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Capitolo primo Impero Ottomano e Persia tra il XIX e il XX secolo

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Capitolo primo

Impero Ottomano e Persia tra il XIX e il XX secolo

Il Pascià, il Baban, il conquistatore di terre Il Pascià, il Baban, il conquistatore di terre, come Rostam il figlio del vecchio Zal meraviglia di intelligenza e saggezza, non vuole vivere sottomesso. “Non rendo nessun servizio al vizir. Con la spada mi conquisto la vita. Se non sarà con la spada non avrà senso. Il regno non vivrà in pace. Diventerò ribelle contro Baghdad. Diventerò ribelle se Dio vorrà, o se no, non porterò obbedienza a Dio. Coraggio, con la benedizione di Dio, con la fiducia in Dio, il Grande. Haj, voi figli di Baban! Avanti!” (dal poema epico popolare Guerra di Abdul Raman Pascià, il Baban, contro i Wali turchi di Baghdad. Secolo XIX)

1. Il processo di modernizzazione turco: l'epoca dei Tanzimat (1839 – 1878)

All'indomani del Trattato di Costantinopoli del 1832 l'Impero Ottomano si trovò a fronteggiare un momento di acutissima crisi. Successivamente all'indipendenza della Grecia e all'occupazione francese dell'Algeria la Sublime Porta iniziò ad assistere allo sgretolamento del suo sistema di province e all'incremento dell'influenza occidentale nel bacino meridionale del Mediterraneo, che rischiava di porre in serio pericolo la sopravvivenza dell'Impero. L'Europa stava lanciando una chiara sfida all'Impero Ottomano: lo sviluppo industriale e tecnologico occidentale aveva indubbiamente accresciuto la potenza europea e, contemporaneamente, la sua influenza iniziava a mettere in ginocchio l'ormai obsoleta amministrazione accentratrice ottomana1. Appare perciò chiaro perché il sultano Mahmud II (e in modo maggiore i suoi successori) percepì la necessità di riorganizzare l'apparato statale aprendosi alla modernizzazione.

1Lo Stato ottomano inizialmente non si fondava su basi giuridiche multiple. Con le grandi conquiste del

XV secolo i sultani ottomani si trovarono a dover estendere il loro controllo su popolazioni con usi e costumi giuridici completamente differenti; questa peculiare situazione evidenziò la necessità di mettere in atto uno sviluppo giurisdizionale per garantire più stabilità possibile nelle nuove province. Da Mehmet II in poi pertanto, i sultani ottomani adottarono come leggi consuetudinarie i precedenti atti legislativi delle nuove province, il tutto in perfetta conformità col dettato del fiqh, che prevedeva la possibilità di emanare leggi ad hoc in caso di fattispecie non specificate dalla shari'a. N. Beldiceanu, L'organizzazione dell'Impero Ottomano (XIV-XV secolo), in R. Mantran, Storia dell'Impero Ottomano, edizioni Argo, Lecce, 1999, pp. 135-137.

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Ma occorre tener presente che, anche se si trattava di una importante manifestazione di pragmatismo e soprattutto di intelligenza politica, ciò che viene considerato “modernizzazione” altro non è che la salvaguardia, per mezzo di un insieme di riforme, del plurisecolare Impero Ottomano multirazziale e multiconfessionale. Proprio questa molteplicità di etnie e religioni partecipò, più o meno attivamente, al grande periodo delle “leggi benefiche”, i Tanzimat-i khayriyye2.

L'epoca dei Tanzimat, la fase più importante del rinnovamento dell'Impero Ottomano, si colloca tra il 1839 e il 1878. Insieme ai sultani 'Abdül Haziz, Murad V e 'Abdül Hamid II, i capofila delle nuove leggi furono i visir Mustafa Reşid Paşa, Mehmet Emin 'Ali Paşa, Mehmet Fu'ad Paşa e Midhat Paşa, uomini che, per primi nella storia ministeriale ottomana, ebbero importanti esperienze diplomatiche all'estero. Centrale fu proprio la formazione di questi uomini, esponenti della prima élite realmente occidentalizzata dell'Impero Ottomano: illustri teologi, riuscirono ad essere assunti come segretari ad Istanbul, per poi distinguersi per i loro meriti e diventare ambasciatori3. L'ottima conoscenza della lingua francese e delle questioni europee permise loro di comprendere appieno la necessità di un'apertura verso l'Occidente, pur sempre preservando la cultura antica e il rispetto dei valori tradizionali, determinando così il loro successo nell'opera di rinnovamento statale. Ma i visir e i sultani non furono gli unici attori di quest'epoca. Anche esponenti delle minoranze svolsero un ruolo durante il processo di rinnovamento: ebrei, greci e armeni, principalmente mercanti e banchieri, agirono contemporaneamente da intermediari tra l'Europa e l'Impero e da finanziatori delle opere pubbliche turche necessarie alla ristrutturazione finanziaria del paese. Ovviamente non vanno dimenticati gli ulema, tutori del funzionamento dell'apparato giuridico e tradizionali amministratori della conoscenza, che non si opposero mai alle innovazioni, soprattutto perché vennero loro presentate come mere restaurazioni degli antichi valori. L'abile legislatore ottomano sapeva che una svolta in senso “moderno” non avrebbe potuto essere portata a compimento senza l'appoggio degli ulema, perché senza di loro sarebbe immediatamente venuto meno l'appoggio della popolazione; l'adesione di massa dei capi delle comunità religiose pertanto risultò

2M. Emiliani, Medio Oriente. Una storia dal 1918 al 1991, Laterza, Bari, 2012, pp. 8-10.

P. Dumont, Il periodo dei Tanzimat (1839 – 1878), in R. Mantran, op. cit, pp. 506-509.

3Tutti questi visir presentano biografie simili, ad esclusione di Midhat Paşa, che non seguì il cursus

honorum della diplomazia, ma venne notato per la sua grande capacità di amministratore locale, e diventò la personalità più importante dell'epoca dei Tanzimat; fu infatti colui che promulgò la Costituzione nel 1876. Fondamentale fu il ruolo da lui svolto nelle province irachene in merito all'applicazione delle riforme.

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determinante allo sviluppo delle leggi benefiche4.

La Sublime Porta concentrò il suo sforzo di rinnovamento sui modelli giunti dall'Europa; non a caso in pochi decenni lo Stato ottomano si dotò di un'amministrazione centrale estremamente tentacolare, propria della tradizione della burocrazia francese. Gli ottomani non avevano mai conosciuto nella loro storia degli apparati simili ai ministeri in senso occidentale del termine, e si resero conto che, per far sì che l'esperienza riformista avesse successo, anche le istituzioni che avevano il compito di metterla in atto avrebbero dovuto adeguarsi al modello europeo. In una trentina d'anni la Sublime Porta arrivò ad avere una gamma di dipartimenti ministeriali responsabili di materie diversificate: Affari Esteri, Interno, Fondazioni Pie, Commercio, Agricoltura e Lavori Pubblici; ognuno di questi enti era guidato da un nazir (ministro) e da un műsteşar (segretario), membri di un Consiglio dei ministri insieme agli ufficiali militari e ai presidenti delle assemblee consultive. Nel 1870 il settore più europeizzato diventò indiscutibilmente quello degli Affari Esteri, suddiviso in una ventina di sezioni e con una Camera delle traduzioni che aveva il compito di tenere in contatto la Sublime Porta con le maggiori cancellerie europee (Londra, Parigi, Vienna, Roma, San Pietroburgo, Washington...), in modo da collegare l'Impero con il resto del mondo. La peculiarità di questa divisione del ministero era la sua composizione: essendo il governo a conoscenza della scarsità dei servizi diplomatici ottomani, questo integrò tra gli impiegati della Camera delle traduzioni un vasto numero di non musulmani quali greci, armeni ed ebrei, conoscitori delle lingue straniere ed estremamente capaci ad adattarsi ai moderni metodi di amministrazione5.

Il ruolo delle minoranze etniche non si estinse solo entro la Camera delle traduzioni; il funzionamento dell'imponente macchina amministrativa aveva richiesto un repentino incremento di impiegati e i non musulmani si rivelarono un'importante risorsa per l'Impero. Ma da non sottovalutare, come sopra accennato, fu il ruolo degli ulema, specialmente per quanto concerne la riforma dei codici legislativi. Il primo timido passo in questa direzione venne intrapreso nel 1840 con l'adozione del ceza kanunnamesi, un prototipo di codice che, benché non fosse molto chiaro, apparì largamente ispirato alle legislazioni europee. La grande svolta arrivò nel 1870 con l'inizio della pubblicazione del Mecelle, il codice civile dell'Impero Ottomano. La formulazione completa durò sette anni, si compose di sedici libri ed incontrò in fase di stesura forte opposizioni da parte

4 Cfr. P. Dumont, op. cit, pp. 495-509. 5 Ibidem, pp. 509-512.

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dei dottori di diritto islamico, a causa della volontà del governo di imitare il più possibile il Codice napoleonico. L'uomo che riuscì a trovare il compromesso accettato dagli ulema fu Ahmed Cevdet Paşa, storico e giurista islamico, che fu in grado di sintetizzare la legislazione francese con le leggi della scuola hanbalita, manifestando sì l'innovazione ottomana, ma inquadrandola nel contesto della preservazione della tradizione sunnita. Sempre uomini provenienti dalla classe degli ulema ebbero il ruolo di creare apposite giurisdizioni per l'applicazione dei nuovi codici, con la creazione di tribunali (nizami) dediti alle materie introdotte dalle Tanzimat che altrimenti sarebbero risultate estranee ai precedenti meccanismi giudiziari6. La riforma del diritto, condotta dall'interno, venne sviluppata quasi interamente da uomini come Cevdet Paşa e questa scelta favorì indiscutibilmente l'accettazione delle riforme da parte degli ulema.

1.1 Hatt-ı Şerif of Gülkhane e leggi seguenti: promulgazione e conseguenze

Il Hatt-ı Şerif of Gülkhane del 1839 (o Tanzimat Fermânı), la prima tra le cosiddette "leggi benefiche”, venne emanata dal sultano 'Abdül Mecid I e dal gran visir Mustafa Reşi Paşa. Il documento venne strutturato in modo tale da risolvere le istanze ritenute primarie per la garanzia della stabilità imperiale, ovvero un profondo ampliamento delle garanzie giurisdizionali per i cittadini, una imponente riforma agraria e la riforma delle forze armate. Venne preso ad esempio il modello amministrativo napoleonico, ovviamente “ristrutturato7”, per quanto riguarda la divisione dei vilayet8, ma simile ad

esso nella divisione gerarchica dell'amministrazione provinciale. Vennero create scuole pubbliche laiche in linea con la volontà del riformatore di separare le strutture educative dalla pedagogia religiosa, quindi in modo tale da eliminare la tradizionale centralità delle madāris nella sfera scolastica. In realtà la secolarizzazione dell'insegnamento non progredì rapidamente, a causa sia di una scarsità di insegnanti che di una carenza di mezzi. Il salto di qualità del sistema scolastico secolarizzato avvenne circa trent'anni dopo l'editto di Gülkhane, con la presentazione della riforma del sistema scolastico

6I nizami si posero su un piano intermedio tra i tribunali religiosi dei kadi (i giudici territoriali,

generalmente dei sangiaccati) e i tribunali dei non musulmani, in quanto questi due sistemi giurisdizionali non avrebbero potuto essere aboliti, quanto piuttosto avrebbero dovuto essere integrati.

7 Cfr. P. Dumont, op. cit, p. 520-523.

8Vennero istituite 27 province, vilayet appunto, ognuna delle quali ulteriormente suddivisa in sancak

(distretti), kaza (città) e nahiye (villaggi); ad ogni livello della differenziazione territoriale corrispondeva un funzionario statale. Da sottolineare il fatto che, per la prima volta, ad ogni grado dell'amministrazione provinciale vennero introdotti corpi nominati dal governo centrale, normalmente con funzione di tribunali. Cfr. P. Dumont, op. cit, passim, e M. Emiliani, op. cit., pp. 8-10.

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ottomano da parte di Victor Duruy, ministro della Pubblica Istruzione di Napoleone III, che introdusse i mekteb-i-sultani, equivalenti ai licei europei.

Anche per quanto concerne la nuova formazione dell'esercito è riscontrabile una forte influenza occidentale, se non addirittura una presenza vera e propria. Le forze navali e terrestri vennero riorganizzate sul modello di quelle europee, e sempre di stampo europeo diventò l'insegnamento interno alle scuole militari. In più, si assistette ad un cambiamento nella durata del servizio militare, o per meglio dire, ad un servizio complessivo di dodici anni anziché vitalizio9.

Tuttavia le novità veramente importanti della “prima legge benefica” si manifestano con l'introduzione della proprietà privata della terra, che determina la fine del regime dei millet10. L'idea seguita dal legislatore ottomano fu quella di porre fine alle differenze

etniche, religiose o razziali: le leggi benefiche dovevano favorire la nascita del nuovo cittadino ottomano, doveva nascere una sorta di “unione fraterna11” di tutti gli abitanti

dell'Impero che rispondesse alla guida della Sublime Porta. Ma la reazione della popolazione a questa parte della riforma fu decisamente ostile. Ebrei e cristiani percepirono la fine del regime dei millet come una minaccia, in quanto si ritrovarono ad essere sottoposti ai nuovi amministratori provinciali nominati dallo stato ottomano e non più ai loro capi religiosi; questo timore innescò un progressivo separatismo etnico– religioso e un avvicinamento alle potenze europee, sulle quali i non musulmani iniziarono a fare riferimento. Neppure i sudditi musulmani tuttavia gradirono questa equiparazione con coloro che da sempre venivano considerati come cittadini di grado inferiore al loro. La popolazione sunnita percepì con sospetto l'abolizione dei millet, accusando i non musulmani di essere troppo in contatto con l'Europa attraverso le Capitolazioni.

Dal 1839 al 1875 i Tanzimat vennero perfezionati con appositi regolamenti dei sultani. Ma quello che avrebbe dovuto rappresentare un grandissimo periodo di

9Dopo la rivolta dei Giannizzeri e la loro conseguente eliminazione ad opera di Mahmud II nel 1826,

l'Impero Ottomano dovette necessariamente procedere con la creazione di forze armate completamente rinnovate. Sfruttando la coscrizione obbligatoria il sultano creò un nuovo corpo militare, il Nizam-i-Cedid, equipaggiato ed addestrato da militari europei. Cfr. M. Emiliani, op. cit., pp. 6-8. Con l'atto di Gülkhane l'esercito venne diviso in sei reparti, ognuno stanziato a guardia dei confini delle province. Per quanto concerne l'insegnamento, le innovazioni più importanti consistono nell'introduzione di una scuola di Stato Maggiore molto simile ad un'accademia militare europea, gestita da esperti europei. Cfr. P. Dumont, op. cit, pp. 518-520.

10Dalla concessione della libertà di culto ad opera di Mehmet II, all'indomani della conquista di

Costantinopoli, si crearono delle comunità religiose non musulmane chiamate appunto millet, che godevano di giurisdizione autonoma nell'ambito del diritto di famiglia, oltre che di possedimenti territoriali. I millet erano guidati dai capi religiosi delle rispettive comunità (rabbini o patriarchi ortodossi ad esempio), che amministravano tutti i proventi delle attività della comunità.

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rinnovamento diventò il punto di rottura tra una élite sempre più occidentalizzata e il resto della popolazione, profondamente restio ad accettare l'occidentalizzazione. Il riformismo ottomano avrebbe dovuto dimostrare la “vitalità12” dell'Impero, ma nella realtà disattese le aspettative dei suoi ideatori, dimostrando che il solo intento di rinnovamento (e di innovazione, per certi aspetti) non bastò a salvare colui che stava per diventare il vecchio malato d'Europa. L'élite dirigente spiccò senza alcun dubbio per la propria formazione e le indiscusse capacità, ma non si può dire altrettanto per la nuova classe di burocrati a cui spettò mettere in atto i Tanzimat, legata a doppio filo al vecchio apparato burocratico e alla popolazione. Il mantenimento di due apparati complementari, il nuovo di stampo napoleonico e il vecchio ottomano inefficace, minò subito profondamente quello che avrebbe dovuto essere il vero rinnovamento, o se vogliamo, la vera rivoluzione dell'Impero Ottomano, vale a dire uno stato fondato esclusivamente sulla preparazione dei suoi funzionari, uomini nuovi e pronti alle sfide della modernità. La corruzione continuò a dilagare, alimentata da notabili e vecchi funzionari, e in breve tempo le casse del Tesoro vennero completamente svuotate. L'Impero Ottomano dichiarò bancarotta nel 1875 e dovette affidare la gestione delle sue finanze alle potenze europee. Furono proprio queste a costringere il sultano ad emanare la prima Costituzione dell'Impero Ottomano nel 1876.

1.2 L'applicazione dei Tanzimat nelle province irachene: sviluppo e conseguenze

Midhat Paşa venne nominato wali della regione mesopotamica nel 1869, territorio caratterizzato da una grande varietà etnica, linguistica e religiosa. Il al-Iraq già dal VIII secolo registrava un tasso di diversificazione interna molto più alto rispetto a quello delle altre province ottomane, ragione che a lungo andare determinò la sua instabilità e la conseguente difficoltà nel mantenervi un'unità politico-amministrativa13. Non a caso anche l'opera riformatrice dei Tanzimat arrivò con ritardo nei territori iracheni; Midhat Paşa dovette avviare in soli tre anni il processo che nelle altre province era già in corso da quasi trent'anni. Entro il 1872 la Mesopotamia vide l'affermazione di un controllo ottomano molto più centralizzato, uno sviluppo delle vie di comunicazione soprattutto lungo fiumi Tigri ed Eufrate, un nuovo sistema industriale e ospedaliero. Ma l'impatto maggiore fu l'applicazione della riforma agraria del 1858: non solo risultarono alterate

12 Cfr. M. Emiliani, op. cit., p. 9.

13R. Radaelli, A. Plebani, Le province mesopotamiche all'alba del XX secolo in L'Iraq Contemporaneo,

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le modalità di gestione dei terreni, ma vennero praticamente stravolti i tradizionali equilibri di potere del territorio. La dira, vale a dire la concezione tribale della proprietà, della gestione e della difesa di un territorio venne completamente sostituita con la concessione di certificati di usufrutto a singoli imprenditori, ed è facilmente immaginabile come questo nuovo sistema sconvolse la popolazione. Le nuove leggi favorirono l'ascesa di una nuova classe di proprietari terrieri composta da mercanti, notabili cittadini, funzionari ottomani che, anziché difendere la corretta applicazione delle riforme ne usufruirono e risultarono esserne i maggiori beneficiari, acquisendo a loro nome i terreni in precedenza riconosciuti alle comunità14. Gli shaykh, i capi delle comunità tribali, approfittarono anch'essi dei diritti di usufrutto e determinarono la nascita di forti movimenti di resistenza ai Tanzimat. Se in precedenza gli shaykh avevano svolto un ruolo di primus inter pares, al momento dell'introduzione della riforma agraria questi divennero i vertici di un sistema gerarchico, completamente nuovo per le tribù irachene, basato sulla distribuzione delle risorse a discrezione dell'élite dei proprietari terrieri. I capi tribali si avvicinarono progressivamente ai funzionari ottomani, non più percepiti come il nemico da combattere, nell'ottica di una possibile alleanza sfruttabile, quando necessario, per sedare le rivolte nate in seno alle loro comunità di appartenenza15.

Se l'ideale di partenza della riforma agraria doveva essere la creazione di un sistema incentrato sull'attività di piccoli proprietari terrieri che avrebbe condotto al conseguente aumento del gettito fiscale, nella realtà questa determinò la nascita di grandi latifondi governati da proprietari che spesso finirono per rifiutarsi di pagare i tributi allo stato ottomano. Inoltre, dato il profondo sconvolgimento delle relazioni intra-tribali, l'instabilità interna aumentò in modo cospicuo la contrapposizione tra la volontà di autonomia delle province e la garanzia legale data ai funzionari (e agli shaykh loro alleati) dal governo ottomano.

1.3 La peculiarità del caso siriano

Prima dell'avvento dei Tanzimat i territori siriani si trovavano in una situazione di estremo disordine. I paşa che avrebbero dovuto amministrare le province in realtà muovevano guerra gli uni contro gli altri, badando esclusivamente al proprio interesse

14 C. Tripp, A history of Iraq, Cambridge University Press, Cambridge, 2000, p. 16. 15 Cfr. R. Radaelli, A. Plebani, op. cit., pp. 26-29.

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personale. Il popolo siriano veniva considerato di rango inferiore dai funzionari imperiali in quanto composto prevalentemente da contadini, artigiani, agricoltori o piccoli commercianti che non avrebbero potuto in alcun modo migliorare la loro condizione sociale16. La prima classe di impiegati della Sublime Porta venne reclutata tra prigionieri di guerra o schiavi, addestrati dagli ottomani per svolgere sia mansioni d'ufficio che militari17. I siriani nutrivano profondo timore verso i funzionari di Istanbul, soprattutto a causa delle frequenti incursioni dei Giannizzeri e delle loro violente scorribande, ma ormai erano completamente passivi rispetto agli abusi che subivano. Se in precedenza la Siria dimostrò un forte spirito di ribellione nei confronti delle dinastie dei Fatimidi e degli 'Abbasidi, con quelle dei Selgiunchidi e dei Turchi si abbandonò alla frustrazione; la popolazione era pervasa dalla rassegnazione e completamente sfiduciata nei confronti del governo ottomano.

Con l'entrata in vigore dei Tanzimat si palesò l'arretratezza della Siria rispetto al resto delle province ottomane. Le “leggi benefiche” incontrarono una forte opposizione da parte dei teologi conservatori, degli stranieri presenti sul territorio (che vedevano di colpo limitate le loro prerogative personali) e di cristiani ed ebrei, fortemente colpiti dalla riforma agraria. Ma i cittadini risposero come erano abituati a rispondere agli abusi dei Giannizzeri, ovvero con totale passività. Anche la costituzione del 1876 non apportò alcun cambiamento vero e proprio alla struttura statale siriana, perché l'Impero Ottomano non era mai stato in grado di penetrare a fondo nella società e nella vita politica locale. I turchi generalmente transitavano dalla Siria, anche in veste di ufficiali imperiali, ma non stazionarono mai nel territorio, né tanto meno provarono a colonizzarlo realmente. Non avvenne alcuna turchizzazione e, di fatto, siriani e turchi rimasero stranieri che parlavano due lingue differenti. Pertanto, le riforme amministrative non cambiarono pressoché nulla di quello che era l'apparato burocratico siriano. Quello che cambiò fu piuttosto la condizione economica: se una volta la Siria era il passaggio obbligato per l'India e si trovava al centro del commercio mondiale, la scoperta di nuove rotte marittime per l'Oriente provocò l'isolamento siriano dal mercato internazionale. La cattiva gestione territoriale turca completò l'opera di impoverimento del paese, benché tuttavia Aleppo rimanesse una delle città più ricche dell'Impero

16P. K. Hitti, History of Syria including Lebanon and Palestine, The MacMillan Company, New York,

1951, p. 667. L'autore descrive la condizione del popolo in questi termini: “(..) as human cattle the conquered were to be milked, fleeced and allowed to live their own lives so long as they gave no trouble”.

17Il corpo dei Giannizzeri veniva arruolato allo stesso modo. Nei territori siriani sia i funzionari che i

Giannizzeri operarono in modo personalistico e misero in atto politiche fortemente repressive nei confronti della popolazione autoctona. Hitti definisce espressamente il personale ottomano come watchdogs. Ibidem, p. 668.

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Ottomano18.

Con l'emergere dei movimenti imperialisti europei del XIX secolo la Siria iniziò a guardare con attenzione al comportamento del popolo egiziano e alla sua volontà di indipendenza rispetto alla Gran Bretagna. I siriani iniziarono a considerare l'ipotesi di un panarabismo non provincialista, prendendo ad esempio la solidarietà in funzione anti-inglese tra gli arabi d'Egitto e cercando di sviluppare un movimento simile in funzione anti-turca19.

2. La Persia dei Qajar nel XIX secolo

L'altro grande attore dell'Oriente, l'Impero Persiano, fu anch'esso artefice di cambiamenti più o meno contemporaneamente ai vicini ottomani. La dinastia dei Qajar20, Shah della Persia dalla fine del XVIII secolo, all'inizio del 1800 fu artefice di una grande modernizzazione: vennero introdotti nuovi metodi educativi, si cominciò ad insegnare la scienza occidentale e ad accettare la modernizzazione, soprattutto tecnologica. Il periodo delle grandi riforme occidentalizzanti della Persia andò dal 1848 al 1896, ovvero gli anni del regno dello Shah Nasser al-Din; ma, come per l'Impero Ottomano, l'apertura verso l'Europa si rivelò un'arma a doppio taglio per la monarchia.

Facendo un passo indietro al 1828, anno del trattato di Turkmanchai21, che pose fine alla guerra Russo–Persiana, le condizioni imposte all'Impero dei Qajar si esplicarono in un ridimensionamento territoriale e, soprattutto, un notevole impoverimento dello stato a seguito delle riparazioni spettanti agli Zar e di tutte le limitazioni commerciali imposte ai persiani22. Essendo da sempre un paese piuttosto povero, la Persia fu dunque costretta

18Con l'incremento del numero degli europei (prevalentemente missionari e uomini d'affari) nel territorio

siriano, Aleppo diventò il centro dei commerci della regione iracheno-siriana. Ibidem, pp- 675-676.

19I siriani cercarono di sfruttare il panarabismo anche a partire dal 1919 contro il mandato francese.

Ibidem, pp. 701-703.

20La dinastia Qajar, di origini turco-azere, fu la penultima dinastia regnante in Persia; guidò la Persia dal

1794 al 1925. Il primo Shah Qajar fu Agha Muhammad Khan, che prese il potere con la forza in seguito alle controversie sorte in seguito alla morte dell'ultimo sovrano Zand, Kharim Khan, nel 1779. Agha Khan fu ufficialmente incoronato Shah di Persia nel 1796, ma morì l'anno successivo. Il suo successore, Fath Ali combatté le guerre contro l'Impero Russo (1804-1813 e 1826-1828) per difendere i khanati caucasici dall'espansione russa, ma i persiani ne uscirono fortemente indeboliti.

21Testo del Trattato di Turkmanchai reperibile all'indirizzo

http://www.karabakh.co.uk/turkmenchay-treaty.html, ultima consultazione in data 11 marzo 2015.

22Stando agli articoli del Trattato: la Persia si impegnò a pagare i danni di guerra alla Russia per un valore

di venti milioni di rubli d'argento (art. 6); le navi persiane non ebbero più i diritti esclusivi di navigazione del Mar Caspio e delle sue coste, che da quel momento sarebbero spettati ai russi (art. 8); la Persia fu costretta a riconoscere il regime delle Capitolazioni alla Russia, che acquistò anche il diritto ad inviare missioni di rappresentanza in territorio persiano (art. 10).

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a riformare sé stessa. Lo Shah Nasser al-Din, dal 1850 circa, promosse una serie di riforme volte a creare un sistema burocratico accentrato che facesse capo a Teheran, un moderno apparato fiscale e, soprattutto, un buon sistema di infrastrutture che mettesse in collegamento tutte le zone del paese in modo tale da favorire lo sfruttamento delle risorse agrarie e minerarie del paese. Ma questo rinnovamento non venne messo in atto con riforme adeguate, poiché lo Shah decise piuttosto di sfruttare il sistema delle concessioni, creando una frattura che separò rapidamente la popolazione dai Qajar. Inoltre, a differenza dell'Impero Ottomano, i persiani rimasero sempre un passo indietro. La Persia del tempo non conobbe una vera riforma statale ed i Qajar non riuscirono mai ad avere un vero controllo sulla popolazione; la dinastia safavide non aveva né un vero esercito (ad esclusione del corpo cosacco) né tanto meno si era preoccupata di istituire un vero apparato burocratico. I Qajar, non potendo in alcun modo vantare una qualsivoglia legittimità ideologia, riuscirono a mantenere il controllo del loro stato sfruttando i conflitti interni alla società e cercando di non inimicarsi le potenze europee23.

Le concessioni, in concreto, non furono altro che l'appalto da parte dello Shah della costruzione di opere pubbliche, della pianificazione dei servizi finanziari delle banche, della commercializzazione estera di prodotti persiani a ditte straniere private (o singoli imprenditori), in cambio del pagamento di royalties24. Questo sistema interferì con ogni aspetto della vita quotidiana, ma soprattutto venne percepito dalla popolazione come una svendita dello stato persiano. Non fu un processo di modernizzazione dunque, ma un'espropriazione delle risorse nazionali a vantaggio degli stranieri. Si prenda ad esempio il caso della creazione di istituti bancari europei in terra persiana. Nel 1889 inoltre venne fondata l'Imperial Bank of Persia, di fatto un istituto di credito britannico autorizzato dallo Scià in persona per rimediare all'annullamento delle concessioni agli inglesi del 1872 per lo sfruttamento dei giacimenti minerari iraniani25. Ma l'ingerenza europea non si limitò a questo: anche i russi nel 1900 riuscirono a far autorizzare l'apertura di una banca dal governo persiano che, esattamente allo stesso modo dei britannici, sarebbe rimasta sotto diretto controllo del Ministero delle Finanze di Mosca.

23 F. Sabahi, Storia dell'Iran, Mondadori, Milano, 2006, pp. 1-26.

24Royalty ‹ròiëlti› – “Termine anglosassone entrato nell’uso internazionale per indicare l’aliquota del

prodotto lordo che le società concessionarie di giacimenti minerari (soprattutto di petrolio) si impegnano a corrispondere in natura allo stato concedente, in sostituzione o, in genere, in aggiunta a prelievi sugli utili netti (sotto forma di canoni in denaro, di partecipazione agli utili o di imposte)”. Da: Dizionario Treccani, www.treccani.it/vocabolario/royalty, ultima consultazione in data 11 marzo 2015.

25In particolare, il destinatario delle concessioni era il baronetto Julius de Reuter, a cui il governo persiano

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Entrambi gli istituti non giovarono in alcun modo all'economia di Teheran, poiché favorirono un grande flusso di capitali che, tuttavia, rimase sempre orientato verso il commercio estero, quando invece la Persia dell'epoca manifestava un'estrema necessità di afflusso di investimenti. Il comportamento degli attori del “vecchio continente” sostanzialmente si esplicava con lo sfruttamento delle risorse del territorio iraniano, finanziato da capitali europei, per poi procedere all'esportazione di tutti i guadagni all'estero o nelle patrie di appartenenza; e ovviamente, alla Persia spettavano solamente i compensi dati dalle concessioni, irrisori rispetto al capitale che inglesi e russi stavano accumulando.

Altro aspetto degno di rilevanza è la questione dell'operato della classe degli ulema in Persia, assai distante da quella ottomana. Gli sciiti, corrente maggioritaria all'interno del paese, non si mostrarono disposti ad accettare modifiche ai codici di diritto, come invece avvenne per gli ottomani, né a concedere la possibilità alle minoranze di prendere parte alla vita giuridica dello stato. I tribunali erano da sempre retti dalla shari'a e dovevano continuare ad esserlo. Inoltre, anche per quanto riguarda la riforma di laicizzazione dell'istruzione la Persia rimase arretrata rispetto agli ottomani, poiché la creazione della prima scuola non religiosa avvenne solo nel 1851 a Teheran, e non si trattò di una scuola superiore, come invece avvenne per la creazione dei mekteb-i-sultani turchi; il Dar-ol-Funun iraniano era un politecnico per la formazione di tecnici dell'esercito, creato su modello delle scuole per ufficiali francesi. Pertanto, contrariamente a quanto accadde nei territori ottomani, dove gli ulema si schierarono a favore della linea europeizzatrice, impedendo il sorgere di contrasti tra il popolo e il governo, il clero persiano sciita ebbe un ruolo fondamentale nel cavalcare il malcontento e nell'iniziare una grande protesta contro lo Shah a seguito delle concessioni sul tabacco all'inglese Gerald Talbot26.

2.1 La rivolta del tabacco (1891 -1892)

La classe degli ulema iniziò a contestare pubblicamente la dinastia cagiara già dal 1872, anno della concessione all'inglese de Reuter dello sfruttamento dei giacimenti minerari per la costruzione di una linea ferroviaria e, insieme a loro, si schierarono

26Maggiore dell'esercito britannico, ottenne una concessione cinquantennale su coltivazione, produzione e

commercio del tabacco, il tutto grazie alle fortissime pressioni dell'Inghilterra, timorosa degli interessi russi sul suolo iraniano.

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anche i russi, timorosi di un eccessivo incremento dell'influenza inglese nei territori persiani. Nonostante il seme del dissenso si fosse già insinuato tra la popolazione, il contrasto vero e proprio maturò all'indomani del 1891, in seguito alla concessione relativa al tabacco, bene largamente coltivato, prodotto e consumato dagli iraniani. Benché il sistema delle concessioni fosse già affermato da tempo in Persia, la questione appariva differente per una semplice ragione. Se in precedenza i settori colpiti da concessioni agli europei rimanevano quelli più sconosciuti alla popolazione, questa volta veniva colpito il settore che più apparteneva agli iraniani; la raccolta e la lavorazione del tabacco veniva effettuata dai ceti sociali più poveri (e quindi più vulnerabili), non si trattava di un settore inesplorato o che richiedesse particolari tecnologie. La notizia della concessione da parte dello Shah Nasser al-Din all'inglese Talbot del monopolio di coltivazione, produzione ed esportazione del tabacco venne percepita dalla società, e soprattutto dagli ulema, come un'espropriazione, non solo economica, della tradizione persiana27. Non appena venne a conoscenza dell'accaduto, l'ayatollah Shirazi28 emanò una fatwa in cui veniva vietato il consumo del tabacco. Gli ulema, i produttori persiani, le minoranze, e addirittura l'harem dello Shah si schierarono a fianco di Shirazi. La reazione dello Shah, inizialmente, fu quella di modificare l'entità della concessione, limitandola alle esportazioni e liberalizzandone la produzione e la vendita sul mercato interno, ma presto fu costretto ad annullarla del tutto. L'anno seguente, per riuscire a compensare la Gran Bretagna della cancellazione della concessione, Nasser al-Din fu costretto ad effettuare un consistente prelievo dall'Imperial Bank of Persia.

L'azione del boicottaggio fu talmente importante da determinare la fine di qualsiasi altra concessione da parte dello Shah. L'alleanza tra ulema e mercanti si rivelò determinante, e dimostrò l'inconsistenza della dinastia cagiara, ma allo stesso tempo gettò le basi per la rivoluzione costituzionale. L'inefficienza del governo, la sua corruzione e il suo tentativo, ampiamente fallito, di istituire un sistema centralizzato dimostrarono quanto in realtà fossero deboli le autorità persiane. Inoltre, la crisi economica derivata dal progressivo indebitamento dell'Impero Persiano a vantaggio di russi ed inglesi, provocò il dilagare del malcontento tra la popolazione, esploso nel 1906 con la rivolta del pane di Mashad e la conseguente concessione di una Costituzione.

27Da sottolineare è l'irrisorietà della compensazione: Talbot acquisì il monopolio del tabacco con un

pagamento di 15000 sterline annue e la cessione di un quarto dei profitti.

28Mirza Hasan Shirazi, marja'-e taqlid, fu il capo della comunità sciita di Najaf che, insieme ad

al-Afghani, fu promotore di una politica panislamica e antimperialista, specialmente nei confronti della Gran Bretagna. Cfr. F. Sabahi, op. cit., p. 22.

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3. Le rivolte curde tra il XVIII e il XIX secolo (1789 – 1882)

Il territorio del Kurdistan, quasi interamente caduto sotto il dominio ottomano e solo in minima parte governato dai persiani29, nella seconda metà del XVIII secolo si trovò in una situazione particolare. Selim I dette ordine al suo consigliere Hakim Idris Betlisi di riorganizzare l'amministrazione del Kurdistan. Il Sultano aveva già creato un ampio numero di beg (feudi) in tutto il territorio ottomano, ma il suo segretario non volle includervi il Kurdistan. Egli concepì un sistema composto da “Principati indipendenti” dalla Sublime Porta, strutturati in modo simile ai beg (feudi), e territori sotto controllo diretto di Istanbul30. La struttura amministrativa feudale variava da regione a regione, ma invariato rimaneva il controllo ultimo che l'Impero esercitava su essi, se pur più a livello religioso, in quanto il Sultano-Califfo rappresentava il capo dei fedeli sunniti, quindi anche il capo, in un certo modo, dei curdi. In ogni caso, lasciando da parte l'autorità religiosa, l'autorità politica ottomana (come d'altro canto anche quella persiana) non veniva già al tempo completamente riconosciuta; non rari furono i conflitti tra i vari Principati e il governo centrale, soprattutto a causa delle leggi delle terre curde. Queste infatti si caratterizzavano per una fusione tra la legislazione islamica e i costumi locali tribali, estremamente severi, che avevano di fatto creato una società estranea a fenomeni di brigantaggio, disordini intestini e guerre tribali, determinando il mantenimento dello status quo della società curda per quasi tre secoli. Ma questo status quo non fu sintomo di alcun tipo di sentimento nazionale, almeno al tempo: la frammentazione amministrativa, la presenza di ottomani e persiani, l'identificazione dei curdi con i loro Principi e la presenza sacra del Califfo resero pressoché impossibile la

29I due imperi del Vicino Oriente erano da sempre in contrasto tra loro; oltre alla motivazione strettamente

territoriale, in quanto confinanti, il conflitto principale si era determinato per motivazioni religiose. I persiani, sciiti, non accettavano di riconoscere la figura del Sultano-Califfo sunnita di Costantinopoli. Il Califfato, per gli sciiti, è giunto al termine alla morte di Ali, ultimo dei “Quattro Ben Guidati”, e l'appropriazione di un tale titolo da parte dei sunniti era un atto inconcepibile. Durante il XVI secolo le tensioni aumentarono, fino a sfociare nella battaglia di Cialdiran del 1514, in cui i persiani uscirono sconfitti e il loro impero ridimensionato a favore degli ottomani. Cruciale fu in questa circostanza il ruolo dei curdi: professando in maggioranza l’islam sunnita, questi decisero di schierarsi a fianco degli ottomani e, sconfitto l'esercito sciita, si ritrovarono sotto il controllo della Sublime Porta.

30I Principati, una volta determinato il loro territorio, godevano di ampia autonomia dal governo centrale;

ogni Principe governava in modo totalmente libero ed era esonerato da qualsiasi obbligo verso la Sublime Porta. Generalmente i Principati si caratterizzavano per essere ereditari, anche se la successione avveniva per volontà della tribù di riferimento. Maurizio Garzoni scrisse nel 1787: “(i Principi) regnano i loro Principati non già sempre per successione da padre in figlio, bensì da uno della stessa famiglia, che si trova più potente dopo la morte del regnante (…), ciascuna di dette tribù ha il proprio capo che viene investito dal Principe. Accade frequentemente che queste Assirete (tribù) si ribellano contro il proprio principe, unendosi tre o quattro di esse, per fargli guerra, quale se riesce felicemente, lo depongono e rimettono al governo un altro principe, sempre però della stessa famiglia”. M. Garzoni, Grammatica e vocabolario della lingua Kurda, Roma, 1787, pp. 5-6.

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diffusione di una seppur minima coscienza nazionale, almeno fino alla metà del XIX secolo.

Prima dell'epoca dei Tanzimat la corruzione regnava incontrastata nelle province dell'Impero Ottomano e, chiaramente, a farne le spese furono anche i curdi. I governatori ed i vassalli, spesso aiutati economicamente e militarmente dalla potenze europee, sfruttarono abilmente la debolezza del governo centrale per rafforzare la loro posizione personale; l'unica soluzione trovata al momento da Istanbul fu quella di mettere l'uno contro l'altro i suoi funzionari, non facendo altro che alimentare la situazione già estremamente caotica. I Principati curdi, che in tutto questo tempo erano riusciti a preservare la loro integrità, cercano di sfruttare l'occasione fornita loro dagli sviluppi della politica provinciale ottomana per liberarsi dall'oppressione dell'Impero. A partire dal 1789, con la rivolta del Principato di Baban, uno dei più potenti del Kurdistan, si innescò una sorta di reazione a catena di tutti gli altri Principati curdi durante la quale, per la prima volta, si cercò di unificare tutta la popolazione e si portarono avanti delle rivendicazioni per la richiesta dell'autonomia di tutto il territorio curdo ottomano. Il fallimento della prima rivolta ne alimentò una seconda, questa volta scoppiata nel Principato di Soran e guidata da Mir Mohammad, Principe dal 1813. In soli tre anni questi fu in grado di creare un esercito, una propria fabbrica di armamenti e, soprattutto, di coniare una propria moneta; addirittura alcuni europei, che si recarono a Soran in quel periodo, dichiararono che il Principato di Mir Mohammad era, sotto ogni aspetto, altamente più progredito dello stesso Impero Ottomano. Il Principe dichiarò unilateralmente Soran indipendente da Istanbul nel 1826, e iniziò a pensare ad un'unificazione territoriale del Kurdistan sotto il suo comando. Entro il 1834 Mir Mohammad riuscì nella sua impresa, poiché quasi tutte le zone abitate da curdi dell'Impero Ottomano erano state unificate dal suo esercito e questo lo spinse a cercare di liberare anche le zone curde controllate dai persiani. Mahmud II, impegnato a sedare la rivolta del governatore dell'Egitto Mohamad Ali Paşa, fu sconfitto numerose volte anche dall'esercito curdo; e questo condusse Mir Mohammad a credere di aver già vinto la sua battaglia, trasferendo le sue truppe nel Kurdistan iraniano. Come può essere intuibile, non furono né gli ottomani né tanto meno i persiani a bloccare l'avanzata curda; furono russi e inglesi che, allarmati dalla situazione, spinsero i due Imperi a trovare un accordo e a sedare la rivolta. Mahmud II, inoltre, appellandosi al suo ruolo di Califfo scrisse a Mir Mohammad, intimandogli di appoggiare il Sultano, capo di tutti i musulmani; questo ovviamente provocò una frattura all'interno del Principato di Soran e

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dei suoi abitanti che, intimati dal loro capo religioso, iniziarono ad opporsi alla guerra, ponendo termine alla vittoriosa esperienza del loro Principe.

La prima offensiva turca ai danni dei curdi finì nel 1839, anno della morte di Mahmud II e dell'avvio delle Tanzimat. Ma seguirono ovviamente altre rivolte, come quella di Bedir Khan Beg, di Yezdan Scer e di Sheikh Obeydullah, tra il 1842 e il 1882. In particolare, Bedir Khan, principe di Botan, fu l'autore del Patto sacro per l'unità nazionale, stipulato con altri capi curdi turchi e iraniani, e soprattutto abolì in tutti i suoi possedimenti ogni tipo di discriminazione su base religiosa, essendo il suo Principato abitato da un grande numero di cristiani (assiri, armeni, caldei). Si capisce quindi come, oltre all'aspetto militare, sicuramente importante per le conquiste territoriali, le personalità curde iniziassero a cercare il modo di mantenersi in contatto per liberarsi dal dominio degli imperi e determinare, finalmente, se non un vero e proprio stato, almeno al momento, l'inizio del dibattito sull'organizzazione del movimento curdo. Le circostanze avrebbero anche potuto favorire la riuscita delle rivolte31, ma l'ingerenza europea fece ciò che ottomani e persiani non furono in grado di fare, ovvero sedare ogni germe di disordine sfruttando la corruttibilità degli shaykh da un lato e la fitta rete di missionari cristiani dall'altro, verso cui i curdi si erano sempre mostrati molto aperti e tolleranti. Le rivolte curde erano, in un certo senso, destinate a fallire dal momento in cui l'Europa conobbe la ricchezza del Kurdistan, che divenne un luogo estremamente appetibile durante il periodo di espansione coloniale. Essendo diviso tra Turchia e Iran, il controllo del Kurdistan era subordinato all'influenza nei due imperi. In questo senso, il controllo sull'Impero Ottomano risultava essere la carta vincente per la supremazia mondiale32.

3.1 Ingerenza europea e nascita del sentimento nazionale curdo

A partire dal 1881 inglesi e francesi istituirono una commissione dedita alla gestione del debito dell'Impero Ottomano; i russi, dal canto loro, si dichiarano protettori dei cittadini ottomani cristiani (armeni, greci e balcanici) e iniziarono a mettere in atto una politica antiturca33. In particolare, Mosca guardava al ruolo strategico che avrebbero

31Nel XIX secolo l'Impero Ottomano si scontrò contro la Russia dal 1854 al 1856 nella guerra di Crimea,

e dal 1877 al 1878 nella guerra russo-turca. L'Impero Persiano, incapace di intervenire militarmente, venne utilizzato come una pedina da entrambi gli schieramenti e, addirittura, diverse volte fu lo stesso Shah a chiedere aiuto agli uni o agli altri per bloccare i disordini interni.

32 J. Tawfik, Le radici del problema curdo, Pacini editore, Ospedaletto, 1991, p. 30. 33 V. Lutsky, Storia moderna dei Paesi Arabi, Teti Editori, Milano, 1975, p. 334.

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potuto assumere i curdi nell'ottica dell'estensione dell'influenza russa nelle province ottomane e persiane. Non è un caso che negli ultimi anni del XIX secolo iniziassero a comparire con sempre maggiore frequenza nel Kurdistan consolati russi, missioni scientifiche, archeologiche e militari34. Nacque così un movimento russofilo tra le file curde, perché la popolazione sperava in un sostegno moscovita contro l'Impero Ottomano, e la Russia fece di tutto per continuare ad alimentare questi sentimenti in suo favore, chiaramente solo per poter esercitare con più forza pressioni sui governi di Istanbul e Teheran35.

Nel 1898 Guglielmo II, kaiser della Germania unificata, si recò alla corte del Sultano. Il progressivo aumento del capitale tedesco nell'Impero Ottomano, e soprattutto la concessione della costruzione della ferrovia di Baghdad ai tedeschi, mise in allarme russi, inglesi e francesi, timorosi di perdere terreno nella corsa al controllo dei territori ottomani. I tedeschi infatti, contrariamente agli altri europei, riscossero molta più fiducia negli ambienti turchi, poiché erano gli unici a non aver mai preso possesso di territori della Sublime Porta. Inoltre, anche gli ambienti curdi iniziarono a guardare con favore alla Germania, specialmente a seguito del progressivo aumento di missionari cristiani, principalmente russi e inglesi, che stava provocando grandi fratture tra curdi musulmani e non36. I tedeschi, studiando le risorse e la posizione geografica del territorio curdo, aprirono un ingente numero di sedi diplomatiche ed entrarono in stretto contatto con la popolazione, misero a disposizione i loro capitali ed aprirono le porte al commercio con il Kurdistan. Il risultato fu che anche Guglielmo II riuscì a utilizzare le tribù curde per i suoi interessi, ovvero si alleò con esse durante la Prima Guerra Mondiale per combattere le forze anglo-russe37.

L'ingerenza delle potenze europee in Kurdistan, benché già forte durante gli anni delle rivolte curde38, iniziò a farsi sempre più ingente e toccò l'apice sia durante la

34J. Tawfik, Kurdi. Il dramma di un popolo e la Comunità internazionale, BFS edizioni, Pisa, 1994, p.

102. Gli esperti di storia e cultura curda più famosi e preparati in quegli anni furono appunto funzionari e diplomatici russi. Tra loro si ricordano Minorsky e Nikitine.

35A dimostrazione dell'operato russo nei confronti dei curdi basti ricordare l'addestramento e

l'arruolamento di milizie del Kurdistan utilizzate nelle guerre contro i turchi: 1828-1829 (revoca unilaterale turca della Convenzione di Akkerman e chiusura dello stretto dei Dardanelli), 1853-1856 (guerra di Crimea), 1877-1878 (per il controllo delle popolazioni balcaniche governate da Istanbul). Appare pertanto chiaro come, sfruttando la speranza curda di un'alleanza antiturca, i russi operassero esclusivamente in funzione dei loro interessi.

36Cfr. J. Tawfik, Kurdi, op. cit., pp. 100-103. La presenza di grandi gruppi di armeni, assiri e caldei nei

territori curdi determinò un ulteriore incremento della penetrazione europea in Kurdistan. Inoltre, la Sublime Porta era obbligata a rispettare le politiche speciali nei confronti dei cristiani previste dall'art. 9 del trattato di Parigi del 1856 e dagli artt. 61 e 62 del trattato di Berlino del 1878. Testi dei trattati reperibili in E. Anchieri, La Diplomazia contemporanea, Cedem, Padova, 1959, pp. 37-41 e 51-56.

37 Cfr. J. Tawfik, Kurdi, op. cit., pp. 102 – 103.

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Grande Guerra che durante i trattati di pace del 1919. L'annientamento dell'Impero Ottomano e la sua conseguente spartizione ebbe chiaramente delle pesanti ripercussioni anche sul destino del popolo curdo, poiché il Kurdistan stava per essere diviso in zone d'influenza.

4. Il golpe dei Giovani Turchi e la fine dell'Impero Ottomano

I Tanzimat determinarono l'ascesa di due classi di peculiare importanza socio– politica: i burocrati, che grazie alle riforme acquisirono un nuovo status e maggiore autorità a livello locale, e i Giovani Ottomani, una élite urbana occidentalizzata sostenitrice del modello burocratico occidentale. Principalmente intellettuali, giornalisti e scrittori, questi furono costretti alla clandestinità (e spesso all'emigrazione in Europa) già dal 1867, e furono da subito estremamente avversi al governo della Sublime Porta a causa della pubblicazione di pamphlet in cui venivano contestate alcune delle innovazioni messe in atto con le riforme39. I Giovani Ottomani, in particolare, criticarono aspramente la costituzione del 1876 perché basata su modello di quella belga e non sull'esempio francese; il che si esplicava nella mancata affermazione della legittimazione popolare del potere e nell'assente divisione dei poteri. In concreto il sultano aveva stabilito in via costituzionale che l'unica fonte di potere realmente ammissibile era quella divina, e che pertanto soltanto lui possedeva il diritto di esercitarlo, senza alcuna ingerenza o controllo da parte degli altri poteri dell'Impero. In ogni caso la Costituzione ebbe vita breve: nel 1878, con il Congresso di Berlino, il documento venne sospeso, e i possedimenti ottomani iniziarono ad essere fortemente ridimensionati40. I Giovani Ottomani vennero costretti all'esilio e si dovette attendere

curde i due imperi furono costretti dagli europei a scendere a patti: nel 1847 i governi di Istanbul e Teheran siglarono l'accordo di Erzurum, nel quale l'Iran si impegnava a rinunciare alle sue pretese sul Kurdistan iracheno per ottenere la libertà di navigazione sul fiume Shatt al-'Arab. Il confine tra Turchia e Iran venne poi ristabilito sempre dagli anglo-russi con l'accordo di Berlino del 1878. Testo dell'accordo di Erzerum reperibile in E. Anchieri, op. cit., p. 55.

39I Giovani Ottomani ammiravano il liberalismo europeo, ma la loro intenzione era di adattarlo al pensiero

musulmano, spesso usando anche lo strumento del ragionamento per analogia (qīyas), proprio della giurisprudenza islamica, per valutare quanto i concetti occidentali fossero giustificabili dal punto di vista dell'Islam. Al contrario di ciò che accadde con i loro eredi, i Giovani Turchi, non si organizzarono mai in un partito e non fomentarono mai tentativi rivoluzionari.

40Il Congresso di Berlino, organizzato dall'Impero Austro-Ungarico, determinò la revisione del Trattato di

Pace di Santo Stefano che concluse la guerra tra Russia e Impero Ottomano del 1877-1878. La Russia, vincendo la guerra, era riuscita ad estendere il suo controllo sui territori ottomani dei Balcani e gli austriaci decisero di intervenire per ridimensionare la destinazione delle conquiste russe. La Bulgaria diventò un paese satellite russo, Romania, Serbia e Montenegro diventarono indipendenti e la Bosnia passò sotto amministrazione austriaca.

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fino al 1889 per assistere alla nascita del movimento dei loro successori, i Giovani Turchi41.

Il movimento unionista del İttihat ve Terakki Cemiteti, ovvero il Comitato Unione e Progresso dei Giovani Turchi, nacque in risposta alle politiche del sultano 'Abdül Hamid II e inizialmente fu costretto alla clandestinità. La prima riunione del CUP si svolse nel 1889, ma occorse aspettare fino al 1902 per il vero congresso, svoltosi a Parigi, a cui parteciparono intellettuali e ufficiali di diverse regioni dell'impero42. I Giovani Turchi chiedevano politiche di reale uguaglianza tra i cittadini e il ripristino della Costituzione del 1876, ma i primi risultati iniziarono ad arrivare a partire dal 1906 con la creazione della Società ottomana delle libertà a Salonicco, allora Macedonia. In quest'occasione l'affluenza fu nettamente superiore rispetto al 1902, soprattutto grazie alla partecipazione di un ampio numero di ufficiali militari della città ospitante. Il sultano, timoroso del successo del movimento, iniziò una guerra silenziosa ma fortemente repressiva contro i Giovani Turchi e i loro sostenitori, sfruttando principalmente i servizi segreti. Progressivamente gli ufficiali dell'esercito iniziarono ad ammutinarsi e ad avvicinarsi al CUP, partendo dai Balcani e arrivando ben presto fino alla Macedonia. Da qui nacque la coscienza della forza che il movimento stava assumendo, forza che si manifestò nel 1908 con la marcia su Istanbul che costrinse 'Abdül Hamid al ripristino della Carta, e che venne ricordata come la Rivoluzione dei Giovani Turchi. Durante il colpo di stato fece la sua comparsa anche Mustafa Kemal, futuro padre della repubblica turca.

Inizialmente mosso da ideali liberali, il CUP si trasformò rapidamente in un movimento tutelante esclusivamente gli ideali panturchi e fortemente repressivo, il tutto in reazione ai crescenti spiriti indipendentisti delle province43. A seguito del tentativo di

41I Giovani Turchi nacquero grazie alla riforma dell'esercito messa in atto con i Tanzimat. Le nuove scuole

militari permisero la formazione di una élite di elevata qualità e soprattutto molto istruita che avrebbe guidato gli ultimi anni dell'Impero e avrebbe portato alla formazione della Repubblica.

42Come accennato in precedenza, provenendo dalle gerarchie militari i Giovani Turchi inizialmente si

imposero l'obiettivo della preservazione dell'Impero che conoscevano e per il quale avevano prestato (e prestavano) servizio. La svolta in senso più “nazionale”, intesa come preservazione dell'identità turca, avvenne con il congresso del 1902; fino a quel momento lo sforzo dei gerarchi fu l'estremo tentativo di salvataggio della Sublime Porta e dei suoi passati fasti.

43Una volta ripristinata la Costituzione si svolsero le prime elezioni dopo quasi trent'anni e il CUP ne uscì

vincitore. Ma il potere del sultano rimaneva comunque forte, e i Giovani Turchi non avevano l'intenzione di esporsi come vero partito di governo; questo fu il motivo per cui 'Abdül Hamid inizialmente non venne destituito. L'autentico potere politico era però nelle loro mani, anche se nessuno di loro inizialmente assunse alcun incarico ufficiale. Inoltre bisogna tenere presente l'influenza che ancora esercitavano i notabili che, benché affiancassero i loro nomi alle liste unioniste, non volevano essere identificati con il CUP e che successivamente iniziarono ad opporsi ai nuovi guardiani della Costituzione. Insieme ai notabili, gli ulema più conservatori, gli allievi delle scuole religiose e alcuni soldati ribelli si organizzarono per far crollare il potere del CUP, e ovviamente incontrarono non poche simpatie da parte

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controrivoluzione del sultano, bloccato dai militari di Salonicco, il CUP prese il comando del governo come partito unico e ottenne la destituzione di 'Abdül Hamid, sostituito con Mehmet V. I Giovani Turchi procedettero con riforme volte alla laicizzazione dello stato e con la creazione di una banca nazionale, per evitare ingerenze estere nell'economia. Ma il nazionalismo era ormai diventato il collante del nuovo apparato ministeriale turco, che abbandonò il progetto della fondazione di una nazione multietnica e si concentrò solo sulla protezione e sull'esaltazione dei valori panturchi, creando diverse organizzazioni nazionaliste44. Dal 1913 il governo turco diventò un triumvirato dei Giovani Turchi composto da Talat Paşa, Enver Paşa e Cemal Paşa, i dirigenti che vennero accusati di essere i mandanti del massacro degli armeni della Prima Guerra Mondiale45. Inoltre il CUP strinse un'alleanza militare con la Germania guglielmina, palesando lo schieramento della prossima Guerra Mondiale, da cui l'alleanza degli imperi centrali uscì sconfitta.

Immediatamente prima della Grande Guerra i territori curdi insorsero di nuovo. Il popolo della regione di Bitlis sfruttò il clima di tensione e si sollevò contro Istanbul aiutato dagli armeni, riuscendo a resistere all'esercito turco per quasi tutto il 1914. Nell'estate dello stesso anno la resistenza curda cadde e i suoi capi furono costretti a rifugiarsi nel consolato russo regionale; i russi riuscirono a proteggere i curdi solo fino all'entrata della Turchia nella prima Guerra Mondiale, quando l'esercito fece irruzione nella sede e impiccò pubblicamente i rifugiati46. Sempre nello stesso anno venne sedata anche la rivolta di Barzan. Ma nonostante la dura repressione, il governo di Istanbul aveva la necessità di coinvolgere i curdi nella guerra sfruttò il fattore religioso per attrarre più curdi possibile, proclamando la fratellanza turco-curda nel nome del jihad contro Gran Bretagna e Russia, invasori dell'Impero Ottomano e colpevoli dello sgretolamento delle province della Sublime Porta. Il Kurdistan divenne così il terreno di battaglia tra turchi, russi e inglesi e, viste le ingenti perdite, la Turchia reintrodusse la coscrizione obbligatoria. Contemporaneamente numerosi emissari delle potenze dell'Intesa cercavano di prendere contatti con i capi tribù curdi, e la Russia fu colei che

del sultano.

44Il Türk Yurdu Cemıyetı (Società per la patria turca) e i Türk Ocaları (Focolari Turchi) furono

organizzazioni create per risvegliare l'orgoglio patriottico. Vennero istituiti tra il 1911 e il 1912 con lo scopo di diffondere gli ideali panturchi e convincere la popolazione della legittimità dell'operato del CUP. Sostanzialmente quindi possono essere considerati come dei centri locali di propaganda nazionalista.

45Talat, Enver e Cemal sfruttarono la Teşkilat-ı Mahsusa, il servizio segreto dedito principalmente allo

spionaggio, per effettuare incursioni in territorio armeno ed effettuare il genocidio del 1915-1916. Fuggirono tutti subito dopo la firma dell'armistizio di Mudros del 1918. L. Nocera, La Turchia contemporanea, Carocci, Roma, 2011, pp. 17-18.

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riuscì in quest'opera. Sheikh Abdulqadir, figlio di Sheikh Obeydullah, si impegnò con l'esercito zarista affinché questo garantisse una tutela degli interessi dei curdi e, durante le conferenze di pace, sostenesse il progetto della creazione di un territorio autonomo del Kurdistan. Proprio per questo le truppe curde non attaccarono quelle russe, e sul Caucaso queste disertarono per andare a combattere contro i turchi, contribuendo alla loro sconfitta. Tra il 1916 e il 1917 pressoché la totalità dei territori del Kurdistan venne occupata dai russi, eliminando ogni pericolo di eventuale rivolta. Inglesi e francesi approfittarono di questa situazione ed iniziarono a risalire dall'Iraq e dalla Siria e a prendere contatti anch'essi con i curdi.

Occorre tuttavia considerare il trattamento riservato ai curdi da tutte le fazioni, durante e dopo la guerra. Ovviamente chi si accanì maggiormente contro i curdi furono i turchi, che prima bloccarono ogni tipo di rifornimento diretto nel Kurdistan turco e poi entrarono in territorio iraniano facendo razzie e uccidendo quanti più curdi possibile. Ma non bisogna dimenticare che anche i russi effettuarono più di un massacro, come avvenne a Rawanduz, con più di 5000 morti47. Il bilancio della Prima Guerra Mondiale fu di quasi 500.000 morti tra soldati e civili curdi; i giornali vennero chiusi e l'economia fu praticamente distrutta. Il lavoro di costruzione del movimento politico-intellettuale curdo avrebbe dovuto ripartire da capo e, benché uscita sconfitta dal conflitto, la Turchia riuscì comunque ad assestare un colpo quasi mortale alle speranze della popolazione. Inoltre, gli europei avevano già avviato trattative per la suddivisione degli ex territori ottomani, che ovviamente comprendevano anche il Kurdistan48. Con l'armistizio di Mudros del 30 ottobre 1918, che sancì la fine della guerra tra Intesa e Impero Ottomano, al governo di Istanbul vennero sottratte tutte le ex province e le potenze europee occuparono numerosi territori. L'area di Mosul finì sotto controllo britannico, la parte dell'Egeo venne divisa tra Italia e Francia e la provincia di Izmir andò alla Grecia. La popolazione musulmana accolse l'armistizio come l'ennesima lotta tra cristianesimo e islam in Anatolia e si dichiarò pronta a difendere i diritti del popolo turco musulmano contro le ingerenze degli europei infedeli. Immediatamente dopo la firma dell'accordo nacquero cellule segrete di società per la difesa dei diritti nazionali. Dedite inizialmente alla circolazione di informazioni per risvegliare l'opinione pubblica nazionale e internazionale sulle reali implicazioni dell'armistizio di Mudros, dal maggio

47 Ibidem, p. 108.

48Con gli accordi di Sykes-Picot, a cui aderì anche la Russia, venne prevista una divisione del Kurdistan

in tre zone d'influenza: il nord sarebbe spettato alla Russia, il sud alla Francia e la parte occidentale alla Gran Bretagna. Stando al Patto di Londra del 1915 anche l'Italia avrebbe dovuto ottenere una parte del Kurdistan, che tuttavia non ottenne. Cfr E. Anchieri, op. cit., pp. 83-85.

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del 1919 vennero guidate da membri del CUP e divennero presto vere e proprie basi di resistenza al governo del califfo. Contemporaneamente Mustafa Kemal comprese la necessità di unificare tutte le cellule segrete in un unico movimento nazionale dell'Anatolia contro il governo filo-occidentale. La resistenza venne così ufficializzata in due congressi: il primo a Erzurum il 13 luglio 1919 e il secondo a Sivas dal 4 all'11 settembre 1919. L'obiettivo primario di questo nuovo fronte fu la preservazione dell'indipendenza nazionale e dei confini precedenti l'armistizio; Mustafa Kemal diventò il portavoce del movimento, e dal 1919 venne riconosciuto come capo indiscusso della resistenza turca.

Durante i congressi di Erzurum e Sivas vennero presentate delle tesi, successivamente discusse dal Parlamento durante il gennaio del 1920, che sfociarono nel Patto nazionale, il Misak-i Millî. Venne nuovamente affermata l'idea di una nazione di ottomani (e non di turchi) intenzionata ad ottenere la totale indipendenza economica, finanziaria e giudiziaria dalla vecchia burocrazia imperiale, entro la quale le vecchie province arabe potessero usufruire del diritto di autodeterminazione promosso da Wilson49. Il Türkiye Büyük Millet Meclisi sancì di fatto la presenza di due governi paralleli in Turchia: quello di Istanbul, retto dal sultano Mehmet VI, e quello di Ankara, guidato dalla resistenza. Il TBMM ovviamente fu oggetto di dura opposizione da parte degli europei, del governo di Istanbul e degli ulema, che sanzionarono Mustafa Kemal con numerose fatwa, arrivando perfino ad emettere sentenze di morte contro di lui ed altri esponenti del movimento.

Il Trattato di Sèvres, firmato il 10 agosto 1920, pose ufficialmente fine all'Impero Ottomano e dette nuova legittimità alle rivendicazioni del fronte guidato dal CUP. Kemal e i suoi seguaci considerarono la firma del trattato come un tradimento nei confronti della nazione, ed iniziarono ad avvicinarsi ai bolscevichi, con i quali firmarono un accordo di amicizia nel 1921. Ma un altro attore di rilievo tra il 1919 e il 1920 fu l'ex ambasciatore ottomano in Svezia Scerif Paşa, scelto dai curdi come guida del movimento indipendentista per la formazione di uno stato nazionale del Kurdistan. Scerif Paşa si recò in prima persona prima alla Conferenza di pace di Parigi del 1919 e intervenne successivamente anche in merito al Trattato di Sèvres, con il quale emerse la

49Il Misak-i Millî venne successivamente utilizzato per gettare le basi della futura Repubblica turca e fu il

documento al quale Mustafa Kemal fece riferimento per opporsi al Trattato di Losanna. Nonostante il riferimento ai 14 punti del presidente Wilson la resistenza turca non si poteva assolutamente definire sostenitrice degli Stati Uniti. Il patto nazionale determinò l'occupazione di Istanbul da parte delle truppe francesi e inglesi e la conseguente istituzione di un nuovo Parlamento (l'Assemblea Nazionale, Türkiye Büyük Millet Meclisi) ad Ankara da parte di Kemal; gli Stati Uniti non presero parte all'invasione, ma nemmeno si opposero.

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possibilità effettiva di creare un vero stato indipendente previo referendum approvato dalla Società delle Nazioni50. Ma l'indipendenza non appariva immediata e il meccanismo per ottenerla era alquanto complicato; il popolo curdo venne disperso ancora di più tra Turchia, Iraq, Iran, Armenia e Siria. Tuttavia, se fosse stato realmente applicato, il Trattato avrebbe sicuramente cambiato le sorti future del Kurdistan. Bisogna comunque riconoscere che, per la prima volta nella storia, la questione curda compariva in un documento con valenza internazionale.

Archivio Cartografico British Royal Navy, Trattato di Sèvres.

L'annullamento dell'accordo del 1920 con la vittoria kemalista contro greci ed europei portò alla firma del Trattato di Losanna del 24 luglio 1923, con cui la Turchia

50Agli artt. 62-64 il Trattato di Sèvres istituiva una commissione internazionale di vigilanza con sede a

Istanbul, composta da francesi, inglesi e italiani, con il compito di redigere “un progetto di autonomia locale per le regioni in cui domina l'elemento curdo, situate ad est dell'Eufrate, a sud dalla frontiera meridionale con l'Armenia, come sarà determinata in seguito, a nord delle frontiere della Turchia con la Siria e con la Mesopotamia, come sono descritte dall'art. 27, n. 2 e 3”. La commissione, inoltre, allargata con rappresentanti persiani e curdi avrebbe poi dovuto “visitare i luoghi, per esaminare e decidere se e quali rettificazioni debbono essere attuate nella frontiera della Turchia, dove questa frontiera coincide, a norma del presente trattato, con la Persia”. Dal canto suo, il governo ottomano avrebbe dovuto rispettare il parere della commissione. Allo scadere del primo anno di vigenza del documento se “la popolazione curda si rivolgerà al Consiglio della Società delle Nazioni, dimostrando che la maggioranza degli abitanti della regione desidera la propria indipendenza dalla Turchia, se il Consiglio riterrà che la detta popolazione è in grado di godere e proporrà di concederle questa indipendenza. La Turchia fino d'ora s'impegna ad effettuare siffatta proposta, e a rinunciare a ogni suo diritto e titolo in quelle regioni”. Il governo ottomano, infine, non avrebbe dovuto opporre resistenza ad un eventuale desiderio dei curdi di Mossul di far convergere il loro vilayet con lo Stato indipendente del Kurdistan. A. Giannini, Documenti per la storia della pace orientale (1915-1932), Roma, 1933, p. 37.

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ottenne il ritorno ai confini del 1918 e la totale liberazione dall'occupazione straniera. Inoltre, i turchi cercarono di riprendere il controllo sul vilayet di Mossul durante le trattative di Losanna, dichiarando che la maggioranza della popolazione era di etnia curda, perciò facente parte della grande “madrepatria Turchia51”. Contemporaneamente tutto il Kurdistan chiese l'applicazione del Trattato di Sèvres e la totale indipendenza, ma i contrasti tra la Turchia e le potenze europee determinarono la fine delle richieste curde e l'inizio di ulteriori ondate di repressione da parte dei kemalisti. Il Trattato di Losanna privò i curdi di qualsiasi tipo di diritto: anche gli articoli riguardanti la tutela delle minoranze e il libero utilizzo delle proprie lingue, che potevano sembrare relativi anche ai curdi, diventarono appannaggio esclusivo delle popolazioni non musulmane52. Il popolo curdo venne così privato anche del diritto di autodeterminazione precedentemente concesso, principalmente per colpa delle potenze europee. Il nuovo assetto del Kurdistan su l'ennesima divisione in cinque parti, controllate rispettivamente da Gran Bretagna (Iraq), Iran, Francia (Siria), Turchia e URSS.

Encyclopedia Britannica Inc., 1997.

51 Cfr J. Tawfik, Kurdi, op. cit., p. 112.

52La terza sezione del Trattato di Losanna (artt. 37-45) dettò gli obblighi di tutela delle minoranze da parte

del governo turco. Vennero considerati soggetti alla tutela solo i non musulmani, quindi greci, ebrei e assiro-caldei. Le solite garanzie, a parti inverse, vennero concesse ai musulmani presenti sul territorio greco. Testo del Trattato di Losanna reperibile al sito http://wwi.lib. byu.edu/index.php /Treaty_of_Lausanne, ultima consultazione in data 26 marzo 2015.

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