A seguito di tale intervento, il 7 maggio 2003, fu stipulato un accordo bilaterale tra le parti, l’Agreement to Establish a Transition Process and

Confidence-Building Measures Between Belize and Guatemala42, modificato dall’accordo del 7 maggio 2005 dall’Agreement on a Framework of Negotiation and Confidence Building

Measures between Belize and Guatemala43. A seguito di una raccomandazione del Segretario Generale dell’OSA del maggio 2007, i due paesi un accordo bilaterale con il quale s’impegnavano a sottoporre la questione territoriale alla Corte Internazionale di Giustizia44.

Sahara Occidentale: la vicenda del Sahara occidentale ha inizio con l’emanazione della

Risoluzione n. 66 (I) del 1946 con cui l’Assemblea Generale chiese alla Spagna l'applicazione degli obblighi previsti dall’art. 73, par. e) della Carta in materia di

40 L. Pasquali, Il contributo delle organizzazioni regionali al mantenimento della pace e della sicurezza

internazionale con mezzi non implicanti l’uso della forza, Torino, Giappichelli, 2012, p. 56.

41

Ibidem.

42 Il testo dell’accordo è consultabile all’indirizzo internet: http://www.oas.org/sap/peacefund/belizeandguatemala/Agreement_to_Establish_a_Transition_Process_a nd_Confindence_Building_Measures_Between_Belize_and_Guatemala_-_2003.doc

43 Il Testo dell’arco è consultabile all’indirizzo internet: http://www.oas.org/sap/peacefund/VirtualLibrary/Inter-StateDisputes/Belize

Guatemala/Agreements/AgreementOnFrameworkforNegotiationsConfidence-BuildingMeasures.pdf 44 Si tratta dello Special Agreement between Belize and Gatemala to submit Gautemala’s territorial,

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105 territori non autonomi45. Inizialmente, la Spagna non si conformò alle richieste dell’Assemblea Generale. Questo atteggiamento determinò uno scontro con l’URSS che, non senza opportunismo, minacciò la Spagna di rivolgersi all’apposita commissione dell’Assemblea Generale per richiedere l'inclusione nel processo di decolonizzazione anche delle Isole Canarie, ritenute intoccabili dalla Spagna. La Spagna cedette alla pressione sovietica riconoscendo il Sahara Occidentale come territorio non autonomo ai sensi del Capitolo XI della Carta, impegnandosi a rispettare gli obblighi previsti dall’art. 73 della stessa. Il Sahara Occidentale entrò, così, nell’orbita di applicazione della Risoluzione 1514 (XV). Di tale situazione ne approfittarono Marocco e Mauritania, che ne rivendicarono l’appartenenza ai rispettivi territori46.

Nel 1974, la Spagna, timorosa di possibili ripercussioni sulle Canarie, decise di indire il referendum dopo aver completato il censimento della popolazione. Di fronte a tale annuncio, il Marocco espresse il suo malcontento e mise in atto varie manovre diversive per gettare scompiglio nell’Assemblea Generale. Tra queste, la più rilevante fu il tentativo di investire della questione la Corte Internazionale di Giustizia. Il 13 dicembre 1974 adottò, l’Assemblea Generale con la Risoluzione 3292 (XXIX) accolse la richiesta marocchina47. I quesiti posti alla Corte Internazionale riguardarono: se il territorio del Sahara Occidentale doveva considerarsi al momento della colonizzazione come territorio sul quale non esisteva alcun centro di potere organizzato (res nullius); in caso di risposta negativa, se al momento della colonizzazione sussistevano dei vincoli di sovranità tra il popolo Saharawi e gli Stati limitrofi. Con il parere del 16 ottobre 197548, la Corte statuì che al momento della colonizzazione il Sahara Occidentale non poteva

45 La norma, inserita all’interno del Capitolo XI relativo ai territori non autonomi, stabilisce l’obbligo delle potenze coloniali di informare regolarmente il Segretario Generale delle Nazioni Unite sulle condizioni economiche, sociali ed educative dei territori di cui sono responsabili.

46

Il Marocco, già nel 1956, diede vita ad una campagna di rivendicazioni territoriali, volta a ritrovare l’integrità territoriale del territorio nazionale. Per maggiori approfondimenti si veda M. Floy, La notion du territoire arabe et son application au Sahara, in Annuaire français de droit international, vol. 3, n. 1, 1957, p. 73.

47 La Risoluzione 3292 (XXIX) del 13 dicembre 1974 è consultabile al sito: http://www.un.org/documents/resga.htm

48

Il parere consultivo reso dalla Corte Internazionale di Giustizia è consultabile all’indirizzo: http://www.icj-cij.org/docket/files/61/6195.pdf Per uno studio approfondito del parere consultivo reso dalla Corte internazionale di giustizia si veda M. Flory, L’avis de la Cour Internationale de Justice sur le Sahara occidental, in Annuaire français de droit international, vol. 21, 1975, pp. 253 – 277.

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106 considerarsi come terra nullius, in quanto esisteva già sul territorio un popolo organizzato con un centro di potere, ancorché di tipo non statale. Allo stesso tempo riconobbe, che al momento della colonizzazione non erano presenti vincoli di sovranità tra il popolo Saharawi, né con il Marocco né con il complesso mauritano49.

Il 14 novembre 1975, Spagna, Marocco e Mauritania stipulano i c.d. Accordi di Madrid. La soluzione adottata fu la rinuncia della Spagna ai poteri di potenza mandataria e la creazione di un’autorità congiunta che avrebbe dovuto condurre in collaborazione con la Djemaa, organo rappresentativo del popolo saharawi, alla completa decolonizzazione. In seguito alla conclusione degli Accordi di Madrid, il Fronte Polisario50, nel frattempo costituitosi, dichiarò all’Assemblea Generale di volere intraprendere la lotta armata. Contemporaneamente, si aprì un periodo piuttosto confuso all'interno della stessa Assemblea. Questa, infatti, si spaccò in due correnti: una a sostegno del popolo Saharawi; l’altra favorevole al Marocco51.

Nell’agosto del 1988 si ebbe la svolta: Marocco e Fronte Polisario, grazie all’intervento del Segretario delle Nazioni Unite Javier Perez de Cuéllar raggiunsero un accordo, il

Settlement Plan.

49 Nello specifico, in riferimento al Marocco, la Corte riconobbe l'esistenza di alcuni legami di vassallaggio tra alcune tribù Saharawi e il califfo del Marocco, ma questi non potevano dare luogo a forme di dipendenza sovrana e per di più riguardavano soltanto alcune tribù nomadi e non l’intero popolo Saharawi. In merito al complesso mauritano, non potevano dirsi presenti vincoli di alcun genere dato che le tribù Saharawi erano completamente libere di muoversi attraverso i confini di tale complesso.

50 Il Fronte Polisario, dall'abbreviazione spagnola di Frente Popular de Liberación de Saguía el Hamra y

Río de Oro (Fronte di Liberazione Popolare di Saguia el Hamra e del Río de Oro), è una organizzazione militante e un movimento politico attivo nel Sahara Occidentale al fine di ottenere la realizzazione del diritto all'autodeterminazione. Il movimento venne fondato il 10 maggio 1973 con l'intento di ottenere l'indipendenza del Sahara Occidentale dall'occupazione militare della Spagna, del Marocco e della Mauritania. Il Polisario è il successore del Movimento di Liberazione del Sahara, fondato nel 1967 e represso militarmente dal regime franchista. Sin dalla fondazione, il Polisario organizzò la guerriglia contro le forze di occupazione. A partire dal 1975 il Polisario si stabilì a Tindouf, nell'Algeria occidentale; nello stesso anno, l’Organizzazione delle Nazioni Unite riconobbe il Fronte. Per maggiori approfondimenti si veda il sito: http://www.polisario.es

51

Entrambe riconoscevano il diritto all’autodeterminazione del popolo Saharawi, ma divergevano sulle modalità di attuazione. Secondo i sostenitori del popolo Saharawi, la questione avrebbe dovuto essere gestita dalla Spagna sotto controllo ONU e concludersi con un referendum. Secondo i sostenitori della soluzione marocchina, la situazione avrebbe dovuto essere gestita da Marocco e Mauritania.

(17)

107 Questo conteneva le linee guida per l’attuazione, l’implementazione e lo svolgimento del piano di pace che doveva condurre al referendum per l’autodeterminazione della popolazione saharawi e alla messa in atto dei suoi risultati52.

Nel 1991, con la Risoluzione 690, il Consiglio di Sicurezza diede il via alla missione ONU per il Sahara Occidentale denominata MINURSO53 (Mission des Nations Unies

pour l'Organisation d'un Référendum au Sahara Occidental), il cui compito principale

era di garantire l’ordine pubblico sul territorio e la regolarità del voto54; ma si scontrò immediatamente con un problema che diverrà centrale nella fase successiva, ovvero l’identificazione degli aventi diritto al voto.

Nel mese di dicembre, la situazione si complicò ulteriormente a causa delrapporto del Segretario Generale de Cuéllar. Nel tentativo di portare avanti il processo di identificazione, il Segretario Generale accolse una serie di misure che assecondavano particolarmente il Marocco, contravvenendo a quanto disposto nella Risoluzione 69055. Ciò suscitò il malcontento del Fronte Polisario, che lo ritenne eccessivamente favorevole al Marocco. Anche nell’ambito delle Nazioni Unite, il rapporto fu fortemente criticato.

52 Il Consiglio di Sicurezza approvò i punti contenuti nel Setllement Plan attraverso la Risoluzione 621 del 20 settembre 1988, che istituì ufficialmente la figura del Rappresentante Speciale per il Sahara Occidentale quale unica autorità responsabile per le questioni riguardanti l’attuazione del piano di pace e richiedeva, altresì, al Segretario Generale la redazione di Rapporti periodici informativi sullo svolgimento dello stesso. La risoluzione è consultabile al sito internet: http://www.un.org/en/sc/documents/resolutions 53 Per un approfondimento della missione MINURSO si veda V. Y. Ghebali, Le développement des

opérations de maintien de la paix depuis la fin de la guerre froide, in Trimestre du Monde, n. 4, 1992, pp. 87 – 97.

54 La Risoluzione 690 del 29 aprile 1991 è consultabile al sito internet: http://www.un.org/en/sc/documents/resolutions In merito al referendum si vedano le opere di A. Pazzanita, The proposed referendum in the western Sahara: background, developments and prospects, in Y. Zoubir, D. Volman (eds.), International dimensions of the Western Sahara conflict, Westport, Praeger, 1993, pp. 187 – 225; W. Durch, Building on sand: UN peacekeeping in the Western Sahara, in International Security, vol. 17, n. 4, 1993, pp. 151 – 171.

55 Furono aggiunti nuovi criteri di identificazione al Settlement Plan. In particolare, l’accento venne posto sull’appartenenza tribale, non prevista quale parametro di inclusione nella lista dei votanti nel piano del 1988; questa sarebbe stata determinata non in base allo jus sanguinis, ma sullo jus soli: l’avente diritto al voto doveva cioè avere una relazione con il territorio in cui la popolazione aveva vissuto. G. Laschi, op. cit., p. 65.

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108 Il 31 dicembre, con la Risoluzione 725, il Consiglio di Sicurezza prese atto della proposta del Segretario Generale, ma non la adottò perché troppo sbilanciata a favore del Marocco56.

Il processo si rivitalizzò sotto il mandato di Kofi Annan che nominò James Baker III Inviato Speciale per il Sahara Occidentale57.

Baker si rese immediatamente che l’unica via che avrebbe potuto concretamente portare alla ripresa del piano di pace era quella di avvia dei colloqui diretti tra le parti, sotto l’egida dell’ONU. Questa decisione condusse a una serie di incontri che consentirono di giungere ad un compromesso che prevedeva l'estensione dei criteri di identificazione, accompagnati da un maggiore rigore nel loro accertamento58.

In un secondo momento, Baker presentò una nuova proposta, la c.d. «terza via», con la quale si suggerì al popolo Saharawi di accettare una forma di ampia autonomia sotto l’autorità marocchina, rinunciando a pronunciarsi sulla possibilità dell’indipendenza. La proposta fu respinta. Successivamente, Baker ritornò sulla possibilità del referendum, suggerendo una «fase di preparazione» in vista del referendum e un ampliamento delle liste elettorali. Malgrado l’intenso lavoro e le varie soluzioni formulate da Baker, non si ottennero i risultati sperati e questi rassegnò le dimissioni nel 2004.

La situazione attuale si caratterizza per un sostanziale silenzio della Comunità internazionale59.

6.4 Prospettive di risoluzione pacifica della controversia

Nel corso degli anni, dottrina e giurisprudenza hanno cercato di addivenire a possibili forme di soluzione del contenzioso. La soluzione ottimale della controversia non può

56

La Risoluzione 725 del 31 dicembre 1991 è consultabile al sito internet: http://www.un.org/en/sc/documents/resolutions

57 La figura dell’inviato personale sarebbe convissuta con quella, già presente, del Rappresentante Speciale, all’epoca Erik Jensen. Mentre al Rappresentante Speciale sarebbe stato affidato un compito più tecnico di gestione della MINURSO, la figura dell’inviato Speciale avrebbe avuto il compito di gestire il dossier politico. G. Laschi, op. cit., p. 73.

58

I quattro incontri diretti: 23 giugno 1997 Lisbona; 19 – 20 luglio Londra; 29 – 30 agosto Lisbona ed infine 14 – 16 settembre Houston, Texas.

59 La citata missione MINURSO è stata prolungata più volte dal Consiglio di Sicurezza, l'ultima con la Risoluzione 2099 del 25 aprile 2013, che l’ha protratta fino al 30 aprile 2014.

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109 che passare attraverso la ricerca di un compromesso «flessibile» tra le parti. Compromesso che tenga conto delle ragioni e degli interessi dei due paesi, oltre che della comunità delle isole. A tal fine, sono state formulate varie ipotesi.

Amministrazione internazionale: secondo questa formula, l’arcipelago potrebbe essere

assoggettato, previa stipulazione di un trattato anglo-argentino, ad un regime di governo internazionale facente capo all’Organizzazione della Nazioni Unite.

Il governo delle isole spetterebbe ad un rappresentante del Segretario Generale delle Nazioni Unite, responsabile nei confronti dell’Assemblea Generale e coadiuvato, secondo uno schema di compartecipazione di poteri da determinare nel trattato, da rappresentanti sia della popolazione locale sia dell’Argentina60. Restando nell’ambito dell’amministrazione internazionale, ma evitando di ricorrere all’intervento delle Nazioni Unite, un’altra ipotesi potrebbe essere l’istituzione di un gruppo di Stati, comprendenti sia quelli direttamente interessati che non, disposti ad assumersi l’amministrazione delle isole. L’esecutivo sarebbe istituto nel quadro di un trattato ad

hoc al quale, oltre all’Argentina e alla Gran Bretagna, parteciperebbe un ristretto gruppo

di stati interessati alla stabilità della regione61. Un’assemblea composta dai rappresentanti di tutti i paesi contraenti, nonché da rappresentanze della popolazione, avrebbe svolto la funzione legislativa; la funzione esecutiva, invece, sarebbe stata svolta da un organo monocratico eletto dall’Assemblea oppure da un organo collegiale composto dai rappresentati degli Stati contraenti62.

Codominio Internazionale: il regime del codominio internazionale presuppone una

perfetta divisione di potestà di governo tra Argentina e Gran Bretagna. In particolare,

60 I modelli cui si fece riferimento furono: l’amministrazione del territorio della Saar, dopo la prima guerra mondiale; l’amministrazione dell’ONU della Papua Occidentale (Irian Occidentale) dopo la seconda guerra mondiale. Sull’amministrazione della Saar si vedano gli artt. 45-50 del Tratto di Versailles., in C. A. Colliard, Droit international et histoire diplomatique, Paris, Editions Domat Monchrestien, 1950, p. 320 ss. Sull’amministrazione della Papua Occidentale si veda l’accordo tra Indonesia e Olanda del 15 agosto 1962, in Oriente Moderno, agosto-settembre 1962, n. 8-9, pp. 609-612. 61 Il precedente richiamato è quello della zona di Tangeri, istituita con la convenzione di Parigi del 1923 tra Gran Bretagna, Francia, Spagna. L’Italia vi aderì con la convenzione n. 2028 del 25 agosto luglio 1928, poi convertito in L. 24 dicembre 1928 n. 3501. Il regime di Tangeri fu abolito nel 1966, divenendo parte integrante del territorio Marocco. G. F. Martens, Nouveau recueil général de traités et autres actes relatifs aux rapports de droit international, Troisième Série, Vol. XIII, pp. 246-283.

62 B. Conforti, F. Francioni, Prospettive di risoluzione pacifica della questione, in N. Ronzitti, op. cit., p. 424-425.

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110 per quanto riguardava i rapporti di diritto privato ed ogni altro materia riconducibile a statuti di tipo personale, gli abitanti delle isole, sia di origine britannica che di nazionalità argentina, avrebbero il diritto/dovere di optare per il regime di common law facente capo alla Gran Bretagna, oppure per la legge e la giurisdizione argentina. Per quanto riguarda, invece, le materie che richiedono necessariamente l’applicazione di un regime unitario, ad esempio l’ordine pubblico, sarebbe necessaria la creazione di organi unici a rappresentanza paritaria63.

Locazione internazionale: originariamente utilizzato quale strumento di penetrazione

coloniale (concessioni in affitto in Cina agli inizi del XX secolo) lo strumento in questione permetterebbe, nella fase transitoria, il riconoscimento di un nudum ius dell’Argentina congiuntamente alla legittimità dell’effettivo esercizio di poteri di governo da parte britannica. Il rapporto di locazione sarebbe caratterizzato, da un lato, dall’obbligo dell’Argentina di non intralciare l’esercizio del potere di governo da parte britannica; dall’altro, la Gran Bretagna eserciterebbe tale potere in modo da non

pregiudicare il trasferimento del territorio all’Argentina alla scadenza fissata. Il nodo più delicato da sciogliere sarebbe quello della durata. Scartata l’applicazione

delle disposizioni delle concessioni in affitto di epoca coloniale di durata indeterminata, si potrebbe optare per i tempi previsti per le amministrazioni fiduciarie. In particolare, gli studiosi avrebbero pensato a quello assegnato dalla Nazioni Unite all’amministrazione fiduciaria italiana sulla Somalia, che non superò i dieci anni64.

Riconoscimento della sovranità argentina con applicazione del regime di protezione delle minoranze: la soluzione proposta mira a tutelare gli interessi degli isolani,

riconoscendo loro un trattamento particolare derivante dal loro status. Invero, gli

63 I modelli cui si fa riferimento sono quelli sperimentati nel caso del codominio anglo-francese sulle Nuove Ebridi. Per maggiori approfondimenti H. Benoist, Le Condominium des Nouvelles-Hébrides et la société mélanésienne, Paris, Éditions A. Pedone, 1972.

64

Fra gli obblighi a carico della potenza amministratrice vi era quello di non procedere ad ulteriori installazioni militari sulle isole, di non concedere basi militari o parti del territorio per uso militare ad altre potenze e, comunque, di non svolgere attività militari nell’arcipelago che fossero andate al di là delle mere esigenze di difesa e di sicurezza. N. Ronzitti, op. cit., pp. 426-427. Per un esame approfondito della prassi internazionale in materia di locazione e cessione in affitto si veda, J. Verzijl, International law in historical perspective, Leyden, Sijthoff, Vol. 3, p. 397 ss. Sull’amministrazione fiduciaria italiana in Somalia si veda A. Morone, L’Onu e l’Amministrazione fiduciaria italiana in Somalia. Dall’idea all’istituzione del trusteeship, in Italia Contemporanea, n. 242, marzo 2006. Si può consultare e scaricare gratuitamente il saggio, collegandosi al sito: http://www.italia-liberazione.it

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111 abitanti delle isole Falkland/Malvinas sono cittadini britannici, una «minoranza» stabilitasi su un territorio conteso. Nello specifico, il modello giuridico da applicare sarebbe simile allo statuto disposto dalla Società delle Nazioni per le isole Åland, isole finlandesi con popolazione svedese65.

Indagine internazionale: altra soluzione potrebbe essere l’indagine internazionale.

Questa prevede l’istituzione di una «Commissione d'inchiesta» il cui compito sarebbe quello di esaminare gli eventi che hanno generato l’insorgere della controversia al fine di addivenire ad una loro soluzione. Tale Commissione, composta da rappresentanti di vari paesi, comprendenti sia quelli direttamente interessati sia altri disposti ad assumersi responsabilità di governo, a termine dell’indagine dovrebbe stilare una relazione. A tal proposito si richiama la Risoluzione n. 2329 (XXII) del 18 dicembre 1967 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con la quale, al momento di scegliere mezzi per la soluzione pacifica delle controversie, si invitano le parti di valutare la possibilità di affidare la verifica dei fatti ad organismi internazionali istituiti ad hoc66.

Arbitrato internazionale: Tale soluzione è stata avanzata la prima volta dall’Argentina

nel 1884. Negli anni seguenti l’Argentina avanzò altre richieste di arbitrato internazionale alla Gran Bretagna, ma senza ottenere nessun risultato apprezzabile. L’ultima richiesta è stata avanzata il 4 gennaio 1993 durante la presidenza di Carlos Menem ed è stata respinta dalla Gran Bretagna in quanto ritenuta non appropriata al caso delle isole Falkland/Malvinas. Tuttavia, in due diversi occasioni, la Gran Bretagna ha accolto la proposta di arbitrato internazionale avanzata dall’Argentina. Nello specifico, trattasi delle controversie concernenti la Convenzione sull’Interscambio

65 Il 27 febbraio 1919, nel corso di una riunione dei Ministri degli Esteri delle Potenze Alleate ed

Associate, svoltasi nell'ambito della Conferenza della pace di Parigi, il Delegato statunitense, White, comunicava di aver ricevuto una Delegazione delle isole Åland. I componenti della Delegazione avevano dichiarato che la popolazione delle isole, appellandosi al principio dell’autodeterminazione dei popoli, chiedeva, a sua volta, il distacco dalla Finlandia e l'annessione alla Svezia. Avendo però la Conferenza della pace dichiarato la propria incompetenza in ordine alla questione, il 19 giugno 1920 il Ministro degli Esteri britannico, Curzon, investiva della questione il Consiglio della Società delle Nazioni, sulla base dell'art. 11 del Patto. Con risoluzione del 24 giugno 1921, il Consiglio della Società delle Nazioni attribuiva la sovranità delle isole Åland alla Finlandia e stabiliva contestualmente che gli Stati interessati avrebbero successivamente concluso due convenzioni, intese l’una a sancire alcune garanzie a favore della popolazione delle isole, e l'altra ad assicurare la neutralizzazione dell'arcipelago. A tale scopo, la Società delle Nazioni promuoveva la Conferenza internazionale sulla non fortificazione e sulla neutralizzazione delle isole Åland, convocata a Ginevra nell'ottobre del 1921.

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commerciale del 1 maggio 1933 (Trattato Roca-Runciman) e la Convezione sull’Interscambio commerciale del 1 novembre 193667.

Sul ricorso allo strumento dell’arbitrato internazionale, la dottrina ha espresso seri dubbi circa la sua applicabilità al caso delle Falkland/Malvinas. Proprio la natura dell’arbitrato comporterebbe, a seguito dell’applicazione del diritto, inevitabilmente ad una decisione che per forza di cose finirebbe col sacrificare gli interessi di una parte rispetto all’altra68.

Corte Internazionale di Giustizia: conosciuta anche come Corte Mondiale, la Corte

Internazionale di Giustizia è il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite. Fondata nel 1945 le sue funzioni principali sono: dirimere le dispute fra Stati membri delle Nazioni Unite che hanno accettato la sua giurisdizione; offrire pareri consultivi non vincolanti su questioni legali avanzate dall’Assemblea Generale, dal Consiglio di Sicurezza o dagli istituti specializzati delle Nazioni Unite. La Corte è composta da quindici giudici di nazionalità diversa eletti dall'Assemblea Generale e dal Consiglio di Sicurezza. Questi non sono rappresentanti dei loro paesi, ma siedono a titolo personale e non devono farsi condizionare dalle autorità dello Stato di cui sono cittadini. Alcuni studiosi ritengono che la Corte Internazionale di Giustizia sia l’organo ideale per dirimere la controversia anglo-argentina. Il giudice internazionale, grazie alla sua imparzialità sarebbe anche in grado di aprire la strada a negoziati diretti e immuni da condizionamenti statali sovranità, finalizzati alla ricerca di alternative accettabili per entrambe le parti69. Anche in questo caso, tuttavia, parte di dottrina ritiene non perseguibile la via del ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia in quanto, a seguito dell’emanazione della sentenza, gli interessi di una parte soccomberebbero in favore dell’altra70.

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Sui precedenti casi di arbitrato internazionale accorsi tra Argentina e Gran Bretagna si veda E. Ferrer Veyra, Cuestión Malvinas: Algunos Antecedentes sobre su Arbitraje, in Anuario Argentino de Derecho International, Cordoba, Asociacion Argetina de Derecho International, Vol. V (1992-1993), 1993.

68 B. Conforti, F. Francioni, op. cit., p. 423.

69 Il precedente richiamato è quello della Penisola di Bakassi, contesa da Camerun e Nigeria. Il 10 ottobre 2002, dopo un lungo ed articolato dibattimento, la Corte Internazionale di Giustizia con la sentenza n. 852/2002 riconobbe la sovranità al Cameron. Per una disamina approfondita delle rivendicazioni giuridiche sostenuti da ambo le parti, nonché delle motivazioni poste a fondamento della decisione della Corte si rinvia alla sentenza integrale, consultabile al sito: http://www.icj-cij.org/docket/files/94/7453.pdf 70 B. Conforti, F. Francioni, op. cit., p. 427.

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