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Sospendere l'incredulità. L'illusione drammatica nel pensiero filosofico di S. T. Coleridge

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione ... 4

Avvertenza a proposito delle citazioni ... 12

1. Samuel Taylor Coleridge, filosofo ... 14

Premessa ... 14

§ 1.1 1772-1798: Filosofia e religione, materialismo e misticismo... 17

§ 1.2 1799-1816: Il viaggio in Germania e l’incontro con la filosofia tedesca ... 25

§ 1.3 1816-1834: Il trasferimento a Highgate: Kant, Schelling e Fichte ... 32

§ 1.4 L’originalità del Coleridge filosofo e il concetto di illusione drammatica... 38

2. Coleridge e Cudworth: mente attiva e natura plastica ... 42

Premessa ... 42

§ 2.1 Mente attiva e natura plastica in Cudworth ... 46

§ 2.2 L’incontro con la filosofia di Cudworth ... 53

3. Coleridge e Kant: intelletto e ragione, talento e genio... 63

Premessa ... 63

§ 3.1 L’autocoscienza del soggetto come base dell’esperienza... 64

§ 3.2 Intelletto e Ragione: affinità e divergenze tra Coleridge e Kant ... 68

§ 3.3 Talento, genio, forma organica ... 81

4. Coleridge e Schelling: idealismo e filosofia della natura... 89

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§ 4.1 Il dibattito a proposito dell’eredità kantiana: Coleridge e Fichte ... 92

§ 4.2 Il problema dell’unificazione della natura ... 98

§ 4.3 Il concetto di natura organica in Coleridge: sviluppo, problemi e prospettive 104 5. Immaginazione e fantasia... 113

Premessa ... 113

§ 5.1 Fantasia e immaginazione prima dell’incontro con la filosofia tedesca ... 114

§ 5.2 Il concetto di immaginazione nella Biographia Literaria ... 122

§ 5.3 Immaginazione secondaria e fantasia ... 130

§ 5.4 Problemi legati al concetto di immaginazione... 135

6. Il ruolo dello spettatore ... 140

Premessa ... 140

§ 6.1 Il dibattito sul “Paradox of fiction”... 143

§ 6.2 La figura dello spettatore ... 152

§ 6.3 Lo spettacolo della sofferenza ... 155

§ 6.4 Il piacere delle lacrime... 161

§ 6.5 Il dibattito sul paradosso della finzione nel Settecento... 165

§ 6.6 Stati intermedi... 173

7. Copia e imitazione... 176

Premessa ... 176

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§ 7.2 Le fonti di Coleridge a proposito della distinzione tra copia e imitazione ... 185

§ 7.3 Identità e differenza ... 193

§ 7.4 Percezione della differenza e illusione drammatica ... 198

8. La teoria dell’illusione drammatica ... 202

Premessa ... 202

§ 8.1 Shakespeare: unità drammatiche e coinvolgimento emotivo dello spettatore . 204 § 8.2 Incredulità, inganno e stato intermedio... 213

§ 8.3 Il problema delle fonti a proposito della teoria dell’illusione drammatica... 216

§ 8.4 Nascita e sviluppo della teoria dell’illusione drammatica ... 220

§ 8.5 Stato intermedio e sogno... 230

Conclusione... 236

Bibliografia ... 241

Opere di S. T. Coleridge: ... 241

Bibliografia secondaria: ... 242

Articoli dedicati a S. T. Coleridge: ... 242

Monografie dedicate a S. T. Coleridge: ... 244

Altri testi: ... 245

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Introduzione

Questa tesi, incentrata sulla riflessione filosofica di Samuel Taylor Coleridge, non si configura esclusivamente come uno studio di carattere storico-filologico sull’opera del pensatore inglese, ma costituisce un tentativo di mostrare la rilevanza di alcuni tratti del suo pensiero all’interno del dibattito contemporaneo intorno alla figura dello spettatore. Il mio lavoro è partito infatti dalla constatazione dell’importanza assunta dall’elemento della visualità nella società occidentale contemporanea. Come mostra Mirzoeff nelle prime pagine di Introduzione alla cultura visuale,1 viviamo in un mondo in cui l’aspetto visuale ha guadagnato un’importanza sempre maggiore, fino a rivestire un ruolo di primo piano. La visualità, infatti, è entrata a far parte della vita di ogni giorno sotto diversi aspetti. Da un lato negli ultimi decenni si è verificata un’incredibile proliferazione di dispositivi legati al tentativo di superare i limiti che descrivono le possibilità della visione umana: satelliti che permettono di osservare ogni punto della terra e sonde che permettono di raggiungere le più recondite profondità del corpo umano, ne sono solo alcuni esempi; dall’altro, hanno trovato una diffusione senza precedenti dispositivi come telecamere, fotocamere e webcam, in grado di fissare rapidamente immagini della realtà. Questi due fenomeni hanno modificato radicalmente l’esperienza umana, rendendo centrale, sia quantitativamente che qualitativamente, l’azione del guardare: l’esistenza viene sempre meno descritta attraverso il linguaggio scritto e sempre più visualizzata o raffigurata.

Se in passato gli individui avevano la possibilità di conoscere eventi preclusi all’esperienza diretta, perché distanti geograficamente o temporalmente, principalmente attraverso il testo scritto, oggi questa possibilità è garantita soprattutto dall’immagine. Tale fenomeno è estremamente ricco di conseguenze: Susan Sontag ad esempio, nel suo

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saggio intitolato Di fronte al dolore degli altri,2 evidenzia come spesso le immagini non si limitano a favorire il consolidamento della memoria, ma tendono a costituire addirittura l’unica forma di memoria, poiché “Sempre più spesso, ricordare non

significa richiamare alla mente una storia, ma un’immagine”.3 Questo fenomeno può comportare dei rischi, dal momento che “Una narrazione può farci capire. Le fotografie

fanno qualcos’altro: ci ossessionano”.4 Piuttosto che costituire un tentativo di negare il valore delle immagini come mezzo per garantire la conoscenza di eventi e situazioni irraggiungibili attraverso l’esperienza diretta, credo che la riflessione della Sontag costituisca un tentativo di sottolineare la necessità di possedere strumenti in grado di garantire una corretta comprensione delle immagini in un mondo in cui queste rivestono un ruolo centrale.

In particolare, le immagini che l’opera della studiosa prende in esame sono immagini che documentano o rappresentano un dolore, una sofferenza. Come mostra Boltanski nel suo libro intitolato Lo spettacolo del dolore,5 questa tipologia di immagini, in confronto a immagini di qualsiasi altro tipo, impone una serie di problematiche specifiche. Il proliferare dei mezzi di informazione di carattere visuale, la diffusione del cinema e della televisione, sottopongono lo spettatore ad una quantità sempre crescente di immagini, molte delle quali di sofferenza. Come si articola, all’interno di questo flusso di immagini, il rapporto tra rappresentazione di un dolore reale e rappresentazione di un dolore fittizio? Come si comporta lo spettatore di fronte a queste due tipologie di immagini diverse, eppure sempre più simili? Come la rappresentazione di un dolore fittizio influisce sulla rappresentazione del dolore reale e soprattutto sull’atteggiamento dello spettatore di fronte a questa rappresentazione?

2 S. Sontag, Davanti al dolore degli altri, Mondadori, Milano 2003. 3 Ibidem, pag. 86.

4 Ibidem, pag. 86. 5

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Partendo da domande come queste ho intrapreso lo studio delle principali opere di carattere filosofico dedicate all’analisi del cinema e della televisione.6 Ho in seguito rivolto la mia attenzione al dibattito che, prendendo le mosse dalla pubblicazione di un articolo intitolato “How can we be moved by the fate of Anna Karenina?”,7 si è sviluppato in ambito anglosassone, trovando spazio principalmente su riviste di estetica. Nell’articolo citato Radford ha elaborato il cosiddetto Paradox of fiction: posto che gli spettatori di uno spettacolo sono perfettamente consapevoli del carattere fittizio dello spettacolo stesso; posto che è possibile provare emozioni solo di fronte a oggetti reali o considerati tali; posto che gli spettacoli generano senza dubbio una risposta emotiva negli spettatori, questa risposta emotiva si mostra come paradossale, inspiegabile. In particolare, all’interno della struttura di questo paradosso, gli spettacoli che mettono in scena la sofferenza costituiscono un problema particolare: tale tipologia di spettacoli, infatti, non solo provoca nello spettatore una risposta emotiva generata da vicende e personaggi fittizi, ma provoca anche una risposta emotiva positiva di fronte a vicende che se appartenessero alla vita reale, se non fossero finzioni, genererebbero una risposta emotiva negativa. Gli spettacoli che mettono in scena la sofferenza impongono il problema del piacere nel dolore.

6 W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Einaudi, Torino 1966, J. Cabrera, Da Aristotele a Spielberg – Capire la filosofia attraverso i film, Bruno Mondadori, Milano 2000, A. Camaiti Hostert, Metix, Meltemi, Roma, 2004, A. Camaiti Hostert, Passing, Meltemi, Roma, 2006, S. Cavell, Alla ricerca della felicità – La commedia hollywoodiana del rimatrimonio, Einaudi, Torino 1999, S. Cavell, The world viewed: Reflections on the Ontology of Film, Cambridge, Harvard University Press 1979, S. Cavell, Themes out of school, University of Chicago Press, Chicago, 1988, U. Curi, Lo schermo

del pensiero – Cinema e filosofia, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000, U. Curi, Ombre delle idee – Filosofia del cinema da American Beauty a Parla con lei, Pendragon, Bologna 2002, U. Curi, Un filosofo al cinema, Bompiani, Milano 2006, G. Deleuze, L’immagine-movimento, Ubulibri, Milano 1986, G.

Deleuze, L’immagine-tempo, Ubulibri, Milano 1989, J. Derrida, Il cinema e i suoi fantasmi, in Aut-Aut, 309, 2002, pp. 52-68, P. Godani, D. Cecchi (a cura di), Falsi raccordi – Gilles Deleuze : cinema e

filosofia, ETS Edizioni, Pisa, 2007, W. Irwin, V. Cicero (a cura di), Pillole rosse. Matrix e la filosofia,

Bompiani, Milano, 2006, M. Pezzella, Estetica del cinema, Il Mulino, Bologna 2001, T. Whittock,

Metaphor and film, Cambridge University Press, Cambridge 1990.

7 Radford, C. 1975) “How can we be moved by the fate of Anna Karenina?” Proceeding of the

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I tentativi di superare la struttura paradossale all’interno della quale Radford ha inscritto il problema della risposta emotiva nei confronti di contesti finzionali si basano sul rifiuto di una delle tre sezioni della sua argomentazione: molti autori sostengono infatti che quelle provate dagli spettatori nei confronti di contesti finzionali non siano vere emozioni; altri sostengono invece che a generare le emozioni non siano direttamente le vicende e i personaggi dello spettacolo, ma i pensieri ad essi associati. Come si avrà modo di vedere più avanti,8 entrambe queste posizioni lasciano di fatto immutata la natura paradossale della questione. Il terzo tipo di tentativo di risoluzione del paradosso della finzione si fonda sulla messa in discussione del primo punto dell’argomentazione di Radford e nega l’idea secondo la quale la condizione dello spettatore è basata su una completa incredulità nei confronti delle vicende e dei personaggi che fanno parte dello spettacolo. In base a questo approccio di fronte ad un’opera d’arte lo spettatore considera temporaneamente e volontariamente reali vicende e personaggi che sa essere fittizi. La “volontaria e temporanea sospensione dell’incredulità” che secondo Coleridge caratterizza la fede poetica costituisce il principale punto di riferimento di questo tipo di approccio. Attraverso la teoria dell’illusione drammatica, di cui l’espressione citata costituisce la formulazione più sintetica ed esaustiva, l’autore inglese descrive la figura dello spettatore attraverso la nozione di stato intermedio: di fronte ad uno spettacolo lo spettatore decide, volontariamente e temporaneamente, di sospendere l’incredulità che gli imporrebbe di tenere presente il carattere fittizio di vicende e personaggi per considerarli momentaneamente reali. Così facendo si colloca all’interno di uno stato intermedio tra la completa incredulità e il completo abbandono alla finzione, tra la disillusione e l’inganno. Coleridge fa riferimento a questo stato intermedio attraverso il

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termine illusione: diversamente dall’inganno, ma anche dall’incredulità, l’illusione è caratterizzata dal fatto che lo spettatore sceglie di essere illuso.

L’elaborazione della teoria dell’illusione drammatica da parte di Coleridge può essere letta come il punto di arrivo di un dibattito che, incentrato sulla figura dello spettatore e sul tentativo di caratterizzarne la condizione, si è svolto nel XVIII secolo. Partendo dal ruolo di primo piano assunto dalla figura dello spettatore nell’Illuminismo, gli autori che hanno preso parte a questo dibattito hanno segnato una serie di tappe fondamentali all’interno del percorso che ha condotto alla completa elaborazione della nozione di stato intermedio portata a termine da Coleridge.

Partendo da un problema attuale come quello costituito dalle modalità di rappresentazione della sofferenza nei media contemporanei e dalle modalità in cui si articola la risposta emotiva dello spettatore nei confronti di questo spettacolo del dolore, sono giunto così ad incontrare Samuel Taylor Coleridge. L’opera di questo autore è stata vittima di una sorte tale da renderlo probabilmente una figura unica all’interno della cultura europea: se la produzione poetica di Coleridge ha conosciuto una fama celere e diffusa, la sua produzione filosofica è stata quasi interamente dimenticata, facendo sì che nell’immaginario collettivo la sua figura fosse tanto legata inscindibilmente all’ambito della poesia quanto quasi completamente separata dall’ambito della ricerca filosofica. Il mio lavoro è incentrato dunque sulla teoria dell’illusione drammatica di Coleridge e costituisce un tentativo di mostrare la progressiva elaborazione di questa teoria, il ruolo di questa teoria all’interno della riflessione filosofica dell’autore inglese, nonché il suo ruolo sia all’interno del dibattito sul ruolo dello spettatore che si è svolto nel XVIII secolo, che all’interno di quello sul Paradox of fiction che si è svolto negli anni settanta del Novecento. Ho tentato inoltre, affrontando la teoria dell’illusione drammatica, di mostrare la rilevanza e l’originalità di alcuni aspetti della riflessione filosofica di

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Coleridge, in contrapposizione ai tentativi di escludere questa riflessione dalla tradizione filosofica sulla base della sua presunta mancanza di organicità ed originalità.

Con l’obiettivo di unire all’analisi della teoria dell’illusione drammatica il tentativo di mostrare l’originalità e la rilevanza dell’opera di Coleridge da un punto di vista filosofico, ho iniziato il mio lavoro con un capitolo dedicato alla biografia dell’autore inglese: intento di questo capitolo è mostrare come Coleridge abbia alternato alla sua attività di poeta un costante e approfondito confronto con le principali correnti filosofiche del suo tempo. Risultato di questo confronto è un vasto numero di opere di carattere specialistico che impediscono di escludere Coleridge dalla tradizione filosofica. Ho dedicato poi i tre capitoli successivi all’analisi del rapporto del pensiero dell’autore inglese con quello di quei filosofi che hanno costituito i suoi principali punti di riferimento: Cudworth, Kant e Schelling. Mentre l’incontro da parte di Coleridge con l’opera del primo filosofo corrisponde allo specificarsi nel suo pensiero di alcune tendenze di fondo che resteranno tipiche del procedere della sua riflessione, l’incontro con la filosofia tedesca corrisponde allo specificarsi dei principali tratti del pensiero coleridgeano: tanto è vasto il numero di punti a proposito dei quali Coleridge si è confrontato con l’opera dei due autori tedeschi, che molti interpreti successivi hanno giudicato l’opera del filosofo inglese poco più che una ripetizione di quella di Kant e di Schelling.9

Tentare di descrivere compiutamente il rapporto tra Coleridge e Kant e tra Coleridge e l’idealismo tedesco si configura perciò come un compito decisamente troppo vasto rispetto ai limiti imposti dal presente lavoro. Per questo ho tentato di focalizzare l’attenzione sul rapporto tra l’autore inglese e i suoi colleghi tedeschi esclusivamente rispetto ai concetti che rivestono un ruolo importante all’interno della teoria

9 Cfr., a titolo di esempio, R. Wellek, Kant in England, 1793-1838, Princeton University Press, Princeton, 1931, pp. 65-135.

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dell’illusione drammatica. Così facendo ho tentato di mostrare le fonti di Coleridge a proposito di questa teoria e nello stesso tempo di chiarirne la collocazione all’interno della sua riflessione filosofica mettendo in evidenza come essa non costituisca tanto un isolato elemento di interesse all’interno di una riflessione nell’insieme mancante di originalità e profondità, quanto piuttosto un punto di incontro tra le diverse tendenze presenti all’interno dell'opera dell’autore inglese. L’analisi delle fonti di Coleridge rispetto all’elaborazione di concetti rilevanti all’interno della teoria dell’illusione

drammatica permette di mostrare come la riflessione filosofica di questo autore si articoli

lungo precise linee direttrici e contenga elementi originali e rilevanti che si configurano come il frutto di un pensiero coerente ed originale.

Nel quinto capitolo ho abbandonato un approccio strettamente comparativo per tentare di affrontare il concetto di immaginazione nell’opera di Coleridge. Questo concetto riveste un ruolo di primo piano sia all’interno della teoria dell’illusione drammatica che nell’intera riflessione coleridgeana, in particolare in ambito estetico. Nonostante anche questo concetto venga elaborato dall’autore inglese attraverso un constante confronto con la filosofia tedesca, tale è la sua rilevanza e l’ampiezza con cui è trattato che ho preferito focalizzare l’attenzione sul lungo processo attraverso il quale si articola e si specifica all’interno dell’opera di Coleridge.

Dopo aver messo in evidenza gli aspetti della riflessione filosofica di Coleridge che costituiscono la base della teoria dell’illusione drammatica, ho tentato di mostrare la rilevanza di questa teoria sia all’interno del dibattito che si è svolto nel XVIII secolo a proposito della figura dello spettatore che in quello novecentesco a proposito del

Paradox of fiction. Il sesto capitolo è dedicato alla descrizione di questi due dibattiti e a

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che vi hanno partecipato hanno affrontato il problema della risposta emotiva dello spettatore nei confronti di un’opera d’arte.

Mi sono rivolto infine all’elaborazione da parte di Coleridge della teoria dell’illusione

drammatica, dedicando un capitolo alla distinzione, fondamentale all’interno di questa

teoria, tra i concetti di copia e imitazione. In particolare ho concentrato la mia attenzione sui testi che contengono gli studi di Coleridge a proposito del teatro di Shakespeare, nella convinzione che la teoria dell’illusione drammatica sia stata concepita e sviluppata nel corso della loro elaborazione. Questi testi costituiscono il contributo di Coleridge al processo che, attraverso un lungo dibattito svoltosi a partire dalla metà del Settecento, soprattutto in Inghilterra, ha portato al riconoscimento del valore delle opere di Shakespeare.

Attraverso questo percorso sarà possibile verificare la presenza, all’interno della teoria dell’illusione drammatica, di diversi aspetti: essa costituisce infatti in primo luogo un tentativo di indagare il rapporto tra l’artista e la propria creazione attraverso uno studio delle facoltà mentali dell’uomo. Tale studio, basato sulla decisa affermazione del carattere attivo della mente umana, trova il proprio punto di arrivo nella descrizione dell’immaginazione. Questa facoltà, grazie alla sua capacità di ridiscutere il rapporto tra la realtà e le categorie mentali che garantiscono una certa struttura all’esperienza che l’individuo ha del mondo, è in grado di restituire freschezza e novità a oggetti resi familiari dall’abitudine, configurandosi così come fondamento di un’arte intesa come capacità non di copiare il reale, ma di imitarlo.

In secondo luogo, la teoria dell’illusione drammatica costituisce, proprio grazie alla distinzione tra copia e imitazione, un tentativo di descrivere il rapporto tra opera d’arte e realtà basato sul superamento di quell’idea di mimesi secondo la quale l’arte dovrebbe

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tentare di assottigliare il più possibile, fino ad eliminarla, la cornice che la separa dalla realtà.

Rappresenta infine un tentativo di descrivere il rapporto tra spettatore ed opera d’arte attraverso l’individuazione di uno stato intermedio basato sul concetto di illusione, contrapposto tanto a quello di inganno quanto a quello di incredulità.

Scopo di questo lavoro è mostrare dunque come questo insieme di fattori renda la teoria dell’illusione drammatica elaborata da Coleridge estremamente interessante rispetto alle problematiche che la figura dello spettatore pone nella società contemporanea.

Avvertenza a proposito delle citazioni

Per una vasta parte dell’opera di Coleridge, in particolare per quanto riguarda quella di carattere filosofico, non esiste alcuna traduzione in lingua italiana. Allo stesso modo, per la maggior parte delle opere che hanno costituito la bibliografia secondaria di questo lavoro, in particolare per quelle strettamente legate all’opera di Coleridge, non esiste una traduzione in italiano.

Per quanto riguarda le citazioni provenienti dall’opera di Coleridge contenute all’interno del corpo del testo ho utilizzato, dove queste esistono, traduzioni italiane, mentre ho tradotto io stesso i testi di cui non esiste una traduzione. In entrambi i casi ho riportato in nota il testo originale.

Per quanto riguarda le citazioni provenienti da opere che fanno parte della bibliografia secondaria ho utilizzato, dove queste esistono, traduzioni italiane, mentre ho tradotto io stesso i testi di cui non esiste una traduzione, riportando in nota i riferimenti bibliografici dell’edizione che ho utilizzato ma senza riportare il testo originale.

Ho evidenziato tutti i testi che ho tradotto segnalando in nota, laddove il testo viene citato per la prima volta all’interno del mio lavoro, che si tratta di una mia traduzione.

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“If a man could pass through Paradise in a

dream, and have a flower presented to him as a pledge that his soul had really been there, and if he found that flower in his hand when he awoke – Ay! And what then?”

Samuel Taylor Coleridge

“Se un uomo attraversasse il Paradiso in

sogno, e gli dessero un fiore come prova d’esser stato lì, e se destandosi si trovasse in mano quel fiore…allora?”

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1. Samuel Taylor Coleridge, filosofo

Premessa

Elio Chinol, autore di una delle poche monografie in lingua italiana dedicate all’analisi del pensiero filosofico di Samuel Taylor Coleridge, nell’introduzione alla sua opera scrive: “La sorte che è toccata a Samuel Taylor Coleridge come filosofo costituisce uno

dei fatti più singolari della storia della cultura inglese dello scorso e del presente secolo”. 10

Il poeta inglese, reso universalmente noto da opere come La ballata del vecchio

marinaio, o Kubla Khan, ha accompagnato l’attività poetica che lo ha reso famoso con

un’attenta e costante riflessione filosofica e critica, che lo ha portato a confrontarsi con le principali correnti filosofiche del suo tempo, sia in ambito anglosassone che in ambito continentale. Questa riflessione ha trovato espressione in una serie di opere filosofiche, la più nota delle quali è la Biographia Literaria, che nel loro insieme superano ampiamente la quantità di opere poetiche che il poeta inglese ci ha lasciato. Nonostante ciò l’attività del Coleridge filosofo è rimasta pressoché ignorata. Pochi, e molto tardivi, sono stati i tentativi di portare alla luce questa attività, pubblicando l’enorme mole di materiale rimasto inedito, realizzando un’edizione critica delle sue opere filosofiche e tentando di organizzare questo materiale sulla base di un criterio unitario. L’edizione delle opere del poeta inglese curata da W. G. T. Shedd nel 1853, ristampata nel 1884,11 costituisce un primo, incompleto, tentativo di pubblicazione del lavoro di Coleridge. Proprio l’incompletezza di questa edizione ha reso da subito estremamente difficoltoso lo studio del suo pensiero filosofico.

10 E. Chinol, Il pensiero di S.T. Coleridge, Venezia, Pozza, 1953.

11 S. T. Coleridge,The complete works of Samuel Taylor Coleridge with an introductory essay upon his

philosophical and theological opinions, edited by Professor Shedd, Harper & Brother publisher, New

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Il primo testo che si basa sulla conoscenza di buona parte dei manoscritti esistenti,

Coleridge as Philosopher,12 appare solo nel 1930, seguito a breve distanza da Kant in

England,13 di Wellek, che dedica un ampio capitolo al pensiero filosofico di Coleridge. Queste due opere offrono un perfetto esempio della discussione che attraversa tutta la produzione di studi dedicati al pensiero filosofico di Coleridge: mentre infatti l’opera di Muirhead tenta di restituire il pensiero di Coleridge alla tradizione filosofica, caratterizzandolo come originale e importante a livello storico,14 quella di Wellek nega risolutamente originalità, coerenza, precisione all’opera del Coleridge filosofo.15

La posizione di Wellek si colloca all’interno di una tendenza, nata già durante la vita di Coleridge, a denigrare la riflessione filosofica del poeta inglese in base a due argomenti principali: la mancanza di organicità e coerenza e l’accusa di plagio. Moltissimi critici hanno rimproverato a Coleridge, da una parte, la mancanza di volontà, la sistematica incapacità di portare a termine un’opera, il suo eccessivo eclettismo per quanto riguarda le fonti usate, la mancanza di organicità all’interno delle sue opere filosofiche; dall’altra, un uso scorretto delle opere di altri autori, fino all’esplicita accusa di plagio. Questa tendenza ha raffigurato il pensiero filosofico di Coleridge come una inutile ripetizione del pensiero kantiano, unita ad una ripresa di temi schellinghiani, utilizzati spesso senza il dovuto riconoscimento del debito intellettuale nei confronti del filosofo tedesco. Coleridge è stato descritto come un geniale artista in grado di elaborare

12

J. H. Muirhead, Coleridge as philosopher, London, G. Allen & Unwin, New York, The Humanities Press, 1954.

13 R. Wellek, Kant in England, op. Cit.

14 “Il seguente studio è stato intrapreso nella convinzione, basata su una conoscenza superficiale delle

opere di Coleridge che sono state pubblicate, che come momento contenuto all’interno dello sviluppo di una forma nazionale di filosofia idealista, le sue idee siano molto più importanti di quanto sia mai stato realizzato tanto dal pubblico più colto che da professori e studenti di questo argomento”. J. H. Muirhead,

op. cit., pag. 15, la traduzione è mia. 15

“Storicamente, senza dubbio, Coleridge è immensamente importante e non può essere trascurato come

divulgatore di idee. Individualmente, come persona, egli costituisce un problema tanto affascinante da esigere uno studio più approfondito. Ma dal punto di vista della filosofia, io credo che sia necessario ammettere una fondamentale carenza, incoerenza e indistinzione all’interno del suo pensiero”. R.

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suggestive immagini poetiche, ma incapace di elaborazioni teoriche coerenti e sistematiche, contribuendo così a scoraggiare lo studio approfondito della vasta mole delle sue opere di carattere filosofico.

Chinol, nell’opera già citata, sottolinea come l’accusa di eccessivo eclettismo e di mancanza di coerenza mossa nei confronti di Coleridge da diversi autori, derivi soprattutto dalla mancanza di un criterio unitario nell’analisi dei materiali prodotti dall’autore inglese: molti studiosi hanno accostato opere e frammenti che appartengono a periodi molto diversi, facendo emergere un’incoerenza che viene meno nel momento in cui i materiali vengono ordinati cronologicamente e analizzati sulla base delle varie fasi attraversate dalla formazione intellettuale di Coleridge. A questa analisi deve essere aggiunta poi la considerazione delle condizioni materiali in cui alcune delle opere dell’autore inglese sono state composte: la vita di Coleridge ha attraversato infatti momenti drammatici e vicende particolari che alcuni studiosi mettono in relazione con la questione del plagio. Un esempio è costituito dalla trentennale dipendenza dall’oppio del poeta.

L’originale sorte toccata al pensiero del Coleridge filosofo impone quindi ad ogni tentativo di affrontare questo pensiero di partire da una breve analisi della formazione intellettuale dell’autore inglese e delle vicende della sua vita. Questa analisi ha anche lo scopo di mostrare come la vita dell’artista passato alla storia per le sue creazioni poetiche sia stata attraversata da una riflessione filosofica che, pur attingendo dalle fonti più numerose e disparate, si è sviluppata intorno a temi ed esigenze costanti, raggiungendo a volte risultati importanti e originali.

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§ 1.1 1772-1798: Filosofia e religione, materialismo e misticismo

Samuel Taylor Coleridge nasce nel 1772 a Ottery, nel Davon. Quando suo padre, un reverendo, muore nel 1781, viene mandato ad una scuola dedicata agli orfani degli ecclesiastici, la Christ’s Hospital School di Londra, dove gli studenti più promettenti vengono avviati alla carriera ecclesiastica. Questi dati sono rilevanti all’interno della formazione intellettuale di Coleridge, poiché permettono di comprendere meglio come nasca la vena religiosa che attraversa tutto il suo pensiero, influenzando profondamente la sua riflessione filosofica. I primi anni della formazione di Coleridge sono caratterizzati infatti da una forte presenza della religione, garantita sia dall’ambiente all’interno del quale compie i suoi primi studi, sia dal suo personale gusto. Nel primo capitolo della Biographia Literaria si legge infatti:

In un’età molto precoce, addirittura prima dei quindici anni, mi ero scervellato per la metafisica e per le controversie teologiche. Nient’altro mi riusciva gradito. La storia e i fatti particolari persero ogni interesse per la mia mente. La poesia […], la poesia stessa, sì, i romanzi e le storie d’avventure, per me divennero insipidi. Durante il mio solitario vagabondare nei giorni di permesso (ero infatti orfano, e a Londra avevo pochissime amicizie), ero contentissimo se un qualunque passante, specialmente se vestito di nero, intraprendeva una conversazione con me. Trovavo infatti subito il metodo per indirizzarlo verso i miei argomenti preferiti,

Provvidenza, prescienza, arbitrio e fato,

Fato fissato, arbitrio libero, prescienza assoluta, Errando senza fine e perso in labirinti.16

Come affermato dallo stesso Coleridge dunque, i primi anni della sua formazione intellettuale sono stati occupati in larga parte dalla lettura di testi religiosi. Tuttavia già mentre frequenta la Christ’s Hospital School Coleridge manifesta spiccate doti di lettore,

16 “At a very premature age, even before my fifteenth year, I have bewildered myself in a metaphysics,

and in theological controversy. Nothing else pleased me. History, and particular facts, lost all interest in my mind. Poetry […], poetry itself, yea, novels and romances, became insipid to me. In my friendless wanderings on our leave-days, (for I was an orphan, and had scarcely any connection in London) highly was I delighted, if any passenger, especially if they were drest in black, would enter in conversation with me. For I soon found the means of directing it to my favourite subjects

“Of providence, fore-knowledge, will, and fate Fix’d fate, free will, fore-knowledge absolute,

And found no end in wandering mazes lost.”

S. T. Coleridge, Biographia Literaria, edited by J. Shawcross, Oxford University Press, Oxford 1967, 2 voll., I vol., pp. 9-10, (trad. it., S. T. Coleridge, Samuel Taylor Coleridge, Opere in prosa, a cura di F. Cicero, Bompiani, Milano 2006, pp. 466-467).

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unite a una onnivora curiosità. Così affianca alle letture religiose lo studio di Voltaire ed Erasmus Darwin. Anche la compresenza di empirismo e pensiero mistico-religioso manifestata da queste letture giovanili sarà una caratteristica ricorrente all’interno della riflessione filosofica di Coleridge.

Non è possibile stabilire con certezza quando abbia iniziato lo studio della filosofia neoplatonica. Sembra però certo che intorno al 1787 egli legga la traduzione portata a termine da Taylor nello stesso anno del sesto libro della prima Enneade di Plotino, dedicata al tema della bellezza. Il dato è molto importante poiché è possibile che proprio da questa lettura abbia tratto il concetto di unità organica in ambito estetico.17

È Coleridge stesso a vantarsi di aver tradotto in inglese, prima di aver compiuto quindici anni, gli Inni di Sinesio di Cirene, filosofo neoplatonico del V secolo a. C. che nella sua opera ha tentato di conciliare neoplatonismo e religione cristiana. È proprio questo l’aspetto che rende gli Inni di Sinesio attraenti per il giovane Coleridge: animato da una profonda fede religiosa, ma anche da un deciso interesse nei confronti della filosofia, crede di trovare nel neoplatonismo, e nella filosofia di Platone in seguito, una riflessione in grado di combinare la spinta verso la metafisica propria della fede religiosa con il rigore concettuale proprio della filosofia.

Nel 1791 Coleridge si iscrive al Jesus College di Cambridge. In questi anni, anche se non è possibile stabilire esattamente quando, ha inizio il suo studio di David Hartley. Il filosofo inglese, che nel 1749 pubblica le Observation on man, presenta un’originale commistione di epistemologia sensista e pensiero religioso cristiano. Il primo volume della sua opera, infatti, costruisce una teoria delle facoltà e delle emozioni umane fondata sul principio dell’associazione delle idee sulla base della successione e della contiguità. Il secondo volume invece è dedicato a tematiche come la dimostrazione dell’esistenza di

17 Cfr. G. N. G. Orsini, Coleridge and german idealism, Southern Illinois University Press, Carbondale, Feffer & Simons, London, 1969, pp. 13-15, e G. N. G. Orsini, “Coleridge and Schlegel Reconsidered”, in

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Dio o l’immortalità dell’anima. Come già visto, è proprio tale commistione che affascina Coleridge in questo momento della sua vita, portandolo ad un intenso studio e apprezzamento dell’opera del filosofo inglese, al punto da chiamare il primo figlio, nato nel 1796, Hartley. Molti anni dopo, tuttavia, sarà lo stesso Coleridge a rilevare la contraddittorietà dell’opera di Hartley: nel settimo capitolo della Biographia Literaria il sistema descritto da Hartley nel primo libro della sua opera viene associato al dualismo di stampo cartesiano:

Nello schema di Hartley l’anima è presente solo per essere pizzicata o accarezzata, mentre i veri e propri squittii o le fusa sono prodotte da un agente del tutto indipendente e alieno. Ciò si trascina dietro tutte le difficoltà e tutta l’incomprensibilità (se non proprio, ως έµοιγε δοκει, l’assurdità) dell’intercomunicazione fra sostanze che non hanno alcuna proprietà in comune.18

Il ricondurre ogni genere di sensazione o emozione all’azione di un oggetto esterno su una mente passiva, in grado di operare l’associazione delle idee solo sulla base della contiguità e della successione, rende problematico il ruolo di Dio:

L’esistenza di uno spirito infinito, di una volontà intelligente e sacra, dev’essere, secondo tale sistema, un semplice moto articolato dell’aria. Poiché infatti la funzione dell’intelletto umano non è altro che quella di (avere impressione di) combinare e applicare i fenomeni dell’associazione; e poiché questi traggono tutta la loro realtà dalle sensazioni primarie, che a loro volta traggono tutta la loro realtà dalle impressioni ab extra, di conseguenza un Dio che non si vede, non si sente o non si tocca, può solo esistere nei suoni e nelle lettere che ne costituiscono il nome e gli attributi.19

Tuttavia Coleridge, pur rilevando il fatto che la conseguenza del sistema elaborato da Hartley è un concetto di Dio ridotto a mero flatus voci, non attribuisce questo concetto al

18 “In Hartley’s scheme, the soul is present only to be pinched or stroked, while the very squeals or

purring are produced by an agency wholly independent and alien. It involves all the difficulties, all the incomprehensibility (if it be not indeed, ως έµοιγε δοκει , the absurdity), of intercommunion between substances that have no one property in common”. S. T. Coleridge, Biographia Literaria, op. cit., I vol.,

pag. 81, (trad. it., S. T. Coleridge, Samuel Taylor Coleridge, Opere in prosa, op. cit. pag. 546).

19 “The existence of an infinite spirit, of an intelligent and holy will, must, on this system, be mere

articulated motions of the air. For as the function of the human understanding is no other than merely (to appear to itself) to combine and to apply the phaenomena of the association; and as these derive all their reality from the impressions ab extra; a God not visible, audible, or tangible, can exist only in the sounds and letters that form his name and attributes” Ibidem, pag. 83, (trad. it., S. T. Coleridge, Samuel Taylor Coleridge, Opere in prosa, op. cit., pp. 548-549).

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filosofo inglese, limitandosi a rilevare la profonda incongruenza tra il primo e il secondo volume delle Observation on man:

E’ di grande rilievo il fatto che l’eccellente e pio Hartley, in merito alle prove dell’esistenza e degli attributi di Dio, con i quali inizia il suo secondo volume, non faccia alcun riferimento ai principi o ai risultati evidenziati nel primo […]. In realtà tutto il secondo volume è, con pochissime eventuali eccezioni, indipendente dal suo singolare sistema.20

Prima di arrivare a questa netta presa di posizione nei confronti della filosofia di Hartley, Coleridge attraversa molte oscillazioni teoriche, che lo portano a volte ad apprezzare la metafisica del filosofo inglese, altre a disprezzare il suo sistema psicologico e le sue nefaste conseguenze in ambito metafisico. È molto probabile che a questo periodo, oltre allo studio di Hartley, risalga anche l’approfondimento della filosofia platonica e neoplatonica: tra il 1792 e il 1794 Taylor traduce in inglese altre parti delle Enneadi di Plotino, il Fedro, il Cratilo, il Fedone, il Parmenide e il Timeo di Platone, permettendo a Coleridge di approfondire lo studio iniziato con la lettura del libro delle Enneadi dedicato alla bellezza.

In generale, dunque, questo periodo della formazione intellettuale di Coleridge è basato su una compresenza, da una parte, di empirismo e materialismo, alimentati dallo studio di Hartley ma anche di Locke e Hume, dall’altra, di pensiero mistico-religioso, alimentato dallo studio della filosofia platonica e neoplatonica, dalla lettura di Giordano Bruno e Boehme, oltre che dalle letture religiose. In Hartley si trovano esemplificate le stesse tensioni e contraddizioni che si trovano nel pensiero di Coleridge in questo periodo: da una parte il materialismo e il determinismo propri del sistema descritto nel primo libro della sua opera, dall’altra una vena religiosa, espressa nel secondo libro, che impedisce di portare alle estreme conseguenze le premesse contenute nel materialismo.

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“It is most noticeable of the excellent and pius Hartley, that, in the proofs of the existence and

attributes of God, with which his second volume commences, he makes no reference to the principle or results of the first […]. Indeed the whole of the second volume is, with the fewest possible exception, independent of his peculiar system” S. T. Coleridge, Biographia Literaria, op. cit., I vol., pag. 84, (trad.

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Di questa oscillazione teorica Muirhead scrive: “un attento esame dei componimenti di

questo periodo mostrerebbe che questa [oscillazione] si riflette in essi, sotto forma di un dominio della sua mente da parte di concezioni proprie di una filosofia determinista che è nella sua essenza opposta rispetto al romantico spirito di libertà che costituisce lo strato più profondo dell’essere intellettuale di Coleridge”.21

A questo periodo della vita di Coleridge appartengono una serie di avvenimenti che saranno ricchi di conseguenze: nel 1793, gravato dai debiti e in preda a depressione, decide di abbandonare Cambridge e di arruolarsi in un corpo militare, i Dragoni di Sua Maestà. Dopo meno di un anno tuttavia viene congedato e torna a Cambridge.

Nel 1794 inizia un viaggio a piedi nel Galles, che lo porterà a conoscere Robert Southey e la sorella della fidanzata di Southey, Sara Frincker, che diverrà sua moglie nel 1795. Insieme a Southey Coleridge progetta di emigrare in America per fondare una Pantisocrazia, una sorta di regno ideale i cui membri sarebbero vissuti in condizioni di uguaglianza e comunione dei beni: sembra che uno dei motivi che lo hanno spinto ad un matrimonio affrettato, che sarà in seguito causa di molti dispiaceri, sia proprio il tentativo di garantire maggiore stabilità al progetto pantisocratico. È a questo periodo che risale anche la composizione e la pubblicazione di numerose opere poetiche: tra il 1794 e il 1796 pubblica The fall of Robespierre, Sonnets on Eminent Characters, Poems on

various subjects, Ode on the departing year.

Durante il 1796 Coleridge compie un viaggio nel tentativo di procurare abbonati per The

Watchman, rivista di politica che sarà pubblicata, con scarso successo, da marzo a

maggio. Il 1796 è anche l’anno in cui sembra che Coleridge abbia iniziato a fare uso d’oppio. Diversi studiosi ritengono importante questa circostanza, poiché poco dopo un iniziale, sporadico, uso della droga al fine di alleviare i dolori e la depressione di cui

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soffre, Coleridge inizia ad assumere quantità sempre maggiori di oppiacei, fino a divenire completamente dipendente da questa sostanza, che influenzerà praticamente l’intero corso della sua vita.

In un interessante articolo22 Griggs ricostruisce, basandosi principalmente sulle lettere dell’autore inglese, la lunga esperienza di Coleridge con l’oppio, mostrando come solo a partire dal 1808 il filosofo diventi consapevole degli effetti devastanti della sostanza e contemporaneamente della sua completa dipendenza da essa. Nonostante numerosi tentativi di disintossicazione, raccontati dallo stesso Coleridge nelle proprie lettere, il poeta inglese non riuscirà mai ad affrancarsi completamente dall’uso della droga. Tuttavia dopo un periodo di consumo massiccio e costante, corrispondente agli anni che vanno dal 1800 al 1814, Coleridge riuscirà a diminuire drasticamente e a regolamentare le dosi di droga assunte, pur protraendo la propria abitudine fino alla morte.

Orsini lega la dipendenza dalla droga ad alcuni elementi del carattere del poeta: “Le

radici di questa dipendenza, si innestano in profondità nella sua natura emotiva, in un certo inesplicabile elemento di debolezza della sua personalità che può esser stato la causa anche di quei gravi errori di giudizio e di quelle decisioni fatali, come il suo matrimonio, che hanno compromesso l’intero corso della sua vita”.23 Senza tentare di indagare la complessa personalità di Coleridge, è importante evidenziare un aspetto della sua vita che molti studiosi mettono in relazione con alcune caratteristiche della sua opera, in particolare di quella filosofica: la dipendenza dalla droga, con tutte le sue nefaste conseguenze, sarebbe una delle cause in grado di contribuire a spiegare il carattere frammentario dell’opera in prosa di Coleridge, composta in ampia parte da frammenti,

22 Earl Leslie Griggs; Seymour Teulon Porter, “Samuel Taylor Coleridge and Opium”, in The Huntington

Library Quarterly, Vol. 17, No. 4. (Aug., 1954), pp. 357-378.

23 G. N. G. Orsini, Coleridge and german idealism, op. cit., pag. 7, la traduzione è mia. Per quanto riguarda il legame tra l’opera poetica di Coleridge e il suo abituale consumo di droga, Cfr. A. Castaldi, Il

testo drogato, letteratura e droga tra Ottocento e Novecento, Einaudi, Torino, 1994, in particolare pp.

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appunti per lezioni, progetti di opere mai realizzate. Orsini arriva a mettere in relazione il problema della droga con la questione del plagio, evidenziando in Coleridge una tendenza, favorita dalla confusione mentale indotta dalla droga, a confondere le proprie idee, magari non ancora ben sviluppate, con quelle di altri autori. Il Coleridge più maturo tenderebbe cioè, secondo Orsini, a rivendicare come proprie idee contenute in modo embrionale nelle sue opere della giovinezza, ma effettivamente sviluppate e portate a compimento da altri autori.24

Se fino agli anni 1792-93 è difficile determinare con certezza quando inizi lo studio di un particolare autore da parte di Coleridge, a partire dal 1794 i Notebooks, le sempre più numerose lettere inviate e, a partire dal 1795, la lista delle opere prese in prestito dalla biblioteca di Bristol permettono una ricostruzione abbastanza precisa dell’itinerario intellettuale compiuto dal filosofo: in questi anni Coleridge si dedica allo studio di due autori molto importanti al fine di capire lo sviluppo del suo pensiero, Cudworth e Berkeley.

Cudworth appartiene al gruppo dei Platonici di Cambridge: la ripresa del platonismo da parte di questi pensatori, avviene soprattutto sul piano gnoseologico ed è diretta contro il materialismo di Hobbes. In The True intellectual system of the universe Cudworth sostiene l’esistenza di un’unica mente divina, alla quale le menti individuali partecipano. All’interno di questa mente divina sono contenute le Idee universali ed eterne. In A

tractise concerning Eternal and immutable morality, il sistema elaborato nell’ambito

della precedente opera viene specificato, ribadendo con forza l’elemento a priori presente nella mente umana: la conoscenza di un oggetto esterno è possibile grazie alla presenza, nella mente dell’individuo, di un elemento a priori, garantito dalla partecipazione alla mente divina che contiene in sé le Idee eterne. È proprio questo aspetto della riflessione

24

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di Cudworth a colpire Coleridge, sempre più insoddisfatto del rigido associazionismo di Hartley. Il sistema elaborato dal filosofo di Cambridge infatti sottolinea con forza il carattere creativo della mente umana, che non è concepita come un semplice elemento passivo, ma come una forza attiva. A questo proposito, Orsini fa notare che il termine

plastic, usato da Cudworth per descrivere la sua teoria della plastic nature (la teoria in

questione individua un livello intermedio tra Dio e il Mondo), viene ripreso da Coleridge, che lo usa per indicare la capacità creativa.25

Nonostante sia ben documentato il fatto che tra il 1796 e il 1798 Coleridge è immerso in un intenso studio di Berkeley (tanto che chiamerà Berkeley il suo secondo figlio, nato nel 1798), è molto difficile stabilire con certezza come si articoli il rapporto tra i due filosofi. La riflessione di Berkeley, infatti, attraversa fasi molto diverse tra loro e non è possibile essere sicuri di quali siano gli aspetti della filosofia di questo autore che interessano maggiormente il poeta e filosofo inglese, anche a causa della penuria all’interno dei testi di Coleridge di riferimenti precisi alle sue opere. Ciò che sembra certo è l’apprezzamento da parte di Coleridge del pensiero più tardo di Berkeley, molto vicino a quello del gruppo dei Platonici di Cambridge e di Cudworth in particolare. Nel 1797 Coleridge pubblica Poems, to which are now added, Poems by Charles Lamb

and Charles Lloyd, e inizia a progettare, insieme all’amico Wordsworth, The rime of the ancient mariner, completato entro l’anno successivo, durante il quale scrive anche Frost at midnight, Fears in solitude, France: an Ode e la prima parte di Christabel. A

settembre del 1798 vengono pubblicate le Lyrical Ballads.

Il periodo compreso tra gli anni 1795 e 1798 è dunque caratterizzato in generale oltre che da una serie di importanti avvenimenti nella vita di Coleridge, come il matrimonio e l’incontro con Wordsworth, dalla lettura di Cudworth, Berkeley e dall’approfondimento

25

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dello studio del platonismo e del neoplatonismo. L’associazionismo e l’ambiguo materialismo di Hartley, che tanto avevano affascinato il giovane Coleridge, vengono fortemente messi in discussione in questo periodo, che vede emergere chiaramente le direttive lungo le quali si articolerà la ricerca filosofica di Coleridge: in Cudworth, ma anche in Berkeley, il filosofo trova le basi che gli permettono di evidenziare e spiegare il carattere attivo della mente umana e nello stesso tempo l’esistenza di un principio metafisico, di un elemento spirituale in grado di assicurare questa creatività. La riflessione di Coleridge di questi anni mostra ancora una originale commistione di filosofia e religione, ma inizia a prendere una direzione più precisa: la spinta verso la metafisica che nei primi anni della sua formazione filosofica assumeva toni mistico-religiosi non scompare, ma inizia adesso a ricercare una base filosofica che né Berkeley né tantomeno Cudworth sono in grado di offrire. È a partire da questo periodo che Coleridge rivolge la propria attenzione alla filosofia tedesca.

§ 1.2 1799-1816: Il viaggio in Germania e l’incontro con la filosofia tedesca

A partire dagli anni intorno al 1794 la dottrina kantiana inizia a diffondersi in Inghilterra, sotto forma di libri dedicati all’opera del filosofo tedesco e di traduzioni delle sue stesse opere. In particolare Orsini26 fa notare come proprio mentre Coleridge si trova a Bristol nel 1796, il dottor Thomas Beddoes, un medico della città amico del filosofo, scriva un entusiastico articolo a proposito di Kant. È a questo periodo che risalgono i primi progetti di Coleridge di un viaggio in Germania: intento dell’autore inglese è imparare il tedesco, tradurre l’opera di Schiller e studiare Kant. È Coleridge stesso che spiega tutto ciò in una lettera indirizzata a Thomas Poole, datata 5 maggio 1796.27 È interessante

26 Cfr. G. N. G. Orsini, Coleridge and german idealism, op. cit., pag. 44.

27 “Ho pensato di proporre a Robinson, l’importante libraio di Londra, di tradurre tutte le opere di

Shiller, che costituirebbero un imponente volume in quarto, a condizione che egli paghi a me e a mia moglie il viaggio per e da Jena, un’economica università tedesca dove Schiller risiede […]. Se riuscissi a

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notare come in una lettera dello stesso anno indirizzata a John Thelwall Coleridge nomini per la prima volta il filosofo tedesco Moses Mendelssohn.28

Nel 1798 l’autore inglese trova finalmente un finanziatore per il viaggio che ha programmato e nel settembre dello stesso anno parte per la Germania insieme a Wordsworth e alla sorella dell’amico.

Inizialmente risiede a Ratzeburg, vicino Amburgo, per imparare il tedesco; in seguito si sposta a Gottinga. È interessante notare come durante il suo viaggio in Germania Coleridge non nomini quasi mai Kant o altri filosofi tedeschi, nonostante studi in un’università in cui in quel periodo vengono tenuti almeno tre corsi dedicati alla filosofia kantiana.

È Coleridge stesso a scrivere che nel 1799 si trovava immerso nello studio del pensiero di Spinoza, fino al punto di definirsi spinoziano. Non è possibile stabilire con certezza quando abbandoni definitivamente lo studio di Berkeley per passare a quello del filosofo ebreo, ma è probabile che questo passaggio avvenga in Germania: come fa notare

realizzare questo piano, lì potrei studiare chimica e anatomia, e riportare indietro con me tutte le opere di Semler e Michaelis, i teologi tedeschi, e di Kant, il grande metafisico Tedesco”.

“Now I have some thoughts of making a proposal to Robinson, the great London bookseller, of

translating all the works of Schiller, which would make a portly Quarto, on the condition that he should pay my journey & wife’s to & from Jena, a cheap German University where Shiller resides[…]. If I could realize this scheme, I should there study Chemistry and Anatomy, and bring over with me all the works of Semler & Michaelis, the German Theologians, & of Kant, the great german Metaphysician”. S. T.

Coleridge, Collected letters of Samuel Taylor Coleridge, edited by Earl Leslie Griggs, Oxford Clarendon Press, 1956-1971, 6 voll., I vol., pag. 209, la traduzione è mia.

28 In una nota, Coleridge descrive Mendelssohn così “Un Tedesco, ebreo per nascita e Deista per scelta.

Ha scritto alcuni fra i testi più acuti in favore dell’Immortalità naturale, e la Germania lo considera il suo metafisico più profondo, con l’eccezione dell’incomprensibile Immanuel Kant”.

“A German, Jew by parentage, and Deist by election. He has written some of the most acute books

possible in favour of natural Immortality, and Germany deems him her profoundest metaphysician, with the exception of the most unintelligible Emanuel Kant”. S. T. Coleridge, Collected letters of Samuel Taylor Coleridge, op. cit., I vol. pag. 284. Per una breve analisi del rapporto tra Coleridge e Mendelssohn, Cfr. A. I. Snyder, “Coleridge’s reading of Mendelssohn’s “Morgenstunden” and “Jerusalem””, in Journal of English and German Philology, Vol. XXVIII, No. 4 (October, 1929), pp. 503-17. Nell’articolo

l’autrice analizza i marginalia di Coleridge alle due opere del filosofo tedesco, mostrando come la più diretta influenza tra i due pensatori sia riscontrabile soprattutto all’interno della Logica di Coleridge, rimasta inedita durante la vita del filosofo inglese. Vasti paragrafi di quest’opera costituiscono addirittura traduzioni, non sempre segnalate, delle due opere di Mendelssohn, e in particolare della Morgenstunden, che vanta anche il maggior numero di appunti a margine presi da Coleridge.

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Chinol,29 in questo periodo il romanticismo tedesco scopre il pensiero di Spinoza, interessandosi molto a temi come il panteismo, la divinità della natura, l’impersonalità di Dio. È probabile che Coleridge si sia interessato al dibattito in corso in Germania a proposito della filosofia di Spinoza e da questo interesse sia poi scaturito un intenso periodo di studio, che probabilmente si è protratto anche dopo la fine del viaggio in Germania.

Mentre dunque sembra probabile che l’interesse per Spinoza da parte di Coleridge nasca, o comunque si approfondisca, durante il viaggio in Germania, è quasi certo che lo studio di Kant che attraverserà praticamente l’intera vita del filosofo non inizi in questo periodo. È Coleridge stesso a raccontare, nella Biographia Literaria, quali siano stati i suoi studi durante il suo viaggio:

Dopo aver acquisito una discreta padronanza della lingua tedesca a Ratzeburg, cosa che insieme ai viaggi in quei luoghi ho descritto in The Friend, proseguii verso Göttingen passando per Hannover.

Qui frequentai regolarmente lezioni di fisiologia al mattino, e di storia naturale al pomeriggio, sotto la guida di Blumenbach, nome tanto caro a ogni inglese che abbia studiato in quella università, quanto venerabile agli uomini di scienza di tutta Europa! Le lezioni di Eichorn sul Nuovo Testamento mi furono ripetute dagli appunti di uno studente di Ratzeburg, un giovane di solida cultura e di infaticabile operosità, che adesso credo sia professore di lingue orientali a Heidelberg. Ma i miei sforzi maggiori erano rivolti all’acquisizione di una solida conoscenza della lingua e della letteratura tedesca. Del professor Tychsen seguii tante lezioni sul gotico di Ulfila quante ne bastavano a farmene conoscere la grammatica e i radicali di uso più frequente.30

29

E. Chinol, op. cit., pp. 28-29.

30 “After acquiring a tolerable sufficiency in the German language at Ratzeburg, which with my voyage

and journey thither I have described in The Friend, I proceed through Hanover to Gottingen.

Here I regularly attended the lectures on physiology in the morning, and on natural history in the evening, under Blumenbach, a name as dear to every Englishman who has studied at that university, as it is venerable to men of science throughout Europe! Eichhorn’s lectures on the New Testament were repeated to me from notes by a student from Ratzeburg, a young man of sound learning and indefatigable industry, who is now, I believe, a professor of the oriental languages at Heidelberg. But my chief efforts were directed towards a grounded knowledge of the German language and literature. From professor Tychsen I received as many lessons in the Gothic of Ulphilas as sufficed to make me acquainted with its grammar, and the radical words of most frequent occurrence”. S. T. Coleridge, Biographia Literaria, op.

cit., I vol., pp. 138-139, (trad. it., S. T. Coleridge, Samuel Taylor Coleridge, Opere in prosa, op. cit., pp. 607-608).

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Nonostante il tipo di studi condotti da Coleridge in Germania sia giustamente definito da Orsini “una tipica mistura coleridgeana di scienza, religione e filologia”,31 è molto

probabile che l’autore inglese in Germania abbia avuto un primo approccio con la filosofia kantiana, anche se questo contatto non è avvenuto attraverso una lettura diretta delle opere del filosofo tedesco o mediante la frequenza dei corsi dedicati a queste opere, ma probabilmente attraverso discussioni e scambi con altri studenti dell’Università di Gottinga.

In una lettera indirizzata a Josiah Wedgwood, datata 21 maggio 1799, Coleridge scrive inoltre di aver raccolto durante il suo soggiorno in Germania molto materiale a proposito di Lessing: il poeta inglese scrive infatti di avere intenzione di scrivere un’opera dedicata all’autore tedesco. Purtroppo, nonostante nei Notebooks sia possibile trovare molti appunti dedicati alla preparazione dell’opera su Lessing, questo lavoro non verrà mai portato a termine.

Nel luglio del 1799 Coleridge torna in Inghilterra, portando con sé un buon numero di libri tedeschi, tra cui, quasi sicuramente, le opere di Kant. Si conclude così, in questi anni, una fase importante della sua formazione intellettuale e della sua vita in generale. Chinol individua nei primi mesi del 1801 l’inizio di una profonda fase critica all’interno dello sviluppo filosofico di Coleridge:32 a partire da questo anno l’autore inglese opera una profonda revisione della propria opera, della propria riflessione filosofica, delle fonti a cui fino ad ora si è rivolto. Non si tratta tuttavia di una revisione definitiva, che chiude il periodo della formazione e apre il periodo della maturità completa, dello sviluppo coerente e definitivo del pensiero filosofico del Coleridge maturo. Egli infatti tornerà più volte sulle proprie posizioni e continuerà a vivere a proposito delle proprie fonti una sostanziale incertezza, che lo porterà di volta in volta a studiare un autore per poi

31 G. N. G. Orsini, Coleridge and german idealism, op. cit., pag. 46. 32

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abbandonarlo e poi di nuovo riprenderlo. Tuttavia gli ultimi anni del diciottesimo secolo e i primi del diciannovesimo, corrispondono per Coleridge all’abbandono definitivo dell’empirismo e dell’associazionismo che, pur con molte oscillazioni e contraddizioni, avevano contraddistinto la sua vita intellettuale fino a questo momento e contemporaneamente all’inizio di una nuova fase del suo pensiero, nettamente orientato verso l’idealismo. Sembra che, appena tornato dalla Germania, abbia continuato a studiare Spinoza: l’empirismo e l’associazionismo di cui per molti anni si era proclamato sostenitore sono stati ormai definitivamente abbandonati, ma nel 1801 anche il filosofo ebreo viene sostituito da uno studio del pensiero idealista tedesco che durerà per tutta la vita del filosofo.

Dal punto di vista della produzione letteraria, il periodo che va dal 1800 al 1816 vede un rallentamento dell’attività poetica che ha occupato gran parte della vita di Coleridge fino a questo momento e un impegno sempre crescente nell’attività giornalistica e di critica letteraria. Questo periodo è inoltre caratterizzato da frequenti spostamenti e viaggi importanti: nel 1799, appena tornato dalla Germania, Coleridge si trasferisce a Londra e inizia a collaborare con il Morning Post. Nel 1800 traduce il Wallenstein di Shiller, e si sposta nuovamente, trasferendosi nel Lake District. Qui scrive la seconda parte di

Christabel. Nel 1802 torna a Londra e riprende la collaborazione con il Morning Post,

che era stata interrotta nell’aprile del 1800. In questo periodo inizia una forte crisi con la moglie, che lo porterà ad una separazione, nel 1807. Nel 1803 pubblica la terza edizione dei Poems, a abbandona definitivamente il Morning Post. L’anno successivo, ad aprile, parte alla volta di Malta, dove diviene segretario dell’Alto Commissario britannico per l’isola. Da qui si sposta in Italia, dove visita la Sicilia, Napoli e Roma. Torna in Inghilterra nel 1807.

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Nel 1808 tiene venti conferenze sui principi della poesia alla Royal Institution di Londra. Non riesce tuttavia a portare a termine le conferenze a causa della sua fortissima dipendenza dall’oppio: è questo il periodo della vita di Coleridge in cui il problema della droga si fa più grave. Le quantità d’oppio che assume il poeta in questi anni sono talmente alte che spesso lo costringono a letto, incapace di qualsiasi tipo di attività. Ai danni dovuti alla droga si aggiunge poi una forte depressione, derivata in gran parte dalla consapevolezza della propria dipendenza e delle nefaste conseguenze di questa sulla sua situazione economica, professionale e personale: in questo periodo infatti entra fortemente in crisi il suo rapporto con l’amico Wordsworth. Dal giugno 1809 al marzo 1810 pubblica il The Friend. L’anno successivo scrive sul Courier, e tiene diciassette conferenze su Milton e Shakespeare alla London Philosophical society. Continua intanto la collaborazione con il Curier, ma anche l’attività di conferenziere: fra maggio e agosto tiene sei conferenze sul dramma a Londra, alla Willis’s Room, e tra il novembre 1812 e il gennaio 1813 dodici conferenze su Shakespeare alla Surrey Institution. Sempre nel 1813 tiene altre otto conferenze su Shakespeare, a cui seguono, nel 1814, sei conferenze su Milton e Cervantes, tenute a Bristol. A questo anno risale anche la pubblicazione di

Essays on the principles of genial criticism e il trasferimento di Coleridge a Calne, nel

Wiltshire, dove vive con John Morgan, a cui, a partire dal 1815, inizia a dettare la

Biographia Literaria e le Sybilline Leaves. Nel 1816 viene accettato come paziente dal

medico James Gillman, a Highgate, dove vivrà per il resto della sua vita. In questo stesso anno pubblica Christabel, Kubla Khan e The Pains of sleep.

Il periodo della vita di Coleridge che va dal 1799, anno del suo viaggio in Germania, al 1816, anno del suo definitivo trasferimento a Highgate, è caratterizzato da un grande cambiamento all’interno della sua riflessione filosofica. Sarebbe sbagliato tuttavia vedere una totale discontinuità tra gli studi giovanili e quelli intrapresi a partire dal 1800 circa.

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Nonostante infatti Coleridge in questo anno abbandoni definitivamente l’empirismo per rivolgersi allo studio di Kant e in seguito di Schelling e di Fichte, le esigenze che portano avanti la sua riflessione sono di fatto le stesse: il suo è un tentativo di spiegare e giustificare il carattere attivo della mente umana, illuminando così i meccanismi che regolano il processo di creazione poetica. Molto spesso la riflessione filosofica di Coleridge si configura infatti come riflessione sulla propria attività di poeta, sulla propria capacità creativa. Questo tipo di riflessione è strettamente legata al bisogno di affermare l’esistenza di un principio divino, spirituale, ultraterreno, a cui l’individuo in qualche modo partecipa. È questo l’insieme di esigenze che scandisce e guida il percorso intellettuale di Coleridge, che si rivolge in un primo tempo all’empirismo e al platonismo, in un secondo tempo alla forma di platonismo elaborata dai Platonici di Cambridge e infine al criticismo kantiano, con il quale si confronterà per il resto della sua vita, diventando uno dei principali divulgatori del pensiero di Kant in Inghilterra. Tuttavia il periodo in questione non coincide con una definitiva sistematizzazione del pensiero filosofico di Coleridge: nonostante, intorno al 1801, il filosofo compia una vasta revisione della propria produzione, ridiscutendo il ruolo delle fonti a cui si è rivolto fino a questo momento, il pensiero di Coleridge subirà altri mutamenti, altre oscillazioni, che lo porteranno ad esprimere una critica verso determinati aspetti dell’opera kantiana, e un apprezzamento rispetto a quella di Schelling e di Fichte.

Il periodo che va dai primi anni del 1800 al 1816, è caratterizzato, oltre che da un’intensa attività giornalistica, da una fitta serie di conferenze, dedicate in gran parte alla critica letteraria. È nell’ambito di queste conferenze che Coleridge elabora il proprio innovativo sistema critico, giungendo a importanti risultati teorici che, se pure hanno luogo in un terreno non propriamente filosofico, hanno una forte rilevanza da un punto di vista

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