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CAPITOLO 2 VALUTAZIONE LIVELLO DI SICUREZZA SISMICA

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 2

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2.1 Generalità

Nella presente tesi sono illustrati e messi a confronto i risultati ottenuti da alcuni metodi speditivi di valutazione della vulnerabilità sismica degli edifici. Le diverse metodologie trattate possono essere applicate sia a fabbricati costruiti in calcestruzzo armato che in muratura ottenendo valutazioni di vulnerabilità sufficientemente omogenee tra le due categorie.

In tema di vulnerabilità sismica di un edificio, è necessario sottolineato un importante aspetto anche se di carattere generale: la vulnerabilità V insieme alla pericolosità sismica P del sito di impianto del manufatto ed all’esposizione E (riferita al numero di persone potenzialmente presenti nell’edificio), è una delle tre componenti del parametro sismico globale connesso all’uso di un fabbricato ovvero il rischio sismico Ru. Tale parametro è quindi funzione della

convoluzione dei tre fattori sopra elencati (pericolosità, vulnerabilità ed esposizione): E

V P Ru = ⋅ ⋅

Può essere definito come la probabilità che, in un certo sito, un livello prefissato di perdite, in ordine di vittime e danni diretti ed indiretti, causate da terremoti sia superato entro un dato periodo di tempo.

La pericolosità sismica (P) esprime invece la probabilità che, in un certo intervallo di tempo, in una certa porzione di territorio si possa verificare uno scuotimento caratterizzato da una determinata intensità.

Nella definizione di pericolosità in prima istanza è possibile operare la distinzione tra pericolosità di base e pericolosità locale.

La pericolosità sismica di base è la misura dello scuotimento su suolo rigido o roccia, atteso in un dato sito.

La pericolosità sismica locale è la misura dello scuotimento al sito, che può differire dallo scuotimento di base in quanto dipendente dalle caratteristiche geologiche, geomorfologiche, e geotecniche locali.

La vulnerabilità sismica è una caratteristica intrinseca della struttura che rappresenta la sua propensione a subire danni in caso di sisma mettendo anche in pericolo le persone al suo interno. Infine l’esposizione è una misura dell’importanza dell’oggetto esposto al rischio in relazione alle principali caratteristiche dell’ambiente costruito.

Questi termini descrivono i concetti intorno a cui oggi ruotano le varie classificazioni territoriali, normative tecniche e campagne di prevenzione sismica.

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2.2 Valutazione della vulnerabilità

Si è visto nel precedente paragrafo come la valutazione della vulnerabilità sismica delle costruzioni sia un passo fondamentale nelle analisi di rischio sismico e nella definizione di scenari di danno per terremoti di diverse intensità. Essa riguarda la valutazione del livello di sicurezza sismica del fabbricato in riferimento al massimo terremoto moderato convenzionale che esso potrebbe sopportare realmente in condizioni di sicurezza (in campo elastico), al terremoto al limite elastico (superato il quale si manifestano nel manufatto progressivi danni strutturali diffusi tali da trasformarlo in un meccanismo atto ad innescare il fenomeno del collasso), nonché al terremoto violento che causa il crollo totale o parziale dell’edificio con grave pericolo per la vita umana.

Tale valutazione della sicurezza sismica comporta il tracciamento della curva di vulnerabilità sismica e la descrizione della relativa funzione di danno sismico probabile. Quest’ultima è definibile utilizzando una scala sismica macroscopica: utilizzando la scala degli effetti del terremoto sulle costruzioni (Scala Mercalli Modificata o la Scala Mercali-Cancani-Sieberg) piuttosto che quella delle energie liberate (Scala Richter, riferita alla magnitudo), è possibile seguire, per un generico fabbricato, il progredire dei suoi livelli di danneggiamento all’aumentare dell’intansità del sisma (quest’ultima fornita dal valore dell’accelerazione di picco o dall’intensità spettrale, o dall’intensità macrosismiche). Dunque la funzione di danno costituisce la base fondamentale per il tracciamento della curva di danneggiamento (cioè la curva di vulnerabilità sismica altrimenti detta curva di fragilità) dell’edificio, esprimibile come percentuale di danno subìto dall’edificio in funzione dell’accelerazione sismica al suolo ovvero la probabilità di superamento di un certo livello di danno al variare dell’input.

Sotto l’aspetto matematico la vulnerabilità sismica è inversamente proporzionale all’intensità del terremoto di collasso dell’edificio (esprimibile con l’accelerazione sismica di collasso).

Precisare quantitativamente la vulnerabilità sismica di un edificio significa quindi definire una legge probabilistica (od eventualmente deterministica) fra terremoto e danno.

Seguendo quest’ottica, la vulnerabilità può essere definita come la probabilità di un elemento a rischio a subire un certo livello di danno conseguente ad un evento pericoloso di assegnata intensità.

Assumendo quale grandezza rappresentativa del sisma il rapporto adimensionale y tra l’accelerazione massima al suolo e l’accelerazione di gravità e quale parametro misuratore del danno d un valore compreso nell’intervallo (0;1), che corrisponde a diversi stati di danno ordinati in successione peggiorativa, allora quantificare la vulnerabilità sismica di un edificio equivale ad istituire una relazione fra la variabile y, definita nell’intervallo (yi;yc), che ha per estremi i valori yi, yc cui fanno riscontro l’inizio del danno ed il collasso, e la variabile d, definita come si è detto

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La via più naturale per esplicitare la suddetta relazione è quella probabilistica in quanto il comportamento delle costruzioni è essenzialmente aleatorio. Così ad ogni valore di y sono fatti corrispondere infiniti valori possibili di d, a ciascuno dei quali è associato un valore di una funzione di densità di probabilità condizionata p{d | y}.

Nella seguente figura è riportata qualitativamente la funzione d’(y), che esprime i valori attesi della variabile aleatoria d.

Anche yi, yc sono variabili aleatorie con valori attesi y’i, y’c: ad ogni y sono infatti associati due funzioni p{y | 0} e p{y | 1}, che condizionano la densità di probabilità di y rispetto ai valori 0 ed 1 dell’indice d.

Fig.: 2.1 Legge probabilistica accelerazione-danno

E’ anche possibile far riferire le funzioni di vulnerabilità a classi di edifici cui si attribuisce una analoga risposta comportamentale sotto l’azione dell’evento pericoloso (metodologie tipologiche). In questo modo l’edificio viene concepito come membro indifferenziato di una classe tipologica definita in funzione dei materiali, della tecnica costruttiva o di altri fattori. Tale metodologia ha il pregio di essere poco costosa e di richiedere indagini sul campo piuttosto semlici ed il difetto di non poter distinguere i singoli edifici all’interno di una classe non consentendo di operare una graduatoria fra di essi.

A tal proposito l’utilizzazione delle schede di 1° livello G.N.D.T./C.N.R. consente di pervenire alla determinazione di classi di vulnerabilità, nelle quali classificare le diverse tipologie edilizie che caratterizzano gli edifici.

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Le classi di vulnerabilità sono state definite per la prima volta nelle scale macrosismiche, ed in particolare, con maggiore accuratezza, nella scala MSK (la scala Medvedev-Sponheuer-Karnik suddivide gli edifici in tre classi di vulnerabilità A, B e C collegate direttamente ad altrettanti gruppi di tipologie edilizie; essenzialmente, alla classe A corrispondono gli edifici in muratura più scadente, alla classe B gli edifici in muratura più resistente e alla classe C gli edifici con struttura in cemento armato).

La definizione delle classi di vulnerabilità a scopi macrosismici è migliorata sensibilmente negli ultimi anni, grazie allo sviluppo della scala EMS (European Macroseismic Scale), particolarmente nell’ultima versione del 1998. La scala EMS (nata per unificare tutte le scale in uso nei paesi europei), oltre a migliorare le attribuzioni di classe degli edifici tradizionali, evidenziando comunque le inevitabili incertezze di attribuzione, include nella classificazione anche gli edifici progettati con criteri antisismici, assenti nella scala MSK, estendendo il range delle classi, dalle 3 (A, B,C) della MSK a 6 (A, B, C, D, E, F).

Numerosi sono i lavori nei quali si sono dovute definire le classi di vulnerabilità di singoli edifici o di tipologie strutturali ben definite del patrimonio edilizio italiano. Il primo esempio è relativo al terremoto dell’Irpinia-Basilicata del 1980, terremoto che mise a disposizione 38.000 schede di rilievo relative ad altrettanti edifici di 41 comuni del territorio colpito dal sisma. Le schede costituivano la prima versione dell’attuale 1° livello ed erano estremamente semplificate rispetto a quest’ultima. La struttura era descritta semplicemente attraverso quattro tipologie di struttura verticale (muratura di pietrame, di tufo, di mattoni e struttura in c.a.), quattro tipologie di struttura orizzontale (volte, solai in legno, solai in ferro, solai in c.a.). Dagli incroci possibili delle tipologie di strutture orizzontali e verticali furono individuate 13 tipologie (la struttura verticale in c.a. non poteva che avere struttura orizzontale in c.a.). Le elaborazioni svolte hanno portato all’attribuzione delle tre classi di vulnerabilità MSK alle 13 tipologie e alla determinazione delle distribuzioni di danno per le tre classi di vulnerabilità e per le singole tipologie.

La scheda di 1° livello utilizzata oggi è frutto dell’evoluzione nel tempo della scheda di 1° livello del terremoto del 1980, e fornisce informazioni nettamente più ricche rispetto a quest’ultima. In particolare le strutture verticali e le strutture orizzontali, comprese le coperture, sono classificate in 18 e 17 categorie rispettivamente e definite distintamente a ciascun piano.

Sempre in occasione del sopracitato terremoto dell’Irpinia dell’80, si sono effettuate valutazioni della vulnerabilità attraverso l’approccio delle Matrici di Probabilità di Danno (DPM).

Si è precedentemente affermato che quantificare la vulnerabilità sismica di un edificio equivale ad istituire una relazione in termini probabilistici fra la variabile y e la variabile d. Se però la rappresentazione probabilistica è discretizzata, si definiscono le probabilità condizionate p{d | y} relative ad un numero finito di coppie dh, yk. E’ così che si hanno le matrici di probabilità di danno il cui elemento generico è appunto P{dh | yk}.

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Tale metodologia per la valutazione della vulnerabilità sismica del costruito è basata su un approccio probabilistico che consente di prevedere il danno atteso a seguito di un evento di assegnata intensità in funzione di una classificazione tipologica dei manufatti; le correlazioni tra vulnerabilità e danno sono espresse in funzione di matrici di probabilità di danno (DPM): ad ogni tipologia costruttiva viene associata una matrice di probabilità di danno, i cui termini definiscono la probabilità di osservare (frequenza) un certo livello di danno per una data intensità.

Questo approccio rappresenta un utile strumento di analisi del rischio territoriale a grande scala, ma presenta evidenti limiti quando si opera a scala urbana in quanto per la pianificazione nel campo dei rischi e la definizione di strategie di prevenzione è necessaria un'informazione puntuale sul singolo manufatto, anche se approssimata; inoltre l’approccio con DPM non consente di tenere in conto gli effetti locali.

L’utilizzazione delle schede di 2° livello G.N.D.T./C.N.R. consente invece di pervenire ad una valutazione puntuale della vulnerabilità edificio per edificio, mediante un punteggio compreso tra 0 e 100, per gli edifici in muratura, e tra –25 e 100, per gli edifici in c.a.. Per una data intensità sismica, il danno subito da un certo edificio è funzione crescente del punteggio ad esso assegnato. Si tratta di un approccio differente (tecnica semeiotica) in cui l’edificio viene visto come un organismo la cui vulnerabilità può essere descritta attraverso sintomi (organizzazione sistema resistente, resistenza globale, degrado, etc.).

L’idea di base è quella di attribuire ad ogni edificio un indice di vulnerabilità (IV) stabilito secondo certe regole, sulla base di indicatori (come l’organizzazione generale del sistema resistente, la qualità di detto sistema, la resistenza globale della costruzione ad azioni orizzontali, lo stato di degrado e così via) che non sono più interpretati come i lineamenti di una fisionomia tipologica, ma piuttosto sono interpretati come sintomi di un’idoneità della costruzione a sopportare i terremoti. L’indice di vulnerabilità (calcolato attribuendo ad ogni parametro una classe a cui corrisponde un punteggio e per i soli edifici in muratura affiancando ad ogni parametro anche un peso pi in relazione all’influenza che esso ha sul comportamento sismico globale), non fornisce una valutazione del danno atteso per un dato livello di severità della scossa sismica ma è una misura convenzionale e relativa della propensione al danneggiamento ed è pertanto utilizzabile immediatamente solo a fini euristici. Infatti, a causa delle incertezze connesse alla valutazione delle caratteristiche strutturali dei singoli edifici, alla variabilità del loro comportamento sismico, alla precisione del modello di vulnerabilità, all’aleatorietà della scossa sismica, le cui caratteristiche non possono essere definite univocamente attraverso il solo parametro di intensità considerato, e agli eventuali effetti di amplificazione locali, raramente valutabili edificio per edificio, la funzione che esprime il danno in funzione del punteggio di vulnerabilità e dell’intensità sismica non può considerarsi deterministica. Per questo motivo l’indice di vulnerabilità del singolo edificio va pensato come parametro indicativo di appartenenza ad una fascia di vulnerabilità più ampia, piuttosto che come valutazione puntuale.

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La metodologia descritta risulta essere potenzialmente molto versatile perché compendia un grande numero di informazioni sui fabbricati che si esaminano sebbene implichi una certa perizia da parte di chi opera sul campo. L’affidabilità del metodo dipende dunque dalla razionale esplicitazione fra il punteggio assegnato ai parametri ed i danni sismici attesi.

L’indice di vulnerabilità di cui si è parlato può anche essere utilmente considerato come funzione dell’accelerazione che produce l’inizio del danno nell’edificio in esame (ai) e dell’accelerazione che produce il collasso nel medesimo edificio (PGAc):

) (

, c V

i PGA f I

a =

I valori di ai e PGAc , per ciascun IV, sono stati ottenuti per via empirica attraverso correlazioni tra IV e danno osservato d in edifici danneggiati dal sisma. Al riguardo sono state proposte diverse espressioni:

; ( iIV)

i

i e

a =α ⋅ −β⋅

in cui i vari parametri che compaiono sono delle costanti ottenute in base ad elaborazioni statistiche (Guagenti e Petrini, 1989): V rappresenta la vulnerabilità,

α

C = 1.5371,

C

β

= 0.000974, γ = 1.8087,

α

i = 0,08,

β

i = 0.01950

Intendendo le accelerazioni yi e yc che producono, rispettivamente, l’inizio del danno ed il collasso nella costruzione come variabili random caratterizzate dalle rispettive funzioni di densità di probabilità condizionata p{y | 0} e p{y | 1} ed applicando la relazione seguente:

i c i y y y y d − − =

dove d è il parametro misuratore del danno, allora si ottiene una rappresentazione probabilistica della vulnerabilità come quella mostrata nella precedente figura 2.1.

Se invece yi e yc si intendono come numeri reali, si ricava una legge deterministica trilineare che per essere completamente esplicitata richiede appunto la definizione numerica delle costanti yi e yc:

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Alla luce delle ampie incertezze che gravano sulle leggi accelerazione-danno, appare ragionevole l’impiego di una legge trilineare ottenibile dall’impiego della relazione lineare semplificata nell’intervallo (yc, yi) precedentemente proposta.

Dunque la compilazione della scheda G.N.D.T. di II livello porta alla valutazione di un indice di vulnerabilità e risulta una procedura operativa consolidata ma fornisce una valutazione sostanzialmente qualitativa (nonostante si sia adottata una via deterministica per caratterizzare la vulnerabilità).

Insieme alla valutazione dell’IV si fornisce anche una valutazione dell’indice del rischio (IR) quale funzione della PGAD e della PGAC:

(

)

k C D R PGA PGA V p f I       = = ,

Dove la PGAD rappresenta l’accelerazione di picco attesa al suolo, e quindi la domanda, mentre la PGAC rappresenta l'accelerazione di picco al suolo che determina il collasso della struttura, ovvero la capacità.

Per la valutazione di PGAD si considera convenzionalmente lo spettro elastico allo SLV. Il coefficiente k assume le seguenti espressioni in funzione della PGAD:

− 3.6 per 0 < PGAD < 0.056 g, − -16(PGAD/g)+4.5 per 0.056 < PGAD < 0.11 g, − -2.7(PGAD/g)+3.1 per 0.11 < PGAD < 0.26 g,

− 2.4 per 0.26 g < PGAD.

La procedura per la valutazione della vulnerabilità sismica degli edifici basata sulla scheda di 1° e 2° livello del G.N.D.T. è di tipo indiretto, (comporta prima la determinazione di un indice di vulnerabilità e successivamente utilizzano una correlazione severità-danno che è funzione anche dell’indice di vulnerabilità) in quanto si basa sulla valutazione di un indice di vulnerabilità che costituisce una misura convenzionale e relativa della propensione al danneggiamento; la corrispondenza severità-danno in questo caso è di tipo deterministico ed è rappresentata da curve di fragilità associate ad ogni valore dell’indice che correlano l’accelerazione sismica al suolo (o l’Intensità macrosismica) con il livello di danno espresso come percentuale della perdita del valore economico attualizzato.

Più in particolare questa metodologia è di tipo quantitativo (fornendo il risultato in forma numerica), indiretto, semeiotico (come già detto) e ibrido (ricercano il risultato combinando più tecniche) in quanto fa ricorso ad un indice numerico globale di vulnerabilità, calcolato sommando i contributi di punteggi di vulnerabilità di 11 parametri rilevati e legati ad alcuni aspetti caratteristici del comportamento sismico tipico delle costruzioni in muratura o in cemento armato. Questa metodologia, come tutte quelle basate sull’indice di vulnerabilità, presenta lo svantaggio di un passaggio in più rispetto a quelle di tipo diretto (che forniscono in un solo passo il risultato come previsione del danno sismico), come il metodo delle matrici di probabilità di danno, e

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comporta inoltre una fase di rilevamento più laboriosa. La ricchezza delle informazioni contenute nella scheda, tuttavia, consente di far ricorso più facilmente a diverse tecniche di indagine per stabilire la legge di correlazione tra S (severità del sisma) e D (danno) ed in questo senso è una metodologia di tipo ibrido. L’indice inoltre consente di poter confrontare gli edifici e di stabilire delle graduatorie, così come è stato fatto per gli edifici pubblici nel presente lavoro.

I criteri di attribuzione delle classi di vulnerabilità ai singoli parametri e la successiva combinazione additiva per il calcolo dell’indice causa la perdita di significatività di alcune informazioni presenti tra gli elementi di valutazione rilevati.

Una differente metodologia per la valutazione della Vulnerabilità e del Rischio Sismico degli Edifici Pubblici è fornita dalle procedure VC e VM, elaborata per edifici esistenti nell’ambito del progetto “Strumenti Aggiornati per la Vulnerabilità sismica del patrimonio Edilizio e dei sistemi urbani” (S.A.V.E.).

Questa metodologia può essere definita ibrida perché basata sull’individuazione di una vulnerabilità sia osservata (S.A.V.E.) che calcolata (meccanismi meccanici).

Sostituendo all’edificio un suo modello meccanico teorico, la tecnica (meccanicistica) in questione è più vicina all’usuale approccio ingegneristico per la valutazione della sicurezza. Il metodo di analisi si riferisce a due livelli di danneggiamento, corrispondenti, in termini prestazionali alla condizione limite di operatività, ossia di danneggiamento lieve tale da non pregiudicarne l’utilizzazione, e alla condizione di collasso incipiente. La vulnerabilità, pertanto, viene intesa come stima dell’intensità del terremoto per la quale l’edificio raggiunge le due condizioni dette: DS AD PM DUT D S PGA α α α α ⋅ ⋅ ⋅ =

Dove PGA è l’accelerazione massima al suolo; SD è il rapporto tra i tagli di piano Vj corrispondenti alla condizione limite in esame ed i corrispondenti tagli di piano agenti Vag,j (per accelerazione pari a g); i coefficienti α esprimono invece un giudizio sul comportamento dinamico (αPM e αAD) e sulla capacità dissipativa e duttile dell’edificio (αDS e αDUT).

Il rischio, ovviamente riferito alle condizioni di pericolosità sismica del sito in cui sorge la costruzione, tenendo conto anche di eventuali effetti di amplificazione locale, viene espresso in termini di periodo di ritorno del terremoto che produce le due condizioni limite dette. Con riferimento alle mappe della pericolosità sismica italiana del Servizio Sismico Nazionale (SSN), si possono ottenere, per interpolazione o estrapolazione, i periodi di ritorno corrispondenti alle accelerazioni a terra mediante l’equazione:

) ln(ag

e K T = ⋅ α⋅

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La metodologia di cui sopra è basata su di un modello di calcolo semplificato, che permette l’analisi piano per piano, per la determinazione degli spostamenti relativi tra un piano e l’altro, ai fini della valutazione delle condizioni di operatività, e della resistenza sismica dell’organismo strutturale, ai fini della valutazione delle condizioni di collasso.

L’attendibilità dei risultati che il metodo può fornire è strettamente legata alla qualità delle informazioni e all’aderenza del modello alla realtà. Questi aspetti uniti alla incompletezza delle informazioni sulla geometria della struttura e sulle resistenze dei materiali che il modello considera, la mancata valutazione degli effetti torsionali e l’assente stima di vulnerabilità delle parti non strutturali, hanno suggerito di utilizzare la metodologia S.A.V.E. similmente alle schede G.N.D.T. di II livello: l’indice di vulnerabilità del singolo edificio è pensato come parametro indicativo dell’appartenenza ad una fascia di vulnerabilità più ampia, piuttosto che come valutazione puntuale.

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