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Musealizzazione e allestimento delle Grandi Terme di Villa Adriana

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Academic year: 2021

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ALLESTIMENTO DELLE GRANDI TERME DI VILLA ADRIANA

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- MEMORIA UNIVERSALIS - Il teatro del mondo

- Athanasius Kircher -

Musealizzazione e allestimento delle Grandi Terme di Villa Adriana

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Politecnico di Milano | Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni Corso di Laurea Magistrale in Architettura Ambiente costruito - Interni

Anno accademico 2018/2019

Relatore: Prof. Pier Federico Mauro Caliari | Corelatore: Arch. Paolo Conforti

Tesi di laurea studenti: Anna Manfredi, Elisa Mombelli, Beatrice Reggianini

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VILLA ADRIANA 1.1 Storia di Villa Adriana

1.2 La composizione di Villa Adriana

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L’ARCHITETTURA ROMANA

2.1 I materiali da costruzione: il laterizio e la pietra 2.2 L’Opus romano

2.3 Archi e volte

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LE TERME ROMANE

3.1 Il sistema di raccolta delle acque 3.2 L’importanza delle terme

3.3 Il sistema tecnologico delle terme

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LE ARCHITETTURE D’ACQUA

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IL PROGETTO 5.1 Il sito: Le Grandi Terme 5.2 Giaciture regolate dalle grandi terme nella composizione e nella sintassi della Villa 5.3 L’intervento di ricomposizione5.4 La musealizzazione delle Grandi Terme

5.5 I materiali e ll’illuinazione

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LA MOSTRA: Memoria Universalis, Il Teatro Del Mondo 6.1 Athanasius Kircher 6.2 Allestimento e opere 6.2.1 Esotismo 6.2.2 Archeologia 6.2.3 Alchimia 6.2.4 Egittologia 6.2.5 Astronomia e zoologia 6.2.6 Pinacoteca 6.2.7 La Wunderkammer 4.8 Le Piccole Terme 4.9 Le Grandi Terme

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Villa Adriana occupa un basso pianoro tufa- ceo alle pendici dei monti Tiburtini. La Villa fu costruita a partire dal 118 d.C. dall’imperatore Adriano (76 d.C.-138 d.C.) come luogo di riti- ro da Roma. L’imperatore scelse di spostare la propria residenza in un territorio verde e ricco di acque lontano dagli affollamenti di Roma, dove risiedette il meno possibile, viaggiando.

Con quest’opera egli mise in mostra la lungimiranza romana grazie alle tecni- che avanzate di costruzione e di idraulica.

La superficie occupata dalla villa è 120 ettari tra la Via Prenestina e la Via Tiburtina, a sud-ovest di Tivoli e grazie ai marchi di fabbrica rinvenuti sui laterizi è possibile ricondurre la costruzione in due fasi principali, la prima dal 118 d.C. al 125 d.C. e la seconda dal 125 d.C. al 133 d.C.

L’acqua è un elemento fondamentale per la Villa e la sua ubicazione è condizionata dalla convergenza di ben quattro acquedotti: Anio Vetus, Anio Novus, Aqua Marcia e Aqua Clau- dia utilizzati per l’approvvigionamento dell’ac- qua indispensabile per l’alimentazione delle fontane e delle terme. Grazie al buon drenag- gio dato da questi il territorio è ricco di cave di materiali da costruzione come travertino.

La villa era inoltre raggiungibile per via flu- viale risalendo per l’Aniene, all’epoca na- vigabile, l’acqua sfruttando le pendenze si insinuava negli edifici e dava significato ai luoghi. A parte l’Aniene presente a Tivoli, non erano distanti le note acque solfuree, le così dette  Acque Albule dove sono presen- ti sorgenti curative di acque sulfuree, ancora oggi utilizzate (gli odienri Bagni di Tivoli).

Sorta sul luogo di una precedente villa re- pubblicana si compone di una trentina di edifici dove i percorsi si distinguono per es- sere principalmente ipogei o esterni alla villa.

L’architettura nasce nel sottosuolo, la così det- ta basis villae è situata in prossimità del Pan- tanello, luogo dove confluiscono i due fossi di Roccabruna e dell’Acqua Ferrata. Dal punto di vista topografico la villa si configura come un complesso architettonico a diretto confronto con un suolo plastico dovuto alle caratteristi- che orografiche e morfologiche del territorio.

Ogni parte era progettata in modo tale che gli edifici fossero ben collegati e sempre raggiun- gibili in modo semplice e rapido. Adriano creò una grande via sotterranea e carrabile che si ramificava in varie uscite, la strada inoltre non

1.1 La storia di Villa Adriana

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interferiva mai con le aree riservate all’im- peratore, le costeggiava soltanto all’aper- to o al coperto mantenendosi periferica.

Nella villa si distinguono due aree imperiali: il Palazzo, posto nell’area centrale del complesso, e l’accademia, nella zona sud. Il Palazzo com- prendeva un’area piuttosto estesa, suddivisa tra abitazione privata e centro di lavoro e di governo.

Oltre alle abitazioni imperiali esistevano degli edifici di abitazione collettiva molto differenti tra loro, destinati a diverse categorie di persone;

gli Hospitalia, il Pretorio, le Cen- to Camerelle e la Caserma dei Vigili.

Nella villa si trovano anche delle zone semi – imperiali come le grandiaree per banchet- ti: Ninfeo - Stadio, la Piazza d’Oro ed il Ca- nopo. La villa era anche fornita di numerosi impianti termali: troviamo infatti le terme imperiali con heliocamino, le Piccole Ter- me, destinate alla corte imperiale e agli ospiti che giungevano al complesso tiburtino per le grandi coenationes e le Grandi Terme, La Villa

Adriana occupa un basso pianoro tufaceo alle pendici dei monti Tiburtini. La Villa fu co- struita a partire dal 118 d.C. dall’imperatore Adriano (76 d.C.-138 d.C.) come luogo di ri- tiro da Roma. L’imperatore scelse di spostare la propria residenza in un territorio verde e ricco di acque lontano dagli affollamenti di Roma, dove risiedette il meno possibile, viaggiando.

Con quest’opera egli mise in mostra la lungi- miranza romana grazie alle tecniche avanzate di costruzione e di idraulica. La superficie oc- cupata dalla villa è 120 ettari tra la Via Prene- stina e la Via Tiburtina, a sud-ovest di Tivoli e grazie ai marchi di fabbrica rinvenuti sui laterizi è possibile ricondurre la costruzione in due fasi principali, la prima dal 118 d.C. al 125 d.C. e la seconda dal 125 d.C. al 133 d.C.

L’acqua è un elemento fondamentale per la Villa e la sua ubicazione è condiziona- ta dalla convergenza di ben quattro acque- dotti: Anio Vetus, Anio Novus, Aqua Mar- cia e Aqua Claudia utilizzati per l’approv

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Parlando di analogia formale si possono in- dividuare dei modelli descrittivi, ovvero dei luoghi a cui l’imperatore deve essersi. ispirato come la Domus Aurea a Roma, Atene, Perga- mo e Phylae sul Nilo. Adriano possedeva una personalità poliedrica e con questa visione egli progettò per la sua Villa ampi spazi a giardino dove architettura, paesaggio, e giardino artifi- ciale potessero dialogare. La presenza di vigne- ti e oliveti, impiantati successivamente, fu da esempio per i giardini rinascimentali. L’uso di statue e il ruolo dei complessi giochi d’acqua costituirono un modello per i giardini nobilia- ri rinascimentali, ispirati al gusto antico. Non sempre si può attribuire con certezza la fun- zione dei singoli edifici però per esempio sono identificabili con certezza i tre complessi ter- mali in quantità proporzionata all’alto numero di frequentatori della villa, dagli ospiti al per- sonale. Proprio sulle Grandi Terme si è deciso di soffermarsi con più attenzione in questa tesi.

vigionamento dell’acqua indispensabi- le per l’alimentazione delle fontane e del- le terme. Grazie al buon drenaggio dato da questi il territorio è ricco di cave di ma- teriali da costruzione come travertino.

La villa è il risultato di una progettazione uti- lizzate dal personale di servizio unitaria, l’im- pianto è riassumibile in quattro grandi quartie- ri autonomi così collocati:

I - area nord-est d Blocco residenziale con Do- mus, Valle di Tempe, Cortile delle Biblioteche, Terrazza delle Fontane, Hospitalia, Triclinio Imperiale, Piazza d’Oro

II - area nel cuore della villa con il Palatium, Ninfeo Stadio, Edificio a tre Esedre, Pecile, Sala dei Filosofi;

III - area pianeggiante tra Pecile e Altura: pic- cole e grandi terme, Grande Vestibolo;

IV - area dell’Accademia: si sviluppa dalla Torre di Roccabruna al Teatro Sud.

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1.2 La composizione di Villa Adriana

Dalla planimetria generale si può dedurre che gli edifici risultano allineati secondo tre assi divergenti di cui solo quello relativo all’area intorno al vecchio impianto repubblicano pre- senta un modulo tradizionale. Gli altri due assi divergono da questo primo nucleo e seguono altri principi che assecondano l’andamento del terreno e lo adattano a nuova progettazione.

Questa prima novità introduce uno spostamen- to di paradigma nel processo di composizione architettonica allora in atto, ha generato la crisi del modello a griglia ortogonale come strumen- to di controllo sintattico generale. Viene intro- dotto un nuovo tipo di composizione definibile come “polare” cioè basata su una serie di fuochi ai quali si attribuisce una funzione di centralità e allo stesso tempo di cerniera su cui ruotano azioni compositive geometricamente “radiali”.

Si può definire la composizione generale della villa come una formula matematica composta da una nuvola di punti tenuta insieme da assi di simmetria o policentrici dove si possono trova- re varie centralità. In definitiva si può parlare di sintassi radiale policentrica ipotattica ovvero un sistema di “proposizioni principali che reg- gono una serie di subordinate”.La villa assume non più di tre direzioni (Pecile, Villa Repub- blicana, Villa Adriana) fondamentali e quindi

contiene non più di due cerniere (Teatro Marittimo, Piccole Terme) nell’organi- smo distributivo. Dagli studi effettuati emerge che la villa ha sette centri di irradiazione due dei quali più importanti, ovvero la Tholos del Tempio di Venere e Cnidia (ha relazione con ogni parte della Villa) e la Sala Quadrilobata della Piazza d’Oro dalla quale dipende intera- mente l’impianto principale della villa. Anche gli altri fulcri regolano le varie giaciture, cre- ando una struttura consolidata che coordina i rapporti fra gli edifici. Questi sono: Teatro Greco, Teatro Marittimo, Odeion Accademia, Antinoeion, Edificio con Tre Esedre, Gran- de Vestibolo, Padiglione Accademia. Questo procedimento deriva dallo studio di luoghi che l’imperatore conosceva bene grazie ai suoi numerosi viaggi. I più significativi sono l’Acropoli di Pergamo e il Santuario di Iside a Phylae in Nubia. Questi hanno un approccio percettivo basato sull’individuazione di un unico punto di vista in cui l’osservatore è fisi- co e umano. Villa Adriana manifesta la stessa tecnica compositiva ma si comporta diversa- mente per quanto riguarda la staticità, i centri sono molteplici e l’approccio è di tipo dinami- co a più voci. Le centralità che concernono le Grandi Terme è ciò su cui si concentra la tesi.

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Nel primo periodo dell’impero l’architettu- ra romana fu molto influenzata dalle conce- zioni architettoniche dell’antica Grecia così molte costruzioni romane, come per esempio il Tempio di Vesta, risultano simili a quelle dell’antica Grecia. Uno stile autonomo comin- ciò a svilupparsi nel I secolo d.C. e si manife- stò attraverso la costruzione di archi, volte, cupole e decorazioni degli interni. I prodotti dell’arte monumentale romana si percepisco- no oggi come familiari, ciò dipende dal fatto che è il prodotto del binomio spirito e ma- teria, impersonificati da Vitruvio e Pompei.

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2.1 Materiali da costruzione:

il laterizio e la pietra

I laterizi sono materiali da costruzione artifi- ciali, vari per forma e dimensioni, ottenuti dal- la cottura di argilla opportunamente preparata, modellata ed essiccata. I laterizi sono tra i più antichi materiali da costruzione “artificiali”, il cui impiego si è affermato per soddisfare le esigenze costruttive delle civiltà sviluppatesi lungo aree fluviali o lacustri, ricche di argilla, ma povere di materiali da costruzione “natura- li”, come la pietra e il legno. I resti più antichi di edifici costruiti con mattoni crudi di argilla semplicemente essiccati al sole sono stati rin- venuti in Palestina, a Gerico, conosciuta, ap- punto, come la “prima città dell’uomo” (circa 7.800 a.C.). In Mesopotamia, intorno al 4000 a.C., si assiste alla produzione “standardizzata”

di mattoni crudi di forma rettangolare, in se- guito utilizzati insieme al bitume per realizzare le ziqqurat, grandiosi templi gradonati a base quadrilatera. Famosa è quella di Ur, che risale al 2300 a.C. circa. Anche in Egitto ritroviamo l’u- so del mattone crudo, utilizzato per ambienti di servizio e per i mastaba, antichi edifici funebri derivanti dai tumuli dell’Alto Egitto. I mastaba diedero origine alle prime piramidi a gradoni (Saqqara, Complesso funerario del faraone Zo- ser), che, a loro volta, precedettero le famose

piramidi di Gizah, costruite con materiali lapidei.

Maestri nell’applicazione della tecnica costrut- tiva dei laterizi furono gli antichi romani. I mattoni crudi romani, lateres, venivano pro- dotti con argilla cretosa chiara o rossa. Alla cot- tura dei mattoni si arrivò intorno al I sec. A.C.;

la diffusione di tale tecnologia in Italia è da at- tribuire ai coloni greci. Tuttavia, la tecnologia dei laterizi cotti raggiunse la massima espres- sione grazie alle maestranze romane. I laterizi destinati alla cottura venivano prodotti con ar- gilla, acqua, sabbia, paglia o pozzolana fine in modesta quantità. L’impasto veniva compresso a mano in forme di legno, quindi i mattoni ve- nivano fatti essiccare in zona ventilata. Infine, impilati di taglio, venivano cotti alla tempe- ratura di circa 800 °C. La qualità dei mattoni cotti dipendeva da due fattori: dall’impasto, che doveva essere a grana fine, poroso e omogeneo ed era verificato tramite l’osservazione della faccia del mattone fratturato; dalla buona riu- scita della cottura, che veniva valutata attraver- so la risonanza a percussione: un suono chiaro e argentino indicava il mattone buono. Ogni cottura dava differenti qualità di mattoni, che venivano selezionati e destinati ai diversi usi.

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I primi esempi di cortina laterizia furono confezionati con frammenti di tegole (età ce- sariana ed augustea) e furono proceduti da strutture di tegole intere con malta di argilla.

I laterizi erano fabbricati a partire dall’argilla impastata con acqua e l’impasto veniva com- presso a mano in uno stampo in legno gene- ralmente di forma quadrata. Tipico il bipe- dale, composto da 18 mattoni triangolari di 19,7 x 19,7 x 27,8 cm. I Romani generalmen- te impiegavano i mattoni interi o li riduceva- no, con la martellina, in forma triangolare.

Vitruvio ci informa che i mattoni crudi veni- vano utilizzati negli edifici come le pietre da costruzione e i muri potevano ricevere un rive- stimento sul quale veniva applicata una decora- zione. Egli scrive il suo trattato tra il 40 e il 32 a.C. e non parla dei mattoni cotti. Ciò induce a pensare che Roma e l’Italia settentrionale nel I secolo a.C. non ne conoscessero ancora l’uso.

Era il riquadro ligneo a determinare le dimen- sioni dei mattoni ed è verosimile che spesso venisse costruito empiricamente a seconda delle abitudini locali. Vitruvio e Plinio parlano di tre tipi di mattoni: lidio, tetradoron e pen- tadoron. I Romani facevano grande attenzione all’affinità del pietrame con la calce impiega- ta; Vitruvio afferma che la muratura miglio- re si otteneva con la stessa tipologia di pietra impiegata per ricavare la calce. Questo avve-

L’uso di una tipologia di pietra in una mura- tura nella maggior parte dei casi è legata alla disponibilità in loco della stessa. Una ricerca precisa di particolari pietrami si ebbe solo per strutture particolarmente specializzate come le cisterne. Opportunità di risparmio hanno sempre spinto tuttavia all’impiego di materiali di seconda scelta e di reimpiego. Il fenomeno del riuso di materiale derivante dalla demoli- zione o dalla spoliazione delle preesistenze, fu un fenomeno diffuso anche nell’antichità.

La pietra impiegata nelle costruzioni storiche o antiche poteva essere grezza, alluvionale (di forma tondeggiante) o di frantumazione (a spigoli vivi); oppure pietra lavorata, bloc- chi di pietra abbozzata o squadrata. L’utilizzo iniziava infatti dalla raccolta in superficie dei frammenti di minerali staccatisi dalla massa rocciosa per effetto delle intemperie e della ve- getazione. I muri di pietra a secco garantivano stabilità grazie all’uso di blocchi di grandi di- mensioni e di forma regolare che fungevano da paramento e che racchiudevano un riem- pimento di pietrisco. L’estrazione cominciava dallo sfruttamento dei giacimenti superficiali e numerose cave si limiteranno a questo siste- ma data l’abbondanza di rocce in alcuni siti. Le qualità del materiale crea una classificazione che comprende sei categorie: molto tenera, te- nera, semicompatta, compatta, dura e fredda.

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Figura 6: Copertura della sudatio delle Grandi Terme

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2.2 L’opus romano

La  tecnica edilizia  in epoca romana  ebbe un carattere mutevole con il passare del tempo e sovente adattabile in relazione  dei materiali da costruzione  di cui si disponeva in manie- ra più agevole nei diversi luoghi di interesse.

Il mattone era generalmente impiegato in corsi regolari (opus testaceum), ma poteva essere associato alla pietra disposta in fila- ri, creando l’opus mixtum. Questa tecnica era utilizzata principalmente nel II secolo d.C.

Questa denominazione raggruppa vari tipi di murature, in generale si intendono quei pa- ramenti nei quali vengono impiegati insie- me pietre e mattoni. Quest’ultimi erano sta- ti usati per creare le catene angolari a dente di sega, ne vediamo un esempio nell’Odeon di Pompei. Viene utilizzata in concorrenza e in opposizione all’opus reticulatum all’ini- zio del II secolo, anche se la seconda tecnica quasi in disuso verrà soppiantata dall’uso del mattone. L’opus mixtum, al contrario, non scomparirà poiché sarà usata sistematica- mente in Gallia e in qualche modo sarà sem- pre presente nel resto della penisola italiana.

Consisteva nell’alternarsi di fasce di pietre e

metro, ma con l’opus vittatum mixtum que- sto scarto può anche restringersi sensibil- mente fino a raggiungere un’alternanza di uno o due filari di mattoni per uno di pietra.

Questa tecnica è visibile a Pompei, Ercola- no, Paestum, nelle realizzazioni di Massen- zio e anche nella a noi nota Villa Adriana, nelle ultime fasi di costruzione, 137-138 d.C.

La Gallia romana ha conosciuto soltanto due tipi di muratura: opus vittatum semplice e opus vittatum mixtum. Quest’ultima ha fatto la sua comparsa in età traianea diffondendosi sotto Adriano e diventando l’unica tecnica in uso fino alla fine dell’Impero. Se nelle costruzioni in opera mista italiane i filaridi mattoni sono soltanto elementi del parametro, i costrutto- ri gallo-romani mettevano invece a profitto regolarmente questo materiale realizzando autentiche catene orizzontali colleganti i due parametri del muro. In tal modo i tre elementi costituenti parametro e riempimento veniva- no resi solidali. Nella maggior parte dei casi queste fasce corrispondevano all’altezza di una giornata di lavoro, e lo spazio compreso tra una fascia e l’altra coincideva con lo scarto

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Si presenta all’esterno sotto la forma di un paramento a blocchetti di pietra, di pianta trapezoidale, levigati in superfi- cie e rozzi verso l’interno, per essere col- legati con i caementa dell’opera a sacco.

I più begli esempi si trovano nelle città rico- struite da Silla dopo le guerre civili, e cioè Palestrina, Tivoli, Terracina, Cori, Fondi, ecc.; così sono fatte quasi tutte le ville della fine della repubblica nel Lazio, nella Sabina e nella Campania. Per le costruzioni private durò fino ai primi tempi dell’impero, ma per quelle pubbliche fu abbandonato nell’età di Cesare, e solo usato talvolta nelle fondazioni.

L’opus Incertum

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L’opus Reticulatum

Questo tipo di muratura trae il nome dall’aspet- to che presentano nella facciata i piccoli blocchi di pietra disposti con i giunti inclinati a 45 gradi sul piano. I blocchetti, o tesserae, sono tagliati in forma di piramidi tronche e posti con la base all’esterno e la parte rastremata all’interno.

È questo il sistema di muratura preferito nell’età di Adriano, che trova la sua applicazio- ne appunto nella Villa Adriana. Dopo la metà del sec. II d. C. l’opera reticolata va decadendo rapidamente, sostituita sempre più dal mattone.

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L’opus Vittatum

Il nucleo cementizio è in questi caso rivestito da un paramento di bloc- chetti di travertino o tufo di forma parallelepipeda, disposti in assise pia- ne. Non sono documentate intere murature realizzate in questa tecnica, che ri- sulta invece impiegata per la costruzione di cantonali e di stipiti. Il suo uso più antico è riferibile agli anni 70 a.C., quando viene im- pie- gata per la costruzione dei piedritti delle arcate cieche dell’Anfiteatro; ca- ratterizza al- cuni fra i più rilevanti edifici pubblici costru- iti durante l’età augustea, quali l’Edificio di Eumachia e il Tempio del Genio di Augusto.

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L’opus Mixtum

Rappresenta la tecnica maggiormente uti- lizzata nelle Grandi terme. Essa è nata dall’unione fra l’opus incertum e l’opus re- ticulatum. Consiste infattui nella mesco- lanza di opera reticolata con ammorsature agli stipiti e agli angoli in opera laterizia.

La tecnica è impiegata a Roma e dintorni in particolare in epoca traianea e adrianea.

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L’opus Spicatum

È un tipo di paramento costituito da laterizi collocati di taglio secondo la disposizione di una lisca di pesce o di una spiga di grano, uti- lizzata in epoca romana antica. Questo siste- ma sembra avere origine in quei luoghi dove si trovavano pietre piatte, quindi nelle vallate fluviali. Disporre le pietre in questo modo, e cioè con un’inclinazione di 45° cambiando la direzione dell’inclinazione ad ogni filare, era molto più agevole ed inoltre era una tecnica costruttiva che dava maggiore stabilità alla struttura la quale resisteva meglio ai movi- menti sismici. Molto raro nelle opere edili- zie, si trova per esempio nelle mura esterne della villa delle grotte di Catullo a Sirmione.

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Questo genere di muratura è caratterizzato dall’uso di mattoni d’argilla cotti al sole e lega- ti con malta. I primi paramenti di tegole fratte (in sostituzione dei paramenti in opera retico- lata) apparvero già alla fine della Repubblica, ma la massima diffusione dell’architettura e della decorazione in laterizio si ebbe dall’ini- zio dell’età imperiale fino a tutto il III sec. d.C..

L’opus Testaceum

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2.3 Gli archi e le volte

I vari studi compiuti nel tempo hanno permes- so di precisare che i romani non inventarono il sistema spingente, in particolare l’arco, ma avrebbero assimilato questa tecnica costruttiva da altre civiltà che si erano sviluppate poco pri- ma o che si erano sviluppate contestualmente nel bacino del Mediterraneo; tra queste civiltà la prima era quella degli etruschi, sappiamo che già al loro iniziarono a realizzare delle opere, dove il sistema spingente ed in particolare l’ar- co assumeva una notevole importanza, questo sapere si era probabilmente trasferito ai romani durante il secondo periodo regio, quando i re erano etruschi. I romani iniziarono a sperimen- tare l’arco per risolvere delle esigenze di caratte- re pratico, però poi hanno trasformato l’arco ed il sistema voltato nella base del loro linguaggio espressivo e nel loro linguaggio della composi- zione dello spazio. La volta a cunei è considera- ta uno degli elementi fondamentali della con- quista dello spazio, grazie alle testimonianze di Seneca sappiamo però che i romani considera- vano i Greci gli inventori degli archi voltati.

È dunque alle colonie della Magna Grecia e del- la Sicilia che si deve guardare per trovare i pos- sibili confronti e i modelli della volta romana.

In conclusione si può affermare che la tecnica

delle volte si è diffusa gradatamente nel la peni- sola italiana e che i Greci e gli Etruschi, più pro- grediti in fatto di stereotomia, vi elaborarono i primi modelli. Nel corso della seconda metà del II secolo a.C. l’arte di ricoprire gli spazi con ar- chi e volte a cunei si è introdotta in ogni campo, lavori pubblici, fognature, viadotti e architettu- re. Se per gli Etruschi era fondamentale porre le pietre in progressivo aggetto per i romani que- sta tecnica non svolgeva una particolare fun- zione meccanica, poiché l’elemento essenziale è rappresentato dalla coesione di una malta di ottima qualità. Nella meccanica dell’aggetto il principale nemico è l’attrazione verso il vuoto, nell’arco a spinte questo fattore garantisce che tutti gli elementi dell’arco, detti cunei o conci, siano solidali fra loro. Per assicurare ciò era ne- cessario che ogni elemento si appoggiasse ai vi- cini per mezzo di un profilo ad angolo che im- pedisse la caduta. Presso i Greci e i Romani tutti gli archi e le volte a spinte furono solo aperture entro masse possenti, oppure opere sotterranee Gli architetti romani di età tardo-repubblicana ebbero il merito di aver sfruttato tutte le pos- sibilità spaziali della volta: non più un buco in una massa ma un volume libero. Rispetto all’arco ad aggetto con un arco a sesto pieno si

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guadagnò di spazio e si risparmiò materiale.

Un arco è infatti più stabile se gli aggetti sono vicini alla verticalità. All’altezza delle spalle l’ar- co a cunei genera una spinta obliqua e la forza della spalla deve essere maggiore dell’altezza.

Bisognava calcolare anche le spinte esterne ovvero assestamento delle fondazioni, pressio- ni del vento, eventuali sovraccarichi. Pertanto più è alta una volta più la spalla dovrà essere spessa alla base. I romani utilizzarono soltan- to gli archi a pieno sesto, ribassati o a piatta- banda, cioè architravi voltati. L’integrazione di una forma circolare in un muro è più fun- zionale perché in tal modo l’arco può rimane- re indipendente nel muro di cui sopporta il peso e le spinte possono essere dirottate verso le reni delle volte, comprimendo i conci senza rischiare di spezzali. I Romani inoltre connet- teranno i conci in modo da adeguarli alle linee orizzontali del paramento del muro. Ciò ven- ne raggiunto prolungando i conci fino ad un estradosso orizzontale comune. I costruttori romani inoltre sfruttarono spesso la tecnica della piattabanda al fine di ottenere aperture ortogonali quando il peso della struttura non consentiva il ricorso ad un normale architrave.

Per costruire la volta, ovvero una struttura che sormonta uno spazio vuoto, ricorsero ad uno strumento robusto di supporto che avesse il profilo della curva da realizzare, chiamato cen- tina. Essa è composta da almeno due archi di cerchio in legno solidamente puntellati e col- legati ad una volta semicilindrica. Può essere appoggiata direttamente a terra per mezzo di pali sia nel punto d’innesto della volta, utilizza- ta dai romani per risparmiare legno. La stessa centina veniva usualmente spostata lateralmen- te per costruire la seconda volta. La costruzione dei monumenti di grandi dimensioni, come gli ambienti termali, le basiliche o le grandi cupo- le, poneva spesso problemi enormi. La soluzio- ne risiedeva nella creazione di un traliccio di nervature curve appoggiato alla cornice e tenu- to insieme da una centina. Si fece inoltre largo uso di volte con asse verticale, fungevano da so- stegno in edifici che dovevano contenere spinte di enormi masse di terra. Nella costruzione di cupole il ricorso a nervature integrate nelle mu- rature permetteva di ottenere un’intelaiatura rigida, occultata dai pannelli di riempimento.

Anche absidi, esedre, semi cupole e cupole di- vennero molto diffusi, soprattutto nelle terme.

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3.1 Il sistema di raccolta delle acque

Una delle maggiori realizzazioni della civiltà romana fu l’efficientissimo sistema di distribu- zione delle acque, attraverso una rete di acque- dotti che non trovò paragoni nei secoli. L’acqua veniva attinta dal Tevere, da pozzi, cisterne e sorgenti delle città vicine, come la Foce del- le Ninfe e la Fonte di Giuturna. In età repub- blicana però l’apporto di acqua dovette essere maggiore e si pensò a un sistema di trasporto da zone più lontane così fu fatto costruire nel 312 a.C. il primo acquedotto chiamato Aqua Appia dal censore Appio Claudio, lo stesso che curò la costruzione della via che prende il suo nome; esso portava acqua da una sorgente distante circa dieci miglia a sud di Roma, nei pressi dell’Aniene. Nel 272 a.C. fu costruito l’A- nio Vetus dal censore Manio Curio Dentato, in- sieme al precedente, entrambi senza sifoni, rap- presentavano il massimo approvvigionamento della città. Solo con la costruzione del 144 a.C.

dell’Aqua Marcia, per iniziativa del pretore Marcius Rex, un acquedotto venne per la prima volta sopraelevato nel suo percorso mediante arcate. I lunghi chilometri di lunghezza degli acquedotti erano dovuti sia alla distanza in cui erano posizionati ma anche al rilievo del terre- no, gli ostacoli dovevano essere superati o ag- girati senza dover compromettere la pendenza

media. I tratti piani erano evitati perché pro- vocavano il ristagno dell’acqua, inoltre gli inge- gneri crearono brevi cascate entro due serbatoi per rompere la velocità della corrente d’acqua.

Il flusso dell’acqua era principalmente sotterra- neo ad una profondità di 15m mentre in alcuni punti per regolare il flusso si costruirono alti ar- chi sopra cui veniva fatta scorrere e convogliare in grandi cisterne l’acqua e infine grazie a tuba- zioni di piombo e terracotta veniva incanalata negli stabilimenti. Gli edifici pubblici fecero aumentare la domanda di acqua che superava sempre lo stimato fabbisogno giornaliero che era circa di 500 litri. La canalizzazione adotta una struttura e una sezione standard: si presen- tavano come una galleria scavata nel suolo o nella roccia o sopraelevata, ampia per permet- tere il passaggio di un uomo, il fondo è costitu- ito da un condotto reso stagno da uno spesso strato di cocci. La copertura è assicurata gene- ralmente da una volta che può essere sostituita da lastre piatte nei passaggi sopraelevati. Nel 97 a.C. Frontino scrisse un testo, De acquaeducti- bus urbis Romae, che risponde a tutti i dubbi sulla distribuzione delle acque a Roma. Da qui capiamo che l’acqua poteva portare sempre im- purità che bisognava eliminare prima che giun- gessero alle canalizzazioni della rete urbana.

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Vennero così applicati dei filtri, chiamati pisci- nae limariae, sotto forma di griglie e bacini di decantazione posizionati allo sbocco o lungo il percorso dell’acquedotto. I bacini domesti- ci erano semplicemente scavati nella roccia o coperti da una volta, gli acquedotti richiede- vano tecniche più complesse. Queste potevano essere: stanze a pilastri o colonne, camere con volta a botte o camere parallele. Dal punto di vista dei materiali le condutture potevano esse- re realizzate in piombo mentre i tubi erano di terracotta muniti di una strozzatura a una delle estremità, generalmente di grosso diametro.

Il sistema degli acquedotti fu esportato anche nelle province: le maggiori città ne erano servi- te durante l’epoca imperiale, e imponenti resti degli acquedotti romani sono ancora visibili in Spagna, Francia, Africa, Asia Minore; uno dei più grandi fu l’acquedotto di Cartagine, costru- ito all’epoca di Adriano. L’acqua oltre che all’uso quotidiano di igiene, sopravvivenza e alimen- tare veniva usata per una pratica diffusa ovve- ro per alimentare le numerose terme in cui il popolo amava riunirsi ormai quotidianamente.

A partire dal VI secolo a.C., le case si dotarono

di cisterne che immagazzinavano l’acqua pio- vana che colava dalle coperture dei tetti. A questo scopo fu predisposta l’apertura del tetto, o compluvium, centrato sull’atrium ov- vero il punto in cui colava l’acqua incanalata precedentemente da tubi di scarico. In epoca augustea gli acquedotti servirono per saziare le necessità domestiche, artigianali e agricole che richiedevano quantità d’acqua considere- voli. Nelle regioni settentrionali erano usuali i pozzi di raccolta delle acque, le pareti erano costituite da blocchi grossolanamente squa- drati, collocati a secco seguendo una sezione generalmente circolare. Per le stagioni piovose si costruirono dei condotti per il troppo-pie- no. Questi procedimenti dipendevano dalla disponibilità d’acqua nel territorio, questa do- veva, prima dell’invenzione dell’acquedotto, essere trasportata sul luogo manualmente o con l’aiuto di macchine. La creazione di acque- dotti alimentati da sorgenti permanenti per- mise di risolvere tutti i problemi di raccolta, di trasporto, di permanenza e di ripartizione dell’acqua in ogni punto della città, predispo- nendo anche una rete di irrigazione agricola.

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Figura 8: Casa delle nozze d’argento, Pompei

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3.2 L’importanza delle terme

Queste inoltre dovevano rispettare norme igie- niche e soprattutto mediche perché lo scopo principale della pratica prevedeva la dilata- zione dei pori tramite l’immersione in acqua calda, tiepida e infine fredda. Le terme pubbli- che erano generalmente dotate di latrine, che spesso mancavano nelle case private, e di una serie di botteghe. Tutti i servizi erano a paga- mento, ma lo stato imponeva un prezzo politi- co molto basso, fatto per cui si può dire che le terme uniscano tutti, senza distinzione sociale.

Questi impianti avevano per il popolo una grande importanza, non solo a Roma e dintor- ni ma anche nelle colonie. Le terme orientali per esempio possedevano forme particolari ed elaborate come le terme di Damasco e di Ales- sandria d’Egitto. Da un punto di vista architet- tonico tutti gli impianti termali costruiti in età repubblicana da Agrippa nel 33a.C. conserva- vano una pianta poco razionale, priva di regole assiali o simmetria. Per esempio le terme di Er- colano e Pompei rivelavano ambienti di dimen- sioni diverse accostati tra loro, spesso modifi- cati. Fu soltanto sotto il regno di Nerone, in età imperiale, che idearono le prime grandi terme Agli inizi del I a.C. Caio Sergio Orata inventò

il primo impianto termale. Lungo la costa dei Campi Flegrei il popolo aveva l’abitudine di cu- rarsi con i vapori bollenti delle sorgenti termali.

Questi venivano convogliati nei così detti “su- datori” che facevano espellere le malattie. Egli capì che si poteva indurre questo processo tra- mite il riscaldamento con fuochi delle pareti e pavimenti e così diffondere la pratica dovunque.

Questa attività era diffusa anche nel mondo greco intorno al V sec. a.C., il nome con cui venivano indicate le prime terme romane ov- vero balnea, deriva dal greco balanéion, luogo destinato al bagno. Anche il nome stesso ther- maì dal greco significa sorgenti calde, erano in origine acque calde naturali che sgorgavano dalla terra. Già in Grecia però si costruiva- no piscine artificiali annesse ai ginnasi, dove i giovani andavano a tuffarsi dopo gli eserci- zi atletici. In epoca imperiale le prime furono costruite da Agrippa nel 25 a.C. e successiva- mente Roma fu sempre più dotata di impianti grandiosi che diventarono una vera meravi- glia ingegneristica, architettonica e artistica.

Durante la nostra ricostruzione mentale di

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accessorio; presso i Romani i rapporti risul- tavano invertiti e lo sport sarà solo un com- pletamento facoltativo dei piaceri del bagno.

Prima di accedere alle sale principali attra- versando un ampio vestibolo si giungeva all’

apodyterium, grande spogliatoio dove le ve- sti erano riposte entro piccole cassette murali.

Gli ambienti avevano una disposizione simme- trica, planimetrica e accurata. Grazie alla loro precisa successione la pratica risponde perfet- tamente all’esigenza di unire il percorso termale e l’esercizio fisico permettendo così al frequen- tatore di alternare le attività. Al centro svetta l’imponente complesso balneare che supplisce al compito di alternare caldo e freddo in modo tale che le variazioni di temperatura attivassero la circolazione e l’organismo. Questi ambienti sono comunemente chiamati così: sudatio o laconicum per un bagno di sudore, calidarium dove i vapori surriscaldati immergevano in un bagno caldo, per poi gradualmente passare nel tepidarium, di medie dimensioni e dall’alto sof- fitto, per concludere con l’immersione nel fri- gidarium riempito di acqua gelida. Solitamente le finestre dei calidarium erano costituite da doppi vetri per garantire un migliore isolamen- to termico, mentre importanti in questo luogo sono i vapori generati dai grandi forni a legna che generano aria calda e riscaldano l’acqua sontuosi edifici in cui l’assialità era dominante e

quelli più modesti, nelle quali la composizione generale era meno rigorosa e dove più che una disciplina geometrica si riconosce un percorso prestabilito che si può riassumere: apodyte- rium, frigidarium, tepidarium, calidarium. Le terme di età imperiale erano caratterizzate dalla cruciformità della pianta e solitamente soleva- no essere molto grandi. Gli spazi non furono disposti uno di seguito all’altro ma per mezzo di molteplici accessi evitavano il percorso a ri- troso e grazie ad una simmetrica moltiplicazio- ne degli ambienti, permettevano di tornare nel frigidarium o nell’apodyterium attraverso am- bienti di passaggio dislocati attorno ad un corpo centrale. L’ingresso era solito essere d’impatto, ovvero si apriva lungo un porticato che incor- niciava un ampio spazio completamente allaga- to chiamato natatio. Solitamente profonda 1m e decorata da nicchie con statue in marmo di- pinto, era la prima delle tappe rigenerative an- che se molte volte veniva utilizzata al semplice scopo di rilassamento. Interessate è sapere che nessuno a quell’epoca nuotava perché era una pratica riservata a chi solo aveva a che fare con il mare. È inoltre interessante ricordare che se per i Greci lo sport, come per esempio il teatro, era considerato una sana occupazione del tem- po libero, il momento del bagno era soltanto

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Vitruvio pose inoltre attenzione sulle alte tempe- rature del laconicum, potevano essere però rego- late tramite un oculus aperto sulla sommità della cupola, chiuso da un disco di bronzo regolabile.

Gli impianti più imponenti erano dotati diGli impianti più imponenti erano dotati giardini e viali dove si poteva concludere con una passeg- giata. Inoltre erano presenti palestre destinate all’attività fisica prima di iniziare il processo, esse erano costituite da grandi cortili portica- ti arricchiti di statue e opere d’arte di soggetto potevano esserci altri ambienti talvolta dislocati

atletico. Nelle gigantesche terme imperiali anche in un piano superiore, privi di specifiche instal- lazioni per il bagno, come: sale per ginnastica, massaggi, danza, musica e persino lettura come nelle terme di Caracalla, dove grazie alle nume- rose nicchie nei muri, sono state riconosciute due biblioteche. Le Terme erano inevitabil- mente un’importante occasione sociale, curio- samente i ricchi, pur avendo le proprie piccole terme in casa, erano i visitatori più assidui poi- ché qui si favorivano gli incontri, concludevano affari, si avevano approcci politici e amicizie.

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Terme di Agrippa

(25 - 19 a.C.) - Inaugurate nel Campo Mar- zio ad opera di Marco Vipsanio Agrippa e alimentate dall’Acqua Vergine. Si trattava del primo edificio termale pubblico della città, ed era situato subito a nord dell’attuale Largo di Torre Argentina, tra Corso Vittorio Ema- nuele, via di Santa Chiara e via dei Cestari.

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Terme di Traiano

(104 - 109 a.C.) - Erette a pochi anni dall’in- cendio della Domus Aurea (104 d.C.) e conclu- se nel 109 d.C. da Traiano, con inaugurazione il 22 giugno. Sebbene precedute cronologica- mente dalle terme di Agrippa e da quelle di Nerone e di Tito, furono le prime “grandi ter- me” di Roma e all’epoca infatti erano il più grande edificio termale esistente al mondo.

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Terme di Caracalla

(212 - 217 a.C.) - Furono fatte costruire dall’imperatore sul Piccolo Aventino, in un’a- rea adiacente al tratto iniziale della via Appia, circa 400 m al di fuori dell’antica porta Capena e poco a sud del venerato bosco delle Camene.

Servivano principalmente i residenti della I, II e XII regione augustea (tutta l’area compresa tra il Celio, l’Aventino e il Circo Massimo).

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Terme di Diocleziano

(298 - 305 a.C.) - Furono iniziate dall’im- peratore Massimiano, nominato Augustus dell’Impero romano d’Occidente da Diocle- ziano, e aperte nel 306, dopo l’abdicazione di entrambi. Si trovavano tra le attuali piazza della Repubblica, piazza dei Cinquecento, via Volturno e via XX Settembre, in un’ampia area in cui sono ancora conservati cospicui resti.

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Figura 9: Terme di Bath, Inghilterra, 75 d.C. Figura 11: Terme di Guelma, Algeria, 75 d.C.

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3.3 Il sistema tecnologico delle terme

Per capire le tecniche di riscaldamento utiliz- zate nelle terme è importante capire come il sistema si sia sviluppato partendo dalle abi- tazioni. Nei primi secoli il sistema comune era, come nella società primitiva, un unico focolare collocato nell’atrium, tenuto acce- so in permanenza per dispensare il calore e assicurare la cottura degli alimenti. Nel IV- III secolo comparse la cucina, il fuoco venne qui sistemato su un piano elevato poggiante su un blocco in muratura dove su treppiedi erano collocati i recipienti. Questo isolamen- to del focolare costrinse a ricorrere ad altri dispositivi per assicurare il riscaldamento nella stagione invernale. Questi consistevano in bracieri mobili, alimentati da legna sec- ca o carbone, ligna coctilia, per evitare fumi eccessivi. Era installato nei piani superiori, in particolare nelle insulae delle grandi città e bisognerà aspettare il XI secolo per vedere

i camini entrare a far parte definitivamente dell’architettura domestica. La vera innovazio- ne si ebbe tra il II e il I secolo a.C. con la com- parsa del riscaldamento per mezzo di ipocausti, ovvero riscaldamento sotterraneo. All’origine si trova il focolare il cui calore è disperso per ir- raggiamento diretto e mediante un contenitore o tramezzo riscaldato. Quest’ultima soluzione è quella adottata per il riscaldamento ad ipo- causto. Il focolare era chiamato praefurnium da Vitruvio, era posizionato nel sottosuolo entro un vano di servizio ventilato e concepito per ricevere una notevole quantità di combustibile.

Nelle grandi terme questi impianti di servizio erano installati nella parte posteriore o latera- le e si disimpegnavano all’esterno per mezzo di un galleria. L’ipocausto non era semplicemente uno spazio vuoto come un forno, ma era co- perto da un pavimento sospeso, suspensura, che poggiava su un gran numero di pilastrini

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quasi sempre formati da mattoni quadrati di 20 cm per lato, posti ad una distanza fra gli assi di 60 cm in modo da poter collocare sopra di essi grossi mattoni lunghi due piedi. Il pavimento sospeso possedeva una struttura composita analoga a quella di tutti i comuni pavimenti, con la differenza che poggiava sui pilastrini per mezzo di uno o più strati di mattoni che funge- vano da sottofondo. Al di sopra si trovava un primo strato di cocciopesto grossolano spesso 15-20 cm, seguiva una malta più fine che rice- veva un lastricato di marmo o un mosaico. Lo spessore totale della suspensura oscillava quin- di tra i 30 e 40 cm che aggiunti ai 50 cm dei pilastrini davano un’altezza complessiva di 80- 90 cm. La fuoriuscita dell’aria calda e del fumo veniva sfruttata per riscaldare gli ambienti at- traverso le pareti. L’isolamento poteva essere aumentato ponendo una lamina di piombo tra

mattoni e calcestruzzo come rivestimento della vasca oppure vennero fabbricati mattoni piatti quadrati o rettangolari, muniti di speroni. Per evitare vortici che frenassero la salita dell’aria calda furono inventati i tubuli, ovvero condut- ture di terracotta a sezione rettangolare molto variabile che costituivano altrettanti condut- ture per il fumo. I tubi, appoggiati ai muri a partire dal primo ricorso di bipedales che co- priva i pilastrini dell’ipocausto, venivano fis- sati al muro con uno strato di malta e spesso imperniati a due a due con grappe metalliche a forma di T. I focolari oltre al riscaldamento delle sale calde delle terme assicuravano anche il riscaldamento dell’acqua. Al di sopra del fo- colare si trovava una grande cisterna metallica collegata ad altre due a diretto contatto con il focolare, queste cisterne rifornivano d’ac- qua le piscine degli ambienti caldi e tiepidi.

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4.1 L’acqua come

elemento naturale

Villa Adriana è un insieme di architetture d’ac- qua che deve all’acqua naturale del fiume Anie- ne la sua stessa esistenza. Sopra di lei passano quattro dei tredici acquedotti che portano ac- qua a Roma. Il paesaggio archeologico è il con- testo nel quale la Villa si trova, le rovine infatti vivono in armonia con la natura da cui sono circondate, sia quella “pettinata” che la natura Naturans. Il territorio è un territorio d’acqua e lo si può già notare nel 1900 quando un pen- sionnaires di Villa Medici vincitore del Prix De Rome nel 1908, Charline Boussoire, studia Villa Adriana sia dal punto di vista del dettaglio ar- cheologico che del territorio. Disegna un terri- torio vergine dove attorno alla Villa c’è una co- stellazione di altre Ville appartenenti a principi.

Fondamentale è il disegno dell’Aniene, affluente delTevere, che costruisce un rapporto diretto e

Questo tipo di acqua è sempre in costante mo- vimento e crea situazioni di spettacolarità. A osmotico tra Villa Adriana, Villa d’Este e Villa Gregoriana. A Villa Adriana possiamo trovare tre impianti termali: tra il Pecile e l’Altura, le Piccole e le Grandi Terme e le Terme con Helio- caminus. Il fabbisogno d’acqua è notevole, per questo è necessario che sia sorta vicino acquedot- ti, riconoscibili anche nella pianta del Piranesi.

L’acqua di Villa Adriana è semplice, geometri- ca, denominata anche Acqua Captiva, ovvero catturata dalla geometria. È statica, caratteriz- zata dagli specchi, non si può eliminare, Villa Adriana nasce con questa prerogativa. È di- verso invece l’utilizzo dell’acqua di Villa d’E- ste, al centro di Tivoli, chiamata Ex Maquina ovvero dinamica, si utilizzano spesso fonta- ne per dare l’idea della scenografia barocca.

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Villa Gregoriana, ai margini di Tivoli, trovia- mo l’acqua di natura Naturans. Questa Villa è il prodotto di un’operazione sul letto del fiume dell’Aniene, spostato in modo tale che durante le piene non invadesse il centro storico di Tivoli.

Quest’azione prevede una distribuzione dell’ac- qua dove una parte scende a Roma attraverso una cascata e l’altra parte, minore, rifornisce Villa d’Este e le scenografie di Villa Gregoriana.

Soffermandoci sull’importanza di questo ele- mento naturale a Villa adriana si può affer- mare che la morte simbolica di Villa Adriana avviene a metà del VI secolo quando Vitige taglia gli acquedotti. Di spicco è l’asse delle architetture d’acqua, possiamo notare che con un’angolazione dissonante, rispetto agli al- tri edifici, con allineamento verso sud-est, si

attestano monumenti fondamentali per la sto- ria dell’architettura antica: il Teatro Maritti- mo, le Terme con Heliocaminus, le Piccole, le Grandi Terme, ed il Canopo con il Serapeo.

La determinazione dell’asse dunque dipese da varie circostanze. Una di questa è, come det- to in precedenza, la distribuzione delle acque derivanti dalle sorgenti dell’Aniene tramite i quattro acquedotti che passavano nei pressi della villa: l’acquedotto dell’Aniene Vecchio, dell’acqua Marcia, l’acquedotto Claudio e quel- lo dell’Aniene Nuovo. Infine per il fatto che la situazione si prestava a realizzare una lun- ga fronte con andamento nord-ovest/sud-est, con ampio tratto aperto verso la migliore in- solazione per collocare gli edifici termali che l’estensione della Villa aveva reso necessari.

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4.2 La Piazza D’oro

L’edificio costituisce una monumentale chiusu- ra della Villa verso sud. Il nome rimanda alle ricche sculture e architetture del complesso, per questo a partire dal ‘500 venne sistematica- mente scavato e spogliato di sculture marmo- ree prestigiose e persino nel ‘700 si poterono recuperare colonne i cui capitelli sono esposti ai Musei Vaticani. A sottolineare l’importanza dell’area fu il ritrovamento di ritratti imperiali di Sabina, Marco Aurelio e Caracalla. Il com- plesso era un peristilio con una lunga vasca centrale rettangolare longitudinale ad un giar- dino circondato da un portico a quattro bracci con semicolonne tuscaniche in laterizio. Questi sono ripetuti sul muro in fondo al portico men- tre colonne in cipollino e granito sorreggono una copertura in piano. Le parti in muratura erano rivestite con stucco o intonaco dipinto.

Lungo i bracci est ed ovest del quadriportico si notano due corridoi coperti da una serie di volte a crociera, finestrati e con pavimenti marmorei che immettono ai diversi ambienti.

Inoltre un porticato aperto sul lato orientale conduceva all’ingresso dell’edificio. L’alto muro eretto da questo lato divideva la Casa Coloni- ca, edificio di epoca precedente, dall’ingresso.

al giardino della Piazza, era sormontato da una cupola con occhio centrale e su esso si aprivano nicchie semicircolari e rettangolari, preceden- temente era inquadrato da due nicchie minori con pavimentazione a mosaico policromo. Gli ambienti principali erano disposti sul lato op- posto del giardino caratterizzati da un’ardita sequenza di ambienti architettonici accostati e con effetti scenografici d’ispirazione ellenistica.

Al centro era disposta la grande sala principale caratterizzata da una serie di colonne disposte in modo da formare un ottagono in pianta con lati concavi e convessi, a sua volta inscritto ad un quadrato ai cui angoli erano presenti ninfei absidati; non si è certi della presenza della co- pertura. Scorreva inoltre acqua da sette nicchie poste in un ninfeo semicircolare, l’acqua con- fluiva poi nella vasca della sala fino a giungere a quella esterna centrale scomparendo sotto- terra prima del vestibolo. Incerta è la funzione della sala, inizialmente pensata come coenatio e successivamente come biblioteca dell’impe- ratore. Anche se in posizione defilata si sup- pone che la Piazza fosse destinata a funzioni pubbliche grazie alla tipologia degli ambienti, la presenza di giochi d’acqua, l’uso dell’opus

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4.3 Il Teatro Marittimo

Nei pressi dell’estremità Est del Pecile un edi- ficio circolare è incastonato fra la cosiddetta Sala dei Filosofi, le Terme con heliocamìnus e il Cortile delle biblioteche. Si tratta del cosiddetto Teatro Marittimo, costruito tra il 118 e il 121 d.C. e divenuto simbolo di una nuova concezio- ne innovativa dell’impianto architettonico. Con ingresso a nord, è una struttura che ha al centro una piccola isola artificiale, anch’essa circola- re, circondata da un canale di acque correnti e racchiusa da un porticato anulare con colonne ioniche trabeate sulle quali si erge una volta a botte. In questa zona erano inoltre presenti delle strutture, parzialmente conservatesi, che riproducevano, in piccolo, gli ambienti dome- stici di una domus creando così una residenza minore all’interno della residenza imperiale.

Alle articolate concavità e convessità presenti sull’isola faceva equilibrio il porticato compo- sto da colonne ioniche scanalate caratterizzate da un fregio raffigurante un soggetto marino, da cui Ligorio prende il nome dell’edificio. Il movi- mento dato dall’alternarsi di colonne ioniche e intercolumni non è una novità architettoniche poiché già la domus Flavia e la domus Augusta- na sul Palatino presentavano ambienti simili.

La piccola residenza era dotata, secondo un

percorso orientato da Nord a Sud, di cor- ridoi (fauces) laterali, di un atrio curvi- lineo e colonnato, di un peristilio por- ticato e dal perimetro concavo verso il giardino al centro e di un tablinum affian- cato da due ambienti simmetrici di servizio.

A sinistra del peristilio, introdotti da colonne trabeate, si aprivano due cubicula cruciformi;

a destra è invece presente un piccolo impianto termale. In esse gli ambienti riscaldati (tepida- rium e caldarium) erano posti a destra, mentre il frigidarium al centro, anch’esso introdotto da colonne trabeate. Il frigidarium è collegato, tramite brevi scale, al canale circolare che cir- conda l’isola che, perciò, poteva essere usato anche come natatio. L’edificio richiama eviden- temente la pianta del Pantheon riprendendo- ne la misura del diametro e risponde alle esi- genze di isolamento e otium tipiche delle ville romane. La caratteristica più attuale è proprio questa unione funzionale con la capacità di costringere e adattare lo spazio in senso este- tico. Quando è stato scoperto nel ‘400 l’acqua non era presente, è stata portata successiva- mente, anche senza essa riusciva a comunica- re grandezza, circolarità e pienezza. Se oggi fosse senza acqua crollerebbe un paradigma.

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4.4 Il Pecile

Nel lato Nord del complesso della villa è pre- sente un lungo muro di mattoni, perlopiù in opus reticulatum, che costituiva il quadripor- tico che circondava un giardino al centro del quale campeggia una grande vasca. Il nome

«Pecìle» ricorda la Stoà Poikìle di Atene, cioè un portico nei pressi dell’agorà. Costituiva la struttura centrale (o muro di spina) che soste- neva due falde di tetto, dal momento che il por- ticato, in quel lato del quadriportico, era dop- pio, cioè aperto sia verso il giardino sia verso l’esterno. Tale soluzione consentiva di passeg- giare (tipicamente usato per la passeggiata po- stprandiale) al riparo girando attorno al muro:

sette giri completi corrispondono esattamente a due miglia romane. Dove un tempo erano

presenti le colonne sono state oggi poste pian- te di bosso tagliate a cilindro. Le dimensioni del porticato sono state quindi concepite in funzione delle regole di una passeggiata sa- lutare (ambulatio). Furono aggiunti al porti- co due bracci minori che racchiudevano uno spazio verde al centro del quale si estendeva una grande vasca rettangolare. Diversamente da come lo percepiamo oggi, il Pecile non era adibito a luogo panoramico, gli alti muri di fondo infatti impedivano la vista e avevano la funzione di isolare l’area verde contribuendo a creare un’atmosfera di quiete e tranquillità.

Da qui si poteva accedere tramite scale ad al- tre zone della Villa come al Teatro Marittimo.

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4.5 Terme con Heliocaminus

È l’edificio termale più vecchio della Villa co- struito quasi contemporaneamente all’adia- cente Teatro Marittimo. Il nome fa intendere le terme come dotate di un’apertura che con- sente ai raggi solari di riscaldare l’ambiente sottostante usato per bagni di sole tramite l’u- tilizzo di stufe. Le bocche da forno, insieme al riscaldamento parietale e pavimentale, sug- geriscono la presenza di una sudatio. Si tratta di un locale speciale in quanto è diversamente riscaldato rispetto agli altri edifici. Il calore in- fatti non veniva dal pavimento suspensurae, ma da sbocchi di sopra del pavimento di marmo praefuria: tramite dei tubi posti su delle fine- stre veniva spruzzata acqua sul pavimento ro- vente, creando in questo modo formazione di vapore. Dal punto di vista architettonico la sala riprende quella delle Grandi Terme e presenta

una cupola cassettonata con oculo centrale. Le finestre si affacciano sul lato sud-occidentale ovvero sugli ambienti riscaldati, stessa tecnica usata dagli altri ambienti termali così da sfrut- tare i raggi solari del pomeriggio. Il frigidarium è un ambiente rettangolare aperto su una gran- de piscina circondata da un portico colonnato e dal quale si accedeva al calidarium, dove le due vasche per i piani caldi erano ricavate dalle rientranze delle pareti. La stanza dedicata al ba- gno turco, sudatio, era circolare e dotata di ban- chine per sedersi. La copertura era a cupola con occhio centrale chiuso da un clipeo di bronzo, regolabile a seconda della quantità di vapore necessaria. Le grandi finestre infine facilitava- no l’ingresso del sole. Il materiale che caratte- rizza tutto l’edificio è il marmo e la presenza dei mosaici definisce l’edificio come nobile.

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4.6 Il Canopo

Lo scenografico allestimento del Canopo, rica- vato in una valletta artificiale, si basa su una lun- ghissima vasca centrale contornata da colonne lisce con capitelli compositi. Fu realizzato tra il 125 d.C. ed il 138 d.C. e Pirro Ligorio riconob- be il Canopo nella “valle longhissima” di fron- te all’articolato padiglione absidato con giochi d’acqua, che egli definì tempio del dio Canopo.

Il lato corto settentrionale, che termina a ese- dra, è l’unico nel quale sia stato possibile ripri- stinare la probabile configurazione originale, La caratteristica più significativa, che molto ispirerà, è nell’alternarsi, fra colonna e colon- na, di porzioni di architrave con archi a tutto sesto, con il risultato di creare un coronamento mistilineo (cioè composto da elementi retti e curvi) che si riflette nello specchio d’acqua con un effetto di grande suggestione visiva. Sul lato opposto della vasca, con terminazione lineare, si affaccia l’ampia esedra cupolata dei resti del cosiddetto Tempio di Serapide. La presenza di uno stibadium, o letto tricliniare, all’interno

dell’ampio padiglione a esedra del Canopo pro- va che il complesso sia da interpretare come un grande spazio per banchetto all’aperto, ar- ricchito da giochi d’acqua. Lo stibadium, costi- tuito da un basamento in muratura di forma semicircolare e dalla superficie inclinata, era coperto in antico da tappeti e cuscini: gli ospiti vi si sdraiavano in occasione del convito. Co- struito in analogia con l’omonimo tempio elle- nistico esistente nella città egizia di Canopo, nel delta del Nilo, era in realtà uno spazio destinato ai fastosi banchetti estivi, uno scenografico tri- clinio mantenuto sempre fresco da delle casca- telle di acqua corrente opportunamente ricava- te al suo interno. Inquadrato da un pergolato era completato da numerose sculture, in parte emergenti dall’acqua. Oggi restano solo quattro cariatidi sul lato occidentale, copie romane di quelle ateniesi dell’Eretteo, e, nell’esedra setten- trionale, copie acefale di un Hermes, di un Ares e di due Amazzoni ferite di ispirazione fidiaca.

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Figura 19: Vista del Canopo di Villa Adriana

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4.7 L’edificio con pechiera

L’edificio prende nome da una grande Peschiera di forma rettangolare che un tempo era ornata da statue inserite nelle nicchie lungo il bordo.

È costituito da due corpi contigui e si sviluppa su tre livelli, collegati internamente da scale in muratura. Il piano intermedio è caratterizzato da ambienti più modesti e notevolmente più bassi, con stretti corridoi, ed è identificabile con un piano di servizio, finalizzato al funzio- namento dei prafurnia. Caratteristica impor- tante è che quasi tutte le stanze del piano supe- riore sono dotate di suspensurae e non solo, si presume che fossero riscaldate anche quelle al piano inferiore, è quindi verosimile che si tratti della residenza vera e propria dell’imperatore, utilizzabile anche nella stagione invernale. L’e- dificio oggi è spoglio e disadorno ma attraver- so le lastre marmoree posate in opus sectile si comprende la ricchezza dei materiali, infatti la sfarzosità e il lusso dell’arredo architettonico ha

determinato nel corso dei secoli la spoliazione sistematica di tutti i marmi delle pareti e dei pa- vimenti e inoltre di colonne e trabeazioni. La vasta sala affacciata sul Ninfeo-Stadio era uti- lizzata per banchetti o cerimonie nella stagione invernale, dalla quale si poteva vedere il giar- dino del Pecile e spaziare con lo sguardo sulla campagna, verso Roma. Anche la vasca princi- pale è decorata, il porticato che la delimita ha un pavimento in opus sectile ed è sostenuto da 40 colonne con capitello corinzio. Tra il portico e la vasca è invece presente un corridoio scoper- to ribassato e pavimentato con tessere di mo- saico che conduce ad una galleria sotterranea composta da 40 finestre a strombo, sulle zone conservate si possono ancora leggere le firme di visitatori e artisti famosi, come per esempio Piranesi. Il notevole interro che un tempo ri- empiva il criptoportico ha fatto sì che le scrit- te si trovino anche sulla sommità delle volte.

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4.8 Le Piccole Terme

Questo complesso termale si trova a sud-est del Pecile e si allinea con le Grandi Terme nel percorso che porta al Canopo. Il periodo di costruzione va dal 121-123 al 124 d.C. e dalla forme si evince che sorge su una preesistenza di epoca augustea che Adriano riutilizzò in parte.

La facciata è infatti in opus reticulatum carat- terizzata da tre nicchie, conduceva, tramite un corridoio, alla sala ottagona rivestita di marmo e sormontata da un’ampia cupola. Il pavimen- to è in opus sectile con suspensurae. Da qui si giungeva ad una sala circolare con copertura a volta. La presenza della tholos esposta ai raggi solari suggerisce la sua funzione, ovvero quella di sudatio. Il cedimento dei pavimenti ha infatti permesso il riconoscimento i condotti di aria

calda provenienti dai prefurnia. A sud si trova il tepidarium mentre al centro del complesso è presente il frigidarium, con due grandi vasche contrapposte rivestite di marmo bianco. È di notevole importanza riconoscere la ricchezza del complesso, si pensa che l’utilizzo fosse de- stinato ai nobili, ad alti funzionari imperiali e agli ospiti, che erano soliti bagnarsi alle ter- me prima dei banchetti coenationes. Oltre alla varietà delle decorazioni marmoree, vi si può riconoscere una notevole ricchezza di soluzio- ni architettoniche nella pianta dei diversi am- bienti, nelle volte e nella straordinaria capacità di raccordare tetti a spiovente e a cupola in un movimentato gioco di superfici curve e piane.

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4.9 Le Grandi Terme

Le Grandi Terme sono molto vicine alle Piccole e per raggiungerle bisogna attraversare un piaz- zale che si estende a oriente dal complesso ter- male. La struttura muraria delle Grandi Terme venne eretta tra il 121 d.C. e il 125 d.C., nella loro totalità però non furono concluse nemme- no quando Adriano partì nel 128 d.C. per il suo

primo viaggio e restarono incomplete anche nel 134 d.C. al ritorno dal suo secondo viaggio.

Queste sono oggetto della nostra tesi e per ca- pire la loro complessità abbiamo inizialmente analizzato come si sono sviluppate, in conte- sti storici sempre in evoluzione e differenti.

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5.1 Il sito: Le Grandi Terme

Si può affermare che queste hanno da sempre affascinato gli architetti del Rinascimento an- che se Ligorio non ne parla nei suoi codici men- tre nelle piante del Contini l’edificio cominciava ad apparire. Gli unici privati che hanno potuto scavare sono stati nel 1600 gli Altoviti poiché ricchi proprietari terrieri che disponevano del consenso papale. Nel 1700 sono i Gesuiti a con- tinuare gli scavi delle Terme e di altri edifici della Villa, così da avere in questo periodo un quadro un po’ più chiaro della composizione della pianta. Dopo il 1870 la Villa appartenne al Regno d’Italia e nel 1872 inizia lo sterro dell’e- dificio con conseguenti rilievi della Scuola per Ingegneri. Dopo alcuni saggi nel 1933 avven- nero gli scavi dell’American Academy fino ad arrivare circa nel 1960 con i lavori di restauro.

Entrambi i complessi termali sono col- legati sul lato occidentale da un corrido- io sotterraneo che permetteva l’accesso ai praefurnia (restaurati nel 1971) ed era diret- tamente raggiungibile dal personale di servi- zio alloggiato nell’area delle Cento Camerelle.

Le Grandi Terme devono la loro denominazio- ne all’ampiezza dei singoli ambienti e alla vastità di superficie occupata rispetto agli altri impian- ti termali, dal punto di vista costruttivo giaccio- no ai piedi di due grandi muri di contenimen- to, quello della Palestra e quello del Pretorio.

Gli ambienti di cui sono costituite rispecchia- no quelli che più comunemente si possono incontrare nelle Terme Romane, essi doveva- no rispondere a norme igieniche ben precise.

Erano così strutturate: l’ingresso era, come ora, a nord, sul lato ovest si trovano solo corridoi sotterranei e nessun ingresso, anche sul lato sud gli ambienti presentavano solo grandi fine- strature poste in alto. Si arrivava nella palestra, ambiente scoperto, attraverso il portico che la circondava e attraversando due corridoi a due livelli differenti si giungeva ad un piano sotto- stante dove erano presenti i paefurnia. Dalla palestra si accedeva ad un ambiente centrale, il grande frigidarium. Era una grande stanza rettangolare con volta a crociera costituita da due grandi vasche raggiungibili tramite gradini

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in marmo, uno absidato abbellito originaria- mente da statue nelle nicchie e l’altro rettango- lare. Gli ingressi a questi spazi sono incorniciati da colonne in marmo cipollino con raffinati capitelli ionici. Girando nella parte anteriore di una delle vasche si accedeva ad ambienti riscaldati. Immediatamente riconoscibile era la stanza per la sudatio che mantiene la sua imponenza nonostante il crollo del fronte in cui si trovavano le grandi finestre per cattu- rare i raggi solari. Si distingueva anche grazie alla forma circolare e la copertura a calotta con occhio centrale che dimostra l’assenza di impianti idrici. A questa sala seguono i tepi- daria riscaldati grazie in alcuni casi solo alle suspensurae sotto il pavimento in altri è possi- bile incontrare tubuli nelle pareti o condotte di mattoni forati per la circolazione dell’aria cal- da. Infine erano presenti i calidaria, ambien- ti che possiedono vasche per il bagno caldo.

Si sbaglia se si pensa che le Piccole Terme si differenziavano dalle Grandi perché le prime

erano riservate alle donne e le seconde agli uomini. La distinzione che risulta essere più immediata è data dalle decorazioni oltre che dalla dimensione. Infatti i due edifici non pos- sono essere paragonati, se nelle Piccole Terme i pavimenti erano in opus sectile, le pareti ave- vano rivestimenti in marmo e le forme degli spazi erano varie e presentavano le più inno- vative coperture della Villa, le Grandi invece possedevano modesti pavimenti con mosaici, niente rivestimenti marmorei e disponevano di coperture semplici. Si può così afferma- re che le prime erano parte di edifici nobili mentre le seconde no, così da concludere che la differenza nell’uso è dovuta al rango. I due caldaria delle Grandi Terme infatti sono uno per gli uomini e uno per le donne. Infine si è riscontrato che chi ha usato queste terme era usuale frequentare anche altre zone secon- darie della Villa come Hospitalia, Triclinio Imperiale e Casa Colonica di Piazza d’Oro.

Riferimenti

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