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CAPITOLO I La tomografia ad emissione di positroni e modelli compartimentali

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CAPITOLO I

La tomografia ad emissione di positroni e modelli compartimentali

La PET, ossia la tomografia a emissione di positroni, è una tecnica di medicina nucleare utilizzata per la diagnostica medica e per la ricerca. Lo scopo principale del suo impiego consiste nella produzione di bioimmagini prevalentemente in ambito oncologico, ma anche per ricerche in ambito cardiologico e neurologico. Con la tecnica PET si ottengono mappe quantitative dei processi funzionali all'interno del corpo umano.

Il modello compartimentale di un sistema biologico è definito sulla base di compartimenti e mediante connessioni che mettono i compartimenti in relazione funzionale tra loro. I compartimenti possono rappresentare regioni anatomiche, o come spesso accade costituenti chimici del sistema biologico.

1.1

PET

1.1.1 Principio di funzionamento

La tecnica PET prevede l’uso di un isotopo tracciante con breve tempo di vita, legato ad una molecola metabolicamente attiva; l’assimilazione da parte corpo, comporta una concentrazione maggiore nelle zone caratterizzate da un metabolismo più accelerato.

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Per tracciante PET si intende un composto ottenuto legando molecole rese radioattive tramite l’aggiunta di isotopi ad altre molecole o substrati biologici di interesse clinico perché coinvolti in processi fisiologici quali ad esempio flusso sanguigno, metabolismo o legame con recettori specifici.

Le caratteristiche principali richieste agli isotopi per traccianti PET sono:

emivita totale adatta alla durata dell’esame, per ottenere una buona rilevazione dell’attività ed un buon rapporto segnale rumore;

decadimento per emissione positronica;

caratteristiche tali da non perturbare il sistema da analizzare e ridurre il rischio da radiazioni.

Gli isotopi sono prodotti da un acceleratore di particelle ad anello (ciclotrone) mediante il bombardamento di particolari substrati ad opera di fasci di particelle; essi emettono positroni, i quali, dopo un percorso di pochi millimetri in cui perdono energia cinetica, annichiliscono con un elettrone presente nella materia, dando luogo alla formazione di una coppia di fotoni γ da 511Kev. Tali fotoni sono rivelati da una serie di cristalli scintillatori disposti su anelli coassiali separati da setti di piombo o tungsteno.

L’idea è pertanto quella di individuare la linea che unisce i due punti dei cristalli di rilevamento in cui si ha la misura del passaggio del fotone, detta LOR (Line Of Response), ricostruendo così la direzione di emissione dei fotoni contenente il punto di annichilazione. Per fare ciò viene applicata la collimazione elettronica che, sfruttando il cosiddetto circuito di coincidenza, riconosce come coincidenti due eventi di rivelazione solo se la registrazione dei fotoni incidenti avviene in una finestra temporale limitata.

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I rivelatori possono essere piccoli, con un cristallo piccolo e un unico fotomoltiplicatore, o più grandi, con un cristallo molto grande e più fotomoltiplicatori: questi ultimi rivelatori sono detti gamma camere.

Gli eventi di decadimento durante una scansione vengono registrati, sommati ed elaborati con algoritmi di tomografia per ricostruire un’immagine della distribuzione spaziale del tracciante.

1.1.2 Strumentazione

Complessivamente, un rivelatore usato in PET, seguendo il percorso di conversione dei raggi γ, è composto da:

un collimatore;

un cristallo scintillatore, che converte la radiazione γ ricevuta in luce visibile;

una serie di tubi fotomoltiplicatori (PMT), all’interno dei quali avviene la conversione luce visibile-segnale elettrico;

l’apparecchiatura elettronica di elaborazione e visualizzazione.

Il collimatore è un dispositivo costituito da un materiale altamente assorbente come il piombo, che seleziona i raggi gamma lungo una particolare direzione.

Un cristallo scintillatore produce fotoni luminosi, quando un raggio gamma interagisce con particelle cariche con il singolo cristallo di ioduro di sodio di cui è composto. Uno o più tubi fotomoltiplicatori che sono otticamente accoppiati al cristallo, rilevano questi lampi di luce.

Un fotomoltiplicatore è costituito da:

Un fotocatodo.

Un sistema di focalizzazione e accelerazione (gestito dal sistema elettroottico d’ingresso). Uno stadio moltiplicatore di corrente costituito da elettrodi (dinodi) che utilizza il fenomeno dell’emissione secondaria di elettroni.

Un anodo.

Un fotocatodo consiste di un film sensibile alla luce (strato emittente) e di uno strato di supporto, sul quale il film emittente è depositato. L’emissione di elettroni da parte del catodo avviene per

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effetto fotoelettrico. Quando i fotoni colpiscono una sostanza cedono agli elettroni in essa contenuti tutta o parte della loro energia, provocando la liberazione di alcuni di essi.

Un sistema di focalizzazione e accelerazione è costituito da diversi elettrodi, per esempio un elettrodo di accelerazione ed uno di focalizzazione, eventualmente collegati, il cui compito è quello di dirigere i fotoelettroni sul primo dinodo (il primo elettrodo dello stadio di moltiplicazione). Infatti, gli elettrodi generano una determinata distribuzione di linee equipotenziali: poiché le forze agenti sugli elettroni sono perpendicolari alle linee equipotenziali, la disposizione degli elettrodi consente di controllare la traiettoria degli elettroni in modo da farli dirigere sul primo dinodo. Il moltiplicatore consiste in una serie di elettrodi (dinodi). Esiste un certo numero di diverse configurazioni dei dinodi, ma la più usata è detta a cascat lineare. Questa presenta una serie di vantaggi: il potenziale aumenta gradualmente, evitando così campi intensi che produrrebbero un aumento della corrente di oscurità, l’isolamento tra catodo ed anodo è molto buono, si ha un’ottima utilizzazione dello spazio disponibile per un tubo di un dato diametro, è semplice aumentare il numero di dinodi.

Il principio che si sfrutta per ottenere l’amplificazione è il fenomeno dell’emissione secondaria per il quale, sotto particolari condizioni, il dinodo colpito da un elettrone incidente genera un certo numero di elettroni (elettroni secondari). In realtà, ogni elettrone che colpisce un dinodo non produce in genere lo stesso numero di elettroni secondari poiché il fattore di emissione secondaria δ (definito come: numero di elettroni secondari/numero di elettroni incidenti) dipende dalla velocità e dall’angolo d’incidenza degli elettroni incidenti.

È un elettrodo posto alla fine del sistema di moltiplicazione ed è collegato al catodo tramite la tensione di alimentazione (Vb). Il suo compito è quello di raccogliere la corrente amplificata dal

sistema di moltiplicazione e presentarla all’uscita del tubo fotomoltiplicatore.

I due fotoni sono rivelati all’interno di una finestra temporale dell’ordine di una decina di nanosecondi e lungo una linea retta che collega il centro di due rivelatori opposti, chiamata linea di risposta (LoR).

In un sistema di rivelazione ad anello completo, i dati sono raccolti simultaneamente da tutte le coppie di rivelatori, senza necessità di rotazione degli stessi. Nei primi scanner PET i rivelatori

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coprivano solo parzialmente l’anello, rendendo necessaria la rotazione intorno al paziente con incrementi angolari. L’acquisizione di eventi in coincidenza richiede in primo luogo l’identificazione della singola coppia di rivelatori per ogni evento in coincidenza, il superamento della soglia energetica impostata per la coppia di fotoni e infine la localizzazione spaziale in coordinate polari dell’evento per la sua memorizzazione. I tipici rivelatori organizzati in blocchi di ortogermanato di bismuto (BGO), ortosilicato di lutezio (LSO) o ortosilicato di gadolinio (GSO),

sono accoppiati a 4 fotomoltiplicatori. Ogni rivelatore è collegato in coincidenza con un massimo di N/2 rivelatori disposti sul tratto di anello opposto al rivelatore considerato. In questo modo un evento in coincidenza temporale e sopra la soglia energetica può essere localizzato spazialmente. Gli impulsi prodotti dai fotomoltiplicatori sono utilizzati per identificare i rivelatori coinvolti nell’evento. Come nelle classiche gamma camere, la posizione dell’evento all’interno del singolo rivelatore è localizzata utilizzando il differente impulso prodotto dai quattro fotomoltiplicatori associati al singolo rivelatore integrato in un blocco e determinato dal punto di incidenza del fotone. L’ultimo passo nell’acquisizione dei dati è la memorizzazione dei conteggi associati a ogni cristallo. In modo analogo alle immagini planari SPECT, dove i conteggi sono organizzati in una matrice che rappresenta le coordinate X e Y, gli eventi in coincidenza associati alle acquisizioni PET sono raccolti in matrici chiamate sinogrammi. Ogni evento in coincidenza selezionato e memorizzato, aumenta di una unità il valore all’interno del singolo bin di coordinate (r, ϑ) appartenente al sinogramma.

1.1.3 Formazione immagine

I dati ottenuti consistono in una serie di eventi di coincidenza ciascuno dei quali contiene informazioni sulla linea di volo e sull’energia rilasciata in ogni iterazione. Ogni linea di volo rappresenta una linea che collega i punti di iterazione e lungo la quale si suppone essere avvenuta l’emissione.

Queste linee di volo sono memorizzati in immagini di proiezione dette sinogrammi. Una volta che sono state effettuate tutte le necessarie procedure di correzione dei dati (correzione per coincidenze accidentali, per scattering, per il tempo morto del rivelatore e per attenuazione), il sinogramma può essere utilizzato per la ricostruzione delle immagini. I sinogrammi sui i quali applicare algoritmo di ricostruzione possono essere di tre tipi, a seconda della modalità con la quale sono stati acquisiti.

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Nella modalità 2D gli eventi sono rivelati sui singoli piani, separati tra loro dai setti; quindi l’immagine ricostruita sarà rappresentata da una “fetta” senza spessore.

Nella modalità 3D Muti-slice l’immagine tridimensionale viene formata dalla sovrapposizione delle varie immagini planari. Invece, nella modalità 3D volumetrica si acquisiscono data 3D, considerando cioè le emissioni di radiazioni in tutte le direzioni; in questo caso, l’immagine che si ottiene è la rappresentazione di un volume, le singole fette hanno un certo spessore e i pixel sono sostituiti dai voxel.

L’obiettivo della ricostruzione è il recupero della distribuzione del radiofarmaco partendo dal sinogramma. Il principio di ricostruzione delle immagini è analogo per le acquisizioni effettuate in 2D e 3D, salvo che in quest’ultima configurazione è molto più complicato. Per semplicità verrà trattata la sola ricostruzione bidimensionale. La teoria delle ricostruzioni delle immagini partendo dalle rispettive proiezioni, è stata sviluppata nel 1917 da Radon, che dimostrò la possibilità di ricostruire immagini tridimensionali partendo da una serie angolare completa di proiezioni bidimensionali. In generale gli algoritmi di ricostruzione delle immagini si classificano in Fourier-Based (FB) e Iterative-based (EM).

La ricostruzione della sezione tomografica a partire dai dati rivelati è, dal punto di vista matematico, un problema inverso. Esso viene attualmente risolto, nella tomografia emissiva, o adottando la tecnica tradizionale, basata sula retroproiezione filtrata, oppure adottando una delle tecniche iterative disponibili (metodi iterativi), dove in generale si assume che i pixel dell'immagine da ricostruire siano un insieme di incognite il cui valore calcolato con procedure ad approssimazioni successive per via di equazioni algebriche in termini di valori derivati dalle proiezioni.

La tecnica predominante usata oggi nella ricostruzione di dati tomografici è la Retroproiezione Filtrata (FBP). L' FBP è in grado di rimuovere gli artefatti a stella e di migliorare la qualità di immagine complessiva mediante convoluzione di ogni proiezione individuale con un filtro ad hoc prima della retroproiezione. Il filtro ha la forma di una rampa (filtro a Rampa) nello spazio di Fourier (dove i dati sono rappresentati come la somma di una serie di curve sinusoidali con differenti frequenze), che è applicata per semplice moltiplicazione.

In definitiva, la modalità di ricostruzione tramite l’algoritmo FBP richiede il calcolo della trasformata di Fourier per ogni linea di proiezione, la convoluzione della risultante con la funzione di filtraggio, il calcolo dell’antitrasformata di Fourier e la retroproiezione in matrice. L’applicazione del filtro a rampa determina, in corrispondenza delle alte frequenze e in concomitanza di acquisizioni a basso campionamento angolare e bassi conteggi, il dominio del rumore, compromettendo quindi la bontà clinica della ricostruzione. Per il miglioramento della qualità dell’immagine clinica, è dunque necessario limitare l’informazione associata alle alte frequenze,

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ottenibile applicando un low pass filter (ad esempio Hann, Hanning, Butterworth), che smussa il profilo della funzione a rampa. Sfortunatamente, l’attenuazione delle alte frequenze degrada la risoluzione spaziale delle immagini ricostruite. Quindi se da un lato si ha un’immagine meno rumorosa con netto aumento del rapporto segnale rumore, dall’altro si crea un taglio delle alte frequenze che agisce come uno smoothing dei dati, peggiorandone l’accuratezza di ricostruzione. L’immagine tomografica può anche essere ricostruita mediante metodi statistici iterativi. Alternativamente all’utilizzo di un metodo di ricostruzione analitico delle immagini, basato sulla distribuzione di radiofarmaco localizzato nelle rispettive proiezioni, la metodologia iterativa stima una serie di immagini di distribuzione di radioattività e ne compara le rispettive proiezioni con quelle realmente acquisite, raffinando iterativamente le prime fintanto che la corrispondenza non è soddisfacente. In generale si può dire che questo approccio è migliorativo rispetto alla FBP, in quanto permette di modulare le fluttuazioni statistiche associate al rumore, sia sulle immagini ricostruite come avviene per la FBP, ma anche sui dati in ingresso e in altre modalità.

Inoltre, nei modelli di stima possono essere introdotte informazioni a priori dell’oggetto, come ad esempio le acquisizioni CT, per altro incorporate nelle moderne PET, che definiscono la morfologia anatomica con un’alta risoluzione spaziale, permettendo di migliorare e affinare il processo di ricostruzione.

Le fasi associate alla ricostruzione iterativa possono essere schematizzate nei seguenti punti:

Trovare un set di valori iniziali che identifichino l’oggetto;

Quantificare quanto le proiezioni associate alla stima dell’oggetto corrispondano o differiscano dalle proiezioni acquisite;

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Viene dunque utilizzato un algoritmo per valutare le differenze tra le proiezioni dell’oggetto stimato e quello acquisito e un algoritmo che effettua la nuova stima sulla base delle differenze.

1.1.4 Artefatti

Le immagini PET sono affette da un elevato rumore, ovvero da un basso rapporto segnale-rumore, che si ripercuote sulla qualità delle curve tempo-attività e di conseguenza anche sulla stima dei parametri cinetici del modello compartimentale, che saranno caratterizzati da un’elevata varianza, data appunto dalla presenza del rumore.

Gli artefatti di un’immagine PET sono causati da diversi motivi:

Scatter Compton: un processo di diffusione Compton si ha quando un fotone emesso dal processo di annichilazione, viene deflesso e cambia la sua direzione. I fotoni deflessi, a causa della bassa risoluzione energetica, non possono essere distinti dal sistema di acquisizione e, pertanto, saranno conteggiati e parteciperanno alla formazione dell’immagine senza aggiungere alcuna informazione, ma degradando il contrasto dell’immagine. Dal punto di vista delle curve tempo-attività, in quell’istante temporale si avrà una sovrastima dell’attività, poiché il segnale generato dai fotoni scatterati si sovrappone al segnale vero.

Effetto volume parziale: l’accuratezza del processo di formazione dell’immagine PET è influenzata dalla limitata risoluzione spaziale, che si ripercuote sulla misurazione della concentrazione del radiotracciante. Un’immagine emissiva permette un’accurata quantificazione della concentrazione di attività di una sorgente con dimensioni pari o superiori al doppio della risoluzione spaziale del sistema misurata in termini della sua FWHM (full width half maximum).

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A causa della bassa risoluzione spaziale i conteggi vengono sparpagliati su un volume maggiore delle reali dimensioni fisiche della sorgente e l’immagine non riflette la reale concentrazione di attività della sorgente

parziale, che comporta una diminuzione dell’inte

dei tessuti adiacenti. Quindi a causa degli effetti di volume parziale, la concentrazione di radioattività di una determinata struttura emissiva viene a

dimensioni che in base alla distribuzione di radioattività nel

Percorso positroni: il positrone emesso prima di annichilirsi con un elettrone della materia si allontana dal punto di emissione effe

dove avviene l’annichilazione, individuato dal sistema, non coincide esattamente col punto di emissione.

Attenuazione: un fotone che attraversa la materia è soggetto al fenomeno dell’attenuazione. L’attenuazione riduce il numero di fotoni di annichilazione che raggiungono il sistema di rivelazione e quindi di conteggi.

mezzo attraversato dipende dalla densità e dal numero atomi

se le proprietà del materiale con cui il fotone interagisce fossero note, il numero di eventi per ogni linea di risposta potrebbe essere facilmente corretto per l’effetto dell’attenuazione. Il fotone di annichilazione attraversa generalmente div

mezzi e la loro posizione reciproca non sono mai note a priori con sufficiente precisione. Il fenomeno dell’attenuazione può costituire una fonte di degrado per le immagini emissive dal punto di vista sia qualitati

Movimento del paziente: durante l’acquisizione delle immagini, il paziente può effettuare piccoli movimenti, come per esempio lo spostamento della gabbia toracica a causa della respirazione.

Algoritmo di ricostruzione utilizzato

A causa della bassa risoluzione spaziale i conteggi vengono sparpagliati su un volume maggiore delle reali dimensioni fisiche della sorgente e l’immagine non riflette la reale concentrazione di attività della sorgente stessa. Tale effetto è noto come effet

comporta una diminuzione dell’intensità di segnale dei tessuti e un’interazione dei tessuti adiacenti. Quindi a causa degli effetti di volume parziale, la concentrazione di radioattività di una determinata struttura emissiva viene alterata sia in base alle sue dimensioni che in base alla distribuzione di radioattività nelle regioni ad essa circostanti. Percorso positroni: il positrone emesso prima di annichilirsi con un elettrone della materia si allontana dal punto di emissione effettuando un certo percorso; di conseguenza, il luogo dove avviene l’annichilazione, individuato dal sistema, non coincide esattamente col punto

Attenuazione: un fotone che attraversa la materia è soggetto al fenomeno dell’attenuazione. uazione riduce il numero di fotoni di annichilazione che raggiungono il sistema di e quindi di conteggi. L’attenuazione di un fotone di annichilazione da parte del mezzo attraversato dipende dalla densità e dal numero atomico effettivo del mezz

se le proprietà del materiale con cui il fotone interagisce fossero note, il numero di eventi per ogni linea di risposta potrebbe essere facilmente corretto per l’effetto dell’attenuazione. Il fotone di annichilazione attraversa generalmente diversi materiali e le proprietà dei diversi mezzi e la loro posizione reciproca non sono mai note a priori con sufficiente precisione. Il fenomeno dell’attenuazione può costituire una fonte di degrado per le immagini emissive dal punto di vista sia qualitativo sia quantitativo.

Movimento del paziente: durante l’acquisizione delle immagini, il paziente può effettuare piccoli movimenti, come per esempio lo spostamento della gabbia toracica a causa della

Algoritmo di ricostruzione utilizzato

A causa della bassa risoluzione spaziale i conteggi vengono sparpagliati su un volume maggiore delle reali dimensioni fisiche della sorgente e l’immagine non riflette la reale . Tale effetto è noto come effetto volume sità di segnale dei tessuti e un’interazione dei tessuti adiacenti. Quindi a causa degli effetti di volume parziale, la concentrazione di lterata sia in base alle sue le regioni ad essa circostanti. Percorso positroni: il positrone emesso prima di annichilirsi con un elettrone della materia si

ttuando un certo percorso; di conseguenza, il luogo dove avviene l’annichilazione, individuato dal sistema, non coincide esattamente col punto

Attenuazione: un fotone che attraversa la materia è soggetto al fenomeno dell’attenuazione. uazione riduce il numero di fotoni di annichilazione che raggiungono il sistema di di un fotone di annichilazione da parte del co effettivo del mezzo; per cui se le proprietà del materiale con cui il fotone interagisce fossero note, il numero di eventi per ogni linea di risposta potrebbe essere facilmente corretto per l’effetto dell’attenuazione. ersi materiali e le proprietà dei diversi mezzi e la loro posizione reciproca non sono mai note a priori con sufficiente precisione. Il fenomeno dell’attenuazione può costituire una fonte di degrado per le immagini emissive dal

Movimento del paziente: durante l’acquisizione delle immagini, il paziente può effettuare piccoli movimenti, come per esempio lo spostamento della gabbia toracica a causa della

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Un’immagine PET quindi è affetta da questi artefatti e dunque anche le curve tempo-attività. Esistono diversi metodi di correzione per gli artefatti appena presentati che migliorano la qualità dell’immagine.

Nel corso degli anni, inoltre, sono stati proposti diversi metodi per il filtraggio spaziale della singola immagine, come per esempio il filtraggio wavelet. Questa tipologia di filtraggio riesce a ridurre il rumore sulla singola slice ma non sfrutta la consistenza temporale del segnale.

Per questo motivo in questo lavoro si è utilizzato un filtraggio di tipo temporale che comporta un miglioramento del rapporto segnale rumore sia sulle curve tempo-attività ma anche sulle singole immagini.

1.2 Modelli compartimentali

Obiettivo ultimo dell’indagine tramite PET dinamica è quello di giungere ad un’analisi quantitativa della regione di interesse, in cui cioè si riescano a stimare i valori di alcuni parametri fisiologici, come ad esempio il flusso ematico, la velocità di metabolismo del glucosio o del legame con specifici recettori. Per fare ciò sono necessarie innanzitutto delle misure nel tempo. Ogni tecnica di quantificazione PET si avvale della misura della curva di attività tessutale (Time Activity Curve o TAC), ottenibile direttamente dai dati scansionati, e della misura della curva arteriale ottenuta in seguito ad un campionamento invasivo direttamente sul paziente.

È necessario adottare un modello matematico appropriato che, descrivendo la cinetica del tracciante, permetta la stima delle grandezze di interesse.

La prima categoria di modelli che si possono utilizzare è quella dei cosiddetti modelli di sistema. Essi danno una descrizione dei meccanismi e del funzionamento interno del sistema basata su principi fisici ed ipotesi sulla struttura del sistema stesso. Nello studio della PET in particolare si usano i cosiddetti modelli compartimentali che sono basati sul principio di conservazione della massa e sono costituiti da vari compartimenti interconnessi, dove le connessioni rappresentano flussi di materia o segnali di controllo. Sono particolarmente utili per l’identificazione della struttura del

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Il nome compartimentali deriva dal fatto che solitamente, modellizzando il sistema, questo viene diviso in varie parti che vengono appunto chiamati compartimenti; questi identificano uno spazio fisico nel quale supponiamo che la quantità di materia si comporti in maniera omogenea.

Tale caratteristica di omogeneità racchiude in sé due ipotesi fondamentali:

Uniformità di informazione, e quindi stessa concentrazione in ogni punto;

Uguale probabilità di seguire una delle possibili strade per lasciare il compartimento.

Nel momento in cui siamo di fronte ad un sistema fisiologico al quale vogliamo associare un modello compartimentale, abbiamo varie alternative che dipendono dal sistema stesso, dalle conoscenze fisiologiche disponibili e, infine, dalla ricchezza dell’esperimento utilizzato per lo studio. Durante questa fase iniziale, dobbiamo anche definire quali compartimenti sono accessibili e quali no e indirizzare il nostro studio sui primi, considerando i secondi il più possibile veritieri. Dal punto di vista grafico, un compartimento è definito nel seguente modo:

Le varie frecce indicano i flussi, rispettivamente:

: il flusso uscente dal compartimento i-esimo verso il j-esimo; : il flusso uscente dal compartimento j-esimo verso l’i-esimo; : il flusso verso l’ambiente esterno;

: il flusso endogeno, dovuto alla produzione di una sostanza; : il flusso esogeno, dovuto all’immissione di una sostanza.

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L’ultimo simbolo nel disegno, , indica la concentrazione di una sostanza all’interno del compartimento, e questa è presente solo se questo è accessibile.

= − − + +

Dove t rappresenta il tempo e Qi0 la massa al tempo zero nel compartimento i-esimo; alcuni termini sono eventualmente nulli.

I flussi entranti Fij saranno quantomeno proporzionali alla quantità Qj e ad un coefficiente kij detto coefficiente frazionario di trasferimento dal compartimento j a quello i. Una classe importante di modelli compartimentali è quella in cui le quantità sono costanti. Le equazioni differenziali che descrivono il sistema sono quindi del tipo:

= − − + +

1.2

.1 Modello 3K e 4K

Il tracciante 18F-FDG è caratterizzato da un’emivita di 110 minuti, esso viene spesso utilizzato in campo oncologico per confermare la presenza di metastasi e/o il grado di malignità dei tumori. Dopo essere stato iniettato il tracciante 18F-FDG è attivamente trasportato all’interno delle cellule attraverso la barriera emato-encefalica, dove viene fosforilato dall’enzima esochinasi II, subendo la medesima trasformazione subita dal glucosio endogeno, e portando alla formazione del prodotto metabolico FDG-6-P. Il FDG-6-P a differenza però del G-6-P, non viene ulteriormente metabolizzato, quindi, non potendo proseguire nella cascata metabolica, continuerà ad accumularsi all’interno delle cellule. In campo oncologico la presenza di metabolizzazione anormale di questo tracciante viene correlata al grado di malignità del tumore ossia maggiore è l’uptake del tracciante, maggiore è il grado di malignità del tumore.

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Il comportamento del tracciante 18F-FDG è stato uno dei più studiati e per esso è stato da tempo definito il modello compartimentale, che descrive la sua cinetica all’interno del cervello, comunemente conosciuto come modello a 3K.

Le principali assunzioni fatte sono:

Il tessuto è omogeneo

Il glucosio è in stato stazionario per tutta la durata dell’esperimento

I trasporti di [18F]FDG e [18F]FDG-6-P tra i compartimenti seguono cinetiche del primo ordine

La concentrazione di [18F]FDG e di glucosio nell’arteria approssima la loro concentrazione capillare

Il [18F]FDG-6-P rimane, una volta formatosi, intrappolato nel tessuto per tutta la durata dell’esperimento1.

Il modello del tracciante consiste di 3 compartimenti: il [18F]FDG nel plasma e nel tessuto e il [18F]FDG-6-P nel tessuto. Il legame tra il compartimento plasmatico e il compartimento del [18F]FDG nel tessuto rappresenta il trasporto di FDG attraverso la barriera ematoencefalica.

Le equazioni differenziali che descrivono il modello del [18F]FDG sono:

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=

Dove rappresenta la concentrazione plasmatica del [18F]FDG, la concentrazione tessutale del [18F]FDG e la concentrazione tessutale del [18F]FDG-6-P. Le concentrazioni corrispondenti di glucosio e glucosio-6P sono indicate allo stesso modo ma senza asterisco. I parametri k1*, k2* e k3* rappresentano, rispettivamente, la velocità di trasporto del tracciante dal plasma al tessuto, la velocità di trasporto dal tessuto al plasma e la velocità di fosforilazione del [18F]FDG a [18F]FDG-6-fosfato ([18F]FDG-6-P); k1, k2, k3 sono le costanti corrispondenti per il glucosio. , fractional uptake, indica la velocità di utilizzazione del glucosio nel tessuto.

= ∗ ∗+

Dove è la concentrazione plasmatica di glucosio (mg/dl) e LC=Lumped Constant è una costante che relaziona la cinetica dell’analogo con quella del tracciato.

Il modello 4K, a differenza del modello precedente, prende in considerazione la defosforilazione. Quindi nel modello avremo anche e le equazioni differenziali sono:

= + +

=

.

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