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1. FRANCISCO DE RIOJA 1.1 CENNI BIOGRAFICO-LETTERARI

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1. FRANCISCO DE RIOJA

1.1 CENNI BIOGRAFICO-LETTERARI12

Francisco de Rioja nacque a Siviglia da don Antón García de Rioja e da doña Leonor Rodríguez de Herrera e venne battezzato nella chiesa Omnium Sanctorum il 22 novembre 158313; di famiglia umile e condizioni economiche non molto agiate, Francisco de Rioja trascorse fin dall’inizio una vita a stretto contatto con la povertà. Si suppone che il poeta avesse anche tre fratelli (Antonio, Juan e Andrés) e due sorelle, Francisca e Inés, quest’ultima madre dei nipoti prediletti dal poeta, l’avvocato dottor Mateo Girón de Rioja e il carmelitano fray Juan Félix Girón. Per 1594 Rioja doveva già essere stato ordinato chierico poiché, nella stessa chiesa dove fu battezzato, venne nominato pretendente alla funzione di cappellano. Seguì a Siviglia la carriera ecclesiastica e studiò teologia e discipline umanistiche, in cui apparve licenciado a partire dal 1610. La sua inclinazione per le lingue classiche e l’erudizione sacra lo rese membro dei circoli colti di Siviglia, dove conobbe quei compagni che lo soprannominarono Leucido e che divennero fedeli amici e vivaci contertulianos: il pittore Francisco Pacheco14, il poeta Francisco de Medrano15, Don Francisco de Calatayud y Sandoval16, il critico Juan

12 Per le fonti biografiche si rimanda a: SÁNCHEZ, Alberto (1948), Poesía sevillana en la edad de

Oro. Fernando de Herrera, Baltasar del Alcázar, Francisco Rioja, Juan de Arguijo, Editorial Castilla, Madrid, pp. 385-394; RIOJA, Francisco de (1975), Versos, CHIAPPINI Gaetano (a cura di), Casa editrice d’Anna, Messina-Firenze, pp. 29-74; COSTE, Jean (1978), «Datos útiles para la biografía de Francisco de Rioja», in AA.VV., Mélanges à la mémoire d’André Joucla-Ruau, Éditions de l’université de Provence, Aix-en-Provence, Tomo I, pp. 577-593; RIOJA, Francisco de (1984), Poesía, LÓPEZ BUENO Begoña (ed. de), Cátedra, Madrid, pp. 14-40; CANAVAGGIO, Jean (1995), Historia de la literatura española, Ariel, Barcelona, pp. 162-169; PROFETI, Maria Grazia (1998), L’età d’oro della letteratura spagnola: il Seicento, La Nuova Italia, Firenze, pp. 395-396;

13 Fa quindi parte della seconda generazione di poeti barocchi (insieme a Soto de Rojas, benché

questi avrà una prima fase non gongorina), mentre Polo de Medina appartiene alla terza generazione, quella più marcatamente cultista (cfr. BLECUA, José Manuel (1984), Poesía de la edad de Oro: II Barroco, Editorial Castalia, Madrid; PILAR PALOMO, María del (1988), La poesía en la Edad de Oro, Taurus, Madrid).

14

Grande amico di letterati e artisti sivigliani, nel cui studio si riunivano e discorrevano appassionatamente i più illustri ingegni; fu suocero del grande artista e ritrattista barocco Diego Velázquez e nipote dell’omonimo Canonico amico di Fernando de Herrera; a lui Rioja dedicò sonetti e silvas in cui non solo riconobbe le capacità artistiche del pittore, ma gli suggerì anche di non lasciarsi abbattere dalle difficoltà della vita e dalle ingiurie degli invidiosi.

15 Con il quale Rioja ebbe un’amicizia che riguardava non solo questioni letterarie relative a testi

latini o greci, ma anche confessioni private e amorose, espresse attraverso sonetti e odi dedicatorie in cui le confidenze si esplicavano attraverso immagini fluviali e marine; in Medrano Rioja

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10 de Robles, l’antiquario e poeta Rodrigo Caro e il poeta Diego Mejía; dalla loro relazione emerse anche il carattere polemico dell’autore, che non teneva in conto l’amicizia quando si trattava di questioni dottrinali o filologiche17

.

Nell’ottobre del 1611 diventò cappellano nella chiesa di San Miguel a Siviglia, città in cui risiedette dal 1612. I suoi studi e la sua conoscenza vennero apprezzati dalle più brillanti menti del suo tempo e Francisco de Rioja aveva già acquistato una notevole fama fra i dotti e i poeti, che incontrava nelle giornate dell’Accademia di D. Diego Gómez de Sandoval, figlio del duca de Lerma, alle quali partecipavano assiduamente anche Lope de Vega, Quevedo18, Cervantes19, Góngora, Salas de Barbadillo, ecc. Interessante, e degno di essere riportato, è il frammento dell’epistola a D. Micael de Solís Ovando nel Laurel de Apolo di Lope de Vega, in cui non solo si riassumono i meriti riconosciuti al poeta, ma l’autore lo inserisce emblematicamente proprio dopo a riferimenti a giardini, piante e fiori:

Confieso en mi jardín muchos defectos Porque debiera en él mínima planta,

en vez de flores, producir concetos. Y más si juzgas a soberbia tanta dedicarle a Rioja, honor y gloria del Betis, que hoy sus alabanzas canta. Rioja aquel varón cuya memoria de Herrera, de Pacheco y de Medina escureció la merecida historia. Aquel que con Apolo determina las causas de las Musas, si bien trata, severo y solo ya, ciencia divina.20

apprezzò il topos classico-rinascimentale della vanità della vita umana e della fugacità delle cose terrene, che riutilizzò per il sonetto celebrativo che scrisse in occasione della prematura morte dell’amico nel 1607; inoltre, nella tenuta di Medrano, Rioja partecipava a riunioni e ritiri oraziani che plasmarono, fin da giovane, i suoi ideali poetici.

16

Altro grande amico dell’autore e poeta sivigliano che scrisse una Silva al Retrato di Rioja e una Silva al estío (in cui invita Leucido a godere dei piaceri della stagione estiva).

17 Come la critica a Rodrigo Caro per una questione metrica relativa ad alcuni versi di Fernando de

Herrera, difesi da Rioja come eccellenti e di buona imitazione classica, o come l’apostrofe a Francisco de Medrano per aver scritto male una parola.

18 Rioja lo aiutò nella traduzione e interpretazione di Anacreonte, mentre Quevedo lo accusò, in un

primo momento, di menzogna e incorrettezza riguardo ad alcune affermazioni riportate nella prefazione dei Versos di Herrera e in un secondo momento, invece, ne apprezzò l’erudizione e lo stile contenuti nell’Aristarco.

19 Che dedicherà a Rioja una terzina nel capitolo III del Viaje del Parnaso (1614).

20 RIOJA, Francisco de 1975, op. cit., p. 69. Il Fénix dovette nutrire una grande affezione per

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11 Ciò indica la grande riconoscenza che illustri scrittori mostravano al giovane Rioja, già importante uomo di lettere che, insieme agli obblighi religiosi, dedicava le sue ore allo studio e alla poesia colta di elaborati versi. Nel 1615 comparve nella cerchia dei poeti e letterati sivigliani il mecenate Don Gaspar de Guzmán21, futuro privado di Filippo IV, e fu in questo momento che nacque una forte amicizia tra lui e Rioja che non venne mai meno e che, se da un lato ricoprì il poeta di onori e incarichi di fiducia, dall’altro lo affaticò con dolori e calunnie. Nel 1617 Rioja era a Madrid, presso l’amico Don Juan de Fonseca y Figueroa22 e nel 1619, quando ormai doveva aver già scritto la maggior parte dei suoi versi, dovette affrontare varie questioni: ebbe un’accesa polemica con il duca di Alcalá23, elaborò un Discurso sobre los Clavos de Cristo24, si scontrò con Rodrigo Caro25 e scrisse una introduzione biografico-critica all’edizione dei Versos di Herrera26, uscita quello stesso anno. Nel 1621, Rioja ottenne una delle tre

sua conoscenza del latino, del greco e della storia greca e romana, in varie allusioni in La Circe e in un’epistola della Filomena (diretta proprio a Rioja e intitolata, non a caso, El jardín de Lope de Vega).

21 Fu il più grande degli amici di Francisco de Rioja, al quale il poeta dedicò quasi tutta la vita,

nonché un elevato numero di sonetti dove lo chiama Manlio (così era soprannominato il Guzmán nelle accademie); in generale, le opere a lui dedicate ruotano attorno ai temi dell’ambizione, agli insegnamenti stoici e oraziani e al non arrendersi davanti alle tempeste della corte.

22 Pittore, poeta, letterato e canónigo della cattedrale di Siviglia a cui Rioja dedicò molte

composizioni, nelle quali emerge fortemente l’invito a non preoccuparsi del pettegolezzo calunniatore della gente e a godere degli amori, poiché il tempo muta le cose e, come il mare infuriato, travolge ogni cosa. Tra di esse spicca, per il tema dei fiori, la silva VI Al verano, che rappresenta un inno di gioia alla stagione primaverile, la quale offre i suoi spettacoli di bellezza naturale rendendo più dolce il passare del tempo e riempiendo di chiarezza e colori ogni porzione di terra; in essa la rosa, che altrove è sempre creatura delicata, simbolo del destino inesorabile della bellezza o divina immagine di Amore, non trascorre la sua giornata nel breve spazio della sua vita, chiusa nel suo fato doloroso, bensì compare in una nature morte, tra oggetti preziosi e sfarzosi, tra luci e cristalli: il fiore, in Rioja, non è solo il simbolo del tempo e dell’effimero, come si vedrà dalle silvas ai fiori, ma è anche elemento di decoro, di prezioso lustro floreale da bodegón poetico.

23 La polemica riguardava un cartiglio che figurava sopra un crocifisso trovato in casa di Francisco

Pacheco nel quale, secondo il duca, l’iscrizione ebraica era inesatta (tesi confutata da Rioja in una lettera all’amico pittore).

24 Che Pacheco inserì nella sua Arte de la Pintura, pubblicata nel 1649. 25

Vedi nota n. 17.

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Herrera fu il maestro della scuola sivigliana e una figura basilare tanto per la poesia di Rioja, quanto per quella di orientamento cultista che sviluppò la lirica spagnola aurea; nel prologo all’edizione dei Versos, dopo aver rimproverato l’ingiusto oblio in cui era caduto, Rioja tracciò un completo quadro del maestro, del suo sapere, degli scritti e dei meriti per aver creato un superbo linguaggio poetico, che tuttavia condannò per il troppo ornato che lo rendeva oscuro. La scuola sivigliana, assieme a quella salmantina, furono espressione del rinnovamento poetico rinascimentale filtrato dai petrarchisti Boscán e Garcilaso; benché il dibattito sull’effettiva esistenza di una scuola propriamente andalusa non sia ancora stato risolto, entrambe ressero lo

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12 cappellanie dell’Ospedale di Nuestra Señora de la Paz di Siviglia, già vacante dal 1620, e abbandonò così la corte27 per ritirarsi nella quiete silenziosa dello studio: qui termina la prima parte della biografia del poeta.

La seconda parte inizia quando il nuovo sovrano Filippo IV affidò ogni potere al conde-duque de Olivares, che così bene aveva saputo circuirlo e, accanto all’antico amico, Rioja venne subito ad occupare un posto di primo piano. I rapporti tra Olivares e Rioja furono sempre improntati a una grande e leale amicizia che durò tutta la vita:

Don Francisco de Rioja, canónigo inquisidor del Tribunal Santo de Sevilla y del Supremo, logró merecido valimiento con el Conde-Duque d. Gaspar de Guzmán, a quien supo tratar más con verdades que lisonjas, y seguirle igual en ambas fortunas, con crédito siempre de varón entero en intenciones y dictámenes [...] De ella [Sevilla] le sacó la perspicacia del Conde a su confianza, con pretexto de ocupaciones literarias, y su modestia se contentó de crecer poco en las mayores.28

Tale testimonianza è importante non solo per la conferma della stretta relazione con Olivares, ma anche per la linea del carattere del poeta: modesto, austero, di grande finezza di spirito e di sobrietà nei modi e negli atteggiamenti, anche verso i potenti.

Nel 1622 Rioja tornò quindi a Madrid e, come consigliere e collaboratore del valido, ottenne molti benefici, aumentò le sue rendite e venne nominato Cronista di Sua Maestà; alternando soggiorni alla corte e a Siviglia, nel 1627 Rioja tornò a scontrarsi con l’amico Rodrigo Caro riguardo all’autenticità della Historia Flavii Lucii Dextri29. Da questo momento in poi si apre una terza tappa nella vita dell’autore sivigliano, caratterizzata da un periodo di silenzio che

scettro della lirica: quella di Salamanca, di cui fu caposcuola Fray Luis de León, evitò l’eccessivo ornato formale per preferire la nitidezza del pensiero e il modello latino (soprattutto quello morale di Orazio), mentre quella sivigliana, rappresentata da Herrera, fu più immaginativa e audace, con una predilezione per le espressioni grandiloquenti e per le grandi metafore, per quegli orpelli linguistici, insomma, mirati al raggiungimento di un linguaggio poetico selezionato e variopinto.

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Di questo periodo è anche l’epistola VIII inserita nella Filomena di Lope de Vega, intitolata El jardín de Lope de Vega al Licenciado Francisco de Rioja en Sevilla, dove il Fénix allude al ritiro del poeta sivigliano e presenta una descrizione di un giardino con piante simboliche sotto cui adombrano i poeti.

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RIOJA, Francisco de 1975, op. cit., p. 40.

29 Che Rodrigo Caro aveva composto da frammenti ritrovati e scritti da un certo Flavio Dextro

catalano, mentre Rioja si oppose a tale attribuzione, esprimendo un giudizio reciso e perentorio contro l’opera di Caro (della quale si burlò anche nell’Aristarco).

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13 giungerà fino al 1634: non si hanno più notizie dirette o indirette del poeta, che probabilmente si dedicò esclusivamente allo studio erudito o alle questioni teologico-dottrinali che lo riguardavano.

Nel 1630 Rioja tornò a Madrid e questa quarta fase, che marcò la seconda metà della sua vita, sarà condivisa tra i due poli di Siviglia (dove trovava pace e tranquillità, cenacoli umanistici e ritiro nello studio) e della corte (dove trascorse tredici anni tra compiti severi e responsabilità onerose). Dal 1634 Rioja ottenne incarichi e benefici considerevoli: nuovi guadagni (sempre dovuti al favore reale conquistato grazie all’intercessione dell’amico Olivares) lo resero un uomo ormai ricco e venne nominato sia bibliotecario reale che Inquisitore del Tribunale di Siviglia30. Nel 1636 prese possesso della carica di racionero della Cattedrale di Siviglia, ma i calunniatori, probabilmente gelosi della sua amicizia con il valido, non si fecero attendere e il poeta venne coinvolto in una spiacevole questione, per fortuna risolta immediatamente: gli vennero attribuiti dei falsi scritti satirici contro il conde-duque. Nel 1637 Francisco de Rioja, oltre a moralista e severo censore, fu nominato giudice31 di un Certamen reale nei giardini del Palazzo del Buen Retiro, dove senz’altro potette ammirare lo splendore dei giardini e la varietà di quella flora che, non solo aveva già descritto nelle sue silvas32, ma che tornerà quando il poeta comprerà delle case a Siviglia diciassette anni dopo.

La quinta fase ha al centro gli avvenimenti storico-politici che sfociarono nelle insurrezioni di Catalogna e Portogallo, dove gli autonomisti, gelosi dei loro privilegi, erano stanchi di essere retti da un re disinteressato e governati dal suo

30 Dove manifestò il suo parere sull’Elucidarium Deiparae di P. Juan Bautista Poza, dal quale

ritenne di dover cancellare alcune parole sconvenienti e immorali.

31 Insieme all’amico Don Francisco de Calatayud y Sandoval.

32 «Rioja es comúnmente el poeta de las silvas» (RIOJA, Francisco de 1984,op. cit., p. 73). Nata

in Italia con le Silvae di Angelo Poliziano, pubblicate da Francisco Sánchez de las Brozas a Salamanca nel 1554, la silva si sviluppò moltissimo in area andalusa e acquistò in tutta la Spagna, poco a poco, un significato metrico, ovvero designò la combinazione libera di endecasillabi, eptasillabi e versi liberi senza schema fisso di strofe o rime; coltivata soprattutto dai poeti meridionali, essa trionfò con le Soledades di Góngora, formando un sottogenere flessibile e molto ben adattabile all’orientazione descrittiva della poesia barocca e di quella antequerano-granadina, sivigliana e mursiana, che posero anche le basi del genere barocco delle silvas alle stagioni dell’anno (per ulteriori approfondimenti sulla nascita della silva e sulla sua diffusione si rimanda a EGIDO, Aurora (1990), Silva de Andalucía (estudios sobre poesía barroca), Servicio de Publicaciones Diputación provincial de Málaga, Málaga). Inoltre, la poesia descrittiva sorse come prodotto letterario di una società in crisi che aveva una concezione del mondo come complesso labirinto sottoposto a continui cambiamenti e i cui ideali , tra i quali l’effimero e l’abbondanza della natura, vennero eternizzati, trasformati e idealizzati attraverso l’arte.

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14 favorito, il conde-duque de Olivares, fiero oppositore di ogni aspirazione autonomista e regionalista. Nell’estate del 1640 la situazione in Catalogna degenerò, gli autonomisti uccisero quanti non erano catalani e rivolsero al re una petizione33 in cui si chiedeva la destituzione di Olivares; a essa rispose un libro del 1641 intitolato Aristarco, scritto da Francisco de Rioja appositamente per difendere la figura del caro amico e protettore. A nulla valse lo scritto, perché la fortuna di Olivares andò rapidamente declinando: molti nobili ed ecclesiastici gli imputarono fallimenti e disonori nell’amministrazione politica di una Spagna che avrebbe dovuto essere una grande potenza europea, come lo era stata fino a poco prima, ma che invece appariva come un paese in crisi e in decadenza. Sentendosi responsabile per gli ormai numerosi nemici che aveva raccolto attorno alla figura del re, fu lo stesso Olivares a recarsi da Filippo IV e a chiedere di essere esonerato. Nel 1643 l’ex-valido partì per Loeches e insieme a lui c’era Francisco de Rioja: la loro amicizia non venne meno neppure nei periodi più tormentati e il poeta seguì il suo protettore perdendo così ogni privilegio.

Da questo momento inizia la sesta fase della vita di Francisco de Rioja, della quale poco sappiamo: probabilmente partecipò alla redazione, o scrisse di proprio pugno, il Nicandro, opuscolo in cui si attaccavano i calunniatori dell’ormai destituito Olivares e se ne difendevano i meriti, a causa del quale l’ex-favorito venne ulteriormente allontanato a Toro. Rioja non seguì il conteduca in questo secondo esilio, ma probabilmente tornò a Siviglia, dove acquistò una grande casa vicino a un Monastero «adornándola de muchas fuentes y jardines y otras preciosas alhajas siendo las principales sus libros, la qual oy está casi arruinada»34. La sua vita tornò, quindi, allo studio ritirato e solitario e quando uscirono i suoi opuscoli in prosa e le sue traduzioni poetiche giovanili nell’Arte de la Pintura di Pacheco, pubblicata postuma nel 1649, era già diventato dottore. Da alcune lettere scritte tra il 1651 e il 1654 si capisce lo stato psicologico in cui si trovava Rioja:

[...] i yo no he aprendido a pedir, ni a rogar, no por soberbia, sino porque sé, que sólo el ruego del que puede, o se respeta, si se quiere bien, tiene fuerça de

33 La cosiddetta Proclamación Católica a la Majestad piadosa de Felipe el Grande. 34 RIOJA, Francisco de 1975, op. cit., p. 53.

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15 imperio; pero los demás ruegos, como entran haciendo injuria, que es estorbar la libertad de la persona que ha de dar, cansan más, que solicitan. Por esta razón sólo quisiera rogar i pedir a Dios, no a los hombres, con quien de ordinario son ociosas las diligencias de la buena voluntad.35

Rioja ha ormai 71 anni e nella sua vita aveva visto troppe cose, troppe persone, si sentiva alla fine dei suoi giorni, abbattuto e pessimista, e voleva solo il riposo della morte; il suo atteggiamento nella fase finale della sua vita fu quello dell’uomo stanco, disincantato, che non ha più fiducia negli altri, che rivolge la sua preghiera a Dio, non agli uomini che vede come arrivisti, superbi, ruffiani e calunniatori.

Il 1654, anno in cui il re lo richiamò a corte in qualità di bibliotecario reale, rappresenta l’inizio dell’ultima tappa della biografia riojana: tra gli obblighi di incaricato del Capitolo sivigliano e gli incarichi di bibliotecario e consigliere del Santo Oficio, visse gli ultimi anni della sua vita a Madrid con l’unico amico di cui si fidava, D. Alonso Fajardo de Roda, che lo assistette in ogni momento. Ormai vicino alla morte, il poeta lasciò come unico erede di tutti i suoi beni proprio quell’amico fedele che mai lo aveva abbandonato, per infine spegnersi l’8 agosto 1659.

Molti aspetti restano ancora oscuri nella vita di Francisco de Rioja, soprattutto circa i suoi rapporti con il conde-duque de Olivares, e ciò si lega perfettamente con il carattere che emerge dalla sua biografia, dall’opera poetica e dai ritratti conservati36: un uomo schivo e modesto e un poeta che cercò di vivere sempre in disparte, anche quando grandi avvenimenti lo travolgevano37.

Austero studioso e conoscitore dei classici; personalità spesso polemica e intransigente; schivo moralista dalla vita silenziosa e raccolta; persona cauta, fredda, distaccata che sapeva convincere e imporsi; dotto e prudente consigliere indispensabile alla figura di Olivares nel frenarne ambizioni e smanie di potere;

35 Ibidem, p. 55.

36 Uno di Velázquez, uno di Pacheco, uno di don Francisco de Calatayud y Sandoval e uno

prototipico di López de Sedano.

37 In una lettera si legge: « El señor don Francisco de Rioja no da audiencia en su casa ni quiere

que nadie le vea en ella; que tanto señor hace desear y encubre los resplandores de su potencia y valimiento» (cfr. SÁNCHEZ, Alberto 1948, op. cit., p. 393).

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16 umile poeta, infine, che mai fece pubblica ostentazione dei suoi versi, forse ritenendoli giochi della gioventù, svaghi minori o sfoghi di desideri e aspirazioni destinati al piccolo pubblico dei suoi amici. Lo descrive bene Juan Ruiz Peña nel definirlo « […] reservado, cauto, poco expansivo. Pocas palabras y mucha vida interior.»38

Testimonianza di quest’ultimo punto è la sua silva III A la pobreza, in cui ammonisce:

Mirad que es necio error, necia costumbre, soltar a la soberbia assí la rienda:

que yo apenas, umilde i sin contienda, puedo contar en paz algunas oras de las que passo en el silencio oscuro, olvidado en pobreza i no seguro. 39

1.2 UN POETA DI TRANSIZIONE: MODELLI E IDEE ESTETICHE DELLA POESIA DI RIOJA

Francisco de Rioja scrive i suoi componimenti dal 1607 al 1628, ovvero dai ventiquattro ai quarantacinque anni, chiuso nella quiete, nella calma, nella solitudine e nel silenzio della sua Siviglia. Le poesie di Francisco de Rioja vennero pubblicate per la prima volta nel 1770 nel Parnaso español e già in questo periodo Rioja era considerato il malinconico «cantor de las flores»40 e l’abbattuto moralista nelle cui poesie aveva evitato di cadere nel puro e crudo cultismo, per preferire invece l’equilibrio e il buon gusto41.

Infatti la sua poesia si lega, da una parte, al linguaggio amoroso herreriano e rinascimentale (quello dei sonetti amorosi, delle sestine e delle decime), e dall’altra, alla ricercatezza di coppie oppositive e di un gusto raffinato (come nelle silvas e nei restanti sonetti), venendosi a inserire in una fascia intermedia, di

38 RUIZ PEÑA, Juan (1959), Un clásico actual: Rioja, in «Boletín de la institución Fernán

González», XXXVIII, p. 605.

39 RIOJA, Francisco de 1984, op. cit., p. 176, vv. 89-94. 40

COSTE, Jean 1978, op. cit., p. 579.

41 La fama di Rioja era, tuttavia, maggiormente legata a due composizioni: l’Epístola moral a

Fabio e la Canción a las ruinas de Itálica, a lui falsamente attribuite e ripartite, nell’Ottocento, rispettivamente a Rodrigo Caro e Andrés Fernández de Andrada.

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17 transizione, post-rinascimentale, ma pre-barocca: il Manierismo42. La sua non è affatto una poesia oscura per i virtuosismi verbali o per le recondite allusioni, eppure formalmente cultista, arricchita di formule e archetipi stilistici che in seguito saranno emblematici del poeta barocco (iperbati, aggettivazione epitetica, enjambement). Riguardo ai suoi modelli privilegiati, Francisco de Rioja viene di consueto definito come il miglior discepolo del Divino Herrera, soprattutto per il gusto classicista delle sue composizioni; tuttavia, come già indicato sopra, il poeta sivigliano mostra una predilezione per il gusto arcaicizzante del linguaggio e per gli epiteti barocchi, che lo allontanano dal grande maestro sivigliano.

Assieme a Herrera, Rioja fu un grande imitatore di Orazio e di Seneca, un forte esponente di quello stoicismo cristiano aurisecolare che lascerà una profonda impronta in poeti sia rinascimentali che barocchi43. Francisco de Rioja fu infatti un campione di un tipo di poesia morale che rifletteva sulla brevità della vita e sulla futilità delle ambizioni umane, inserendosi perfettamente sulla linea tematica caratteristica dell’uomo seicentesco: quella di una poesia esistenziale che filosofeggia sulla vita e trasmette disinganno. L’ideale etico-morale riojano si articola nelle sue opere in una contaminatio di vari punti del pensiero oraziano: tra di essi, il carpe diem ( unito al collige, virgo, rosas di Ausonio), l’inutilità delle ambizioni umane, la navis come allegoria dell’esistenza umana (motivo ampiamente codificato e imitato), la necessità per l’uomo di ritagliarsi uno spazio interiore di libertà e rinuncia (un’aurea mediocritas caratterizzata da un certo epicureismo) e di non sfidare le pericolose forze del destino (Caelum. non animum mutant qui trans mare currunt; Mors et fugacem persequitur virum ), l’indispensabile forza e costanza nell’accettazione della continua sofferenza esistenziale (iustum et tenacem propositi virum; Aequam memento rebus in arduis servare mentem), l’essere sordo alle voci del volgo (odi profanum vulgus et arceo), il contemplare una pace interiore lontano dai pericoli mondani (Beatus ille qui procul negotiis) e la costanza dell’amante nelle situazioni più avverse (Pone me, già in Petrarca, Herrera e Sannazaro e tipico soprattutto dei sonetti herreriani).

42

Cfr. OROZCO DÍAZ, Emilio (1956), Lección permanente del Barroco español, Ateneo, Madrid.

43 L’influenza di Orazio tra i poeti della cosiddetta scuola sivigliana si riconosce, in aggiunta, nella

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18 Ma non solo l’autore latino fu modello lirico dei temi riojani, bencì anche di certi tratti formali come l’iperbato (tipico di Orazio, e con lui di Medrano ed Herrera) e soprattutto la callida iunctura e la morosidad descrittiva: il primo riguarda la combinazione di ossimori, allitterazioni o rime sparsi in vari versi, mentre il secondo consiste nella deviazione dal filo argomentativo alla fine del componimento, per concentrarsi su di un dettaglio che è stato lungamente portato fino alla fine.

Egli preferì l’armonia all’ostentazione, la sobriedad rispetto allo stile culterano del suo tempo, la scelta di parole pittoresche e di un’arte capace di esprimere poeticamente pensieri filosofici. La sua poesia è lineare, asciutta, le immagini hanno grande forza sonora, i temi sono originali e ben scelti e spicca un marcato gusto per il colore, per la pittura, per la Bellezza; delicata è l’espressione ed eccelso è lo stile che, pur se a tratti abbastanza ricercato, non è affatto confusionario, grandiloquente od ostentoso, ma bensì elegante e ricco: tutte caratteristiche che, da una parte, creano continuità con Herrera, ma dall’altra mostrano un superamento, un miglioramento e un gusto personale. In aggiunta, per quanto riguarda la forma e lo stile, due punti sono importanti: da una parte, il concetto di esattezza e rigore sul piano tecnico formale, che include la necessità dell’erudizione e della maestria tecnica nell’adeguatezza degli ornatos poéticos ereditati o imitati dai classici; dall’altra, l’aspetto colto della poesia, ovvero la ricchezza di colore e luce, la forza delle immagini, la bellezza degli orpelli. Tuttavia, come precisa lo stesso autore, non bisogna mai dimenticare che la chiave della sua poetica risiede nel trattare gli elementi poetici

[…] con palabras mas senzillas i propias […] ellos se an de ofrecer, no se an de buscar entre las palabras. Quien vistiesse un cuerpo […] con demasiado ornato, no haria otra cosa que oscurecer i ocultar la hermosura de sus partes.44 Con ciò Rioja vuole indicare un tipo preciso di claridad, quella di parola ma non di concetto, uno stile, insomma, che si adegua al realismo e all’evidenza oggettiva dei sentimenti, e asserisce che l’oscurità formale è una perdita sul piano dell’autenticità, una diminuzione dei contenuti dovuta alle tenebre

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19 dell’espressione: tanto migliori i concetti, quanto meno li si cela dietro a forme e modi eccessivamente esasperati. La preoccupazione che lo stile possa nascondere le parti di maggior importanza, che devono invece avere una rilevanza immediata, confermano la funzione moralistico-didascalica dell’arte riojana, di una poesia come messaggio e non pura e semplice espressione.

Perciò Rioja, pur vivendo a cavallo tra due secoli, non può essere definito né cultista né puramente petrarchista, poiché seppe contrapporre allo squilibrio post-rinascimentale l’esenzione dai ritorcimenti dell’anima e dall’espressione barocca, oltre a mantenere una salda fiducia nelle virtù morali e nello stile llano di un «classicismo eterno»45; segue insomma un altro stile colto, derivato dall’esempio di Herrera, ma diverso da quello gongorino, dato che «[...] los poetas sevillanos de comienzos del siglo XVII llevan algo de Góngora dentro aunque parezcan disimuladamente en un estilo clasicista no culterano»46. Il suo linguaggio è depurato dall’artificiosa carica culterana, è fluido e scorrevole nei versi: Rioja vede l’arte come messaggio e non come pura espressione47. Il poeta, quindi, si caratterizza per due principali aspetti: la semplicità raffinata della versificazione e l’interesse moralistico-filosofico, traducibili nei due temi dell’amore per la bellezza e dell’inquietudine dell’esistenza.

Altro peculiare influsso nella poesia riojana è la relazione tra la letteratura e le arti plastiche (in particolare la pittura), non solo per la profusione descrittiva o il significato pittorico, ma anche per il caso, frequente nel periodo, di poeta-pittore o poeta letterato48; nel caso di Rioja, membro del circolo di Pacheco, si potrebbe asserire che il poeta avesse ben assimilato, e successivamente inglobato, i concetti

45 Ibidem, p. 80. 46 Ibidem, p. 87

47 «Rioja’s primary distinction is conceptual rather than stylistic, with a change in tone more than a

change in expression» (cfr. FRIEDMAN, Edward H. (1979), Natural Imagery and Poetic Stance in the Love Sonnets of Francisco de Rioja, in «Rocky Mountain Review of Language and Literature», Vol. 33, n. 1, p. 20).

48

È il caso di Francisco Pacheco, Juan de Jáuregui, Francisco de Calatayud, Don Juan de Arguijo, Juan Fonseca y Figueroa, Rodrigo Caro, ecc.; il topico oraziano del ut pictura poesis fu un tratto tipico della scuola sivigliana e nella poesia di Rioja troviamo, infatti, frequenti riferimenti alla pittura: «lo notable, en efecto, de este grupo sevillano no es que estuviera formado por poetas interesados en la pintura o pintores interesados por la poesía: lo que los hace verdaderamente relevantes es que un buen número de ellos practicaron indistintamente las dos artes hermanas de la imagen y la palabra» (cfr. LLEÓ CAÑAL, Vicente (2007), Ut pictura poesis (pintores y poetas en la Sevilla del siglo de Oro, in «Separata del Boletín de la Real Academia Sevillana de Buenas Letras: Minervae Beticae», n. 36, pp. 48-49).

(12)

20 di rappresentazione pittorica e di spessore plastico, come ben indicano i suoi componimenti, in particolare quelli ai fiori49.

Perciò, Rioja recupera i classici reinventando e riutilizzandone topoi e archetipi50, mentre per quanto riguarda il linguaggio, da un lato, accetta l’introduzione di termini antichi e arcaici nel suono e nel significato51, dall’altro, dosa certi mezzi stilistico-formali, accettandoli quando si adeguano alla cultura espressa nell’opera e rifiutandoli quando portati ingiustificatamente all’eccesso a discapito dei contenuti: è quindi un modo nuovo e diverso di intendere la poesia, né strettamente cultista, né classicisticamente rinascimentale52.

1.3 I TEMI DELLA POESIA RIOJANA

Rioja «no inventó ninguno de los elementos filosóficos de su poesía»53 e concentra in generale i suoi grandi temi intorno a quello amoroso e a quello riflessivo-morale, eredità, da un lato, del mondo herreriano-petrarchista, dall’altro, dei modelli poetici che traducono il sentimento e la cosmovisione barocca54. Perciò è necessario enucleare, dato che gli stessi si affacciano, in modi più o meno vari in ogni silva dedicata ai fiori, i temi e i motivi che concorrono nel vasto mondo della poesia giovanile riojana.

49

«La caractéristique de l’école sévillane, ce sera le mariage de la peinture et de la poésie» (BONNEVILLE, H. (1964), Sur la poésie a Séville au Siècle d’Or, in «Bulletin Hispanique», Tomo LXVI, n. 1-2 (Janvier-Juin), p. 322).

50 «[…] un concepto muy generoso de la imitación, lejano desde luego de la imitación servil. Se

toman ideas y se desarrollan, sin que por eso deje de estar presente y detectable la fuente» (cfr. HERRERA MONTERO, Rafael (1995), Sobre el horacianismo de Francisco de Rioja, in «Epos: revista de filología», n. 11, p. 91).

51 Questo spiega l’uso di parole dotte e di un lessico colto, ricercato ed erudito da parte di Rioja. 52 Tesi avvalorata anche dall’analisi sintattica delle sue poesie, che mostrano un tessuto costruito

su moduli cultisti (nessi stravolti, sovrapposizioni, iperbati, ecc.), ma anche riconducibile al modello herreriano, in quanto non solo se ne imitano espressioni diventate ormai comuni, ma ci si allontana anche dai vorticosi sovraccarichi e dai contrasti oscuri del barocco.

53

HENRÍQUEZ UREÑA, Pedro (1967), «Rioja y el sentimiento de las flores», in Idem, Plenitud de España: estudios de historia de la cultura, Editorial Losada, Buenos Aires, p. 19.

54 «La poesía de Rioja surge emanada desde estímulos diversos. Uno […] se asienta en el tema [...]

del paso del tiempo [...que adquiere] concreción plástica al fijarse en el emblematismo de [...] las flores[...]. El otro ámbito de su poesía se desenvuelve dentro de la temática amorosa. Y aquí es [...] de un herrerianismo [...en lo] formal-estilístico y no en la intencionalidad significativa» (cfr. LÓPEZ BUENO, Begoña (1990), «La sextina petrarquista en los cancioneros líricos de cuatro poetas sevillanos (cetina-Herrera-Cueva-Rioja)», in Eadem, Templada Lira. 5 Estudios sobre poesía de siglo de oro, Don Quijote, Granada, p. 70).

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21 Uno dei primi è il tema religioso, forse quello più usato e tipico del poeta, per il quale l’ascensus herreriano a Dio si trasforma nel recupero drammatico di un confine metafisico come orizzonte estremo dell’esistenza umana, come trama segreta di ogni movimento e azione. Rioja, quindi, non ripropone la visione medievale in cui si apprezzava la morte come transito alla beatitudine, bensì percepisce una legge del fato come limite, come simbolo della chiusura della vita umana in uno spazio angusto e invalicabile, manifestazione dell’impotenza umana. L’uomo è chiuso nella delusione e nella vanità di qualunque dialogo con le sacre e misteriose forze naturali o divine, l’orizzonte metafisico definito è rigoroso e duramente esclusivo55; se per tutto il Rinascimento l’uomo è stato faber fortunae suae, adesso affiora l’antica legge del fato, non più misteriosa e suggestiva minaccia, ma verità assoluta, esatta. La legge del fato, assieme alla conseguente delimitazione dello spazio umano, è quindi il secondo motivo centrale della poesia riojana. Ciò è anche in linea con lo sfaldamento dell’ottica antropocentrica rinascimentale a favore di una crisi di valori in cui lo spirito, il mondo, l’uomo e la natura non possono più stare insieme in quella sintesi di rispetto timoroso verso Dio e in quella consapevolezza e fiducia nei propri mezzi razionali. La fine del Cinquecento lascia l’uomo inerme e scoperto, obbligato a un’analisi di coscienza e di ricerca di proporzioni e di limiti; il cammino verso la bellezza assoluta si ritrova ad affrontare un cataclisma in cui sono turbati i ruoli Dio-natura-uomo fino a provocare una grande crisi, la crisi dell’uomo barocco: si deve riorganizzare una nuova trama di ideali entro cui sia possibile delineare le caratteristiche di un uomo nuovo, con nuove basi e con nuove soluzioni per tutta una serie di problemi gravi che sembrano aver minato le antiche certezze56.

55 L’assoluta verdad riojana è l’esistenza di un confine supremo oltre il quale viene impedito ogni

tentativo che si affidi alle sole forze umane; il cielo, ad esempio, usato spesso da Rioja, non rappresenta una possibilità di dialogo o una speranza di redenzione, ma appare come frontiera, come muro inquietante nei confronti delle accese e animate passioni umane, destinate a fine prematura e ineluttabile: è la verità dell’indifferenza divina per le umane sorti.

56

Eccellenti rappresentazioni di tale crisi saranno le due correnti seicentesche capitanate da Góngora, con cui si ricostruisce, attraverso materiali riplasmati, una nuova bellezza e un nuovo mondo perfetto, e da Quevedo, che analizzerà la caduta degli ideali nella grottesca sfilata di vizi ed errori umani; «[…] la realidad ya no se contempla como sinónimo de armonía, de perfección eternizada en cada instante, tal y como ocurría en el Renacimiento, sino que se interpretaba como algo múltiple, desbordante, repleto de infinitos matices, a la vez que cambiante, lleno de apariencias, fugaz y proclive a una muerte irremediable» (cfr. FERNÁNDEZ DOUGNAC, José (1992), El Paraíso Comentado, Ediciones A. Ubago, Granada, p. 64).

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22 Strumento del fato, e altro topico riojano, è il tempo distruttore, entità impossibile da ingannare poiché niente è eterno e stabile, tutto è movimento e fuga contro l’illusione di immobilità ed eternità57; nella poesia di Rioja è continua la denuncia del tempus fugit come verità esatta e spietata, impassibile e indifferente, che non permette eccezioni o varchi e che non salva né rende immuni58. Comunque sia, né il tempo né il fato possono impedire passioni, desideri e speranze (e il poeta ne è consapevole), ma proprio la conoscenza di tale verità rende più vigorosi gli impeti vitali, sempre però delusi alla fine. Né la giovinezza né il vigore possono davanti alla provvisorietà della vita, ogni fuga è vana e l’indifferenza del fato rende vana ogni preghiera: sembra che rimanga solo la certezza della morte. L’unico sollievo è l’assunzione della concezione del tempo annichilente, l’armonia è possibile solo accettando la dissoluzione del bello, senza rimpianti: «il tempo è l’autentica ossatura della realtà […] una forza operosa e segreta che corrompe le cose, sottraendone la linfa per instillarvi la morte[…] un tempo sostanzialmente in funzione antiumana»59

.

Testimonianze di questo tempo-carnefice sono le rovine, resti di opere umane sottoposte alla violenza del destino, alle quali gli anni consentono di sopravvivere come cimeli di un passato glorioso e come testimonianze dell’ormai impotente costruttore che fu l’uomo e che oggi viene punito per la sua hybris; prove della mortalità umana, le rovine sono simbolo del tempo distruttore, del disinganno e della vanitas, nonché topico consustanziale dell’ideale etico ed estetico barocco60.

Accanto al tempo, il mare, altro essenziale elemento riojano che limita l’uomo e lo distrugge, la cui forza oscura e traditrice lo fa sprofondare e ne causa

57 Nel sonetto XXIX, dedicato a Don Juan de Fonseca y Figueroa, il poeta racchiuderà questa

sentenza in uno splendido verso: «Que todo huye como viento airado» (cfr. RIOJA, Francisco de 1984, op. cit., p. 178, v. 14).

58 «Porque el verdadero protagonista del drama del Barroco es el tiempo» (cfr. OROZCO DÍAZ,

Emilio 1956,op. cit., p. 53).

59

RIOJA, Francisco de 1975, op. cit., p. 112.

60

«Junto a Horacio, la moral senequista conformará el idearium de una poética ejemplarmente concretada en […] las silvas de Rioja a las flores […]» (cfr. LÓPEZ BUENO, Begoña (1990), «Tópica literaria y realización textual: unas notas sobre la poesía española de las ruinas en el siglo de oro», in Eadem, Templada Lira. 5 Estudios sobre poesía de siglo de oro, Don Quijote, Granada, p. 87). Dall’introduzione del tema delle rovine con Gutierre de Cetina, che imitò Baltasar de Castiglione, saranno Fernando de Herrera e, dopo di lui, Medrano, Arguijo, Rioja e Caro a cristallizzare e fissare il topos a quello del tempo fugace, sia nell’ambito amoroso che in quello morale.

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23 il naufragio esistenziale, come vittima della forza bruta di una natura che punisce gli avari, i superbi e gli invidiosi. Il motivo marino, di tradizione grecolatina e recuperato da Petrarca61, si adegua perfettamente all’allegoria della vita nella poesia morale: forza cieca e attraente inganno, rappresenta l’ambizione umana verso lo sconosciuto, che sempre si risolverà in un fallimento esemplare. Il simbolo del mare è un topico della poesia del poeta sivigliano ed è sempre una presenza allo stesso tempo affascinante e inquietante, formidabile e misteriosa, perenne seduzione adescatrice che conduce all’illusione e al disinganno. La lotta con la tempesta si risolve sempre nella devastazione della nave, nella perdita, nella sconfitta: l’audacia del navigante è imprudente osadía ed esplicito escarmiento, poiché la morte e la rovina sono le uniche e certe verità per chi crede di sconvolgere i mari con la propria volontà di dominio. L’uomo che è tentato di solcare il mare, simbolo di angoscia, instabilità, insicurezza, pericolo occulto, minaccia velata di lusinghe, contiene in sé le ragioni del naufragio: affidarsi alla mobile variabilità dei flutti non può che condurre alla rovina proprio per il carattere di incertezza e mutevolezza di cui l’elemento marino è simbolo.

A seguire, la natura in generale è un altro topos riojano, frequentemente presentata come occasione per il poeta di appassionata osservazione e attenta contemplazione. Lo sguardo del poeta si posa sullo spettacolo naturalistico con un'intensità animica che si fa partecipe dei casi e alle vicende naturali, utili exempla che illustrano profonde meditazioni ed evidenti lezioni morali. Il paesaggio in Rioja viene colto attraverso la vista, la visione della natura passa attraverso la persona stessa del poeta e se, da un lato, lo coinvolge, dall’altro, è usata per raffigurazioni o trasfigurazioni o costruita ad hoc per ricevere lo spessore delle passioni e dei sentimenti dell’uomo. Se la natura di Garcilaso, amabile sfondo della favola d’amore dei pastori e delle ninfe, ha ceduto il posto in Herrera ad un adorazione estetica della Bellezza assoluta e oggettiva e in Góngora alla ricostruzione impreziosita e originale secondo un codice nuovo e perfetto, essa in Rioja viene a collocarsi in una posizione ambivalente: da una parte, il recupero, attraverso la vista, della natura reale, dall’altro, un uso pragmatico di essa come forma esemplare di bellezza. Nella poesia riojana, inoltre, la natura

61 Che Rioja riprende, a sua volta, dal maestro Herrera, ma anche dalla tradizione classica, come

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24 viene riscoperta come unico scampo e tentativo di salvezza, come pura bellezza di audace slancio vitale che vuole sottrarsi alle maglie del tempo; l’autore ammira, pertanto, la sua bellezza, le sue forme e i suoi colori, ma non si esprime con sensualità, passionalità o orge cromatiche, bensì con un equilibrato rammarico di fronte a un mondo animato dal desiderio di vita e che finirà solo nella dissoluzione. In ogni caso, sempre sulla linea dello sfaldamento barocco degli ideali e dei valori, sarà allora la natura che offrirà degli stupendi esempi di bellezza che portano in sé il segno di autenticità e verità: sono i fiori delle silvas. Prorompe alla fine, comunque sia, la sofferenza della bellezza naturale62, stremata da un destino superiore che tende a soffocarla e distruggerla; lo sgomento, la ragione dell’infelicità del poeta, empatico con l’elemento naturale, hanno come causa l’inesorabile violenza che il tempo, nel suo alternarsi stagionale, esercita contro la bellezza della natura: il tempo porta ovunque desolazione e morte, spirituale e fisica, ai fragili e preziosi prodotti del paesaggio63. La natura, per il poeta sivigliano, è un contrasto di forze: è inquieta, vitale, emblematica, agonizzante nella sua bellezza indifesa e predestinata. Insomma, essa è a metà tra immagine e concetto, tra realtà e simbolo: natura e vita si scambiano la stessa sorte, sono unite dalla certezza che il tempo fugge e si trascina tutto dietro, essendo proprio questo ad innalzare la bellezza umana e quella naturale davanti al destino. In relazione a ciò sono frequentissime le metafore umane applicate alla natura, come se essa e l’uomo fossero parti scambiabili di un’unica vicenda universale, pezzi dello stesso rompicapo, tessere di un unico puzzle subordinato ad una legge spietata e terribile. Anche se inserita in similitudini, metafore o altre tecniche retoriche, la varietà della natura non è comunque un semplice strumento; l’intensità dell’immagine poetica, sebbene riveli un interesse naturalistico, serve ad esprimere la situazione del poeta in un raffinato gioco di immagini e di forme eleganti, mai così esageratamente barocco.

62 «Francisco de Rioja, whose works are Baroque in form and to some extent classical in

inspiration […] contrasts the beauty of nature with its destructive aspect» (cfr. FRIEDMAN, Edward H. 1979, op. cit., p. 19).

63

È il tema della mudanza, usato nel parallelismo tra la vicenda amorosa e le variabili alternative stagionali, tra la storia erotica dell’amante e l’andamento ciclico della natura; il mancato adattamento al ritmo naturale, topico petrarchesco, è il supporto di una disperazione che l’amante fonda sulla natura.

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25 L’elemento naturale, e nello specifico caso quello floreale, si lega anche ad un altro tema preponderante della poesia e della personalità del poeta sivigliano: l’acuto moralismo (prevalentemente oraziano); il poeta latino offriva un codice etico che puntava a dignificare l’uomo a partire da se stessi e dall’esercizio della virtus e, così, Rioja opta per una razionalizzazione dell’esistenza umana a partire dal riconoscimento dei propri limiti e dalla ricerca dell’equilibrio, dell’aurea mediocritas; grande protagonista resta, però, il fugace tempo oraziano, contro il quale l’uomo ha due possibilità: o costruirsi un solido sistema etico-morale al quale attenersi o godere del momento, dell’istante, della bellezza immediata (così appare questo topico nei sonetti e nelle silvas64). Nelle sue poesie si interseca la possibilità di redenzione morale con le manifeste incapacità di resistere alle tentazioni e con il disperato attaccamento alle cose terrene (di cui il fiore rappresenta l’escarmiento). Sui temi del tempo, del limite umano e del destino si sovrappongono avvertimenti, domande, constatazioni e deduzioni di ampia influenza oraziana: la comunità del male e la positività della sofferenza come segno di grandezza d’animo65, l’invito a cogliere il senso degli esempi, la necessità della verità sul tempo e sul destino umano, così da poter orientare le proprie azioni66, l’invito alla resistenza e al non fuggire dal proprio posto67), il male della ricchezza e della superbia, ecc. Quello che importa nel sistema morale di Rioja è senz’altro la fiducia nella virtus, verso cui l’uomo deve sempre aspirare, ricercandola attraverso la fedeltà a un criterio morale saldo e incrollabile: Rioja non impedisce di godere dei beni, ma sempre con un’aurea mediocritas di distacco, di equilibrio e di controllo di sé.

Rioja percepisce il tempo come inquietudine, come una forza che annienta l’uomo e le cose e da qui i vari tentativi nella sua poesia di eluderlo attraverso due principali scelte: o la fuga verso l’ignoto, verso la solitudine e l’oblio sociale,

64 Come in quella alla rosa o alla Bella di notte, dove il punto di vista è lo stesso: la bellezza e la

vita risiedono nell’istante, sapere questa verità e accettarla senza disperazione è la garanzia di un’esistenza felice.

65

Di cui la vite del sonetto XXV, che si adorna del sacrificio della potatura, ne è un esempio (cfr. RIOJA, Francisco de 1975, op. cit., pp. 306-307).

66 Rioja, opponendosi al pessimismo oraziano del quam minimum credula postero, che trovava

rifugio nel non sapere, propugna, invece, la necessità della consapevolezza dell’esistenza del tempo, benché se ne ignorino le leggi: pur mantenendo l’invito a cogliere l’attimo, bisogna essere, insomma, una «creatura felice nel destino segnato» (cfr. Ibidem, p. 115).

67 È il tema epicureo dell’aponía e del katastematikós, ovvero il raggiungimento di uno stato di

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26 oppure il godimento della bellezza, il cedere al destino e insieme goderne nell’adorazione dell’istante, dell’amore, dell’attimo fuggente come vittima disperata e consapevole. Emerge, perciò, nel poeta sivigliano la segreta inclinazione dell’uomo a volersi sottrarre al destino e che brucia nel desiderio di prolungare la vita, di arrestare il corso degli anni: quel desiderio frustrato di immortalità che dovrà sempre scontrarsi con il tempo come forza inappellabile e con la morte come un debito da scontare alla fine della nostra brevissima vita.

Un’altra componente dell’opera poetica di Rioja ruota intorno alla sfera amorosa, sia secondo la tradizione petrarchesca della lode amorosa alla donna68, sia con accenti filosofico-moralistici. Tuttavia la sua poesia erotica è occasionale, si tratta cioè di una serie di episodi amorosi che non si configurano attorno ad un’unica persona (come nel canzoniere herreriano), ma intorno ad una serie di nomi vari che costellano i suoi scritti (Lice, Clori, Fili, Lesbia, Cloe, Luz, Eliodora, Aglaya, ecc.), che da un lato avvicinano Rioja ai grandi maestri rinascimentali, ma dall’altro lo distinguono: non c’è una storia unica, compatta, non esiste la tensione verso un’unica donna, un unico obiettivo, ma subentra una pluralità di avvenimenti e una pluralità di figure femminili (tutte inevitabilmente circostanziali e funzionali all’espressione lirica). I topoi tematico-formali della poesia amorosa69 riojana sono quelli petrarchisti ed herreriani: la bellezza della donna, le menzogne d’amore, l’assenza dell’amata, lo sdegno della stessa, la passione amorosa come prigione70 o come lotta contro il mare, la sfera intima di un amore metafisico e ideale (tanto inaccessibile risulta essere la donna amata), l’oraziano carpe diem e il virgiliano tempus fugit, il riferimento all’incostanza della natura e alle sue stagioni, i paragoni con gli oggetti naturalistici71, le coppie oppositive fuego/hielo, metafore rispettivamente del desiderio amoroso e dello sdegno dell’amata, forze che consumano l’amante in un totale dissolvimento, ecc.

68 Infatti, molti nomi sono herreriani e il ritratto della donna è quello tradizionale della descriptio

puellae, così come la rappresentazione dell’amata è indiretta ed eseguita attraverso i tratti della bellezza, dell’abbigliamento o del comportamento.

69

La migliore espressione di tale poesia amorosa sono le tre Décimas, in cui l’amante lotta tra la prudenza e un cauto sentimento di accettazione della sofferenza d’amore; sono presenti tutti i sintomi della pena amorosa, passando dalla tradizionale contemplazione petrarchesca del ritratto della dama al motivo castigliano del recato (o discrezione) nei confronti del proprio sentimento.

70

Ovvero il tema tradizionale castigliano della cárcel de amor, per il quale il poeta preferisce la solitudine nella propria prigione esistenziale rispetto alle alterne vicende di un amore difficile.

71 Come nei sonetti III, VIII e XVI, dove utilizza, rispettivamente, i pioppi, la rosa e il frassino, i

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27 Una novità nella poesia riojana rispetto a quella tradizionale è la presenza della donna colpita a sua volta dal male d’amore, che tuttavia non lascia trasparire niente e dissimula con falsa freddezza; compare, quindi, una nuova figura di donna, intenta a celare il suo sentimento, ma allo stesso tempo inquieta nella pena amorosa.

Francisco de Rioja è fedele a un mondo poetico che esige la costante presenza di un protagonista: sarà il mondo della natura in generale, le inquietudini amorose, una figura femminile di circostanza o anche solo le ardenti immagini dei fiori.

Di profondo interesse sono le considerazioni sulla sintassi e sul lessico riojani, con i quali l’assunto tematico viene sviluppato senza ambiguità di labirinti verbali ed esasperazioni di concetti, con frequenti riprese dal modello herreriano o classicista72, ma senza rinunciare a peculiarità sintattiche cultiste73 che, tuttavia, non porta mai all’eccesso. Rioja è quindi inseribile tra petrarchismo e cultismo, in quella corrente manierista dove formule consuete e persino ovvie nella costruzione del periodo poetico diventano maniera. Egli segue in parte Herrera, ma, limitandosi alla sola varietà linguistica e ricchezza verbale, accede anche all’ampliamento lessicale gongorino, pur evitando le audaci tensioni di rinnovamento e allargamento semantico che attuerà il cordovese.

Ultimo, ma non per questo meno importante, il colorismo e plasticismo poetico di Rioja. Di facile deduzione risulta la relazione di Rioja con le arti in generale: amico di pittori e frequentatore del circolo di Pacheco, egli è pienamente inserito nelle discussioni e nelle polemiche che il suo tempo dedicava all’arte. Il poeta sivigliano si pone in disaccordo con il criterio tradizionale secondo il quale l’artista riproduce ciò che precedentemente ha elaborato con l’ingegno74

, per invece incarnarsi nella nuova, matura e ardita coscienza del pittore barocco come superamento e ricreazione della bellezza della natura nel massimo di perfezione

72

Come il frequente uso della formula ʻque + verboʼ, del polisindeto, dell’epiteto più l’aggettivo posposto, tipico di Herrera, dell’interiezione herreriana a scopo lirico, ecc.; inoltre, da Herrera prenderà anche molti cultismi e arcaismi, dimostrando di aver assimilato, dal maestro sivigliano, una grande varietà lessicale.

73

Come l’uso dell’iperbato, delle bimembrazioni e trimembrazioni, delle correlazioni o degli enjambement, che se da un lato rivelano un distacco dal cosmo herreriano, dall’altro restano aspetti stilistici spesso imperfetti, lontani dai tipici moduli barocco-gongorini.

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28 che può ottenere: vita ed essenza della bellezza sono i colori dei fiori (che protagonizzano le sue più note composizioni), a cui dedica Rioja una cura particolare in tutta la sua poesia. Rioja può quindi essere definito un poeta-pittore paesaggista, sedotto dagli elementi campestri, nelle cui poesie ai fiori riesce a sovrapporre alla preoccupazione morale ed esemplare un’abbagliante immagine di giardino e di quadro naturale75.

Tuttavia, tale ispirazione descrittivo-paesaggistica rimane emblema del panorama interiore e personale del poeta; non si può infatti parlare di un vero e proprio paesaggio riojano, oggettivo, inserito entro linee concrete e geografiche, bensì di richiami e rinvii spaziali, di citazioni, allusioni e indizi ora al fiume, ora al mare, ora al monte, ma tutti esponenti di una geografia interna, dell’anima, una trama ideale di sentimenti. Si uniscono sì riferimenti petrarcheschi a quelli della laus urbis natalis (il paesaggio fluviale sivigliano, la vegetazione e la selva andaluse, ecc.), ma i topoi paesaggistici servono in generale all’autore per mostrare la mutabilità della natura, i suoi cambi stagionali, la sua dinamicità che ben si lega ai vari temi personali, amorosi ed esistenziali.

Poeta-ritrattista, nel caso specifico delle silvas, affascinato senz’altro dai bodegones e floreros del suo tempo76, la sua tensione pittorica emerge nei vari accostamenti, nelle mescolanze di colori, nelle intensità della luce, nella capacità di far risaltare masse pure di colore, nel cromatismo preponderante che è uno degli elementi centrali del suo fare poetico77. Tra i vari colori che emergono risalta l’uso del bianco, come trionfo herreriano di luce, del rosso, come colore sfrenato e passionale e, infine, del verde, del giallo, del nero, del rosa e dell’oro; a

75

«The poet uses art, an obvious analogue of literature, to deal with the problem of reproduction of nature» (cfr. FRIEDMAN, Edward H. 1979, op. cit., p. 37).

76 Opere pittoriche di massima fioritura nel Barocco, tra le quali sono famose le Selvas del año o

quelle specificatamente granadine delle Estaciones del año (Silva a el hibierno, Silva a el verano, Silva a el estío, Silva a el otoño), così come le opere di pittori spagnoli quali Sánchez de Cotán, Velázquez, Zurbarán, Blas de Prado, Mateo Cerezo, Antonio de Pereda, Juan van der Hamen, Juan de Espinosa, Antonio Ponce, Francisco Barrera, Ignacio Arias, Pedro de Camprobín, Pedro de Medina Valbuena, i pittori fiamminghi e molti altri. «El tratamiento singular de cada estación, como el de las plantas y flores, hace que éstas se desgajen del conjunto unitario del cosmos para alcanzar cierta independencia, sin perder por ello la relación con el universo del que dependen; ni con el hombre, que le presta tonalidades morales o referentes antropomórficos» (cfr. EGIDO, Aurora 1990, op. cit., p. 40).

77

«Lo visual en estas descripciones es […] uno de los fines que el poeta persigue, tal y como hace un pintor» (cfr. OSUNA, Rafael (1968), Bodegones literarios en el Barroco español, in «Thesaurus», Tomo XXIII, n. 2, p. 208).

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29 ciò si sommano le metafore pittoriche e gli epiteti colorati78 sparsi nei suoi versi e il tripudio di colori delle tipiche coppie oppositive barocche («luz y púrpura»79, «nieve y rosa»80, «la púrpura y la nieve»81, «nieve y púrpura», «nieve y […] rosa», «el frío y […] el calor»82, ecc.).

Altra caratteristica pittorico-poetica della poesia di Rioja è l’uso di colori spirituali e psicologici83, ovvero tonalità astratte e allusive che rappresentano lo scambio continuo tra il mondo fisico e quello spirituale, tra la natura visibile e le reazioni psicologiche e animiche dell’animo. Pertanto Rioja, benché diretto erede del colorismo herreriano, si sottrae al virtuosismo cromatico barocco; Góngora sarà molto più ardito e più prezioso nelle sue immagini e nei suoi materiali, mentre a Rioja non interessano gli impasti di tonalità, bensì il colore di per sé, assoluto, quasi puro, anche se nella descrizione del quadro naturalistico e nella presentazione delle sue creature preferite, i fiori, si nota un certo lusso, certi oggetti di grande forza cromatica, di smagliante decorativismo e di brillanti tocchi barocchi: è insomma, anche qui, un poeta di transizione.

1.4 LE SILVAS AI FIORI: IL RAMILLETE POETICO DI RIOJA

I componimenti di Rioja dedicati ai fiori, oltre a dimostrare un forte sentimento della natura da parte del poeta, costituiscono un vero e proprio “mazzolino” di versi, un «jardín poético»84

nel quale l’autore non si accontenta di presentare una singola specie floreale, bensì una serie di straordinarie e originali produzioni raccolte in un florilegio personale. Le sue silvas non si limitano solo alla funzione emblematica dell’elemento descritto, ma racchiudono i principali

78 Come, ad esempio, «blanca luz rosada» (v. 10), «cano seno» (v. 21) e «pardas entrañas» (v. 25)

nella silva VII A la arrebolera, «clavel ardiente» (v. 1),«canas nieves» (v. 7), «nevada i tersa frente» (v. 20) ed «encendido seno» (v. 36) nella silva VIII Al clavel, «encendida rosa» (v. 1), «llama ardiente» (v. 14) e «purpúrea flor» (v. 21) nella silva X A la rosa e infine i numerosi che compaiono nella silva XI Al jazmín.

79

Al v. 61 della silva VII A la arrebolera.

80 Al v. 29 della silva VIII Al clavel. 81 Al v. 18 della silva IX A la rosa amarilla.

82 Rispettivamente al v. 1, al v.21 e al v. 61 della silva XI Al jazmín. 83

Come «tiempo oscuro», «color sangriento», «color de los amores» e «color medroso», rispettivamente al v. 69 della silva VII A la arrebolera, al v. 37 della silva VIII Al clavel, al v. 4 della silva IX A la rosa amarilla e al v. 58 della silva XI Al jazmín.

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30 topoi riojani, ornati e raffinati, nel caso specifico di quelle sui fiori, da esplosioni di colori e profumi.

Benché Rioja coltivi con la silva anche l’impronta dell’ode morale oraziana (dalla I alla V) o quella del componimento descrittivo (la silva VI Al verano, ad esempio), le cinque dedicate ai fiori oscillano tra il gioco lirico (la VIII e la XI) e quello simbolico (la VII, la IX e la X). I fiori, le piante, le stagioni dell’anno, tutti gli aspetti della natura, insomma, gli ispirano sia la passione amorosa, l’incanto per la bellezza muliebre e floreale comparate, le brame dell’amante sdegnato, sia il pensiero della condizione di sofferenza umana, ricordando la velocità del tempo e della morte come perenni ombre che incombono sul quadro più bello e giocondo, riducendo il tutto a un amaro pessimismo angosciante.

Rioja è, per la critica, il poeta dei fiori, egli ci parla attraverso di essi, li interpreta come exempla delle proprie inquietudini e delle amarezze umane; a caratterizzare le sue composizioni sui fiori è un atteggiamento sapiente e morale, un mondo poetico dove la natura rivela le sue più nascoste armonie e dove risuonano gli alti consigli dell’antica filosofia stoica. Quello dei fiori è il mondo poetico più personale dell’autore, ricco e contemporaneamente ambivalente: egli dedica ben cinque silvas a specifici elementi vegetali che, con fragranze e colori, diventano sinestesici simboli ora della fugacità, ora della bellezza, ora dell’audacia, ora del carpe diem, ora dell’amore (o della sua fine). In queste composizioni si fondono i due estremi della poesia riojana, «la representación plástica y la significación simbólica»85; si cerca cioè, nella descrizione pittorica della natura, un’esemplarità applicabile comparativamente, come identificazione o contrasto, a stati e a situazioni animiche (la rosa, ad esempio, è sia simbolo di fugacità che emblema d’amore e di vitalità).

L’elemento floreale è inoltre emblematico di un altro topos riojano: nel contemplare la natura il poeta racchiude spesso il suo accento malinconico nell’elemento più minuto, così che l’oggetto più piccolo, una rosa, ad esempio, sia sufficiente a commuoverlo. Protagonisti delle sue poesie sono, perciò, gli aspetti più minuziosi dell’esistenza, quei residui epifanici, quegli oggetti che

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31 simbolizzano i sentimenti e l’effimero come tentativo di prevenire l’oblio a cui il futuro incombente e ignoto condurrà. Il fiore è «oggetto-istante»86 con cui si cerca di interrompere il continuum della vita, di arrestare la disperata angoscia della consapevolezza della legge suprema inesorabile, di rifiutare momentaneamente la volontà divina, per ricondurre la possibilità di salvezza all’uomo, per non farlo rassegnare passivamente alla morte, per restituirgli un’immagine di sé e dargli, se non l’immortalità, almeno un motivo per cui sopravvivere. Il senso della poesia di Rioja sta infatti nella ricerca di quel poco, di quel minimo spazio tra vita e morte su cui incombe il destino, di quell’esserino che, benché neutro, vuole sfuggire al fato: ecco perché il protagonista più affascinante delle sue opere è il fiore, «[…] istante e fremito, isola nel tempo e tempo immobile, sviato dall’affanno del tempo oggettivo tra vita e morte»87.

Da un punto di vista strutturale, Rioja, data la sua vocazione moralista, è portato a presentarceli con un tono informativo o ammonitore: nel dirigersi alle varie specie floreali, ci informa per primo della loro origine mitica, della loro dignità genealogica, della loro bellezza e delle loro qualità caratteristiche che li rendono simboli o avvertimenti; in seguito, li mette in guardia (e noi con loro) sui pericoli del tempo e del fato. Dagli elementi vegetali riojani può, quindi, facilmente estrarsi una lezione morale a metà tra l’intenzionalità didattica e il lamento: questo dualismo indica quel duplice impulso dell’anima barocca al godimento pieno e al disinganno totale. Da esercizio retorico sui topici della poesia contemporanea, come la comparazione tra la vita dell’uomo e quella dei fiori, il tema floreale diventa centrale nella poetica riojana, diventando frutto di sentimenti patetici, passioni e lamenti. Caratteristica peculiare e novità nel trattamento dell’immaginario floreale consiste invece nel lasciare nel lettore, da una parte, la lusinghiera impressione della soave bellezza dei fiori, dall’altra la funebre, ascetica e malinconica nota didattico-morale del poeta, senza che mai, in ogni caso, quest’ultima ci venga spiegata interamente o direttamente, poiché si vuole che sia il lettore a trarre da solo le conseguenze: in tal modo si veicola un’immagine gioiosa e contemporaneamente amara della vita, dove il fiore non è solo immagine di bellezza o sublimazione della donna amata, ma anche

86 RIOJA, Francisco de 1975, op. cit., p. 101. 87 Ibidem, p. 108.

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32 partecipazione al sentimento della sofferta vita umana. In un giardino di raffinati pensieri, inquietudini, ansie, desideri, passioni, timori, incertezze e vacillamenti immani, si cela la poesia di Francisco de Rioja: tra audacia e ambizione, tra disinganno della vista e verità della conoscenza, tra potente desiderio lusinghiero e stoica virtus (criterio unico di vita e garanzia di sopravvivenza e di pace).

In conclusione, l’hortus di Rioja rivela quella ricerca di pace, di quiete esistenziale quasi inafferrabile per la violenta corsa del tempo e per gli angosciosi contrasti di una vita segnata; tuttavia se il veloce trascorrere del tempo impedisce di rendere eterni gli istanti e, con essi, l’alta bellezza dei fiori, è proprio tale frattura drammatica che ne ammonisce e garantisce quella stessa unicità e bellezza. Nelle silvas dedicate ai fiori, si attua pertanto un prodigioso connubio tra la storia umana e quella del fiore, unite nella comune sorte della legge del tempo.

SILVA VII A la arrebolera Tristes oras i pocas

dio a tu vivir el cielo,

i tú, a su eterna lei mal obediente, a no fáciles iras lo provocas:

alças la tierna frente, 5 en llama, diré, o púrpura bañada,

de la gran sombra en el oscuro velo, i mustia i encogida i desmayada llegas a ver del día

la blanca luz rosada. 10 ¡Tan poco se desvía

de tu nacer la muerte arrebatada! Si es, pues, de alto decreto

que el tiempo breve de tu edad incluyas

en sólo el cerco de una noche fría, 15 ¿qué te valdrá que huyas,

con ambicioso afeto

de acrecentarle instantes a la vida, los conocidos i nativos lares?

No inquietes atrevida 20 el cano seno a los profundos mares.

que por ventura negarán camino en daño tuyo a tu ferrado pino, i en vez de la acogida

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