• Non ci sono risultati.

1 La tutela della biodiversità

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "1 La tutela della biodiversità "

Copied!
83
0
0

Testo completo

(1)

Indice

Introduzione: L’importanza della biodiversità ...p.3

Capitolo 1 : La tutela della biodiversità...p.8 1.1 La legislazione internazionale in materia di biodiversità...p.8 1.1.1 Gli accordi internazionali dal 1952 al 1992... p.8 1.1.2 La Convenzione sulla Diversità Biologica ( Rio de Janeiro, 1992 )...p.10 1.1.2 a Obiettivi e principi della Convenzione...p.10 1.1.2 b Gli organi della Convenzione...p.14 1.12.c La conferenza di Johannesbourg del 2002 e altre convenzioni...p.15 1.1.3 La questione degli OGM dalla Convenzione di Rio de Janeiro al Protocollo di

.Cartagena...p.17 1.2 La tutela della biodiversità in agricoltura e nel cibo nella legislazione

...internazionale...p.18 1.2.1 L’ecosistema agricolo...p.18 1.2.2 Gli accordi e gli organi internazionali...p.19 1.3 La tutela della biodiversità nell’Unione Europa...p.23 1.4 La legislazione per la tutela della biodiversità Italia...p.27 1.4.1 La legislazione nazionale...p.27 1.4.2 Le leggi regionali e la legge toscana per la salvaguardia delle risorse genetiche locali...p.30 1.4.3 I piani di sviluppo rurale nella nuova programmazione ( P.S.R. 2007-2013 )...p.33

Capitolo 2 : La melicoltura...p.34 2.1 La coltivazione del melo e le principali cultivar in commercio...p.34 2.2 La melicoltura in Piemonte...p.38

Capitolo 3 : La valorizzazione delle varietà autoctone di melo in Piemonte... p.41 3.1 Scopo della tesi e metodologia...p.41 3.2 Il progetto di reintroduzione sul mercato delle antiche mele del Piemonte...p.41 3.3. Il ruolo delle istituzioni locali...p.49 3.4 Il ruolo delle aziende vivaistiche...p.50 3.4.1 Sintesi e commento delle interviste ai vivaisti...p.50 3.5 Il ruolo dei produttori...p.52 3.5.1 Sintesi e commento delle interviste ai produttori delle antiche mele piemontesi...p.52 Appendice al capitolo 3...p.55 Schede riassuntive delle interviste alle aziende vivaistiche...p.55

(2)

Capitolo 4 : Analisi S.W.O.T. ...p.62 4.1 Analisi del sistema...p.65 4.2 Prospettive del sistema...p.69

Capitolo 5 : Conclusioni...p.72 5.1 Le iniziative di valorizzazione...p.73 5.2 La biodiversità...p.74

Bibliografia...p.76 Sitografia...p.83

Allegati :

1) Interviste alle istituzioni

2) Questionario e interviste ai vivaisti 3) Questionario e interviste ai produttori 4) Fotografie

5) Convenzione sulla Diversità Biologica ( Rio de Janeiro, 1992 )

(3)

Introduzione

L’importanza della biodiversità

Il termine biodiversità o diversità biologica é riferito alla variabilità degli organismi viventi di ogni specie, compresi gli ecosistemi terrestri, marini, gli altri ecosistemi acquatici, ed i complessi ecologici di cui fanno parte; ciò include la diversità nell’ ambito delle specie e tra le specie degli ecosistemi ( C.B.D. Rio De Janeiro 1992).

La più comune accezione di biodiversità si riferisce all’ enorme varietà di piante, animali ed organismi marini presenti sulla Terra; basti pensare che fino ad oggi sono state classificate 1.75 milioni di specie e gli studiosi sono molto incerti sulla stima del numero totale delle specie ancora da classificare, che si aggirerebbero tra le 3 e le 100 milioni.

La biodiversità riguarda anche la variabilità genetica, cioè le differenze all’interno di una stessa specie, per le quali questa può essere divisa in razze o varietà. Le piante con fiore,ad esempio, contengono oltre 400.000 geni e persino i batteri ne hanno più di 1000.

In generale, nessun organismo è identico ad un altro, ma questo non basta a garantire una sufficiente variabilità genetica : ad esempio quando gli individui di una stessa specie sono in numero ridotto, la variabilità genetica diminuisce. Inoltre gli incroci in una ridotta popolazione possono generare maggiore sensibilità alle malattie o mutazioni negative.

Questo fenomeno assume un carattere particolarmente minaccioso in agricoltura, dove la produzione di cibo si fonda su poche specie; ad esempio una ventina di specie di grano producono più del novanta percento della produzione mondiale.

La biodiversità include anche la variabilità degli ecosistemi (De Long D., 1996; Gustafsson L., 2000) come i deserti, le foreste, le paludi, le montagne, i laghi, i fiumi e i paesaggi agricoli.

In ogni ecosistema le creature viventi, incluso l’uomo, formano una comunità, interagendo tra loro e con gli elementi dell’ ambiente (aria, acqua e suolo) in maniera complessa.

Questa enorme varietà della vita é il risultato di più di 3.5 milioni di anni di evoluzione.

Già nel diciannovesimo secolo la comunità scientifica cominciò ad interrogarsi e a cercare risposte che spiegassero l’enorme diversità dei viventi, e da allora sono state fatte grandi scoperte e formulate numerose teorie.

La vita sulla Terra é possibile solo grazie ad una straordinaria interazione tra organismi viventi ed ambiente: rimanendo sostanzialmente un mistero l’origine della vita (Achenbach, 2006), é abbastanza sicura la storia della sua evoluzione.

Gli organismi subiscono delle pressioni selettive da parte dell’ ambiente e da parte degli altri esseri viventi : ne consegue la necessità di un continuo adattamento a condizioni che variano continuamente.

Tale adattamento é raggiunto tramite cambiamenti nelle caratteristiche della specie ; essi sono condizionati dalla diversa espressione dei geni e più significativamente dalle mutazioni di

(4)

naturale che provvede a scegliere le rarissime mutazioni che sono maggiormente funzionali a fronteggiare le nuove condizioni. Il processo di selezione naturale é quindi molto lento e risponde solo a cambiamenti graduali.

Inoltre ogni organismo é in relazione con gli altri attivando una rete di interazioni che insieme con l’ambiente formano l’ecosistema. Ogni ecosistema, grazie alla molteplicità di organismi che lo compongono, tende a mantenersi stabile nel tempo resistendo alle perturbazioni ambientali (Odum 1988).

La variabilità é quindi la chiave per la sopravvivenza sia di una singola specie sia di interi ecosistemi, che sono adattati ad un certo ambiente e lentamente mutano con esso.

L’ambiente condiziona fortemente la varietà degli esseri viventi, ma non si deve trascurare la capacità di questi di trasformare a loro volta l’ambiente, e la loro capacità di regolarlo tramite meccanismi feed back : basti pensare alla presenza dell’ ossigeno nell’atmosfera e la sua incredibile regolazione da parte dei viventi ( Lovelock 1991 ) per capire quanto la variabilità degli organismi possa mantenere stabile un certo ambiente.

Nel corso della storia della vita tuttavia ci sono state epoche caratterizzate da grandi sconvolgimenti, come ad esempio le grandi estinzioni di massa, e non sempre gli scienziati sono stati in grado di identificarne le cause ; è noto però che, quando si verifica una forte perturbazione nelle condizioni ambientali in grado di vincere l’ effetto “tampone” degli ecosistemi, le condizioni ambientali iniziano a variare troppo velocemente, e la selezione naturale non riesce a stare al passo con i cambiamenti. Ne consegue che molti organismi non sono adatti a vivere nel nuovo ambiente e necessariamente si estinguono.

Al giorno d’ oggi la biodiversità é diventata di nuovo oggetto di discussione sia politico che scientifico. Si dibatte molto a riguardo della sua importanza per la sopravvivenza dell’uomo sulla terra, della sua preservazione, della necessità di sfruttare le risorse naturali e di applicare moderne tecnologie per sfamare una popolazione mondiale che gli esperti prevedono raggiungerà i 9 miliardi nel 2050 (UN 1997).

L’uomo ha cominciato a modificare l’ambiente naturale da circa 10.000 anni con l’invenzione dell’ agricoltura e dell’ allevamento; tuttavia le numerose comunità umane avevano raggiunto un equilibrio con il proprio ambiente. Possiamo dire che l’ecosistema fu in grado di tollerare quelle piccole perturbazioni anche perché ci fu spesso la consapevolezza dell’importanza e il rispetto per l’ambiente da parte di questi popoli primitivi, i quali intuivano che la loro sopravvivenza dipendeva da un corretto sfruttamento delle risorse ambientali.

Al giorno d’oggi la grande differenza é data dalla sempre più potente tecnologia di cui disponiamo. Nonostante l’indiscutibile contributo della scienza e della tecnica al benessere dell’umanità, l’eccessiva esclusione dei fattori naturali dalle regole del gioco potrebbe rivelarsi molto pericolosa.

Con gli attuali mezzi a disposizione siamo in grado di sfruttare al massimo ogni risorsa ben oltre le capacità di rigenerazione naturale: questo é ben noto nell’ uso delle risorse forestali ed ittiche, e sta iniziando a diventare un problema anche nell’uso del suolo.

(5)

La sempre maggiore quantità di risorse che le tecnologie mettono a disposizione ha consentito sia una forte crescita della popolazione mondiale, che é raddoppiata dagli anni ‘50 ad oggi, sia un ancor più forte aumento dei consumi delle risorse naturali, che si sono quintuplicati nello stesso periodo di tempo. Inoltre i benefici di questa crescita non sono equamente distribuiti e riguardano essenzialmente una minoranza dell’ umanità, mentre il resto sta fronteggiando condizioni di povertà e indigenza senza precedenti.

Nello stesso tempo stanno cambiando le relazioni uomo-ambiente. Circa la metà della popolazione mondiale vive in ambienti urbani: per molti la natura appare ormai lontana dalla vita di tutti i giorni, sempre più persone associano il cibo con il super market piuttosto che con le fonti naturali. La modernizzazione dell’ agricoltura e delle catene del cibo prevede una sempre maggiore esclusione della natura dal processo di produzione, con lo scopo di migliorare la produttività e minimizzare le perdite (Murdoch 2000).

Nonostante questo tentativo di fare a meno della natura nelle catene alimentari, questa continua a fare il suo corso, e a mostrarci il risultato del nostro comportamento.

Il rischio di estinzione che corrono animali simbolo come tigri, elefanti, balene, panda, é sicuramente servito a mobilitare l’opinione pubblica per la salvaguardia di queste specie, ma tale problema non è altro che la facciata di una questione molto più grande.

Se infatti la scomparsa della tigre siberiana genera un grande impatto nell’ opinione pubblica, lo stesso non accade per una miriade di piccoli insetti, piante e altri organismi che si stanno attualmente estinguendo. Il dato più allarmante é che il tasso di estinzione é 50-100 volte superiore a quello naturale (UNEP 1988) ed é previsto che aumenterà rapidamente.

Basandosi sulle attuali tendenze, una stima di 34,000 piante e 5,200 specie animali, incluso un ottavo delle specie di uccelli, é sull’ orlo dell’ estinzione.

Inoltre per migliaia di anni l’umanità ha selezionato un vasto assortimento di piante addomesticate e animali importanti per il cibo, ma oggi questa diversità si sta rapidamente riducendo poiché la moderna agricoltura si concentra su relativamente poche varietà, tanto che ad esempio il 30% circa delle razze animali allevate é attualmente a rischio di estinzione.

Come sottolineato da Vandana Shiva (Shiva 1995) é interessante notare che le specie che sono generalmente coltivate nella moderna agricoltura sono senza dubbio superiori a quelle

“indigene” in termini di produttività potenziale, ma per raggiungere tali risultati hanno bisogno di maggiori input esterni, che consistono in maggiore energia e uso di fertilizzanti; questo porta spesso ad un eccessivo sfruttamento del suolo. Al contrario le specie “indigene” sono meglio adattate al loro ambiente e quindi più resistenti, e sono in grado di garantire raccolti minori ma costanti, senza l’uso di particolari input. Sono quindi maggiormente adatte alla coltivazione proprio in quei paesi dove reperire fertilizzanti, carburanti e moderne macchine può essere un grande problema.

La scomparsa delle singole specie, come é naturale, finisce per minacciare e degradare interi ecosistemi. Le foreste sono le custodi della maggior parte della biodiversità della terra ma circa il 45% della foreste originarie della terra sono state cancellate, perlopiù durante il secolo

(6)

restringendosi, specialmente, nei tropici, che notoriamente sono gli habitat terrestri con maggiore biodiversità (Wallace, 2007). Più del 10% delle barriere coralline sono state distrutte, e un terzo di quelle che rimangono rischiano di collassare nei prossimi 10 - 20 anni (AFP, 2004). Le mangrovie costiere, habitat molto delicato che dà rifugio a innumerevoli specie, sono per metà distrutte (Quarto, 1994).

La crescente attività umana provoca inoltre problemi quali l’assottigliamento dello strato di ozono, che protegge la terra dalle radiazioni ultraviolette dannose per i tessuti, e, dato ancora più importante, incrementa la quantità di gas serra nell’ atmosfera provocando un pericoloso riscaldamento globale. Rilevante in questo caso é notare che le attività umane, oltre che costituire una perturbazione per gli ecosistemi, li danneggiano direttamente, annullando la loro capacità tampone. Ad esempio, gli ecosistemi forestali e marini, se lasciati intatti, sarebbero in grado di attutire un aumento di anidride carbonica nell’atmosfera mediante una maggiore organicazione (Lovelock 1991), ma ciò non avviene in quanto questi ecosistemi si stanno riducendo ad opera dell’uomo.

E’ proprio questo doppio attacco alla biodiversità a rendere quanto mai problematica la situazione. Alcuni studiosi concordano che sia in atto una nuova estinzione di massa (Larsen J. 2004).

Tutto ciò sta già generando anche notevoli costi in campo economico: si spendono enormi somme per riparare danni di tempeste e inondazioni, dovute sia al cambiamento climatico che alla deforestazione.

Attualmente il contributo della natura alle diverse attività umane (Ghilorov A., 1996) é spesso sottovalutato, mentre esso é fondamentale nel campo della farmaceutica, della cosmetica, nella produzione della carta, nel trattamento dei rifiuti e soprattutto in agricoltura.

Alcuni dei beni e servizi forniti dalla natura e dalla biodiversità (Kate, Laird, 1999) quindi comprendono:

Rifornimento di cibo, combustibile e fibra

Fornitura materiali da costruzione

Purificazione dell’aria e dell’acqua

Detossificazione e decomposizione dei rifiuti

Stabilizzazione e moderazione del clima della terra

Moderazione dell’ intensità delle alluvioni, delle siccità, delle temperature estreme e della forza del vento

Generazione e rinnovo della fertilità del suolo, e mantenimento del ciclo dei nutrienti

Impollinazione delle piante tra le quali molte specie coltivate

Controllo delle epidemie e malattie

Mantenimento delle risorse genetiche che sono indispensabili input per la creazione di nuove varietà di piante e animali, medicine e altri prodotti

Benefici culturali ed estetici

(7)

Capacità di adattarsi ai cambiamenti

Nonostante ciò la biodiversità é al contrario spesso ancora oggi avvertita come un ostacolo per le pratiche di moderna agricoltura e selvicoltura e per il libero sfruttamento delle risorse.

(8)

1 La tutela della biodiversità

1.1 La legislazione internazionale in materia di biodiversità

1.1.1. Gli accordi internazionali dal 1952 al 1992

L’uso e la protezione degli animali durante i secoli precedenti al nostro era considerato parte della sovranità dello stato sulle proprie risorse naturali. Le leggi tra gli stati riguardavano solo limiti di pesca e caccia concernenti specifiche specie. Le piante, invece, erano considerate libere da ogni limite di utilizzazione. In seguito furono designate aree e specie protette e apparvero i primi trattati con lo scopo di proteggere diversi animali selvatici.

Tuttavia la prima convenzione multilaterale, con lo scopo di proteggere le specie non sfruttate direttamente, fu la Convenzione di Parigi sulla protezione degli uccelli del 1952. Essa rifletteva però un innegabile utilitarismo, dividendo le specie in utili all’agricoltura e in dannose, e includendo in queste molti uccelli predatori e granivori che adesso sono tra i più protetti. Un approccio ecosistemico che guardasse oltre la protezione di una singola specie era ancora molto lontano dall’essere creato.

La grave minaccia a cui erano sottoposti l’ambiente e la biodiversità portò quindi nel 1972, alla conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente Umano di Stoccolma, risoltasi nel programma delle Nazioni Unite sull’Ambiente (UNEP).

L’importanza della conferenza deriva dal testo adottato: la Dichiarazione sull’Ambiente Umano.

Tale dichiarazione comincia con l’affermazione che l’uomo é allo stesso tempo una creatura e un modellatore del suo ambiente, e che gli elementi naturali e i manufatti umani sono essenziali al benessere umano e al pieno godimento dei basilari diritti umani, incluso il diritto alla vita. La protezione dell’ambiente viene inoltre vista come il maggiore problema per lo sviluppo economico.

La dichiarazione riconosce che la crescita naturale della popolazione mondiale pone continui problemi per la preservazione dell’ambiente, ma esprime la convinzione che il progresso sociale, l’evoluzione della scienza e della tecnologia, e l’abilità umana di migliorare l’ambiente si rafforzino di giorno in giorno.

I principi dal 2 al 7 costituiscono il nocciolo della convenzione . Essi proclamano che le risorse naturali della terra non sono solo oli e minerali, ma anche acqua, aria, suolo, piante, animali nonché gli ecosistemi naturali. Questi devono essere preservati nell’interesse delle presenti e delle future generazioni.

L’uomo ha la particolare responsabilità di salvaguardare l’eredità della vita naturale e i suoi habitat. Le risorse rinnovabili devono mantenere la loro capacità di rigenerarsi e quelle non rinnovabili non dovrebbero essere sprecate. La dichiarazione quindi sottolinea la necessità di un adeguata gestione delle risorse.

(9)

I governi delle varie nazioni firmarono anche una serie di accordi regionali e internazionali per affrontare specifici problemi come la protezione delle aree umide e la regolazione del commercio delle specie in pericolo di estinzione.

Questi accordi, insieme al controllo dell’ inquinamento, aiutarono a rallentare l’avanzamento della distruzione ambientale ma non a invertirne completamente la tendenza.

Si dava molto risalto a misure di protezione, che seppur utili in alcuni casi, come nella preservazione di alcune specie in via di estinzione, non tenevano conto che la sopravvivenza a lungo termine delle specie e degli ecosistemi dipende dalla loro evoluzione in condizioni naturali, comprendendo in queste anche l’influenza dell’azione umana.

Si comprese quindi la necessità di formulare politiche economiche che motivassero la conservazione e l’uso sostenibile dell’ambiente.

Nel 1980 la World Conservation Strategy, preparata dallo IUCN (World Conservation Union) in collaborazione con l’UNEP, WWFN, FAO e UNESCO, definì tre maggiori obiettivi di conservazione: mantenimento dei processi ecologici essenziali, preservazione della diversità genetica e utilizzo sostenibile delle specie e degli ecosistemi.

La Carta mondiale per la natura nel 1982 riaffermò questi principi; dopo aver proclamato nel suo preambolo che “ogni forma di vita è unica, e deve essere rispettata, senza riguardo all’utilità per l’uomo”, essa dichiara nei principi 2 e 3 che:

“La variabilità genetica sulla terra non deve essere compromessa, il livello di popolazione di tutte le forme di vita non deve essere compromesso, il livello di popolazione di tutte le forme di vita, selvatiche e domestiche, deve essere perlomeno sufficiente per la loro sopravvivenza, e a questo proposito dovrebbero essere necessariamente preservati gli ecosistemi.

Tutte le aree del pianeta, sia i mari che la terra, dovrebbero essere soggetti a questi principi di conservazione; speciale protezione dovrebbe essere data ad aree uniche, a campioni rappresentativi di tutti i diversi tipi di ecosistema e agli habitat di specie rare e minacciate”.

Questi principi aprono un’era nelle politiche di conservazione, riflettendo la consapevolezza della dimensione planetaria del problema.

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1983 votò una risoluzione per creare la Commissione Mondiale sull’Ambiente e lo Sviluppo, conosciuta come Commissione Bruntland. Il suo mandato fu di esaminare questioni critiche sull’ambiente e di sviluppare proposte realistiche per affrontarle, proponendo nuove forme di cooperazione internazionale su questi temi, per influenzare le decisioni politiche nella direzione di necessari cambiamenti e incrementare il livello di coinvolgimento e di comprensione di individui, organizzazioni, aziende e governi.

Nel 1987 la Commissione Bruntland concluse che lo sviluppo economico doveva essere meno ecologicamente distruttivo. Nel principale lavoro della commissione, “Our Common Future”, fu riportato che: “l’Umanità ha la capacità di far diventare lo sviluppo sostenibile, per assicurare

(10)

per le future generazioni di soddisfare le proprie”. Si sollecitò inoltre la necessità di uno sviluppo economico ambientalmente sostenibile. Il rapporto Bruntland portò le Nazioni Unite a riunirsi in una seconda conferenza globale sull’ambiente.

1.1.2.La Convenzione sulla Diversità Biologica ( Rio de Janeiro, 1992 )

1.1.2.a Obiettivi e principi della Convenzione

Nel 1992 a Rio de Janeiro prese posto la Conferenza sull’ Ambiente delle Nazioni Unite.

Durante l’ “Earth Summit “ furono firmati una serie di importanti accordi tra cui, la Convenzione sul Cambiamento Climatico, focalizzata sulle emissioni industriali e altre emissioni di gas serra, e la Convenzione sulla Diversità Biologica, il primo accordo globale sulla conservazione e l’uso sostenibile della diversità biologica.

L’accordo fu sottoscritto durante la conferenza da 150 paesi, e successivamente il numero delle ratifiche raggiunse 175 paesi.

I tre principali obiettivi della Commissione possono essere sintetizzati come:

La conservazione della biodiversità

L’uso sostenibile dei componenti della biodiversità

La condivisione dei benefici derivanti dal commercio e da altre utilizzazioni delle risorse genetiche in modo equo

La nuova filosofia dell’uso sostenibile delle risorse prevedeva che, al contrario del passato dove gli sforzi di conservazione erano indirizzati verso singole specie e habitat, si dovesse avere una visione globale di conservazione e di sfruttamento sostenibile delle risorse naturali.

L’innovazione introdotta da questa Convenzione era il fatto che essa riconoscesse per la prima volta la conservazione della biodiversità come un ‘’interesse comune” dell’umanità e come una parte integrante del processo di sviluppo. La Convenzione, infatti, partiva dal presupposto che il mantenimento della biodiversità di un dato ecosistema fosse vitale per la sua produttività e per la sua capacità di fornire servizi utili per l’uomo, e che nonostante fossero necessari sostanziali investimenti per conservare la diversità biologica, questa tuttavia avrebbe portato significativi ritorni ambientali sociali ed economici.

La convenzione adottava un “approccio ecosistemico” di conservazione, che vedeva la comunità umana come una parte integrante degli ecosistemi e dei meccanismi che li regolano e non come "elemento disturbatore" dell'equilibrio naturale secondo i criteri conservazionistici.

Tale approccio è stato in seguito sintetizzato in 12 principi:

1. La gestione delle risorse naturali è il risultato di una scelta sociale.

2. La gestione dovrà essere decentralizzata, a partire dai livelli strutturali più bassi.

3. La gestione deve tenere conto degli effetti delle attività praticate nelle vicinanze.

(11)

4. É necessario considerare l’ecosistema in un contesto economico.

5. La gestione deve considerare attentamente e scientificamente la struttura, il funzionamento e la conservazione ecosistemi.

6. Gli ecosistemi devono essere gestiti entro i limiti delle loro funzioni.

7. La programmazione delle attività negli ecosistemi deve prevedere scale spaziali e temporali adeguate.

8. Si deve riconoscere la variabilità delle scale temporali e gli effetti ritardo che caratterizzano i processi degli ecosistemi, gli obiettivi devono essere identificati con una visione di lungo termine.

9. Si deve accettare che il cambiamento dell'ecosistema sia inevitabile.

10. Bisogna stabilire un equilibrio tra la conservazione e l'uso della diversità biologica.

11. Si deve tener conto di tutte le informazioni rilevanti, incluse quelle scientifiche, innovative e quelle provenienti dalle tradizioni indigene

12. Si devono coinvolgere tutti i settori sociali e scientifici di rilievo

Tali punti sottintendono che le comunità che vivono in un'area sono responsabili della biodiversità che le circonda. Responsabilizzare le comunità locali riguardo la gestione delle risorse è fondamentale poiché esse posseggono una conoscenza migliore dei meccanismi dell'ambiente in cui vivono e sono gli enti maggiormente interessati a mantenere la produttività di un ecosistema. Quindi esse devono essere coinvolte nel processo decisionale riguardo l'uso o meno di una data risorsa e devono partecipare alla ripartizione dei benefici.

La sostenibilità quindi si regge su tre pilastri: ambientale, economico e socio-culturale. Per garantire che la gestione di una risorsa sia durevole, tutti e tre gli ambiti devono essere rispettati, poichè nessuna attività sostenibile potrebbe svolgersi se crea un danno ambientale tale da compromettere lo sfruttamento della risorsa in futuro o addirittura la produttività dell’ecosistema; oppure se i costi totali dell’attività di sfruttamento sono maggiori dei ricavi, e quindi l'impatto nella struttura sociale e culturale delle comunità locali è negativo.

Inoltre per gestire un ambiente bisogna unire le conoscenze scientifiche a quelle tradizionali.

Quello di integrare le conoscenze scientifiche con i sistemi tradizionali di uso delle risorse ambientali si è rivelato spesso un approccio necessario. Le conoscenze ed i sistemi tradizionali sono il frutto di secoli di convivenza fra uomo ed ambiente: tempi e opportunità di osservazione che vanno oltre quelli di qualsiasi ricerca scientifica.

Inoltre poiché le conoscenze scientifiche spesso non riescono ad identificare dei meccanismi sicuri per garantire che l'uso della biodiversità sia veramente sostenibile, oltre ad un continuo monitoraggio dello sfruttamento delle risorse, le attività di gestione devono essere attuate attraverso un sistema ciclico di progetto (adaptative management) che consenta di riorientare periodicamente le attività sulla base degli errori e dei successi.

La Convenzione sulla Biodiversità descrive inoltre i principi per un’equa condivisione dell’uso delle risorse genetiche, con particolare riguardo all’uso commerciale di queste. La maggior

(12)

parte della biodiversità mondiale si trova nei paesi in via di sviluppo, i quali la considerano spesso una risorsa per velocizzare il loro sviluppo economico e sociale.

Storicamente, le risorse genetiche vegetali erano raccolte per usi commerciali fuori dalla nazione d’origine ed erano utilizzate per l’ibridazione. Una sorta di bio-cercatori d’oro ricercavano sostanze naturali per sviluppare nuovi prodotti commerciali. Spesso questi prodotti erano poi venduti con la protezione di brevetti e diritti di proprietà intellettuale, senza i giusti benefici alla nazione di origine della risorsa genetica.

La Convenzione riconosce la sovranità nazionale su tutte le risorse genetiche, e prevede che l’accesso alle risorse di valore sia preceduto da un mutuo accordo "mutually agreed terms" e soggetto ad una autorizzazione "prior informed consent" da parte del paese di origine.

Quando un microrganismo, una pianta, o un animale è usato per una applicazione commerciale, il paese dal quale questo proviene ha diritto ad alcuni benefici. Essi possono includere denaro, campioni di quanto raccolto, la partecipazione o la formazione di ricercatori nazionali, il trasferimento di biotecnologie, equipaggiamenti e conoscenze, e la condivisione di ogni profitto derivato dall’ uso di tali risorse.

Su questo punto della Convezione è rilevante la critica della studiosa Vandana Shiva, la quale se concorda con il concetto per cui è giusto che il paese in cui si trova una certa risorsa vanti dei diritti su questa, sostiene però anche che in molti casi è ormai troppo tardi applicare questa idea, poichè molti paesi sono stati già da tempo saccheggiati delle loro maggiori risorse genetiche ( Shiva 1995 ).

Un altro importante orientamento dato dalla Convenzione sulla Diversità Biologica, spesso evocato nelle discussioni sugli OGM, è il principio di precauzione, al quale ogni decisione si deve attenere. Esso afferma che, qualora vi sia una potenziale minaccia di una significativa riduzione della biodiversità, la mancanza di sufficienti conoscenze scientifiche sugli effetti non deve essere usata come una ragione per posticipare misure che evitino o minimizzino tale minaccia.

La Convenzione dà inoltre risalto all’importanza dell’educazione e della pubblica informazione.

La transizione verso uno sviluppo sostenibile deve avvenire attraverso un cambiamento delle mentalità su quale sia un uso accettabile delle risorse naturali. Si pone l’accento quindi l’importanza che assume una giusta informazione pubblica, le abilità e l’organizzazione per capire e trattare le questioni sulla biodiversità. I governi e le imprese private sono invitati a investire in personale e formazione, e a supportare organizzazioni, inclusi corpi scientifici, che possono occuparsi e dare consigli sulle tematiche della biodiversità. Si sottolinea anche la necessità di un processo a lungo termine di educazione pubblica per provocare cambiamenti nel comportamento e nello stile di vita, verso la sostenibilità.

Un altro aspetto importante è che la Convenzione è legalmente vincolante e i paesi che aderiscono sono obbligati a portare a termine i suoi provvedimenti.

La Convenzione sulla Diversità Biologica tuttavia, come trattato internazionale, identifica un problema comune, definisce i principali obiettivi e politiche e i generali obblighi, organizza la

(13)

cooperazione politica e finanziaria, ma sono poi sono le singole nazioni che hanno la responsabilità di raggiungere questi obiettivi.

Un adempimento a livello nazionale é necessario in quanto sono le azioni di singole compagnie private, di proprietari terrieri, pescatori, e coltivatori che maggiormente influenzano la biodiversità.

I governi nazionali devono quindi avere un ruolo di guida mettendo a punto regolamenti e leggi che regolino l’ uso delle risorse naturali e che proteggano la biodiversità dove questi abbiano il diretto controllo sulle risorse, come nelle riserve naturali.

Il testo della Convenzione sulla Diversità Biologica specifica gli obblighi delle Parti:

“Sviluppare delle strategie nazionali, piani o programmi per la conservazione e l'uso sostenibile della diversità biologica […].”

“Integrare, per quanto possibile ed appropriato, la conservazione e l'uso sostenibile della diversità biologica nei piani di settore rilevanti, nei programmi e nelle politiche”.

Nei piani e nelle strategie per la biodiversità, ogni Parte della Convenzione deve:

1. Identificare le componenti della diversità biologica importanti per la conservazione e l'uso sostenibile;

2. Effettuare un monitoraggio, attraverso campionamento o altre tecniche, sulle componenti della diversità biologica identificate nel paragrafo precedente, ponendo particolare attenzione a quella che necessita misure urgenti di conservazione e quelle che offrono il potenziale maggiore per l’ uso sostenibile (quindi più importanti da un punto di vista economico);

3. Identificare processi e categorie di attività che hanno o potrebbero avere degli impatti negativi importanti sulla conservazione e sull'uso sostenibile della diversità biologica ed effettuare un monitoraggio sui loro effetti attraverso campionamenti o altre tecniche;

4. Mantenere ed organizzare in forma utile ed accessibile i dati provenienti dalle attività in 1, 2 e 3.

I governi nazionali devono quindi per prima cosa condurre ricerche per trovare quale biodiversità esiste sul proprio territorio, qual è la sua importanza e quale parte di questa è in pericolo. Sulla base di questi risultati di ricerca, i governi possono stabilire gli obiettivi per la conservazione e l’uso sostenibile.

È quindi richiesto che i governi sviluppino piani di azione per la preservazione e lo sviluppo della biodiversità che coinvolgano la totalità delle comunitá, delle associazioni e degli attori interessati; questo è importante per settori come la selvicoltura, l’agricoltura, la pesca, l’energia, i trasporti e i piani urbanistici. Questi piani di azione devono essere integrati nei piú ampi piani nazionali per l’ambiente e lo sviluppo.

(14)

Definire le aree protette per conservare la diversità biologica promuovendo uno sviluppo sostenibile attorno a queste aree

Recuperare gli ecosistemi degradati e promuovere il recupero dalle specie minacciate in collaborazione con le comunità locali

Rispettare preservare e mantenere le conoscenze tradizionali dell’uso sostenibile della diversità biologica che coinvolga gli abitanti indigeni e le comunità locali

Prevenire, controllare, ed eradicare le specie aliene che possono minacciare gli ecosistemi, gli habitat e le altre specie

Controllare il rischio dovuto agli organismi geneticamente modificati con la biotecnologia

Educare la popolazione e far accrescere la consapevolezza dell’importanza della biodiversità e la necessità della sua conservazione

Controllare raggiungimento degli obiettivi, e redigere rapporti.

La conservazione della diversità biologica nei diversi paesi può essere ottenuta in vario modo.

Le attività di conservazione in-situ (descritte in dettaglio nell'articolo 8 della Convenzione) sono quelle effettuate nell'ambiente naturale in cui le specie oggetto di conservazione vivono, tale metodo è considerato il principale mezzo di conservazione. Ne fanno parte le attività e le politiche riguardanti le aree protette, la gestione della fauna, le attività forestali e di gestione e conservazione della flora, le strategie e i piani di uso del suolo, e anche le politiche agricole e di pesca. Il testo della Convenzione prevede che, in casi eccezionali, le attività di conservazione si possono svolgere al di fuori dall'ambiente naturale dei taxa specifici. Si parla quindi di pratiche ex-situ (articolo 9). Ne fanno parte ad esempio le banche genetiche e dei semi, le colture microbiche o tissutali in-vitro, ma anche le attività di captive breeding di animali e/o piante con rilascio in natura, e quindi anche i più classici zoo, acquari e giardini botanici.

1.1.2.b Gli organi della Convenzione

Per garantire il raggiungimento degli obiettivi la convenzione è dotata di alcuni organi di controllo, coordinazione e ricerca.

È stato istituito un global forum dove i vari governi, le organizzazioni non governative, le Università, il settore privato, e altri gruppi di interesse o individui, condividano le proprie idee e comparino le strategie.

La Conferenza delle Parti (COP Conference of the Parties), é l'assemblea generale di tutti i paesi firmatari. Questo organo di governo revisiona l’andamento della convenzione, identifica nuove priorità e fissa i lavori e i piani di azione per i membri.

Il COP può inoltre aggiungere emendamenti alla Convenzione, creare organi consultivi, revisionare i rapporti delle nazioni membro, e collaborare con altre organizzazioni

(15)

internazionali. La Conferenza delle Parti può contare sul supporto di esperti da diversi altri corpi che sono stabiliti dalla Convenzione:

Il Corpo Sussidiario di Suggerimento Tecnico Scientifico e Tecnologico ( Subsidiary Body on Scientific, Technical and Technological Advice, il SBSTTA ). Tale corpo è una commissione composta di esperti tra i membri del governo, competenti in campi rilevanti.

Esso gioca un ruolo chiave nel formulare raccomandazioni al COP su questioni scientifiche e tecniche.

Il meccanismo Clearing House è un sistema di scambio di informazioni su internet, che promuove la cooperazione tecnica e scientifica, ed è utile per condividere le esperienze ed evitare la ripetizione degli stessi errori.

Il Segretariato è collocato a Montreal ed e legato al Programma Ambientale delle Nazioni Unite (UNEP). Le sue principali funzioni sono quelle di organizzare meeting, fare bozze di documenti, assistere i membri del governo nel portare a termine il loro programma di governo, coordinarsi con altre organizzazioni internazionali, e raccogliere e distribuire informazioni.

La conferenza delle parti può inoltre istituire commissioni ad hoc AHTEG Ad Hoc Technical Expert Group. Questi gruppi sono generalmente utilizzati per iniziare il lavoro tecnico in un programma o per sviluppare un tema specifico all'interno di un programma. Il risultato del lavoro di un AHTEG viene quindi presentato al SBSTTA, che ha la possibilità di modificarlo prima di presentarlo alla Conferenza delle Parti per eventuali ulteriori modifiche e approvazione finale.

La necessità di mettere in condizione tutti i paesi di sviluppare le politiche della biodiversità, e la consapevolezza che il compimento degli obblighi della convenzione dipende da un adeguato supporto economico, ha richiesto alla convenzione di dotarsi anche di un meccanismo di supporto finanziario: il Global Environment Facility (GEF).

Il progetto GEF è supportato dal Programma Ambientale delle Nazioni Unite (UNEP), dal programma di sviluppo delle nazioni unite (UNDP) e dalla Banca Mondiale.

Per la prima volta in un accordo globale sulla conservazione, c’è una relazione legale tra gli obblighi di conservazione dei paesi in via di sviluppo e gli obblighi finanziari dei paesi sviluppati. Questi ultimi devono fornire “nuove e addizionali risorse finanziarie” al GEF per l’uso da parte di quelle in via di sviluppo. L’ammontare della somma è definito tramite negoziazioni tra queste ed il GEF.

1.1.2.c La conferenza di Johannesbourg del 2002 e altre convenzioni

Un decennio dopo della Conferenza di Rio le Nazioni unite si riunirono per siglarne l’anniversario. A dispetto dei molti propositi fatti nel 1992, la tematica ambientale nel decennio trascorso aveva incontrato crescente competizione nell’ agenda internazionale da parte di

(16)

quelle della globalizzazione economica, della liberalizzazione del commercio e della crisi di sviluppo dei paesi poveri.

Alla fine della conferenza del 2002 fu adottata la Dichiarazione sullo Sviluppo Sostenibile, la quale pur riconoscendo che “l’ambiente globale continua a soffrire”, e pur ammettendo la perdita della biodiversità, l’esaurimento delle riserve di pesca, l’avanzare della desertificazione, gli evidenti effetti del cambiamento climatico e dell’inquinamento dell’aria, dei fiumi e del mare, si concentra sullo sviluppo e sullo sradicamento della povertà nei paesi poveri.

Il piano di implementazione devolve solo un paragrafo alla biodiversità. Esso invita i governi ad attenersi alla Convenzione sulla Diversità biologica del 1992 e di realizzare entro il 2010 una significativa riduzione nel tasso corrente di perdita della biodiversità biologica, aggiungendo che tale obiettivo richiederà addizionali risorse finanziare per i paesi in via di sviluppo.

Esistono poi altre convenzioni intergovernative che sono indirizzate alla protezione di specifici habitat e specie, come la Convenzione di Bonn sulla conservazione degli animali migratori (1979) e la Convenzione Ramsar sulle aree umide (1971).

La Convenzione World Heritage dell’UNESCO (1972) si propone di conservare luoghi di particolare bellezza naturale e di importanza culturale, che devono rispondere ad alcune caratteristiche come:

Caratteristici processi geologici, e o morfologici e aspetti fisiografici

Carattere di correnti processi ecologici o di evoluzione o per animali o piante terrestri o acquatiche

Superlativi fenomeni naturali, di eccezionale bellezza o importanza estetica

Essere significativi habitat per la conservazione in-situ della biodiversità, che abbia valore per la scienza o la conservazione.

I luoghi eletti secondo questi criteri entrano a far parte di una lista.

Numerosi protocolli, accordi, e dichiarazioni inoltre riguardano la protezione dell’ambiente marino, e di particolari animali marini; così come altri riguardano la protezione di particolari animali terrestri, e particolari foreste.

Esiste una convenzione che regola il commercio internazionale di specie minacciate di flora e fauna selvatica: CITIES (Washington, 1973), mentre un'altra regola pesca a strascico in particolari aree di mare (Wellington Convention, 1989).

Esistono convenzioni regionali che riguardano una parte rilevante del pianeta: Le Americhe, Africa, Europa occidentale, Sud Est Asiatico e Pacifico.

L’Europa in particolare ha adottato nel 1979 la Convenzione di Berna sulla Conservazione della Vita Selvaggia e degli Habitat Naturali Europei. Tale Convenzione riflette già concetti moderni di conservazione, poichè la fauna e la flora sono descritti come una eredità naturale avente valore intrinseco che deve essere conservato ed ereditato dalle future generazioni. Si riconosce inoltre che le risorse giocano un ruolo essenziale nel mantenimento dell’ equilibrio biologico, e infine la conservazione degli habitat naturali è vista come un elemento essenziale

(17)

di conservazione. Tale convenzione rappresenta un primo passo verso la conservazione “in vivo” nelle aree naturali e non negli zoo o nei laboratori.

Il monitoraggio dell’applicazione della Convenzione è affidato ad una commissione che si riunisce ogni due anni, che ha anche lo scopo di fare raccomandazioni alle parti contraenti sulle misure da prendere per applicare la Convenzione.

1.1.3 La questione degli OGM dalla Convenzione di Rio de Janeiro al Protocollo di Cartagena

Si fa già menzione nel testo della Convenzione anche della rapida diffusione delle biotecnologie attraverso i temi dello sviluppo e del trasferimento di tecnologie, della condivisione dei benefici e della biosicurezza. La modificazione del patrimonio genetico delle piante e degli animali allevati è in realtà avvenuta sin dal primo addomesticamento delle specie. Il risultato è stato il miglioramento della produttività agricola e dell’alimentazione umana.

Negli anni recenti, avanzate tecniche biotecnologiche hanno permesso di infrangere la barriera di specie, trasferendo geni da una specie all’altra. Sono state create numerose specie di piante transgeniche, come ad esempio il pomodoro e la fragola, che hanno ricevuto un gene da un pesce artico per migliorare la loro resistenza al freddo; o alcune varietà di patate e di granturco, che hanno ricevuto un gene dal bacillus turingensis grazie al quale possono sintetizzare un loro insetticida e quindi permettere di ridurre l’uso di quelli chimici; infine altre piante, come la soia, che sono state modificate per tollerare erbicidi.

Gli organismi geneticamente modificati (OGM) stanno divenendo parte di un crescente numero di prodotti, incluso cibo e additivi, mangimi, bevande, droghe, addensanti, combustibili. Gli OGM agricoli e farmaceutici sono quindi rapidamente diventati un’ industria globale multi- miliardaria.

Nonostante vi siano alcuni evidenti risultati di miglioramento della produttività agricola e nella produzione di prodotti derivati le biotecnologie hanno anche suscitato forti polemiche e resistenze.

Oltre a problemi d’ordine economico dovuti all’acquisto del seme geneticamente modificato, che è spesso monopolio di multinazionali, sono state sollevate preoccupazioni riguardo il potenziale effetto sulla salute umana e sull’ambiente, incluso il rischio per la diversità biologica. In alcuni paesi, i prodotti agricoli geneticamente modificati sono stati introdotti senza grandi dibattiti, mentre in altri ci sono state grandi proteste contro il loro uso, in particolare nel caso in cui questi erano venduti senza la possibilità di identificarli.

In risposta a queste preoccupazioni, i governi dei vari paesi hanno negoziato un accordo sussidiario alla Convenzione per stimare il rischio potenziale posto dal commercio tran- frontaliero e dall’accidentale rilascio di OGM.

Adottato nel Gennaio 2000, il Protocollo di Cartagena sulla Biosicurezza é stato ratificato da

(18)

l’importazione di merci agricole che includano OGM, comunicando la loro decisione alla comunità mondiale attraverso una Biosafety Clearing House, un meccanismo messo a punto per facilitare lo scambio di informazioni e di esperienze sugli OGM. In aggiunta le merci che potrebbero contenere OGM devono essere chiaramente etichettate non appena esportate.

Sono quindi applicati stretti accordi di informazione avanzata Advanced Informed Agreement su semi, pesce fresco, e altri OGM che sono intenzionalmente introdotti nell’ambiente.

In questi casi, l’esportatore fornirà informazioni dettagliate, in anticipo rispetto alla prima spedizione, verso ciascun paese importatore, e quest’ ultimo autorizzerà quindi la spedizione.

Lo scopo di queste procedure è di assicurare che la nazione ricevente abbia l’opportunità e la capacità di stimare il rischio dovuto ai prodotti geneticamente modificati.

1.2 La tutela della biodiversità in agricoltura e nel cibo nella legislazione internazionale

1.2.1.L’ecosistema agricolo

Il campo coltivato può essere visto come un ecosistema in cui avvengono gli stessi processi ecologici che si ritrovano in altre associazioni vegetali come il ciclo delle sostanze nutritive, le interazioni predatore/preda, la competizione, il commensalismo e le successioni( Hecht, 1991).

Ai fattori biologici e fisici si devono aggiungere al sistema agricolo anche fattori socio economici, come densità di popolazione e andamento del mercato, e culturali, come la conoscenza, che contribuiscono a formare questo ecosistema ( Altieri, 1991).

Gli ecosistemi agricoli occupano nel loro complesso 656 milioni di ettari nel mondo, che corrispondono a circa il 13.5% della superficie fertile della terra (FAO): essi, oltre alla loro funzione primaria di produrre cibo per l’uomo, contribuiscono rilevantemente al mantenimento della biodiversità.

Gli agro-ecosistemi sono distinti quindi dagli ecosistemi naturali poiché sono intenzionalmente alterati e gestiti per la produzione di cibo, fibra, ed altri prodotti, e hanno inoltre una dimensione umana, economica, e ambientale - ecologica. Nel loro insieme quindi forniscono più servizi che devono essere coordinati tra loro, poiché è solo grazie all’interazione di queste tre dimensioni che un ecosistema agricolo può funzionare. Alcune funzioni intrinseche di un agro-ecosistema ben funzionante possono essere ad esempio il controllo delle infestazioni, l’impollinazione, il mantenimento della biodiversità genetica.

Le infestazioni sono controllate da animali predatori parassiti e altri microrganismi, che riescono a controllare oltre il 90% dei potenziali insetti parassiti se la loro presenza è garantita da adeguati condizioni ambientali, come la presenza di aree naturali e semi naturali adiacenti a quelle agricole.

(19)

L’impollinazione è garantita per ogni tipo di fiore da oltre 100.000 impollinatori conosciuti ( api, farfalle, coleotteri, mosche,uccelli e pipistrelli). Tale servizio assume un’importanza cruciale nelle colture ad impollinazione incrociata ed è stimato in oltre 50 milioni di dollari l’anno.

Anche la presenza di questi animali è garantita da particolari habitat dove questi possono riprodursi, in prossimità delle aree agricole. La biodiversità dell’ agro ecosistema è quindi, come in ogni altro ecosistema, necessaria per il suo corretto funzionamento.

La diversità genetica delle piante e degli animali è fondamentale poiché costituisce la base per la modernizzazione agricola, in quanto i geni sono il materiale grezzo da cui dipende lo sviluppo di piante e animali migliorati; inoltre anche l’agri-ecosistema risulta più stabile se possiede una maggiore biodiversità ed è quindi più capace di tollerare le perturbazioni ambientali.

Dalla biodiversità delle colture ancora oggi dipendono i raccolti di milioni di agricoltori, poichè nel caso degli agro-ecosistemi essa non è solo un essenziale regolatore in senso strettamente biologico ma é anche importante nel soddisfare le varie esigenze dei coltivatori e dell’intera società.

1.2.2. Gli accordi e gli organi internazionali

La Conferenza delle Parti della Convenzione sulla Diversità biologica ha riconosciuto che “la specifica natura della biodiversità agricola e i suoi particolari aspetti richiedono particolari soluzioni”. Il ruolo di guida, implementazione, e controllo d’iniziative riguardanti la tutela della biodiversità agricola è stato assegnato dalla CBD alla FAO (Nairobi 2000).

La FAO come organo specializzato delle Nazioni Unite ha tra i suoi principali scopi la difesa della biodiversità nell’agricoltura e nel cibo, si occupa dell’ applicazione degli accordi relativi alla biodiversità, come la Convenzione sulla Diversità Biologica, e organizza assemblee intergovenamentali, con il fine di raggiungere accordi tra i paesi membri.

Il Trattato sulle Risorse Genetiche Vegetali adottato nel 2001, ratificato da 40 paesi, è uno dei risultati più recenti di queste negoziazioni. Tale trattato definisce le risorse genetiche come

“qualsiasi materiale genetico di origine vegetale che abbia un potenziale valore per il cibo e l’agricoltura” ; il suo scopo è di rallentarne e impedirne l’impoverimento, attraverso un uso sostenibile ed un equa ripartizione dei benefici derivati dallo sfruttamento delle risorse.

Il trattato regola l’accesso alle risorse genetiche tramite un sistema multilaterale, che riguarda 64 maggiori specie di colture e foraggi. Le risorse genetiche possono essere utilizzate per la ricerca, gli incroci e la sperimentazione. Quando si sviluppa un prodotto commerciale da queste risorse, il trattato prevede un’ equa distribuzione dei guadagni risultanti, se il prodotto non può poi essere usato per altre ricerche ed incroci.

I benefici sono condivisi tramite scambio di informazioni, accesso e trasferimento di tecnologie, capacity-building a livello locale; è prevista inoltre una strategia per mobilizzare fondi per attività, piani e programmi per aiutare i piccoli agricoltori nei paesi via di sviluppo, la quale

(20)

Il trattato riconosce l’enorme contributo che gli agricoltori e le loro comunità hanno dato alla conservazione e allo sviluppo delle risorse genetiche vegetali, e cerca di difenderne i diritti tramite la protezione delle conoscenze tradizionali e il diritto di partecipare equamente alla condivisione dei benefici e nelle decisioni nazionali che riguardano tali risorse. Lascia poi ai governi il compito di applicare tali diritti.

La FAO si occupa anche del Piano Globale di Azione per la conservazione e l’uso sostenibile delle risorse genetiche vegetali per il cibo e l’agricoltura, che è stato adottato da 150 paesi insieme alla Dichiarazione di Lipsia durante la conferenza tecnica sulle risorse genetiche nel 1996.

La dichiarazione di Lipsia è una parte introduttiva del Piano di Azione Globale, essa sottolinea nuovamente l’importanza della diversità biologica in capo ecologico, sociale, economico, scientifico, culturale ed estetico e ne evidenzia la crescente erosione. Riconosce la sovranità nazionale su tali risorse e la responsabilità individuale, ma propone come unico mezzo veramente efficace di conservazione la cooperazione internazionale e regionale tra i paesi, le organizzazioni intergovenamentali , ONG e settore privato.

In particolare è dato risalto alla conservazione “in situ” e la necessità di sostenerla tramite un supporto a lungo termine, in modo tale da permettere uno sviluppo locale che consenta, tramite la cooperazione tra scienziati ibridatori e agricoltori, un utilizzo più produttivo e meno distruttivo della biodiversità. L’ accesso alle risorse genetiche è dichiarato essenziale per la sicurezza alimentare, e questo, insieme alla condivisione di tecnologie con i paesi in via di sviluppo, deve essere facilitato con equi e più favorevoli termini tramite accordi di tutte le parti delle transazioni, mentre il rispetto dei brevetti e dei diritti di proprietà deve avvenire in maniera adeguata ed effettiva.

Il Piano di azione Globale, ha lo scopo di fornire una strategia per guidare la cooperazione internazionale; i suoi principali obiettivi sono:

Assicurare la conservazione delle risorse genetiche vegetali per il cibo e l’agricoltura in quanto base per la sicurezza alimentare

Promuovere l’utilizzazione sostenibile delle risorse genetiche vegetali per il cibo e l’agricoltura, al fine di promuovere lo sviluppo e ridurre la fame e la povertà in particolare nelle nazioni in via di sviluppo

Promuovere un’equa suddivisione dei benefici derivati dall’uso delle risorse genetiche vegetali per il cibo e l’agricoltura, riconoscendo il vantaggio di condividere equamente i benefici derivanti dall’uso di conoscenze tradizionali, innovazioni e pratiche rilevanti la conservazione e l’uso sostenibile di tali risorse.

Il Piano di Azione Globale si basa sull’assunzione che le nazioni sono fondamentalmente indipendenti rispetto alla gestione delle risorse genetiche, e che la cooperazione internazionale è necessaria per raggiungere efficientemente gli obiettivi del Piano.

In questo contesto all’ interno del Piano di Azione fu sviluppata un’ ampia strategia di collaborazione, comprendente sei aspetti basici interrelati:

(21)

1. Un ampio e importante ammontare di risorse genetiche, vitale per la sicurezza alimentare, è conservato “ex situ”. Queste collezioni necessitano di essere sviluppate, mettendo al sicuro il materiale genetico già collezionato e provvedendo alla sua rigenerazione e duplicazione. Molte collezioni tuttavia sono conservate in condizioni inadeguate, e circa un milione di accessioni necessita di una rigenerazione.

2. Legare la conservazione con l’utilizzazione e identificare e superare gli ostacoli per una più grande utilizzazione delle risorse vegetali conservate è necessario per ottenere il massimo beneficio dagli sforzi di conservazione.

3. Rafforzare la capacità a tutti i livelli è una strategia usata nelle attività individuali del Piano Globale. Il Piano cerca di promuovere un uso pragmatico ed efficiente delle istituzioni, delle risorse umane, della cooperazione, e dei meccanismi finanziari.

4. Rafforzare lo sforzo di selezione degli ibridatori pubblici e privati, che sono essenziali per continuare il miglioramento delle risorse genetiche per il cibo e l’agricoltura.

5. La conservazione in situ e lo sviluppo delle risorse genetiche per il cibo e l’agricoltura avviene in due contesti: “on farm” e “in nature”. Gli agricoltori e le loro comunità giocano un ruolo cruciale, ed è importante capire meglio l’efficacia della gestione “on farm” delle risorse genetiche. Migliorare l’efficacia del livello di conservazione agricoltore/comunità, della gestione, dello sviluppo e dell’uso delle risorse genetiche è essenziale per facilitare la condivisione dei benefici che derivano dall’ utilizzazione di queste risorse. Rafforzare la capacità degli agricoltori e delle loro comunità attraverso legami con azioni esterne, con il settore privato, ONG e cooperative di agricoltori potrebbe aiutare a promuovere la sicurezza alimentare, in particolare tra la gente rurale che vive in aree di basso potenziale agricolo. I corrispettivi selvatici delle piante coltivate inoltre richiedono una migliore protezione attraverso pratiche migliorate di uso del suolo.

6. Le strategie di conservazione e utilizzazione a livello di comunità regionale, nazionale e internazionale sono più effettive quando sono complementari, e quando sono appropriatamente integrate tra loro nel piano di adempimento. La conservazione e l’uso delle risorse genetiche vegetali per il cibo e l’agricoltura richiede un insieme di approcci correlati, includendo la conservazione “in situ” ed “ex situ” .

Gli scopi del piano possono essere quindi raggruppati in quattro principali gruppi. Il primo tratta la conservazione “in situ” e lo sviluppo, il secondo la conservazione “ex situ”, il terzo l’utilizzazione delle risorse genetiche vegetali, il quarto le istituzioni e il capacity building. Il piano inoltre è monitorato e revisionato e aggiornato dalla Commissione sulle Risorse Genetiche per il Cibo e l’Agricoltura.

In aggiunta a questi due elementi, il Sistema Globale comprende altri accordi internazionali come l’Impegno Internazionale sulle Risorse Genetiche (1983), che fu il primo accordo internazionale riguardante le risorse genetiche vegetali, il cui scopo era di “ assicurare che le

Riferimenti

Documenti correlati

- che l’Azienda si è riservata la gestione diretta dei servizi, quali ascensore, pulizia, riscaldamento, etc., con addebito dei relativi costi a carico dei conduttori, a seconda

La garanzia e il contributo in conto interessi possono essere richiesti per: a) prestiti d’onore a favore di esercenti la pratica od il tirocinio professionale e per gli

a) prestiti d’onore a favore di esercenti la pratica od il tirocinio professionale e per gli appartenenti alle associazioni di professionisti prestatori d’opera

La garanzia e il contributo in conto interessi possono essere richiesti per: a) prestiti d’onore a favore di esercenti la pratica od il tirocinio professionale e per gli

Beneficiari:Possono beneficiare della garanzia e del contributo in conto interessi, i giovani professionisti ovvero esercenti la pratica o il tirocinio

Descrizione Obiettivo generale della ricerca “Il laboratorio di storia: lo studente come storico alla ricerca delle fonti” è l’elaborazione di un modello

Descrizione Obiettivo generale della ricerca “Il laboratorio di storia: lo studente come storico alla ricerca delle fonti” è l’elaborazione di un modello

1) Sviluppare proposte, modelli e metodologie che possano supportare la didattica laboratoriale nello specifico ambito disciplinare anche nel dialogo con altre discipline.