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PREFAZIONE
Nonostante io sia nata e vissuta fino alla fine delle scuole superiori nella
città di Varese, i racconti che costituiscono il mio “scudo affettivo” sono
legati principalmente a Calci, paese originario della mia nonna paterna e
dove mio padre stesso ha vissuto per alcuni anni prima di trasferirsi con la
famiglia in provincia di Napoli. Le storie che mio padre e mia nonna mi
raccontavano pazientemente per intrattenermi erano per la maggior parte
ambientate in questo paese. La formula iniziale del racconto “Quando ero a
Calci…” equivaleva per me al “C’era una volta in un paese lontano
lontano” dell’esordio delle fiabe ma con in più la stuzzicante idea che quel
posto davvero esisteva, che era raggiungibile e che ci avrei potuto ritrovare
le tracce dei protagonisti delle storie di mio padre e mia nonna. In
particolare ero affascinata dai ritratti femminili di questi racconti: donne
che avevano visto la guerra, e che soprattutto vi erano sopravvissute senza
che ne facesse le spese la loro femminilità, figure giunoniche di mamme
affettuose e risolute che non si erano lasciate sopraffare dalla paura
paralizzante delle bombe, massaie infaticabili e ingegnose, donne belle
come principesse che riuscivano ad incantare persino il cuore del nemico
tedesco, ragazze innamorate che aspettavano il fidanzato partito per la
guerra per anni e anni senza cedere allo sconforto, e per tutte una sola
antagonista: la guerra.
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In occasione della guerra del Golfo presi a voler risentire più spesso i ricordi che parlavano di guerra che avevano per me un significato più forte dal momento che il pensiero di una guerra “vera”, le cui ripercussioni sembrava potessero lambire anche la mia esistenza, prendeva posto per la prima volta tra le mie riflessioni. In quel periodo vivevo quasi catarticamente il racconto e, ogni volta che volgeva al termine, mi sentivo rasserenata: “Se ce l’hanno fatta loro, se non sono morte di paura loro, ” pensavo “posso farcela anche io”. E questo mi bastava.
Non ho mai avuto sentimenti di campanilismo né di particolare affetto per la città di Varese in cui ho sempre vissuto come se presto dovessi lasciarla.
Recita un proverbio: “Ognuno è di dove si sente meglio” e, quando mi sono trasferita a Calci per cominciare la mia avventura universitaria, pur non conoscendo nessuno, mi sono sentita a casa.
Durante questi anni ho avuto l’opportunità di conoscere più da vicino le
nonne Calcesane che in più di una occasione si sono spontaneamente
raccontate facendomi entrare nel salotto dei loro ricordi. Lì accomodata ho
conosciuto e assaporato l’identità delle abitanti di un paese che durante il
tempo di guerra non si è distinto né per consistenti presenze di valorosi
partigiani, né (fortunatamente) per efferate stragi naziste ma che ha rivestito
il ruolo, più discreto ma salvifico, dell’accoglienza degli sfollati. Vivere
insieme significa condividere tempo ed emozioni, presentarsi, conoscersi.
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