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facile. La notevole mole delle sue opere spazia un po’ in tutti i generi: si va dal

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Premessa

Abraham Joshua Heschel è considerato oggi la punta di diamante dell’ebraismo contemporaneo d’oltreoceano, guardato da molti studiosi, inoltre, come uno dei maestri che hanno maggiormente contribuito ed influenzato lo sviluppo del pensiero filosofico-religioso del XX secolo.

A mio modesto avviso, egli non si presenta sicuramente come un pensatore

facile. La notevole mole delle sue opere spazia un po’ in tutti i generi: si va dal

saggio letterario al testo filosofico, dallo studio etico-politico a quello storico; per

non parlare degli esperimenti poetici. Al primo contatto con una tale varietà di

argomenti e di problematiche si prova, perciò, una forte sensazione di

spaesamento. Rintracciare un filo conduttore nel suo pensiero è un’impresa non

semplicissima, poiché l’impressione iniziale è quella di scontrarsi con una certa

vaghezza di metodo. Per questa ragione, almeno ad un primissimo approccio,

Heschel mi è apparso come un autore eterogeneo e sfuggente. Nella sua

riflessione, egli non ha circoscritto un territorio di saperi ben definito, né ha

delineato un itinerario che, muovendo da un riferimento preciso, abbia consentito

di tracciare delle chiare coordinate. Al contrario, il nostro filosofo ha preferito

muoversi su sentieri nuovi, mai battuti prima. Eppure, lo smarrimento che si

avverte a causa di uno studio superficiale, può essere poi superato soltanto

rendendoci conto che si è di fronte, invece, ad un estrema complessità, e che

questa non può evidentemente escludere un qualche ordine interno. Si arriva a

concludere, quindi, che Heschel si affidi ad una mescolanza di metodi, piuttosto

che non seguirne affatto. Che questa eterogeneità di temi sia il riflesso di

un’esistenza altrettanto movimentata e ricca, è un dato ovvio. Come abbiamo

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detto, nel corso della sua vita, il filosofo polacco si dedicò a svariati campi: dalla filosofia medievale a quella moderna, dal profetismo agli studi sul chassidismo, dalla teologia alla politica. Ma ciò che accomuna tutti questi vari ambiti d’interesse è l’amore sempre acceso in lui per la sapienza, la passione per la verità e il coraggio per la giustizia. Egli riuscì, per di più, a integrarsi perfettamente in un contesto di filosofia analitica, senza tuttavia perdere quei valori e quelle conoscenze che portò con sé dall’Europa, in quanto panorama continentale

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. Vediamo alcuni progressi della sua attività.

Negli anni della sua giovinezza, egli si presentò come un filosofo nelle vesti di poeta, cantore dello stupore e della fratellanza con Dio. Infatti, fu nel 1933 che diede una struttura alla sua esperienza poetica con la raccolta che noi oggi conosciamo col nome The Ineffable Name of God: Man. Poems

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, testo al quale mi sono direttamente ispirata per il titolo di questo mio lavoro di tesi, in quanto da me considerato un vero e proprio centro nevralgico da cui dipartirebbero tutte le diramazioni contenutistiche del pensiero di questo autore. In seguito, partendo già dal 1935, con un notevole bagaglio culturale incentrato sugli studi profetici e sulla filosofia medievale, Heschel scrisse in tedesco una biografia incentrata sulla figura di Mosè Maimonide, intitolata Maimonides: Eine Biographie, tradotta poi in lingua inglese come Maimonides: A Biography. L’anno successivo, nel 1936, fu la volta della sua dissertazione sulla coscienza profetica Die Prophetie. Das prophetische Bewusstsein, che poi fu ampliata e completata in inglese come

1 Per un chiarimento in merito alle differenze ed intrecci sulla filosofia “analitica” e “continentale”

suggerisco il testo di A. Fabris, Filosofia delle religioni. Come orientarsi nell’epoca dell’indifferenza e dei fondamentalismi, Carocci Editore, Roma, 2012, pp. 91-117.

2 All’interno del primo capitolo di questo lavoro vi è un approfondimento sulla storia di questa raccolta poetica.

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fenomenologia sulle esperienze dei profeti con The Prophets

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. Dopo una serie di saggi e proposte letterarie, specie su importanti esponenti del medioevo ebraico, quali: Don Jitzchak Abravanel (1937), A Concise Dictionary of Hebrew Philosophical Terms (1941), The Quest for Certainty in Saadia's Philosophy (1944), si giunge ad uno scritto molto importante, il quale illustra l’esperienza del quotidiano nonché il modo di vivere dei chassidim esteuropei, concepito inizialmente in lingua yiddisch nel 1946 come Der Mizrach-Eyropeisher Yid, e poi in inglese dal 1950 col titolo The Earth Is the Lord's: The Inner World of the Jew in East Europe

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. Nel 1949, invece, toccò ad un testo in ebraico: Pikuach Neshamah.

La sua riflessione filosofico-teologica, come risaputo, si diresse principalmente in direzione degli studi sulla religione e sull’ebraismo, e si concentrò in alcuni eclettici volumi: il primo di questi, redatto nel 1951, è Man is not alone. A Philosophy of Religion

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, il testo che, forse, più di tutti ha reso meno scorrevole l’interpretazione del suo pensiero; dello stesso anno vi vediamo anche The Shabbath: Its Meaning for Modern Man

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, una sintesi del suo contatto con il giudaismo e una critica al mondo della tecnologia contemporanea attraverso un’illustrazione del significato del sabato ebraico. Di poi, attorno al 1954, Heschel scrive Man's Quest for God: Studies in Prayer and Symbolism

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, in cui espone le sue considerazioni sull’importanza della preghiera, e altresì, l’avvicinamento dell’uomo a Dio. Ma è il 1955 l’anno in cui incontriamo quella che è, dal mio

3 Nel 1981 lo scritto fu stampato in una versione italiana intitolata Il messaggio dei profeti.

4 Tradotto in lingua italiana come: La terra è del Signore. Il mondo interiore dell’ebreo in Europa orientale, Genova, Marietti, 1989.

5 Versione trad. in it: L’uomo non è solo: una filosofia della religione, Milano, Rusconi, 1971.

6 Trad. in ling. it.: Il Sabato. Il suo significato per l’uomo moderno, Milano, Garzanti, 2013

7 Vers. it.: L’uomo alla ricerca di Dio, Magnano (VC), Edizioni Qiqajon, 2011.

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punto di vista, l’opera maggiormente composita della sua attività, ossia God in search of Man: A Philosophy of Judaism

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, la quale ruota interamente attorno al tema di Dio, argomento-chiave di tutta la riflessione hescheliana. Dal 1962 al 1965, il nostro autore si dedica allo studio del concetto di rivelazione nella teologia ebraica, scrivendo un testo composto in lingua originale, Torah Min HaShamaym BeIspaqlarya Shel HaDorot

9

.

Gli sviluppi di argomenti più strettamente antropologici li troviamo in lavori quali: Who is Man?

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, del 1965, nel quale si riscontra molto più apertamente il problema dell’antropologia; e The Insecurity of Freedom: Essays on Human Existence

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, nell’anno seguente, in cui Heschel interpreta la figura dell’uomo come icona di Dio, concetto fondante di ogni forma d’educazione politica e religiosa. Nel 1967, dopo la Guerra dei sei giorni, il filosofo decide di scrivere un appassionato libro sulla formazione dello Stato d’Israele e sul popolo ebraico dal titolo emblematico: Israel: An Echo of Eternity

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. In esso non mancano, poi, delle severe critiche nei riguardi degli scontri che hanno visto opporsi, da una parte, ebraismo, o meglio, sionismo e visione cristiana, e dall’altra, ben più grave, giudaismo e islamismo, il cui esito fatale è ancora oggi costituito dalla guerra arabo-israeliana. Il 31 gennaio del ’67, viene anche pronunciato davanti all’assemblea del Movimento per il Vietnam a Washington il

8 Il testo è stato tradotto in italiano come: Dio alla ricerca dell’uomo. Una filosofia dell’ebraismo, Torino, Borla, 1969.

9 Verrà riproposto prima in lingua inglese nel 2005, con il titolo Heavenly Torah As Refracted Through The Generations, e poi in una versione italiana, limitatamente ad alcuni capitoli: La Discesa della Shekinah, del 2003.

10 Trad. in it.: Chi è l’uomo?, Milano, Rusconi, 1989.

11 La versione italiana di questo testo è limitato ad alcune parti: Il canto della libertà. La interiore e la liberazione dell’uomo, Magnano (VC), Edizioni Qiqajon, 2007.

12 Vers. it.: Israele, eco di eternità, Brescia, Queriniana, 1977.

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saggio The Moral Outrage of Vietnam, manifesto pacifista contro l’intervento militare nel paese del Sud-est asiatico.

Negli anni seguenti al 1972, anno della morte di Heschel, vennero pubblicati postumi alcuni testi incentrati su due importanti personaggi del chassidismo delle origini: Kotzk: In Gerangl far Emesdikeit, in lingua yiddisch (1973); A Passion for Truth

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, scritto in cui mette in risalto il pensiero dialettico dei due eminenti maestri chassidim, il Kotzker, e il Baʽal Shēm Tōv, confrontando, inoltre, il primo alla figura del filosofo danese Kiekegaard. Ed infine, il volume The Circle of the Baal Shem Tov: Studies in Hasidism, che avrebbe visto le stampe solo nel 1985.

Postume sono anche alcune raccolte di saggi e contributi editi da familiari, conoscenti e studiosi di Heschel: The Wisdom of Heschel (1975); Chamesh Sichot Im Abraham Joshua Heschel o Five Conversations with Abraham Joshua Heschel pubblicato a Gerusalemme nel 1975; I Asked for Wonder: A Spiritual Anthology (1983); To Grow in Wisdom: An Anthology of Abraham Joshua Heschel

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(1990);

Prophetic Inspiration After the Prophets: Maimonides and Other Medieval Authorities (1990), ed infine Moral Grandeur and Spiritual Audacity: Essays, del 1996.

Esporre l’attività filosofica di Heschel in maniera esaustiva mi è sembrato un passo obbligato, giacché rende evidenti alcuni dei miei percorsi e delle mie scelte per la struttura di questo progetto. Il contenuto di ciò che sto per presentare è assolutamente multiforme, dal momento che deve rispecchiare a trecentosessanta gradi il pensiero dell’autore che ho deciso di analizzare.

13 Tradotto abbastanza fedelmente in lingua italiana: Passione di Verità, Milano, Rusconi, 1977.

14 Si tratta della raccolta di saggi che la versione italiana riporta con il titolo di: Crescere in saggezza, a cura di J. e N. Neusner, Milano, Gribaudi, 2001.

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Il nucleo principale, nonché climax del lavoro è il capitolo quarto, e ad esso ho dato il titolo de Il volto nascosto. È stato appositamente concepito in quanto fulcro da cui si può giungere attraverso le considerazioni dei capitoli precedenti, ma dal quale, volendo, è anche possibile partire, poiché, come in Heschel, l’argomento centrale di queste pagine è sempre Dio. In esse, ho mostrato le “vie” mediante cui l’uomo può in qualche modo, attraverso il rapporto con il mondo circostante, avvicinarsi al Signore, ma anche tutti quegli aspetti

“ineffabili” che richiamano alla mente ciò che sappiamo e cogliamo davvero di Dio: la Sua relazione con il creato, l’unità e l’unicità e il Suo inesauribile mistero, tutti elementi vivi che sono espressi all’interno del Suo Nome.

Riprendendo l’excursus indicato dal suo inizio, posso dire che il primo capitolo - Abraham Joshua Heschel: un profeta contemporaneo - rappresenta, invece, il tentativo di inserire questo autore in un contesto biografico e storico- culturale ben preciso, il quale passa in rassegna le vicende personali del filosofo polacco naturalizzato americano, come del resto, anche la tradizione ebraica e la formazione accademica che ne fanno da sfondo.

Il capitolo secondo, Dio alla ricerca dell’uomo, prende le mosse, come si

può notare, direttamente dall’omonimo testo di Heschel, pur essendo quest’ultimo

costantemente presente in ogni parte di questa tesi. Il suo contenuto sviluppa la

concezione tipicamente hescheliana del rovesciamento di ruoli: è Dio che per

primo ricerca l’uomo. L’interessamento del Signore nei riguardi degli uomini si

esprime, nell’ottica dell’autore, nella forma del “Pathos”, puro interessamento del

Dio d’Israele nei riguardi del creato.

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Il terzo capitolo intitolato La risposta alla richiesta ruota, invece, attorno al tema dell’essere umano e alla possibilità che esso ha di avvinarsi a Dio.

Prenderò in esame alcune riflessioni sul profetismo, indagando sui modi in cui i profeti, considerati come uomini privilegiati in quanto direttamente eletti per portare il messaggio divino, decisero di reagire all’appello del Signore. Verrà anche esposta un’analisi sull’importanza della preghiera, considerata il linguaggio di ricerca di Dio da parte dell’uomo.

Il titolo del quinto capitolo - Dialogo interreligioso - si propone si fornire un confronto interno fra i tre monoteismi. Nella prima parte, cercherò di mettere l’uno di fronte all’altro, Ebraismo e Cristianesimo facendone emergere sia le differenze che i punti di contatto per quanto riguarda il loro approccio conoscitivo al problema della rivelazione. Nella seconda parte, mi occuperò della delicata questione politica sulla nascita dello Stato d’Israele e ciò che questa comportò per i rapporti con l’Islamismo.

Il sesto ed ultimo capitolo del mio lavoro di tesi - Superare la civiltà -

conclude l’itinerario facendo emergere il carattere multipolare della filosofia

dell’ebraismo. Heschel cerca di mantenere viva la tensione dialettica insita nella

cultura ebraica, pur ricercandone una sorta di equilibrio. Nella parte conclusiva ho

anche esposto le riflessioni dell’autore sul problema del male, il quale, sebbene

spesso resti su uno sfondo muto, tuttavia esso trova la maniera di emergere in ogni

sua opera mediante accenni silenziosi alle terribili vicende delle persecuzioni

naziste. Il titolo stesso, in più, anticipa le considerazioni finali a cui sono giunta al

termine di questo articolato percorso.

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1. ABRAHAM JOSHUA HESCHEL: UN PROFETA CONTEMPORANEO

Il primo passo da compiere è quello di dar vita ad una operazione di contestualizzazione. Dunque, visto lo scopo d’inquadramento di questo primo capitolo, ho voluto fornirlo di un titolo che contenesse implicitamente un’intuizione sull’autore che ho esaminato: egli è stato un profeta dei giorni nostri. Tale presupposto però, a seconda che ci si concentri su l’uno o sull’altro dei termini del titolo, genera inevitabilmente due particolari traiettorie nell’analisi biografica. Comincerò perciò col considerare il primo dei due percorsi: l’attributo

‘contemporaneo’, infatti, oltre a far intendere che si tratta di un pensatore vissuto non lontano nel tempo, porta anche ad interrogarsi sulle tappe ‘storiche’ della complessa vita di Abraham Joshua Heschel, la quale, come mostrerò a breve, si svolse nell’arco temporale di buona parte del Novecento.

1.1 La vita

Per poter davvero penetrare nel pensiero di un uomo e prima di cominciare ad esaminarlo, è sempre necessario conoscere il mondo nel quale egli ha vissuto.

Abraham Joshua Heschel nacque a Varsavia, in Polonia, l’11 gennaio del 1907. Nella sua città natale ed in seguito a Vilnius (attuale capitale della Lituania), dove si iscrisse al Real Gymnasium

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, ricevette una formazione tradizionale impregnata del cosiddetto “jiddischkeit”

16

; in quella scuola però, sebbene essa fosse di lingua yiddisch, si insegnava anche la cultura scientifica e filosofica dell’Occidente, cosa che influenzò non poco le future decisioni di

15 Paragonabile alla scuola secondaria che porta all’ingresso nell’università.

16 Si riferisce alla cultura e allo stile di vita dell’ebraismo, nonché all’universo dei valori ebraici.

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Heschel. In questi anni egli entrò in contatto con un gruppo di poeti yiddisch, chiamati la “Giovane Vilnius”, incontro che gli permise di dare voce ad una raccolta di proprie composizioni poetiche con il titolo Der Shem Hameforash- Mensch

17

.

Nel luglio 1927, ormai ventenne, lasciò Vilnius per iscriversi all’Università Humboldt di Berlino, dove nel febbraio 1933 conseguì il dottorato con una tesi sui profeti biblici, un mese prima della salita al potere di Hitler. In quegli stessi anni riuscì anche a seguire alcune conferenze del padre della fenomenologia Edmund Husserl

18

. Contemporaneamente a questi eventi e dopo la sua ordinazione al rabbinato del 1934, decise di iscriversi alla nota Hochschule für die Wissenschaft des Judentums

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, situato nella strada che partiva dal seminario ortodosso, lo Hildesheimer Seminar

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, trovandosi perciò a cavallo tra due modi d’interpretare l’ebraismo dell’epoca.

Bisogna sottolineare che durante gli anni universitari Heschel non solo continuò a concentrare i suoi studi nell’ambito delle ricerche semitiche e filosofiche, ma decise di non limitarsi a conoscere e ad approfondire la tradizione ebraica. Preferì andare oltre la sua cultura d’origine, sentendo l’esigenza di doverla confrontare al patrimonio culturale dell’Occidente, di cui aveva già una discreta padronanza grazie al periodo nella capitale lituana.

17 Si tratta del volume di raccolte poetiche Der Shem Hameforash: Mensch; Lieder, pubblicato a Varsavia nel 1933, tradotto in lingua inglese con il titolo The Ineffable Name of God: Man. Poems.

18 In queste righe ho riportato alcune informazioni biografiche sull’autore contenute nel testo di M.

Giuliani, Il pensiero ebraico contemporaneo. Un profilo storico-filosofico, Morcelliana, Brescia, 2003, p. 404.

19 Traducibile come “Istituto Superiore di Studi Ebraici”, è stato un seminario rabbinico della riforma con sede a Berlino e qui fondato nel 1872. Fu però chiuso per ordine del governo nazista nel 1942.

20 Il Seminario rabbinico Hildesheimer, fondato a Berlino il 22 ottobre 1873 da Rabbi Dr. Israel Hildesheimer per la formazione dei rabbini nella tradizione del giudaismo ortodosso.

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Nel 1937 Heschel divenne presidente della Hochschule e si legò ad un altro grande esponente dell’ebraismo nonché della filosofia contemporanea, Martin Buber, il quale lo invitò a Francoforte per sostituirlo come direttore del Freies Judische Lehrhaus

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, avendo egli deciso di andare in Palestina. Tuttavia con l’avvento della propaganda antisemitica, durante il pogrom del novembre 1938, anche noto come “Kristallnacht”, essendo Heschel un “Ostjude”, fu deportato dalla Gestapo in Polonia assieme ad altri suoi connazionali con il passaporto polacco. Il viaggio in treno che lo ricondusse in Polonia fu un incubo, e quando il convoglio giunse a destinazione i polacchi si rifiutarono di far entrare gli ebrei. Questi furono allora raccolti in un campo di concentramento alla frontiera, e solo attraverso conoscenze Heschel riuscì a rientrare a Varsavia, dove insegnò per soli otto mesi all’Istituto di Studi ebraici, riuscendo a fuggire l’anno seguente.

Nel luglio 1939, appena sei settimane prima dell’invasione nazista, raggiunse l’Inghilterra. A Londra non passò molto tempo affinché gli fosse offerta una cattedra all’Institute for Jewish Learning. Ma nell’aprile di quello stesso anno ricevette la richiesta di far parte della facoltà dello Hebrew Union College a Cincinnati, in America del Nord, dove avrebbe dovuto insegnare materie filosofiche e rabbiniche. Questa occasione gli diede la possibilità di lasciare l’Europa in una situazione che stava rapidamente degenerando e che avrebbe visto di lì a poco l’invasione del suo paese e, purtroppo, la perdita della maggior parte dei suoi famigliari nel massacro degli ebrei a lungo perpetrato.

21 Era un libero istituto ebraico per l’educazione degli adulti, la cui fondazione risale al 1920 a Francoforte sul Meno. Il primo direttore di questa istituzione fu Franz Rosenzweig.

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Nel 1940 Heschel emigrò negli Stati Uniti e rimase a Cincinnati in qualità di professore di Filosofia e di Rabbinato fino al 1945. I cinque anni che trascorse in quella città furono dolorosi e piedi di solitudine; alla tristezza per la consapevolezza che l’intera comunità ebraica in Europa stava patendo terribili sofferenze, si aggiunse il fatto che era circondato da un ambiente rigorosamente riformato, il quale provava scarsa simpatia per il genere di religiosità disciplinata di Heschel. Fu appunto per motivi di dissenso con le scelte culturali di quel College, che egli lasciò l’istituzione del giudaismo riformato ed entrò nel corpo docente del Jewish Theological Seminary of America

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di New York. Qui gli vennero affidate le cattedre di Etica e di Mistica giudaica e vi rimase a insegnare fino al momento della sua morte, che avvenne il 23 dicembre del 1972. Durante la sua permanenza presso questo Seminario teologico, Heschel ebbe l’opportunità di formare intere generazioni di rabbini come anche di giovani ebrei.

1.2 La tradizione chassidica

Abraham Joshua Heschel ebbe natali che si potrebbero senza dubbio definire illustri, ma prima di descriverli indicherò alcune informazioni generali sulla corrente nota come “Chassidismo”

23

.

Il chassidismo è un movimento religioso che ebbe diverse apparizioni nel corso della storia e della mistica ebraica; un primo accesso si ha già nel periodo ellenistico. In seguito si ritornò a parlare di questo movimento intorno al XII e al

22 Il Jewish Theological Seminary, conosciuto in ambiente ebraico semplicemente come JTS, è uno dei principali centri dell'Ebraismo conservatore fondato nel 1886 a New York City, su iniziativa del rabbino di origine livornese Sabato Morais, come eredità del Seminario Teologico Ebraico di Breslavia.

23 Chassidismo (Chaśidismo o Haśidismo, transl. dall’originale parola ebraica: תודיסח), una corrente e dottrina ebraica comparsa in Polonia e nella Russia meridionale nella prima metà del secolo XVIII.

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XVI secolo. Alcuni studiosi affermano perfino che in Italia vivesse una comunità chassidica, la quale si pensava avesse influenzato il messaggio di Francesco d’Assisi. Tuttavia, quando si parla di chassidismo, si intende per lo più quel movimento religioso che si costituì in Europa orientale a partire dal secolo XVIII, le cui principali aree d’influenza furono la Podolia, la Galizia, la Volinia e l’Ucraina.

Heschel, per l’appunto, discendeva direttamente da un’antica famiglia di

“chassidim”

24

. Suo padre era Moishele Mordecai, il “rebbe”

25

di Peltzovizner, il quale proveniva da un’importante cittadina dell’allora Podolia, (nell’attuale Ucraina) Mesbiž

26

, culla d’origine del movimento. Egli stesso vantava fra i suoi antenati figure molto eminenti del chassidismo: il Rabbi Don Baer il Grande Maggid

27

di Meseritch e il Rebbe Israel di Rižin. La madre era Rivke Reizel Perlow, anch’essa discendente da grandi personaggi come il Rabbi Pinchas di Koretz e del Rabbi Levi Yitzhak di Berdichev.

La tradizione chassidica ed il suo ambiente influenzarono notevolmente la formazione culturale di Heschel. Infatti, i primi venti anni della sua giovinezza vennero dedicati allo studio della letteratura rabbinica; già a dieci anni fu introdotto allo studio della Qabbaláh (o Cabbalà)

28

. Ma ciò che lasciò un segno

24 Chasid o anche Hāsîḏ (dall’ebraico די ִס ָח; il plurale è Chassidim oppure Hăsîḏîm, transl. da:

םי ִִֽדי ִסֲח), un termine che deriva dall’analoga corrente ebraica e che sta ad indicare l’uomo pio, fedele all’alleanza.

25 Rebbe (o Reb, dall’ebraico: יבר), indica l’insegnante, maestro anche di scuola. Il rebbe chassidico viene sempre indicato menzionando, oltre al suo nome, la località dove insegna.

26 Anche scritta come segue: Medžybiž.

27 Maggid (plur. maggidim), dall’ebraico:די ִג ַמ, indica il predicatore ambulante del XVIII secolo che viaggiava di città in città per esortare il popolo ebraico alla penitenza.

28 Dall’ebraico: הלבק (transl. in alcune versioni anche come: Qabbālāh).

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nella sua vita non fu tanto lo studio talmudico e dello Zohar

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, ma il modo di vivere degli chassidim, proteso all’esaltazione del quotidiano in tutte le sue forme, sia materiali che spirituali. Riscoprendo il patrimonio mistico del giudaismo, il chassidismo ne diede però una versione essoterica.

Inoltre va sottolineato che tale corrente è definita come una forma di mistica popolare, caratterizzato da un forte entusiasmo religioso; tuttavia, questo fervore non può essere letto in chiave “pietistica”, dato che non è intimistico ed individualistico. Il movimento rimosse la barriera tra sacro e profano, insegnando a dare significato ad ogni cosa della sfera “mondana”.

Il suo equilibrio, se da un lato porta Heschel a prendere le dovute distanze da alcune posizioni intransigenti della corrente religiosa, dall’altro lo distanzia anche da Martin Buber, eminente maestro Hassidim. Mentre quest’ultimo di fronte agli aspetti ambivalenti e conflittuali della vita, sottolinea enfaticamente un aspetto a detrimento dell’altro, il nostro autore cerca di stabilire fra essi un’armonia, un equilibrio.

Il diffondersi del chassidismo fu agevolato certamente dal travaglio causato dall’eresia sabbatiana

30

, le persecuzioni nei confronti della quale portarono ad un impoverimento generale degli ebrei dell’Europa dell’Est e di tutte le strutture comunitarie che risalivano a periodi più floridi. Dunque, il compito che parve primario e ineludibile per Heschel fu quello di raccontare la vita

29 In ebraico è רהוז, che significa “splendore”, infatti è anche chiamato Libro dello Splendore (Sefer ha-Zohar, dall’ebraico רהוזה רפס) si tratta di un testo profetico ebraico, il più importante della tradizione qabbalistica.

30 Shabbataj Zevì (1626-1676), nel 1665 si proclamò Messia e radunò intorno alla sua figura un gruppo cospicuo di fedeli diffondendo un fervore particolare che si impossessò di diverse comunità ebraiche sparse per il mondo. Il sabbatianismo si rifà ad una interpretazione eterodossa della Qabbaláh, ed afferma che il Messia, prima di manifestarsi pienamente e trionfalmente al mondo nel momento della redenzione, deve scendere nell’abisso del male per liberare la scintilla di luce.

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distrutta dell’ebraismo dell’Europa orientale in seguito all’Olocausto, che egli ha sempre lasciato sottinteso in ogni sua opera, al fine di conservare, tramandare e insegnare i valori autenticamente ebraici insiti nei modelli di vita del chassidismo di quei luoghi.

1.2.1 Sefarditi e Ashkenaziti

Nella prima opera con cui Heschel cominciò a farsi conoscere da un più vasto pubblico negli Stati Uniti, La terra è del Signore

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, viene fatto riferimento a due diverse tradizioni nate in seno alla cultura ebraica europea in tempi molto lontani, circa mille anni fa. Si tratta di due grandi gruppi che hanno detenuto l’egemonia spirituale soprattutto nell’Europa dell’Est, e che rappresentano lo sfondo sociale e intellettuale delle sue origini.

Un lascito degli studi berlinesi fu il profondo interesse per il pensiero ebraico sefardita medievale. Nel quindicennio 1935-1950 Heschel mise a frutto la ricerca assidua su questo robusto ramo della tradizione ebraica e pubblicò sul tema scritti su Maimonide, Ibn Gabirol, Abrabanel, Saadia HaGaon

32

. Il gruppo spagnolo, o sefardita, si formò dai discendenti degli ebrei stanziatesi nella penisola iberica durante il periodo islamico. Non a caso la parola “Spagna” in ebraico è tradotta con “Sefarad”

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e gli ebrei che vi vissero furono perciò conosciuti come “sefardim”

34

. Costretti poi ad emigrare, e più tardi espulsi dalla Spagna e dal Portogallo nel XV secolo, questi ebrei si stabilirono prevalentemente lungo la costa mediterranea, in Olanda, in Inghilterra e nelle loro colonie.

31 Mi riferisco all’opera di A. J. Heschel, La terra è del Signore. Il mondo interiore dell’ebreo in Europa orientale, Marietti, Genova, 1989.

32 Rimando alle informazioni bibliografiche complete contenute nella premessa.

33 Dall’ebraico: דרפס.

34 Transl. dall’ebraico: םי ִד ַר ָפ ְס.

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Agli ebrei della penisola iberica si attribuisce l’inizio di un’epoca brillante della storia ebraica, caratterizzata da straordinari risultati scientifici come anche da una certa universalità di spirito. Il risultato fu una sintesi, in parte, della tradizione ebraica con la civiltà musulmana. Infatti, la vita intellettuale degli ebrei di Spagna era profondamente influenzata dal mondo circostante ed in maniera particolare dalla cultura araba.

Di notevole interesse sono le analisi condotte da Heschel sull’attenzione dei sefarditi circa il rapporto fede-ragione, in particolare nel pensiero di Maimonide e Saadia HaGaon

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. Senza negare profonda ammirazione e rispetto per il grande tentativo conciliatore dell’ebraismo sefardita medievale, Heschel ritenne tuttavia che lo scacco del pensiero, nel tentativo di armonizzare fede e ragione, fosse inevitabile, specie se condotto con gli strumenti e le categorie della metafisica classica. Ma l’ebraismo non conobbe solo il razionalismo di certi pensatori sefarditi.

Il secondo imponente ramo è rappresentato dalla comunità ashkenazita, la quale comprendeva i discendenti degli ebrei venuti dalla Babilonia e dalla Palestina verso i Balcani e l’Europa centro-orientale, e che dal basso Medioevo iniziarono a parlare il tedesco o l’yiddisch. Vennero così chiamati per la parola ebraica “Ashkenaz”

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, che indica la Germania.

Heschel vide nell’eredità ebraica ashkenazita, che ebbe il suo culmine nel chassidismo, una traduzione espressiva più convincente della fede ebraica. Vi

35 Saʿadya ben Yōssef Gaʾon, in ebraico con il titolo Rav è: ארוס ןואג ףסוי ןב הידעס בר, mentre in arabo sarebbe: يموّيفلا فسوي نبإ ديعس, Saʿīd ibn Yūsuf al-Fayyūmī, fu un rabbino del X secolo, attivo in Egitto. Nacque tra il 27 giugno e il 5 luglio dell’882 (o 892) e morì a Baghdad nel 942. La sua vita e le sue opere furono una successione ininterrotta di lotte e battaglie impegnate per assicurare la sopravvivenza e la perennità del Giudaismo rabbinico babilonese.

36 Transl. dall’ebraico: זנכשא . Invece, la parola ebraica per “aschenaziti” o anche “ashkenazim” è:

םיִזָנֲכ ְש ַא.

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scoprì un linguaggio dinamico che non pretendeva di afferrare l’esperienza di Dio e della sua rivelazione e convogliarla in contenuti cristallizzati e in formule che deludono sulla vera natura della fede.

Per approfondire il discorso sul chassidismo, continuerò con la descrizione di due grandi figure di questa corrente, le quali ne incarnano aspetti prettamente antitetici.

1.2.2 I due Rebbe

Il chassidismo si caratterizza per una vita comunitaria che non è fine a se stessa. Il rebbe, detto anche “zaddîq”

37

, è il maestro, la guida dei chassidim. La comunione tra zaddîq e chassidim è espressa in un rapporto reciproco molto stretto ed in totale devozione alla Tōrāh

38

.

Per questa ragione Heschel può essere considerato nel più profondo del suo essere un chassid, avendo egli assorbito gli insegnamenti di due maestri del passato, pensatori-cardine dello spirito chassidico: il fondatore di questo movimento, Reb Jiśrā’el ben Eliezer

39

, più noto come Baʽal Shēm Tōv, e tra i suoi successori, Reb Menachem Mendl di Kotzk

40

, detto il Kotzker

41

.

Il Baʽal Shēm Tōv

42

, «Maestro del Nome Buono»

43

(circa 1690-1760), noto talvolta come Besht

44

, dall’acronimo delle sue iniziali, originario di Mesbiž,

37 Zaddîq o Zaddik, dall’ebraico: קידצ, (plur. Zaddiqim), il giusto, il santo e perfetto. Sono i capi delle comunità chassidiche.

38 In ebraico: הרות. A volte scritta “Thorah”, essa rappresenta la Legge, l’Insegnamento nella tradizione ebraica. Comprende il Pentateuco, ossia i primi cinque libri del Vecchio Testamento e tutto il sistema di legislazione ebraica. Nel resto di questo lavoro verrà traslato semplicemente in

‘Torah’.

39 In lingua ebraica il suo nome originale è: רזעילא ןב לארשי.

40 Nome originale ebraico: ןרטשנגרומ לדנמ םחנמ.

41 Per quanto riguarda le informazioni contenute in questo sottoparagrafo si è fatto riferimento soprattutto al testo di A. J. Heschel, Passione di Verità, Rusconi, Milano, 1977.

42 Dall’ebraico: בוט םש לעב.

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19

fu l’iniziatore di un nuovo modo di intendere l’ebraismo. Egli vide nell’uomo la vera dimora del Divino e fece comprendere ai suoi discepoli che nulla vi era nell’essere umano, né il corpo, né le azioni, che non fossero manifestazione o veicolo della forza divina. Ma di più, egli indicò la presenza viva di Dio anche nelle cose più misere ed insignificanti di questo mondo.

Il Besht esaltava la “hitlahavut”

45

, l’entusiamo, la gioia di vivere, cosa che modificò il modo in cui i maestri ebrei percepivano la loro esistenza. Questi ultimi infatti, insistevano affinché tutto fosse regolato; l’intera tradizione del giudaismo con le sue pratiche perseveravano su questo punto. Il rischio in cui poteva precipitare il suo popolo era quello di un inaridimento in meccanismi abituali, ripetitivi. Egli perciò ricordò loro che essere spontanei era importante quanto essere precisi e che l’ubbidienza a Dio senza fervore avrebbe reso sterile il loro spirito.

Il maestro che incarnò invece l’antitesi, pur seguendo in linea di massima il pensiero del Baʽal Shēm Tōv, fu il Kotzker. Egli era una figura completamente opposta a quella del suo lontano rebbe. Costui nacque nel 1787 a Biłgoraj, nei pressi di Lublino, in Polonia, da una famiglia estranea al chassidismo. Venne attratto al movimento fin dalla sua giovinezza, ma lo visse e lo interpretò in maniera diversa dagli insegnamenti ricevuti.

Ciò che più contava per lui non era la compassione per il mondo, l’amore e la gioia, bensì l’unica cosa per cui valesse la pena sacrificare tutto, ovvero l’Emeth

46

, «Verità»

47

. Pur non predicando l’ascetismo ed il ripudio del mondo,

43 Transl. dall’orig. ebraico: בוט םש לעבבוט םש לעב.

44 Ebraico: שעבט" .

45 Transl. dall’ebraico: תובהלתה.

46 In ebraico: ת ֶמ ֱא.

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20

tuttavia egli asseriva che, per giungere alla verità, l’uomo dovesse muovere guerra alla società ma anche e soprattutto a se stesso. Il suo insegnamento richiedeva una costante tensione ed un atteggiamento duro nei riguardi delle cose mondane.

Il chassidismo classico cercava di raggiungere tutti gli ebrei, senza distinzioni culturali; il Kotzker, invece, a differenza dello stesso Baʽal Shēm Tōv, si interessava degli eletti, dei pochi. Era un personaggio schivo, quasi inavvicinabile, e con lui fu come se l’antica collera fustigatrice dei moralisti delle origini, fosse nuovamente ricaduta sulla comunità ebraica

48

.

Con passaggi molto articolati ma importanti Heschel, nel descrivere il pensiero di questo maestro chassidico, lo accosta ad un altro grande personaggio, Søren Kierkegaard, mostrando perciò tutto il senso di debito nei confronti dell’esistenzialismo di marca kiekegaardiana. Sul solco tracciato dal filosofo ottocentesco, egli spiega come entrambi si riferissero ad una soggettività completamente epurata dalla sua presunzione “egoica”, che si traduceva come volontà di allargamento della soggettività stessa

49

.

Poiché entrambi formarono l’anima chassidica di Heschel, dando vita a quell’impulso profetico e dialettico, volto alla tensione, si comprende come questa rapida analisi servirà da tassello per delineare in seguito il pensiero dell’autore.

1.3 L’impegno politico

Per lo sviluppo del paragrafo occorre riprendere il discorso nel punto in cui, ad inizio del capitolo, erano stati tracciati i due itinerari. Mi volgo ora al primo dei

47 Per quanto riguarda la fonte di queste informazioni, si veda il testo di P. Gamberini, Pathos e Logos in Abraham J. Heschel, Città Nuova Editrice, Roma, 2009, p. 18.

48 Cfr. A. J. Heschel, Passione di Verità, Rusconi, Milano, 1977, cit., p. 22.

49 Cfr. G. Giannini, Filosofia, religione e pensiero ebraico. Dibattito e prospettive dal Nordamerica, Guida Editore, Napoli, 2004, p. 158.

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21

due termini da cui ho preso le mosse per questo lavoro: Heschel è un ‘profeta’, ispiratore dell’umanità. Ci si chiede quindi, quali furono i tratti del suo pensiero o, come egli avrebbe voluto si dicesse, con quali azioni da lui intraprese, è diventato meritevole di un tale appellativo.

I problemi politici e sociali erano la maggiore preoccupazione per Heschel, infatti secondo lui religione e politica erano sempre interdipendenti. Anche una protesta sociale era un’esperienza religiosa

50

, poiché sosteneva che religione senza indignazione per i mali politici era qualcosa di impossibile. Come una profetica voce di giustizia, denunciava l’ipocrisia, l’egocentrismo e l’indifferenza che dilagavano nel mondo.

Gradualmente, negli anni Sessanta, Heschel divenne sempre più partecipe alla protesta sociale e politica. Il suo coinvolgimento nel movimento dei diritti civili, soprattutto contro il razzismo, era una convinzione religiosa ed una dichiarazione politica, affermando che le due cose erano inseparabili. In molte occasioni raccontò che, quando marciava per le strade in occasione di qualche manifestazione pubblica, le sue gambe tremavano come una incessante preghiera;

ed è per questo che la rivista «Time» a ricordo della sua morte, parlò di lui come di un mistico militante

51

.

Fece la conoscenza di Martin Luther King nel gennaio del 1963 a Chicago durante la National Conference of Christians and Jews, divenendone amico e collega. Heschel partecipò assieme a lui alla famosa marcia di Selma del 1965.

50 Queste notizie sono state fornite da S. Heschel, Introduction by Susannah Heschel, in A. J.

Heschel, Moral Grandeur and Spiritual Audacity. Essays, Farrar, Straus and Giroux, New York, 2013, p. 7.

51 Cfr. P. Gamberini, Pathos e Logos in Abraham J. Heschel, Città Nuova Editrice, Roma, 2009, cit., p. 14.

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Egli vide con i suoi occhi l’estrema ostilità e violenza con cui i bianchi dello Stato dell’Alabama reagirono alla manifestazione.

Heschel si impegnò in organizzazioni interreligiose come “Clergy and Laity Concerned about Vietnam”, che egli stesso contribuì a fondare assieme a Martin Luther King, un’organizzazione la quale condannava l’intervento americano in Vietnam

52

; egli comprese che poteva tradurre l’orrore dell’Olocausto in azione costruttiva facendo opposizione ad una guerra insensata. Heschel fu perciò il primo capo religioso a prendere ufficialmente posizione in una questione che, a parere del governo americano, esulava le competenze del clero, che veniva costantemente scoraggiato ad inserirsi negli affari di carattere pubblico. La sua attività politica non si diresse solamente contro il governo americano, ma anche contro quello sovietico, condannando con varie manifestazioni le persecuzioni antisemitiche contro gli ebrei di Russia.

Heschel si trasformò anche in un vero americano e prese parte attiva alle vicende della comunità ebraica del Nordamerica, svolgendo negli ultimi decenni della sua vita un ruolo critico nelle questioni pubbliche degli ebrei come del popolo americano. A ben vedere, Heschel si pose, nell’arco della sua esistenza, fra i tre orientamenti di spicco dell’ebraismo nel panorama Nordamericano, senza, tuttavia, appartenere o aderire ad uno in particolare

53

. Possiamo così descrivere brevemente tali orientamenti:

˗ l’ortodosso, il cui cuore del paradigma consisteva nell’essere rigorosamente osservante della legislazione rabbinica, si basava sulla convinzione

52 Rimando al contenuto del saggio di S. Heschel, L’uomo Heschel: la testimonianza di sua figlia Susannah, Postfazione a A. J. Heschel, Crescere in saggezza, Gribaudi Editore, Milano, 2013, p.

214.

53 Cfr. G. Giannini, Filosofia, religione e pensiero ebraico. Dibattito e prospettive del Nordamerica, Guida Editore, Napoli, 2004, cit., p. 153.

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che la Legge scritta, codificata dalla Torah, e la Legge orale, disciplinata invece nel Talmud

54

, contenessero l’autentica parola di Dio. Le loro immutabili leggi coinvolgevano tutte le espressioni della vita, e le loro forme originarie erano sempre valide nel tempo;

˗ il riformatore invece sosteneva che l’essenza dell’identità ebraica risiedesse nella fede nel Dio Unico, come pure nella fede nell’ethos profetico, ossia nel plesso delle “leggi morali”. La caratteristica precipua di questo orientamento era quella di rovesciare la gerarchia dei tre gruppi di valori costitutivi dell’ebraismo, incarnati in Dio, Torah ed Israele;

˗ il conservatore, come per i primi due, risponde al problema dell’identità e riconosce l’autorità della tradizione, delle norme giuridiche da essa elaborate, ma in modo dinamico, conferendo un ruolo primario alla Halakhāh

55

. Per il conservatorismo, l’apertura alla modernità doveva realizzarsi senza il venir meno della tradizione, infatti era possibile apportare modifiche alla Halakhāh e, contemporaneamente, rimanerne fedeli.

In Heschel non fu viva solo una sensibilità civile, ma anche una sensibilità ecumenica

56

, non sempre in accordo con i suoi correligionari, i quali non approvarono le sue ‘aperture’ nei riguardi del mondo del Cristianesimo. Per incarico del American Jewish Committe, Heschel intraprese rapporti con il Vaticano, allo scopo di migliorare le relazioni giudeo-cristiane: tra i principali

54 Dall’ebraico: דומלת. Si tratta del corpo della legge tradizionale ebraica (secolo V d.C.). Ne esistono due edizioni, quello di Gerusalemme e quello babilonese.

55 E’ la parte del Talmud contenente precisazioni legali e giuridiche, cioè norme di vita. Per l’approfondimento rimando al capitolo 6 di questo lavoro.

56 A questo proposito si veda il saggio di A. J. Heschel, What Ecumenism Is, in Moral Grandeur and Spiritual Audacity. Essays, Farrar, Straus and Giroux, New York, 2013, cit., pp. 286-289.

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desideri di questo comitato c’era quello di far eliminare dagli insegnamenti della Chiesa cattolica ogni richiamo antisemitico.

Il nostro autore ebbe frequenti contatti con il cardinale Agostino Bea, che a quel tempo presiedeva il Segretariato per l’Unità dei Cristiani. Egli propose al cardinale un “memorandum” nel quale si faceva presente ai Padri conciliari l’importanza di eliminare definitivamente l’accusa di “deicidio” nei confronti del popolo ebraico e di riconoscere l’integrità e la permanenza dell’elezione del suo popolo come “popolo della salvezza”; in ultimo voleva far comprendere l’assoluta importanza di abbandonare ogni forma di proselitismo nei confronti degli ebrei

57

.

Inoltre, egli aveva parte attiva nei lavori preparatori del Concilio Vaticano II nella qual occasione incontrò personalmente Papa Paolo VI. Durante il Concilio, Heschel sottopose al Papa quelle stesse richieste a nome degli ebrei di tutto il mondo. Il documento finale che ne nacque, “Nostra Aetate”

58

, fu un compromesso, ma egli riconobbe in esso l’inizio di un cammino che avrebbe aiutato la riconciliazione tra ebrei e cristiani. Infatti, il Papa rimase molto colpito dall’incontro con il nostro autore, tanto da sollecitare la pubblicazione e la distribuzione delle sue opere in Italia.

Uno degli aspetti più commoventi della tradizione ebraica è incarnato dall’attaccamento degli ebrei alla loro terra d’origine ed Heschel fu profondamente coinvolto anche nelle questioni relative alla situazione israeliana.

57 Cfr. P. Gamberini, Pathos e Logos in Abraham J. Heschel, Città Nuova Editrice, Roma, 2009, cit., p. 14.

58 La dichiarazione Nostra Aetate è uno dei documenti del Concilio Vaticano II. Pubblicata il 28 ottobre 1965, tratta del senso religioso e dei rapporti tra la Chiesa cattolica e le religioni non- cristiane. La sua prima bozza, denominata Decretum de Judaeis fu completata nel novembre 1961.

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25

Il suo fu un giudizio favorevole sul “Sionismo”

59

, ma egli aggiunse anche qui una dimensione religiosa; chiarì che la costituzione dello Stato d’Israele in Palestina non era che un primo passo del riscatto degli ebrei. Il ritorno a Sion doveva avere un contenuto spirituale, non riconducibile a categorie puramente profane o politiche. Il sionismo divenne maggioritario all’interno dell’ebraismo a seguito della Shoàh, poiché garantiva ai sopravvissuti al genocidio di riprendere la loro esistenza di popolo indipendente nella loro terra d’origine

60

.

Il nostro autore fu davvero un “kol la-goyim”, una “voce per le genti”

61

, per ebrei e non ebrei. Era straordinaria la sua capacità di unire da una parte il risultato intellettuale ottenuto attraverso lo studio e l’analisi, e dall’altra il patrocinio di una causa comune per il suo popolo e per l’intera umanità.

59 È un movimento politico internazionale il cui fine è l’affermazione del diritto alla autodeterminazione del popolo ebraico mediante l’istituzione di uno stato ebraico, inserendosi nel più vasto fenomeno del nazionalismo moderno. Lo Stato d’Israele acquisì l’indipendenza il 14 maggio 1948.

60 Dedicherò l’ultima parte del capitolo 5 proprio all’approfondimento di queste tematiche.

61 Cfr. P. Gamberini, Pathos e Logos in Abraham J. Heschel, Città Nuova Editrice, Roma, 2009, cit., p. 14.

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2. DIO ALLA RICERCA DELL’UOMO

«… Adamo e sua moglie si nascosero dalla faccia del Signore Iddio […]. Ma il Signore Iddio chiamò Adamo e gli chiese: “Dove sei?”». Gn 3, 8-9.

I passi biblici che aprono il capitolo sono emblematici. È Dio stesso che per primo pone l’interrogativo. Riflettere su un fatto simile è ciò che preme ad Heschel.

Poiché Dio è il grande tema della sua riflessione, è necessario partire da questo argomento, sia dal punto di vista razionale che metodologico.

La stragrande maggioranza delle teorie religiose sono unanimi nel definire la religione stessa come una ricerca di Dio condotta da parte dell’essere umano.

Heschel irrompe radicalmente all’interno di questo quadro, se si vuole, tradizionalista e ne scardina le basi:

«Questo è il misterioso paradosso della fede biblica: Dio insegue l’uomo. È come se Dio non volesse rimanere solo e avesse scelto l’uomo per servirlo».62

Tutta la storia umana descritta dalle Sacre Scritture può essere definita non come una ricerca da parte nostra, bensì in quanto avvicinamento del Signore all’umanità: «Dio è alla ricerca dell’uomo».

63

Sicché la Bibbia non documenta altro se non il fatto che Dio si approssima all’uomo.

L’errore, secondo l’autore, sta nel considerare questo evento come una questione esclusivamente umana. La Bibbia è stata troppo a lungo interpretata come un libro che tratta la ricerca per opera dell’uomo di un Dio che è sfuggevole e indifferente. Tutt’al più sarebbe vero il contrario: dal momento che l’appello di Dio viene ripetutamente lanciato all’essere umano, se non fosse per il Suo

62 A. J. Heschel, Dio alla ricerca dell’uomo. Una filosofia dell’ebraismo, Borla, Torino, 1969, p.

156.

63 Ivi, p. 157.

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27

interrogativo, le stesse ricerche umane risulterebbero vane. Si può senza dubbio affermare che il primo passo è stato compiuto da Dio, quindi quella di Heschel è una prospettiva anticonvenzionale, controcorrente non solo rispetto al senso comune, ma soprattutto in rapporto alla tradizione esegetica.

Per poter delineare i tratti essenziali della ‘novità’ apportata dalla riflessione hescheliana alla filosofia ebraica come alla filosofia della religione, il concetto di pathos

64

ne rappresenta la chiave di volta; persino la teologia, spesso rigidamente dogmatizzata, viene rivisitata in maniera originale attraverso l’uso di questo termine.

2.1 Il Pathos divino

Il Dio del giudaismo è il Dio del pathos: cosa vuole esprimere questa affermazione? Si premette che il suo significato differisce dall’uso che se ne era fatto sino all’importante contribuito di Heschel. Pertanto, cosa intende l’autore con “Páthos divino”?

L’unicità e la ricchezza di significato contenuti in questo concetto, nonché la sua notevole rilevanza per la comprensione della situazione religiosa, porta a considerare il pathos come una categoria teologica ‘sui generis’

65

. Lungi però dal parlare di pathos divino come se incarnasse una nozione rigida, cristallizzata, questo rappresenta piuttosto una situazione viva, cosa che Heschel afferma con trasparenza nel seguente passo di un’opera interamente dedicata a definire questo tema:

64 Si tratta di un termine che deriva dalla parola greca πάθος, a sua volta estratto dal verbo πάσχειν

“paschein”, che letteralmente significa “soffrire” o “emozionarsi”.

65 Cfr. A. J. Heschel, Il messaggio dei profeti, Borla, Roma, 1981, p. 16.

(26)

28

«Il pathos […] denota […] una viva preoccupazione; non è un esempio immutabile ma […] un rapporto dinamico tra Dio e l’uomo;

[…] non un semplice sentimento o uno stato d’animo […]; non un semplice sguardo contemplativo sul mondo […]».66

Il Signore è personalmente coinvolto, se non addirittura influenzato

67

e scosso dalla condotta dell’uomo e da ciò che gli accade. Il Dio d’Israele è perciò un Dio che prova amore incondizionato verso il frutto della sua creazione; proprio come un buon padre non può non amare i suoi figli, allo stesso modo Lui, che è il Padre fra i padri, rivolge apprensione e cura verso le sue creature.

L

a partecipazione di Dio alla situazione dell’uomo è il fattore basilare

68

: il pathos rivela l’estrema importanza che ha la sfera umana per Dio ma anche l’orientamento divino verso il mondo che ha creato, come pure la Sua attenzione e sollecitudine per esso. Dio “guarda al”

69

mondo ed è toccato dal suo destino.

L’essere umano ha il privilegio di essere l’oggetto favorito delle sue cure e non solo del suo giudizio; infatti, Heschel a questo proposito, sottolinea in un altro importante scritto che: «Dio è il Padre di tutti gli uomini, non solo il giudice».

70

Nella storia il pathos non è stato quasi mai accolto di buon grado. Perché?

I teologi giudei e poi quelli cristiani, per più di duemila anni, si sono sentiti profondamente a disagio davanti alle ripetute allusioni al pathos divino presenti nella Bibbia. Tale opposizione sembrava dovuta ad un insieme di presupposti logico-filosofici che erano un retaggio della cultura classica greca. Non a caso, la stessa parola “pathos”, come anche il suo equivalente latino “passio”, deriva da

66 Ivi, p. 9.

67 Ibidem.

68 Ivi, p. 12.

69 Ivi, p. 345.

70 Idem, Man is Not Alone: A Philosophy of Religion, trad. dall’op. orig. ingl., «He is the father of all man, not only a judge», Farrar, Straus and Giroux, New York, 2013, p. 244.

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29

“pati”, che significa “soffrire”

71

, ed inferirebbe allora uno stato o una condizione in cui si è vittime passive. Infatti Aristotele, in merito alle passioni, disse che:

«noi ne siamo mossi»

72

, riferendosi esclusivamente alla natura umana.

Dai tempi più remoti è sempre stato considerato impossibile concepire Dio come “influenzabile”. La Divinità, in quanto Causa Prima, Suprema, non poteva subire alcuna influenza da ciò che lei stessa aveva creato. La passività era ritenuta incompatibile con la dignità del divino e le emozioni screditate in quanto attributi ascrivibili solo alla bassa dignità dell’uomo. Da ciò si evince come il principio base nella dottrina di Dio per i teologi ebrei e cristiani divenne l’απάθεια

73

divina.

Siccome le passioni erano perturbazioni innaturali dell’uomo, a maggior ragione esse non potevano esistere in Dio. Lo sbaglio risiedeva proprio nella moralità giudaica e cristiana che sviluppò la tendenza a screditare l’emozione; quest’ultima può essere ragionevole tanto quanto la ragione può essere emotiva

74

.

In netto contrasto con queste posizioni, Heschel sostiene che la concezione di Dio come un Essere distaccato e non emotivo è totalmente estranea alla mentalità biblica

75

, ed inoltre proietterebbe la divinità al di fuori d’ogni tipo di rapporto con l’uomo. Le Sacre Scritture non condividono nemmeno la visione delle passioni come perturbazioni o debolezze dell’anima, contrariamente a

71 Id., Il messaggio dei profeti, Borla, Roma, 1981, p. 41.

72 Aristotele, Etica Nicomachea, 1106a, 7, ed. a cura di M. Zanatta, 2 voll., Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 2001. In questo passaggio è lo stesso Heschel che pone il suo pensiero a confronto con quello del filosofo antico, situazione che riscontreremo di frequente in questo elaborato.

73 Cfr. A. J. Heschel, Il messaggio dei profeti, transl. in «Apatheia», Borla, Roma, 1981, cit., p. 51.

Indicando apatia o impassibilità, virtù per eccellenza dello stoico, come l’atarassia, ma con diversi effetti, consiste nell’assenza di passioni.

74 Ivi, p .53.

75 Ibidem.

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30

quanto affermato dalla corrente degli stoici

76

. Per il nostro autore non dobbiamo disprezzare l’emozione, né celebrare l’apatia, ma solo il pathos come coinvolgimento emotivo, partecipazione appassionata, dato che rappresenta una parte indispensabile dell’esistenza religiosa. Il rapporto con Dio deve essere pensato unicamente in termini di interessamento e sollecitudine. Dunque il pathos divino risulta esente, secondo Heschel, da connotazioni negative e non implica asservimento alle passioni, ma piuttosto un sentimento di pura preoccupazione per il mondo

77

.

La discussione intorno alle passioni ci porta a considerare un’altra peculiarità del pathos di Dio: l’aspetto della volontarietà. Il cedere ad una passione irragionevole non è minimamente contemplabile in un discorso su Dio, ed Heschel al riguardo scrive che il pathos, come cura per l’uomo:

«è stato inteso […] come un atto compiuto intenzionalmente, dipendente dalla sua libera volontà, risultato di una decisione e di una determinazione».78

Quanto appena detto esclude che ci sia una nesso causale tra i comportamenti divini e quelli umani, bensì solo occasionale. Essendo la libertà divina il fatto decisivo, la reazione di Dio alla condotta dell’uomo non si genera automaticamente, ma interviene a seguito di una decisione libera. Non vi è necessità nel pathos, sicché l’uomo non rappresenta la causa immediata, ma solo accidentale; Heschel perciò parla di “causa occasionalis”, oppure “occasio”

79

, la quale procura in Dio sì uno stato di pathos, ma liberamente. Sarebbe più corretto,

76 Gli appartenenti alla nota corrente filosofica e spirituale dello Stoicismo, sorta intorno al 300 a.C. ad Atene, d’impronta razionale e panteista. Nella storia del pensiero antico, la dottrina e la tradizione si ricollegano a Zenone di Cizio e alla sua scuola, così chiamata perché Zenone e i suoi successori usavano adunarsi nella Stoà Poikìle (transl.da Στοά – portico e Ποικίλε). Anche qui possiamo riscontrare uno dei confronti diretti dell’autore con la filosofia del passato.

77 Cfr. A. J. Heschel, Il messaggio dei profeti, Borla, Roma, 1981, cit., p. 55.

78 Ivi, p. 10.

79 Ibid.

(29)

31

insomma parlare di una reazione alla storia umana, però come atteggiamento, come risposta.

Un’ultima considerazione da fare, rimasta fino ad ora implicita, si riallaccia alla riflessione fatta sul pathos come espressione della volontà di Dio.

Dall’analisi condotta emerge forse l’aspetto più importante: il pathos divino non deve essere assolutamente considerato un attributo della natura di Dio. Si tratta di una questione molto complessa che merita uno spazio più ampio nelle pagine seguenti. Mi limito per il momento a sottolineare che, come sarebbe improprio considerare la volontà un attributo, allo stesso modo non è possibile identificare il pathos divino con l’essenza di Dio, perché esso non è qualcosa di assoluto, bensì una forma di rapporto. La Bibbia non dice come Egli sia costituito nella sua intima natura, ma come agisce. Narra dei Suoi atti di pathos e delle attività nella storia

80

. In conclusione, il pathos non offre un’interpretazione su ciò che Dio “è”, piuttosto ci dice qualcosa sull’attività divina rivolta in direzione del ‘creato’.

2.1.1 Il problema dell’antropopatia

La polemica in cui si è più spesso incorsi, in riferimento al pathos divino, è quella sulla sua presunta “antropopatia”

81

, nella quale si è visto il rischio della trasposizione di caratteri umani in quelli divini.

In Heschel, i motivi che hanno portato al rifiuto dell’idea del pathos sono evidenti, primo fra tutti il timore dell’antropomorfismo. L’avversione per quest’ultimo ha origine nella colta cultura greca dell’antichità, in cui il dotare gli dèi di attributi umani suscitava molto biasimo. Ad esempio il concetto di gelosia

80 Ivi, p. 63.

81 Deriva dai termini di lingua greca ἄνθρωπος ( transl. anthropos), che significa ‘essere umano’ e πάθος (pathos). Indica l’attribuzione di sentimenti umani a Dio.

(30)

32

ed invidia come intrinseco alle divinità greche ripugnava profondamente Platone come anche Aristotele

82

. Dall’altra parte secondo Heschel, questo problema ha avuto un’importanza piuttosto limitata per i pensatori ebrei, visto che era in base ad altri presupposti che il pathos divenne argomento della teologia giudaica

83

.

Per un certo tipo di uomo religioso, la natura dell’Essere Supremo era dichiarata incompatibile con l’attribuzione di emozioni o passioni. Quindi, poiché il pathos di Dio veniva considerato un aspetto dell’antropomorfismo o, meglio, dell’antropopatia, si preferì ignorarlo o cancellarne il significato. Malgrado ciò, per il nostro autore, la fallacia di queste affermazioni è celata dietro la loro scorrevolezza; non crede, infatti, che le parole contenute nell’Antico Testamento, avrebbero semplicemente personificato Dio per poi arrivare a screditarlo

84

.

Il malinteso del considerare il pathos divino come una forma di antropomorfismo è ovviabile ricordando la relatività del modo d’espressione che l’uomo, per sua stessa natura, è costretto ad utilizzare. Le Sacre Scritture usano un linguaggio umano perché trattano dei problemi dell’uomo e si devono servire di quel vocabolario nei discorsi che espongono. Invece di coniare nuove parole, la Bibbia ha conferito un nuovo significato a quelle che ha preso in prestito, utilizzando un registro linguistico antropomorfico per comunicare il suo essere assolutamente non antropomorfico

85

.

Non va dimenticato che tutte le affermazioni che l’essere umano può produrre a suo riguardo circa Dio, sono inevitabilmente inadeguate. Potrebbe

82 Cfr. Platone, Fedro, 247a, Laterza, Roma-Bari, 2005, e Timeo, 29e, a cura di G. Reale, Bompiani, Milano, 2000; Aristotele, Metafisica, 983a., Bompiani, Milano, 2000. Come per gli esempi precedenti, anche qui ritroviamo l’accostamento di Heschel al pensiero greco.

83 Cfr. A. J. Heschel, Il messaggio dei profeti, Borla, Roma, 1981,cit., p. 68.

84 Ivi, p. 69.

85 Ivi, p. 77.

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33

forse fare altrimenti? Le parole dovrebbero perciò essere considerate allusioni più che descrizioni, delle affermazioni riduttive anziché adeguati resoconti, in quanto il loro scopo è quello di portare un aiuto per suscitare la sensibilità dell’uomo alla sua realtà

86

.

«Il Signore Iddio è il mio pastore, non mancherò di nulla; tra bei paschi ei mi posa». Sal 23, 1.

Da questo primo versetto tratto dal Salmo 23, chiaramente allusivo e non dimostravo, bisogna riconoscere la grande difficoltà in cui è andato incontro il linguaggio biblico quando ha tentato di riconciliare nelle parole dei termini di livello superiore. Per Heschel, si può perciò parlare di un adattamento di queste a significati superiori, ma non il contrario; difatti, è proprio la sfida nell’uso di espressioni inadeguate che spinge la mente ad oltrepassare il significato semplicemente letterale delle parole

87

.

«Le affermazioni sul pathos non sono un compromesso, non sono modi di adattare significati superiori al livello inferiore di comprensione umana. […] la coscienza religiosa sperimenta un senso di potere superumano, più che un concetto di paragone umano».88

Il pathos è un pensiero che semplicemente somiglia ad un aspetto della realtà divina, la quale viene rapportata al mondo dell’uomo

89

. Poiché si tratta di una categoria teologica, è un’autentica comprensione della relazione di Dio con l’uomo, anziché una proiezione di aspetti umani nella divinità; ergo la concezione del pathos consta di componenti umani ma, cosa più importante, di una struttura superumana

90

. In effetti, se si considerasse il pathos come una mera forma di umanizzazione di Dio, allora certamente il significato profondo di questa

86 Ibid.

87 Cfr. A. J. Heschel, Il messaggio dei profeti, Borla, Roma, 1981, cit., pp. 77-78.

88 Ivi, p. 71.

89 Ibidem.

90 Ibid.

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