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Il settore sanitario ha subìto, nell’ultimo ventennio, profonde modiche diventando sempre più vasto, complesso e competitivo.

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INTRODUZIONE

Il settore sanitario ha subìto, nell’ultimo ventennio, profonde modiche diventando sempre più vasto, complesso e competitivo.

Al fine di soddisfare e superare le aspettative dell'utente è necessario integrare, in modo innovativo ed attento, discipline e identità complesse quali il controllo di gestione, l'organizzazione e le risorse esistenti.

Il compito del management è quello di garantire una gestione volta al miglioramento continuo in ognuno dei processi che caratterizzano l'attività dell'azienda stessa e, per raggiungere tali obiettivi, è necessario investire nel Sistema di Qualità.

Tuttavia, in questo ambito emergono esigenze di qualità non solo in termini di efficacia ed efficienza delle prestazioni ma anche in termini di socialità delle stesse affiancando le caratteristiche di competitività tra strutture pubbliche e private, in un’ottica di orientamento all’utente e di controllo dei risultati.

Occorre tenere presente che l’attività delle aziende sanitarie si configura come

“servizio” e, in questo senso, la qualità diviene elemento caratterizzante del servizio stesso.

Gli elementi che contraddistinguono i servizi (intangibilità e immaterialità dell’output;

congiunzione spazio-temporale dei processi di produzione e di consumo; non trasferibilità nel tempo e nello spazio; peculiarità e limitazioni nell’adozione di procedimenti di standardizzazione) rendono difficile la realizzazione di una precisa e omogenea definizione del servizio offerto e, a maggior ragione, ne rende difficoltosa anche la sua misurazione ai fini della valutazione.

Partendo da tali considerazioni, il lavoro è stato concepito con un primo studio delle riforme in ambito sanitario, susseguitesi negli anni, con lo scopo di cogliere l’evoluzione dei presupposti principali per una gestione manageriale anche in sanità e, più in generale, il percorso verso l’istituzione delle aziende sanitarie ed ospedaliere.

Nel contempo, è stato intrapreso un forte processo di regionalizzazione, il quale ha

determinato notevoli trasformazioni, con modalità di applicazione differenti, in termini

di scelte di politica sanitaria, facendo in modo che tale materia diventasse di

competenza delle regioni; verranno quindi descritti, in modo sintetico, i principali

modelli di governance dei sistemi sanitari regionali in Italia.

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Il lavoro prosegue con l’analisi dell’accreditamento, ovvero il processo che porta a riconoscere che un’organizzazione sanitaria soddisfi determinati requisiti. Si andrà a distinguere l’accreditamento “di eccellenza”, ossia attività a carattere volontario, nel panorama internazionale da quello “istituzionale” nel contesto nazionale italiano, dove l’accreditamento è previsto come attività obbligatoria per le strutture che vogliono erogare prestazioni in nome, per conto e a carico del Servizio Sanitario Nazionale.

Successivamente, nel terzo capitolo, è stato svolto un approfondimento riguardante la norma UNI EN ISO 9001:2008, la quale specifica i requisiti dei sistemi di gestione per la qualità da utilizzarsi quando un’organizzazione vuole dimostrare la propria capacità a fornire prodotti/servizi che soddisfino i requisiti cogenti e quelli dei clienti/utenti, accrescendone così la soddisfazione. Verranno quindi considerati gli attori coinvolti, i principi di gestione, le fasi di attuazione e i suoi riflessi in ambito sanitario.

Nell’ultimo capitolo, si è voluto dare una valenza pratica all’applicazione della norma, attraverso l’analisi del percorso di certificazione intrapreso dal Dipartimento Amministrativo dell’ASL 6 Livorno.

Si analizzeranno gli obiettivi che hanno spinto l’Azienda ad avviare tale iniziativa, gli

sforzi compiuti in merito e gli aspetti innovativi, arrivando così a un prestigioso

risultato.

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CAPITOLO 1

CONTESTO DI RIFERIMENTO E RIFORME IN AMBITO SANITARIO

1.1 Premessa

Gli anni ’90 segnano un importante tassello nelle amministrazioni pubbliche

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. In quel periodo l’Italia attraversa una profonda crisi di tipo finanziario tale per cui il sistema delle partecipazioni statali, che aveva caratterizzato il sistema economico nazionale, viene smembrato in virtù di tre ragioni:

 inizio del processo di convergenza verso la moneta unica (Euro) e di conseguenza diventa fondamentale rientrare in certi parametri di deficit definiti dall’Unione Europea;

 il trattato di Schengen, ma ancor prima, tutti i trattati che avevano agevolato lo scambio di merci presupponevano che ci fosse un regime di concorrenza perfetta e di conseguenza non era più possibile concepire il finanziamento statale alle imprese che operavano sul mercato, in quanto sarebbe stata una forma di finanziamento scorretto;

 la spesa pubblica era insostenibile per le casse dello Stato.

Queste sono le premesse per la nascita di un nuovo filoni di studi, il New Public Management (NPM); non esiste una definizione universalmente riconosciuta di questo movimento ma lo si può delineare come il movimento generale che ha elaborato tesi secondo cui un miglioramento dell’amministrazione pubblica deriverebbe dall’applicazione di strumenti di ispirazione privatistica. In tal senso, gli elementi fondamentali che apporta nel sistema sono:

 l’utilizzo di strumenti manageriali nella gestione delle imprese pubbliche;

 cambiamento del ruolo del management in quanto il manager è responsabile non solo di come gestisce ma anche dei risultati che ottiene dalla sua gestione infrangendo così il modello burocratico

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;

1 Per approfondimenti cfr. Percorsi aziendali per le pubbliche amministrazioni, Anselmi L., Giappicchelli Editore, 2014.

2 Il modello burocratico trova le proprie origini nel pensiero di Weber il quale dispone che le finalità aziendali siano prestabilite dalla norma e dall’uso rigido che se ne fa.

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 snellimento della pubblica amministrazione concedendo la possibilità, in particolare alle aziende, di ricorrere all’esterno per erogare o avvalersi di determinati servizi che si possono definire di supporto (ad esempio pulizia, movimentazione, sistemi informativi) in modo che la pubblica amministrazione si concentri solo sul suo “core business”;

 possibilità di attribuire a soggetti privati l’esercizio di servizi pubblici.

Tuttavia, permangono alcune debolezze (Hughes, 2003; Pollitt, 1993), legate prevalentemente all’assunto di razionalità alla base di tale modello

3

.

Affermandosi il NPM si arriva alla cosiddetta “aziendalizzazione” che deve essere concepita dal punto di vista economico-dottrinale come l’introduzione dei criteri elaborati da Giannessi secondo i quali l’azienda ha come scopo il raggiungimento dell’equilibrio economico a valere nel tempo; questo collideva in maniera molto forte con l’impostazione diffusa in quel periodo in base alla quale esistevano due tipi di imprese, quella privata, con l’obiettivo di raggiungere l’utile, e quelle pubbliche che svolgevano una funzione sociale e quindi potevano essere governate con criteri diversi da quello economico-aziendale. Così facendo le strutture chiudevano in perdita, la quale si ripercuoteva sulla collettività, e quindi non si creava beneficio per la società ma piuttosto depauperamento sociale distruggendo ricchezza. Nell’approccio di Giannessi, invece, l’azienda deve essere in equilibrio economico a valere nel tempo e di conseguenza, nel lungo periodo, l’entità dei costi deve essere remunerata dall’entità dei ricavi creando così ricchezza e quindi valore sociale.

Nella realtà però, la non corretta interpretazione dell’economicità

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ha portato ad un netto taglio della spesa.

Per meglio comprendere la portata delle scelte strutturali avvenute nei primi anni ’90 può essere utile analizzare la classificazione dei sistemi sanitari dei vari Paesi: in letteratura è stata introdotta una distinzione tra modello individualistico (USA) e modello solidaristico (Europa), i quali hanno una visione diversa con riferimento ai consumi e alla percezione dei servizi sanitari.

Il modello individualistico si basa sulla concezione che il bisogno salute sia collocabile tra i bisogni individuali quindi così come il soggetto percepisce reddito per soddisfare i

3 Per approfondimenti cfr. Rilanciare il Welfare Locale. Ipotesi e strumenti: una prospettiva di management delle reti., Fosti G., Egea, Milano 2013.

4 Il termine “economicità” è definito come il processo che mira al raggiungimento del massimo risultato possibile attraverso il minor utilizzo di risorse ed eliminando le inefficienze.

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propri bisogni primari, altrettanto percepisce reddito per tutelarsi dal punto di vista sanitario: la caratteristica principale è privilegiare la scelta individuale nell’organizzazione sanitaria ovvero attribuisce al cittadino la responsabilità della tutela della propria salute, restando strettamente correlata alla capacità reddituale del singolo.

Gli Stati non offrono pertanto un servizio nazionale obbligatorio.

Tale modello, inoltre, assegna un’importante funzione sociale all’iniziativa privata. Il finanziamento viene affidato prevalentemente ai meccanismi assicurativi privati che, nell’ambito del libero gioco della concorrenza, offrono ai cittadini statunitensi diverse soluzioni di copertura assicurativa. Esistono comunque importanti meccanismi solidaristici negli Stati Uniti, attivati prevalentemente a livello federale: Medicare e Medicaid, due programmi assicurativi pubblici istituiti, rispettivamente, per la tutela di anziani e disabili e delle fasce più povere della popolazione.

Ad esso si contrappone il modello solidaristico il quale valorizza il perseguimento di due obiettivi fondamentali: l’equità e l’universalità dell’accesso ai servizi. In molti modelli europei lo Stato garantisce un’assistenza sanitaria (in alcuni casi tramite Servizio Sanitario Nazionale) per la quale ogni cittadino è obbligato a pagare una quota, decisa per legge, del proprio reddito, indipendentemente dalla frequenza e consistenza delle prestazioni richieste.

Da un punto di vista istituzionale, i sistemi solidaristici sono noti per avere assegnato allo Stato le più ampie responsabilità in tema di organizzazione del sistema, con un conseguente elevato accentramento nelle mani dell’operatore pubblico dei processi decisionali in materia di finanziamento ed erogazione.

Sulla base di tali considerazioni, il dibattito ha tradizionalmente attribuito al modello solidaristico la capacità di valorizzare lo Stato e al modello individualistico la valorizzazione dei meccanismi competitivi

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.

Tale interpretazione, con riferimento al modello europeo evidenzia il sostanziale orientamento di breve termine dell’azione dello Stato, concentrata sui consumi presenti e alla ricerca di un equilibrio tra risorse disponibili e bisogni attuali.

Sia il modello americano che quello europeo, nonostante presentino notevoli differenze, sono accomunati da difficoltà molto simili. Il primo, basandosi su un’organizzazione burocratica priva di qualsiasi stimolo competitivo, è risultato poco efficiente: ha generato costi elevati per la finanza pubblica ed ha contribuito nel tempo alla

5 Per approfondimenti cfr. Economia e strategia delle imprese farmaceutiche, Bruzzi S., Giuffrè, 2009.

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diminuzione della qualità e quantità dei servizi erogati. Il secondo, invece, ha generato problemi a livello di sistema a causa di un’elevata percentuale della popolazione priva di copertura assicurativa o, laddove presente, poco adeguata alle esigenze della comunità.

In Italia il sistema sanitario è tipo solidaristico dal 1948 con l’elaborazione della Costituzione e si basa su due concetti fondamentali:

 opportunità politica: idea politica che propone un certo tipo di modello;

 accettabilità sociale: i soggetti devono essere socialmente idonei a recepire quel modello.

Da ciò si evince il passaggio fondamentale del cambiamento del bisogno: ragionando in modo astratto, in base alle teorie economiche, in presenza di una domanda molto forte e un numero di offerenti ampio, il miglior mercato di allocazione è rappresentato dalla libera concorrenza. Tuttavia in virtù dell’opportunità politica e dell’accettabilità sociale il bisogno “salute” acquisisce il connotato di pubblico ovvero di bisogno che si ritiene proprio dell’intera collettività e di conseguenza se ne fa carico lo Stato nella sua interezza. Da qui nasce il Welfare State

6

.

1.2 L’assistenza sanitaria in Italia

1.2.1 Il Servizio Sanitario Nazionale: legge 23 dicembre 1978, n. 833

L’evoluzione normativa del Sistema Sanitario Nazionale Italiano, di seguito SSN, ha come punto di riferimento essenziale l’art. 32 della Costituzione il quale recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.”

6 Il termine "Welfare State" ("Stato del benessere" o "Stato Sociale") sta ad indicare un orientamento politico in cui la promozione della sicurezza e del benessere socio-economico dei cittadini è assunta dallo Stato, nelle sue articolazioni istituzionali e territoriali, come propria prerogativa e responsabilità è caratterizzato da una rilevante presenza pubblica in importanti settori tra cui quello dell’assistenza sanitaria.

Secondo tale modello il finanziamento del sistema sanitario deve avvenire mediante imposte ma l’idea alla base è che non ci sia diretta correlazione tra colui che paga le imposte e colui che usufruisce del servizio. La tutela della salute è un diritto della persona e non del cittadino.

A tale modello si contrappongono quello mutualistico e privatistico. Per approfondimenti cfr. CRIVELLINI M., Sanità e salute: un conflitto d'interesse. I sistemi sanitari dei maggiori paesi europei e degli Stati Uniti, Franco Angeli, 2009.

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La norma costituzionale costituisce dunque il perno centrale del sistema, non soltanto per quanto riguarda strettamente il quadro normativo di riferimento del SSN, ma anche, e soprattutto, perché si tratta di una disposizione che ha consentito una rilettura costituzionalmente “orientata” di numerosi istituti civilistici correlati alla tutela del

“bene” salute.

Prima di ripercorrere l’evoluzione normativa che ha portato alla istituzione del SSN, è opportuno focalizzarsi su due aspetti fondamentali e rilevanti, entrambi desumibili dall’art. 32 della Costituzione. Il primo si riferisce al fatto che la norma costituzionale affida espressamente la tutela della salute alla Repubblica Italiana e non allo Stato Italiano; ciò significa che la cura e la tutela della salute dei cittadini è affidata a tutti i soggetti attori del sistema, che non si esauriscono nel concetto di “Stato”, cioè all’insieme di soggetti pubblici coinvolti nel comparto “sanità” (Stato ed altri enti pubblici, territoriali e non). È noto, infatti, che quando la Costituzione utilizza il termine

“Repubblica” non si riferisce al concetto di Stato in senso stretto, ma a tutti gli altri soggetti ed enti che concorrono a costituire la repubblica in base a quanto previsto dall’art. 114, secondo la distribuzione di competenze previste dalla stessa Costituzione e dalla legislazione di settore

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.

Il secondo pone un limite all’attività sanitaria dello Stato: solo la legge può obbligare l’individuo ad un determinato trattamento sanitario; inoltre il legislatore pone il divieto di violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. In virtù di tale limite si pongono vincoli operativi all’amministrazione pubblica ovvero sono impediti i trattamenti sanitari che non trovino, a monte, un’espressa disposizione legislativa che li consenta dopo aver operato un adeguato bilanciamento degli interessi coinvolti

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.

Per una piena attuazione dei principi costituzionali espressi dall’art. 32, si è dovuto attendere quasi trent’anni con la legge 23 dicembre 1978, n. 833, che costituisce ancora oggi, pur con i numerosi interventi di riforma che si sono susseguiti nel tempo, l’impianto base di riferimento.

Con la L. 13 marzo 1958 n.296 si riconobbe la necessità di dare alla materia della salute pubblica una connotazione specifica ed autonoma: venne perciò istituito il Ministero della sanità che assorbì le competenze di tutte le altre amministrazioni fino ad allora operanti in materia di sanità pubblica. Ad esso fu attribuito il compito generale di

7 Per approfondimenti cfr. Il servizio sanitario nazionale italiano: profili generali., Egidi R., Dereito vol.20, n.2, 2011.

8 Per approfondimenti cfr. Compendio di diritto sanitario, Veronelli G., Edizione Giuridiche Simone, 2013.

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provvedere a tutto ciò che riguardasse la tutela della salute pubblica. Collaboravano con il Ministero il Consiglio superiore di sanità con funzioni consultive e l’Istituto superiore di sanità in qualità di organo tecnico-scientifico.

Quali organi periferici del Ministero della sanità furono istituiti:

- l’Ufficio del medico provinciale e l’Ufficio del veterinario provinciale, coordinati dal Prefetto;

- gli Uffici sanitari dei Comuni e dei Consorzi comunali;

- gli Uffici sanitari speciali (di confine, porto ed aeroporto).

In quegli anni, il sistema sanitario era affidato ad una serie di enti mutualistici (cosiddette “casse mutue”); il diritto alla salute, quindi, era strettamente connesso allo status di “lavoratore” (e, in quanto tale, di iscritto ad un determinato Ente mutualistico) e non di cittadino. In estrema sintesi, si trattava di un sistema basato su di un regime di assicurazione per categorie che garantiva l’assistenza sanitaria ai soli soggetti iscritti (ciò in sostanziale antitesi con il principio di universalità della prestazione posto alla base del SSN). Ciò comportava, peraltro, inevitabili disuguaglianze di trattamento, correlate all’appartenenza dell’assistito ad Enti mutualistici più o meno “ricchi” e, quindi, in grado di erogare servizi qualitativamente e quantitativamente migliori.

Il modello “mutualistico”

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è stato superato con l’istituzione del SSN avvenuta ad opera della legge 833/78.

La norma istitutiva definisce il SSN come “complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l'eguaglianza dei cittadini nei confronti del Servizio.” (L. 23 dicembre 1978, n.883, “Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale”, art.1, comma 1).

Tale processo di riforma prevede quindi l’istituzione di una struttura istituzionale centrale, suddivisa in Unità Sanitarie Locali (il cui ambito territoriale coincide con quello del Comune), deputata alla produzione ed erogazione di interventi socio- assistenziali omogenei cui ogni individuo può accedere in base al diritto soggettivo ad usufruire del servizio sanitario sul territorio nazionale.

9 Tale sistema si presentava frammentato in una miriade di enti eterogenei e scollegati e la gestione economica della sanità era affetta da disfunzioni che, facendo gravare sempre più il costo del sistema sanitario sui cittadini, resero urgente un riordino della struttura e dell’organizzazione di un impianto sanitario ormai inadeguato alle necessità sociali

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Il disegno organizzativo perseguito dal legislatore si ispira ai principi di:

 universalità della tutela sanitaria garantita: viene riconosciuto il diritto ad un accesso generalizzato ai servizi sanitari da parte di tutti i cittadini senza alcuna distinzione

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;

 uguaglianza dei destinatari delle prestazioni in capo ai quali si configura un diritto pubblico soggettivo alla tutela della salute;

 globalità delle prestazioni secondo un sistema sinergico di assistenza;

 socialità per cui le prestazioni non sono solo di cura ma anche di prevenzione e di controllo.

Dall’altra parte, la stessa legge 833/78, delineava l’assetto istituzionale e organizzativo del SSN, nonché le modalità di programmazione e finanziamento e i relativi tempi di attuazione, affidando molti aspetti fondamentali per la realizzazione del SSN a successivi interventi legislativi, statali e regionali, che spesso sono mancati.

Per quanto riguarda l’assetto istituzionale, la legge affidava l’attuazione del Servizio a diversi centri autonomi di decisione: Stato, Regioni e Comuni.

I compiti dello Stato erano di:

 determinare gli obiettivi della programmazione sanitaria nazionale, nell'ambito della programmazione economica nazionale;

 fissare i livelli delle prestazioni sanitarie che devono essere garantite a tutti i cittadini, nell'ambito del Piano Sanitario Nazionale (PSN);

 individuare e coordinare le attività amministrative delle regioni in materia sanitaria, per esigenze unitarie ed internazionali, di programmazione nazionale, di controllo della spesa sanitaria;

 dividere fra le regioni il Fondo Sanitario Nazionale (FSN).

10 Tale principio generale è stato progressivamente migliorato con l’introduzione di alcuni correttivi quali, ad esempio, la situazione reddituale dei beneficiari o la previsione della compartecipazione al costo delle prestazioni da parte degli assistiti, se non, addirittura, l’esenzione totale dalla spesa.

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I compiti delle Regioni

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comprendevano:

- fare le leggi in materia sanitaria ed ospedaliera, nel rispetto dei principi generali fissati dalle leggi dello Stato;

- esercitare le funzioni amministrative proprie e delegate dallo Stato;

- fare i Piani Sanitari Regionali (PSR);

- dividere fra le USL il Fondo Sanitario Regionale (FSR);

- stipulare convenzioni con le Facoltà di Medicina e gli enti di ricerca per regolare i contributi delle USL e dell'Università alle attività di assistenza, di didattica e di ricerca.

Ai Comuni invece spettava l’effettiva gestione dei servizi; a livello locale la legge affidava l’erogazione dei servizi sanitari sul territorio, attraverso le Unità Sanitarie Locali (USL), cui venivano accorpati gli ospedali.

Pur restando i Comuni titolari delle competenze attuative nel campo dell’assistenza sanitaria e ospedaliera, le USL finivano per essere le principali protagoniste della politica sanitaria a livello locale in quanto rappresentavano le vere strutture operative territoriali del SSN. Infatti all’interno delle USL si svolgevano tutte le prestazioni di ambito sanitario, riconducibili a tre tipologie:

‐ attività di degenza per acuzie imminenti o di elezione erogate dagli ospedali;

‐ servizi territoriali (o attività di distretto) nei quali rientrano servizi di medicina generale, di tipo farmaceutico e accessori

‐ servizi di prevenzione.

La legge 833/78 definiva anche uno schema organizzativo generale comune a tutte le USL del territorio nazionale. Tale schema prevedeva che ciascuna USL fosse amministrata dall'Assemblea Generale, costituita dal Consiglio comunale o dall'assemblea dell'associazione dei comuni, nel caso in cui il territorio della USL insistesse su più comuni. All'Assemblea fu demandato il compito di fissare le linee di fondo dell'attività della USL (approvazione dei bilanci e dei conti consuntivi, dei piani, dei programmi e delle spese pluriennali, della pianta organica del personale, dei regolamenti e delle convenzioni).

11 Si parla di legislazione concomitante in cui, però, quella dello Stato era egemone e quella regionale era di supporto, di declinazione di quelle che erano le fattispecie generali.

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Al Comitato di Gestione, eletto dall'Assemblea Generale, spettavano tutti gli atti di amministrazione delle USL, le cosiddette delibere. In particolare il Presidente del Comitato di Gestione, eletto dallo stesso Comitato, godeva di potere di rappresentanza della USL e di adozione degli atti di gestione necessari ed urgenti, da sottoporre alla successiva ratifica del Comitato di Gestione.

L’attività amministrativa dell’USL è stata perciò affidata ad organi di natura politica e ciò ha fatto sì che, spesso, i gestori delle USL fossero dotati di scarsa esperienza e competenza amministrativa.

L’ultimo organo previsto dalla legge, il Collegio dei Revisori dei Conti, era composto da tre membri, uno designato dal ministro del Tesoro, uno dalla regione e uno dall’Assemblea generale; ad esso spettava verificare la conformità alle leggi e la correttezza economico contabile degli atti della USL

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.

Per quanto riguarda la funzione di programmazione, affidata al livello di governo centrale, si sviluppava attraverso la definizione e approvazione del Piano Sanitario Nazionale (PSN)

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.

Tale documento definiva le linee generali di sviluppo e le modalità di svolgimento delle attività istituzionali del SSN e quindi costituiva il principale strumento di coordinamento del sistema.

Nello specifico, l’art. 53 della legge 833/78 (successivamente modificato dalla legge 595 del 23 ottobre 1985) prevedeva che il PSN specificasse:

1. gli obiettivi da realizzare;

2. gli standard nazionali da assumere per la ripartizione del fondo sanitario nazionale tra le regioni, al fine di realizzare in tutto il territorio nazionale un'equilibrata organizzazione dei servizi;

3. gli indirizzi ai quali devono uniformarsi le regioni nella ripartizione della quota regionale ad esse assegnata fra le unità sanitarie locali

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;

12 A questi organi di tipo istituzionale, si affiancava un organo con competenze tecnico-amministrative, l’Ufficio di direzione, composto dai direttori dei servizi sanitari ed amministrativi dell’USL, dal

coordinatore sanitario e amministrativo, i cui compiti erano quelli di coordinare i relativi servizi. Ad essi si aggiungeva il coordinatore sociale nel caso in cui all’interno dell’USL venissero prestati anche servizi sociali.

13 Il Piano Sanitario Nazionale è un documento di durata triennale da sottoporre ad aggiornamento annuale, approvato dal Parlamento e predisposto dal Governo, su proposta del Ministro della Sanità, sentito il Consiglio Sanitario Nazionale (art. 53 L. 833/78).

14 Le regioni predisponevano ed approvavano i propri Piani Sanitari Regionali in base ai quali le singole regioni distribuivano ed erogavano alle USL i finanziamenti derivanti dalla programmazione nazionale.

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4. i criteri e gli indirizzi ai quali deve riferirsi la legislazione regionale per la organizzazione dei servizi fondamentali previsti dalla presente legge e per gli organici del personale addetto al servizio sanitario nazionale;

5. gli indirizzi ai quali devono riferirsi i piani sanitari regionali;

6. le procedure e le modalità per verifiche periodiche dello stato di attuazione del piano e della sua idoneità a perseguire gli obiettivi che sono stati previsti.

La legge 833/78 ha introdotto profonde innovazioni anche per quanto riguarda il finanziamento dell’attività sanitaria, realizzato attraverso l’istituzione del Fondo Sanitario Nazionale (FSN)

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, cui sono fatte confluire tutte le risorse destinate allo stesso dal Governo.

Il meccanismo di alimentazione, di fatto, si presentava come un sistema verticale (a cascata) sintetizzabile nella figura sottostante.

Figura 1- Il Finanziamento del Sistema Sanitario Nazionale [Bruzzi, 1997]

Dallo schema si evince che inizialmente si definiva l’ammontare globale delle risorse assegnate al soddisfacimento dei bisogni sanitari e in seguito si provvedeva alla loro ripartizione tra le unità preposte all’erogazione.

15 Il finanziamento dell’attività sanitaria veniva realizzato attraverso l’istituzione di un apposito capitolo nel Bilancio dello Stato.

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In particolare le risorse utilizzate per il finanziamento del SSN provengono dai contributi sanitari, dalle imposte generali e, infine, da entrate locali, ticket e proventi da servizi a pagamento erogati in strutture pubbliche, che alimentano il FSN solo indirettamente, in quanto entrate di pertinenza diretta delle USL.

Lo stanziamento doveva essere ripartito tra le regioni e successivamente tra le diverse USL comprese nel territorio della regione attraverso il meccanismo della quota capitaria: lo Stato trasferiva tale quota alle regioni in base al numero di abitanti di ciascuna mentre le regioni in base al numero dei cittadini residenti in ciascuna USL

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. Ben presto, però, tale modello ha mostrato e palesato non poche criticità ed evidenti punti di debolezza.

In generale si parla di insuccesso attuativo della legge n.833/78 poiché pur restando valida dal punto di vista legislativo e nei principi, ha fallito in larga parte nella sua messa in opera.

Essa si scontrò rapidamente con una serie di difficoltà legate: all’eredità storica della sanità pubblica italiana, a questioni politiche (nello specifico ci furono forti spinte contro-riformatrici) e a problemi finanziari

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. Inoltre il modello istituzionale così delineato se da un lato consentiva che le scelte in materia sanitaria fossero il risultato dei diversi contributi, di natura locale e centrale, dall’altro ha portato ad un’eccessiva frammentazione delle competenze generando conflitti tra i diversi livelli di governo del sistema, con particolare riferimento alla definizione dei compiti e alla ripartizione delle risorse.

Una delle più grosse debolezze fu però la crisi del processo programmatorio: i prodomi della programmazione erano corretti perché esaltavano la correlazione tra l’entità delle risorse e la definizione dei bisogni sanitari ma il primo Piano Sanitario Nazionale

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è stato emanato solo nel 1993 cosicché uno dei pilastri del SSN è stato vanificato, con una conseguente notevole incertezza anche a livello locale.

Ciò ha fatto sì che il criterio di riparto del Fondo da parte dello Stato alle regioni, e da queste alle USL, sia stato quello della spesa storica (meccanismo incrementale):

16 All’effettiva erogazione alle regioni provvedevano, all’inizio di ciascun trimestre, il ministro del Tesoro e quello del Bilancio, per la parte di propria competenza. A loro volte le regioni provvedevano a ripartire tra le USL, con legge regionale, la quota loro assegnata per le spese correnti (anche in questo caso all’inizio di ciascun trimestre).

17 Per approfondimenti cfr. Dall’organizzazione mutualistica al riordino del S.S.N.: l’excursus storico, Vitale A., Ragiusan 1995.

18 il Ministero con la redazione del PSN doveva esprimere il fabbisogno di salute della popolazione e sulla base di esso individuare la congrua ripartizione delle risorse da assegnare al sistema.

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l’importo dei fondi assegnato veniva determinato in corrispondenza del finanziamento ottenuto nel periodo precedente aumentato di una percentuale pari al tasso d’inflazione.

È evidente che così facendo si favorirono comportamenti tesi alla dilatazione della spesa e l’assenza di qualsiasi vincolo di corrispondenza tra i finanziamenti ricevuti e l’attività posta in essere dalle USL favorì l’inefficienza, dal momento che il perdurare dell’equilibrio risultava più premiante.

Gli obiettivi perseguiti con l’istituzione del FSN avrebbero dovuto essere, nelle intenzioni del legislatore, il coordinamento della politica sanitaria e il controllo della spesa

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ma la mancata emanazione di piani sanitari ne ha reso impossibile il perseguimento: in questo modo il FSN annuale non è mai stato inserito nell’ambito di un piano di sviluppo del sistema, riferito ad un orizzonte temporale più ampio.

In virtù del fatto che negli anni ‘90 il contesto cambia (vedi introduzione), si ha l’esigenza di intervenire nel sistema, di un ripensamento complessivo degli assetti istituzionali relativi al servizio sanitario.

1.2.2 La “riforma bis”: D.lgs. 30 dicembre 1992, n.52

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I risultati insoddisfacenti raggiunti dal SSN hanno portato all’avvio di un processo di riforma dello stesso; il Governo decise di emanare un apposito decreto: il Decreto Legge 25 marzo 1989, n. 111 denominato “Misure urgenti per la riorganizzazione del servizio sanitario nazionale”; ci vollero però tre decreti del 1989, contraddistinti da piccole differenze, prima di arrivare alla nuova disciplina, emanata con il decreto legislativo del 30 dicembre 1992, n.502.

Quest’ultimo introduce profonde innovazioni nel settore della sanità pubblica, indirizzate a promuovere un’ottimale e razionale utilizzazione delle risorse destinate al SSN, a perseguire la migliore efficacia del medesimo, nonché a pervenire un contenimento della spesa pubblica. Si tratta di una riforma di tipo strutturale che si colloca nell’ambito di un più ampio processo di risanamento del sistema economico italiano, necessario per far fronte alla maggiore competizione derivante dai processi di integrazione e globalizzazione dei mercati.

19 Molto spesso le regioni erano costrette ad intervenire per ripianare i deficit originati dallo

“sforamento” degli importi programmati

20 Modificato e integrato con il decreto legislativo 7 dicembre 1993.

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L’impatto della riforma si snoda lungo alcune direttrici principali:

1. progressivo ridimensionamento del ruolo dello Stato in favore delle regioni

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; 2. vengono ridisegnate le modalità con cui viene concepita la gestione delle unità

sanitarie introducendo in tali contesti logiche, principi e strumenti delle realtà private;

3. i rapporti che si instaurano tra unità sanitarie e strutture di erogazione sono disciplinati attraverso l’istituto di accreditamento (vedi capitolo 2).

Con riferimento al primo aspetto, il legislatore attribuisce alle Regioni funzioni legislative e amministrative in materia sanitaria: la concomitanza tra Stato e Regioni viene quindi ribaltata. In questo nuovo contesto le Regioni assumono i lineamenti di Soggetto Economico superando così la separazione tra i poteri di spesa, attribuiti a livello locale, e la responsabilità del reperimento delle risorse attribuita all’Erario (vedi paragrafo precedente).

Per quanto riguarda la programmazione del sistema sanitario, il decreto di riforma ne ribadisce la rilevanza e stabilisce che il PSN debba contenere le indicazioni riguardanti

22

:

 le aree prioritarie di intervento;

 i livelli uniformi di assistenza sanitaria;

 i progetti-obiettivo;

 gli indirizzi relativi alla formazione continua del personale;

 i criteri e gli indicatori per la verifica dei livelli di assistenza assicurati in rapporto a quelli previsti;

 i finanziamenti relativi a ciascun anno di validità del piano in coerenza con i livelli uniformi di assistenza.

I Livelli Uniformi di Assistenza sanitaria (L UA)

23

possono essere definiti come l’insieme di attività e prestazioni sanitarie assicurate in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale tenendo conto dei dati epidemiologici e clinici della popolazione.

21 In quegli anni c’è stato un maggior coinvolgimento del cittadino alla Pubblica Amministrazione quindi era importante che vi fosse un avvicinamento tra erogatore e fruitore del servizio. Attraverso il

decentramento regionale si vuole coinvolgere nel controllo della spesa e nella gestione del servizio un organismo di governo vicino alle esigenze e al consenso dei cittadini.

22 D.lgs. 502/92, art. 1.

23 Successivamente, con il D.lgs..19 giugno 1999, n. 229, definiti Livelli Essenziali di Assistenza sanitaria (LEA).

(16)

20

Spetta allo Stato, siccome riorganizza il sistema, identificare i LUA i quali diventano necessari considerando che questo meccanismo di “regionalizzazione” della sanità poteva portare a differenze notevoli tra le regioni; lo Stato stabilisce i livelli di attività e gli standard prestazionali che ciascuna regione, attraverso le proprie scelte organizzative, deve effettuare

24

La normativa prevede inoltre un iter, per l’emanazione del PSN, più rapido in modo tale da poter superare quello che stato è il maggior punto di debolezza dell’impostazione precedente: la predisposizione e adozione è affidata al Governo e non più al Parlamento.

Altro aspetto rilevante introdotto con la riforma del SSN è il cosiddetto principio di responsabilizzazione finanziaria in capo alle regioni. Quest’ultime sono tenute a predisporre il proprio PSR nei limiti delle risorse disponibili e in coerenza con il PSN e, in base a tale principio, qualora il finanziamento derivante dal FSN non fosse sufficiente per il raggiungimento degli obiettivi, non sarà lo Stato a ripianare gli eventuali disavanzi ma spetterà alla regione integrare il fondo tramite il cosiddetto autofinanziamento regionale: aumento dei tributi regionali o ticket su prestazioni esenti e contributi sanitari obbligatori

25

. Così facendo il legislatore ha superato una delle principali cause che portava ad una continua crescita della spesa sanitaria e ad una inefficiente gestione delle risorse.

Il secondo ambito in cui opera la riforma fa riferimento al processo di

“aziendalizzazione” con il quale si intende il riconoscimento all’USL dello status di

“azienda dotata di personalità giuridica e di autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile e tecnica”

26

; da ciò scaturisce il passaggio di denominazione da USL ad ASL (Azienda Sanitaria Locale), conseguenza di un profondo ridisegno in chiave economico-aziendale che pone i criteri di sostenibilità economica e di equilibrio economico a valere nel tempo come base dell’intera riforma. Le ASL vengono riconosciute come aziende autonome e quindi scorporate dal comune di riferimento al quale non spetta, a differenza della precedente impostazione

27

, la gestione delle USL.

La nuova normativa stabilisce per le ASL un sistema di governance ben definito: il comitato di gestione viene sostituito dal direttore generale, nominato dalla regione, il

24 Con il PSN 1998/2000 i LEA sono organizzati in tre grandi aree: assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di lavoro, assistenza distrettuale e assistenza ospedaliera.

25 D.lgs. 502/92, art 13, comma 1.

26 D.lgs. 502/92, art. 3, comma 1.

27 Con la Legge 833/78 si concepiva l’USL come una struttura operativa del Comune.

(17)

21

quale diviene responsabile della gestione economica e finanziaria dell’ASL, deve possedere competenze specifiche e viene valutato per l’andamento dell’azienda.

Accanto a tale figura si hanno il direttore amministrativo e quello sanitario i quali dirigono, rispettivamente, i servizi amministrativi e quelli sanitari e coadiuvano il direttore generale fornendo supporto con le materie di loro competenza.

Inoltre la normativa ridefinisce l’ambito territoriale di riferimento delle ASL

28

stabilendo che coincida con il territorio della provincia assistendo così ad una notevole diminuzione del numero di ASL e contestualmente un aumento del relativo bacino d’utenza. Tuttavia si riserva la possibilità al governo regionale di trattare in modo specifico determinate aree come le aree metropolitane, montane e ad alta o bassa densità abitativa.

L’elemento di maggior innovazione apportato dalla riforma si può ricondurre alle modalità di erogazione del servizio sanitario: si ha lo scorporo degli ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione dalle ASL e la loro costituzione in Aziende Ospedaliere

29

aventi gli stessi requisiti e la stessa organizzazione delle ASL; si tratta quindi di aziende dotate di personalità giudica, di autonomia economica finanziaria e al vertice un direttore generale responsabile della gestione. Nel caso in cui l’ospedale non possieda i requisiti per lo scorporo, rimane un presìdio dell’ASL ma è comunque dotato di autonomia economica finanziaria.

Nello stesso sistema possono coesistere sia ASL che aziende ospedaliere: l’idea del legislatore è quella di avere da una parte le ASL, che svolgono tutte e tre le attività (vedi paragrafo 1.2) e si configurano su base provinciale e, dall’altra, le aziende ospedaliere, che nascevano per dare evidenza di quelle realtà che sono di particolare rilievo e quindi preposte per erogare i cosiddetti ricoveri ad alta complessità, che richiedono una maggiore specializzazione

30

.

28 D.lgs..502/92, art. 3, comma 5

29 La normativa lascia ampio spazio alla discrezionalità delle regioni per l’individuazione delle aziende ospedaliere (D.lgs. 502/92, art. 4, comma 1,2,3,4). l’articolazione delle aziende ospedaliere dipende, perciò, dal tipo di sistema sanitario regionale adottato.

30 Nel sistema possono essere presenti altri erogatori: Istituti di Ricovero e Cura di Carattere Scientifico (IRCCS) che si occupano di ambiti di ricerca specializzati con un range di prestazioni modesto ed erogatori privati, con un ruolo più o meno forte a seconda dei modelli sanitari.

(18)

22

Pertanto l’ASL acquisisce un duplice ruolo:

- soggetto “produttore” in funzione delle prestazioni sanitarie fornite direttamente attraverso le proprie strutture;

- soggetto “acquirente” per le prestazioni acquistate da altri enti produttori, la cui remunerazione è commisurata ad uno specifico meccanismo tariffario (meccanismo strettamente connesso all’attività erogata).

Tra le importanti innovazioni del D.lgs. 502/92 vi è anche l’introduzione del meccanismo di finanziamento a tariffa per prestazione ovvero un sistema uniforme di tariffe per le prestazioni sanitarie di tutti gli erogatori: è la definizione del nuovo modello di finanziamento che porta allo scorporo degli ospedali dalle USL

31

.

Come accennato precedentemente, il processo di regionalizzazione introdotto dalla

“riforma bis” porta ad attribuire alle regioni un forte potere decisionale in merito alla configurazione del sistema, alle prestazioni da erogare e alle tariffe. In questo nuovo quadro normativo si sono quindi sviluppati sistemi sanitari regionali profondamente diversi tra loro. Nel prossimo paragrafo andremo ad analizzare quelli più rilevanti.

1.3. I sistemi sanitari regionali

1.3.1 Aspetti preliminari.

Ripercorrendo brevemente l’evoluzione normativa (vedi paragrafo 1.2), la legge istitutiva del SSN individuava nelle USL (formalmente coincidente con il territorio dei Comuni) le strutture di erogazione dei servizi sanitari e tutte le strutture pubbliche, compresi gli enti ospedalieri, erano incorporati nelle USL. Occorre tener presente che il titolo V della Costituzione apparso nel 1948, stabiliva una potestà legislativa regionale di scarso peso e le USL erano considerate uno strumento operativo delle Regioni per l’esercizio delle funzioni amministrative delegate dallo Stato in ambito sanitario

32

. Con la riforma del 1992-1993 si è assistito alla trasformazione delle USL in aziende dotate di personalità giuridica e di autonomia imprenditoriale e allo scorporo dei maggiori ospedali dalle USL (diventando Aziende Ospedaliere); oltre a ciò si prevedeva che le ASL dovessero coincidere con il territorio della Provincia. Quest’ultima

31 Per approfondimenti cfr. Finanziamento e gestione delle aziende ospedaliere, Bruzzi S., Giuffrè editore, Milano 1997.

32 Art. 117 della Costituzione.

(19)

23

disposizione venne abrogata nel 1999 con il D.lgs. n.229 che prevedeva, inoltre, criteri più restrittivi per la costruzione di Aziende Ospedaliere (art. 3).

Nel 2001 si ha la modifica del Titolo V della Costituzione, adeguandosi così alla nuova realtà dell'ordinamento regionale ovvero alla riforma degli enti locali realizzata nel decennio 1990-2000 ed al decentramento amministrativo.

La legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001 ridefinisce le competenze tra Stato e Regioni: si rinnova l’art.117 ribaltando l’impostazione precedente, che prevedeva un’elencazione tassativa per le materie di competenza legislativa delle regioni e una competenza legislativa generale allo Stato, stabilendo che «spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato» (art. 117, 4° comma). Da ciò si deduce che lo Stato ha una potestà legislativa esclusiva o concorrente e in quest’ultimo caso allo Stato spetta la determinazione dei principi fondamentali mentre la disciplina di dettaglio spetta alle leggi regionali. Alcuni esempi di materie che rientrano nella legislazione concorrente sono quelle relative ai rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni, al commercio con l'estero, alla tutela e sicurezza del lavoro, all’ istruzione (salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale), professioni, ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi e la tutela della salute.

Alla luce delle riforme legislative, il SSN si è trasformato da una complessa articolazione di istituzioni, strutture, funzioni, risorse e poteri in un “sistema di sistemi sanitari regionali”

33

; lo Stato delega alle Regioni, che a loro volta affidano alle Aziende sanitarie, il compito di promuovere e tutelare la salute della popolazione, rispettando il principio di eguaglianza, dando modo alle regioni di dotarsi di modelli organizzativi assai diversi per governare i propri sistemi sanitari. Facendo un confronto in termini aziendali le Regioni si configurano come le holding delle ASL o delle Aziende Ospedaliere le quali godono di autonomia imprenditoriale nel perseguire le proprie strategie aziendali, pur sempre sotto i vincoli dettati dalle Regioni: rispondono ad esse per le performance di bilancio senza dimenticare che devono rendere conto anche alla popolazione locale per i risultati sullo stato di salute. Le Regioni, per determinare le interazioni con le Aziende sanitarie, fanno riferimento a differenti visioni del ruolo che

33 Cfr. I sistemi di governance dei servizi sanitari regionali, Boni S., Atena S.r.l, 2007

(20)

24

quest’ultime assumo all’interno dei vari sistemi. È interessante quindi analizzare i vari sistemi sanitari per capire le componenti che ne favoriscono il successo rispetto ad altri.

Dalla Relazione sullo Stato Sanitario del Paese 2012-2013, redatta dal Ministero della salute, nella tabella sottostante si osservano situazioni regionali sensibilmente differenti tra loro sotto il profilo delle regole volte a disciplinare l’organizzazione e il funzionamento del Servizio sanitario regionale e i rapporti che intercorrono fra i diversi soggetti istituzionali (tabella 2.1).

Tabella 2.1. Numero di Aziende sanitarie locali e Distretti (Anni 1992-2013)

Regione

Unità sanitari e locali (USL)

Aziende sanitarie

locali (ASL) Distretti attivati Distretti previsti

1992 2005 2011 2013 1999 2005 2011 2013

Piemonte 10 22 13 13 66 65 58 58

Valle d’Aosta 1 1 1 1 14 4 4 4

Lombardia 84 15 15 15 105 85 81 86

PA di Bolzano 4 4 1 1 20 20 20 20

PA di Trento 11 1 1 1 13 13 4 4

Veneto 36 21 21 21 85 56 50 53

Friuli Ven. Giulia 12 6 6 6 20 20 20 20

Liguria 20 5 5 5 26 20 19 19

Emilia Romagna 41 11 11 11 46 39 38 38

Toscana 40 12 12 12 80 42 34 34

Umbria 12 4 4 2 13 12 12 12

Marche 24 1 1 1 36 24 23 13

Lazio 51 12 12 12 23 55 55 48

Abruzzo 15 6 4 4 73 73 25 22

Molise 7 1 1 1 13 13 7 7

Campania 61 13 7 7 113 113 72 73

Puglia 55 12 6 6 70 48 49 49

Basilicata 7 5 2 2 10 11 11 9

Calabria 31 11 5 5 34 35 35 18

Sicilia 62 9 9 9 62 62 62 55

Sardegna 22 8 8 8 23 25 22 22

Italia 659 180 145 143 945 835 701 664

Fonte: Elaborazione AgeNaS su ricognizione delle normative regionali – Anni 1992-2013

(21)

25

Rispetto al 2011 si registra la diminuzione del numero delle Aziende sanitarie locali, passate da 145 a 143 a seguito del riordino del Servizio sanitario regionale della Regione Umbria. Si evidenzia un bacino di utenza medio per ASL di 417.379 abitanti, con un massimo rappresentato dall’Azienda Sanitaria Unica Regionale della Regione Marche (oltre 1.500.000 abitanti). Da rilevare che, a partire dall’1 gennaio 2014, è attiva nella Regione Emilia Romagna l’Azienda Unità sanitaria locale della Romagna (costituita con legge regionale n. 22/2013) operante nell’ambito territoriale dei Comuni attualmente inclusi nelle Aziende Unità sanitarie locali di Forlì, Cesena, Ravenna e Rimini con un bacino di utenza di oltre 1.110.000 residenti.

Per quanto riguarda l’organizzazione territoriale, sono 664 i Distretti

34

previsti nel 2013;

i bacini di utenza sono ampi, con una media nazionale di 89.887 abitanti, superando, pertanto, l’indicazione normativa prevista all’art. 3-quater del D.lgs. 229/99 di una popolazione minima di riferimento per Distretto di 60.000 abitanti.

Risulta confermato il trend decrescente del numero di Aziende ospedaliere, già evidenziatosi negli anni precedenti, effetto della riconversione e dell’accorpamento di molte strutture.

Nel 2013 l’assistenza ospedaliera si è avvalsa di 550 strutture di ricovero pubbliche, di cui il 66% è costituito da ospedali direttamente gestiti dalle ASL, l’11% da Aziende ospedaliere, il 9% da Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico e il restante 14%

dalle altre tipologie di ospedali pubblici.

1.3.2 Classificazione dei sistemi sanitari

Ogni modello ha determinate peculiarità e si differenziano a seconda del ruolo assunto dalle categorie di operatori: il provider (colui che eroga la prestazione), il finanziatore della prestazione e il beneficiario del servizio; i ruoli sono sempre tre mentre gli attori possono anche coincidere.

34 L’indagine nazionale sull’implementazione dei Distretti in Italia, effettuata da Age.Na.S. in collaborazione con le Regioni, ha evidenziato che il Distretto è la sede per coordinare i percorsi sociosanitari e garantire l’integrazione dei servizi e dei professionisti, con differenze territoriali in relazione a maggiori funzioni di tutela/committenza in alcune regioni oppure, in altre, sulla funzione di produzione dei servizi e sull’erogazione delle prestazioni.

(22)

26

Da tempo in letteratura si sono consolidati dei modelli che costituiscono i capisaldi:

 il modello di ASL regolatore (Toscana);

 il modello di ASL terzo-pagatore (Lombardia);

 il modello di ASL-Sponsor (Emilia-Romagna).

La differenza è riconducibile al diverso grado di concorrenza che le Regioni cercano di introdurre nel sistema, anche se gli aspetti di riferimento per determinare modelli sanitari differenti sono molteplici, ad esempio le azioni per il governo della spesa farmaceutica e le integrazioni tra la sanità e l’assistenza.

In base al modello di ASL regolatore, o “toscano”, tutte le risorse derivanti dalla Regione confluiscono per il finanziamento delle 12 ASL presenti sul territorio assumendo perciò il duplice ruolo di erogatore e finanziatore delle prestazioni. Alla base di tale impostazione vi è il concetto di complementarietà tra ASL e Aziende ospedaliere ovvero tra soggetti che operano a livelli diversi

35

poiché l’obiettivo è quello garantire un’omogeneità della qualità percepita dai cittadini e per far questo la concorrenza interna deve essere controllata, regolamentata.

Tale modello è noto per aver introdotto le cosiddette Aree Vaste, meccanismi sovra- aziendali di coordinamento e programmazione delle prestazioni sanitarie che corrispondono ad un determinato contesto territoriale: nord-ovest, sud-est e centro (le ASL sono raggruppate a loro volta in queste tre aree, ognuna dotata di un’Azienda Ospedaliera di riferimento).

Per ogni Area Vasta vi sono i vari direttori generali e responsabili che coordinano l’andamento delle proprie ASL in modo da crescere in maniera omogenea.

Inoltre si svilupparono gli ESTAV, enti strumentali per i servizi tecnico-amministrativi di Area Vasta, con il compito di gestire problematiche simili per tutte le ASL, come l’acquisto di materiali sanitari. Nel 2014 è stata approvata la legge, facente parte di un disegno di legge della Giunta il n.293 dal titolo “Misure urgenti di razionalizzazione della spesa sanitaria”, che sancisce il passaggio da tre ESTAV a ESTAR unico per tutta la Regione.

Da tali considerazioni si evince che il modello toscano si basa su livelli sovrapposti di governance, poiché il coordinamento richiede maggiore concertazione, e cerca di non enfatizzare la competizione a livello regionale.

35 ASL erogano prestazioni di base mentre le Aziende Ospedaliere servizi di alta specializzazione.

(23)

27

All’opposto del modello dell’ASL regolatore si trova il modello di ASL terzo-pagatore, o “lombardo”. Il servizio sanitario è organizzato in 15 ASL, con un bacino d’utenza che varia dai 96.000 abitanti (Val Camonica) ai 1,3 milioni dell’area milanese, e 29 Aziende Ospedaliere. Il modello si fonda sul concetto di enfatizzare la distinzione tra finanziatore e fornitore delle prestazioni: la funzione erogativa delle ASL si riduce alle attività distrettuali e ad una parte dell’attività di prevenzione mentre le Aziende Ospedaliere, e le altre strutture accreditate, si occupano di erogare le prestazioni; si parla, infatti, di ASL terzo-pagatore per enfatizzare il compito di acquistare servizi per conto dei propri assistiti. Ciò produce un effetto forte in quanto, ottenendo il finanziamento in base alle prestazioni che erogano, le Aziende Ospedaliere si trovano a dover competere fra loro.

Inoltre nel sistema lombardo un ruolo fortissimo è esercitato dal privato, che comunque fa parte del sistema ospedaliero e quindi rappresenta un competitor del sistema pubblico.

Tale impostazione, se da un lato, stimola il perseguimento dell’efficienza e di elevati standard qualitativi, dall’altro, può portare ad una eccessiva frammentazione ovvero disequilibri nella copertura dei servizi sanitari. Per ovviare a questo problema, verso l’inizio degli anni 2000, sono stati introdotti i cosiddetti tetti sulla spesa in modo tale che la specializzazione non avvenisse solo in alcuni ambiti.

Così facendo si ampliò l’ambito di operatività delle aziende ma nonostante ciò le strutture private perseverarono nel “ritagliarsi” delle nicchie apposite fino al punto che dovette intervenne nuovamente la Regione stabilendo di erogare tutte le prestazioni di base connesse alla specialità scelta.

Per regolamentare il sistema, è stato attribuito un ruolo centrale al medico di medicina generale il quale esercita la funzione di “gatekeeper” ovvero colui che fa da sbarramento all’accesso ai servizi

36

.

Infine è prevista la conferenza dei direttori generali nella quale si riuniscono i direttori generali delle ASL e delle Aziende Ospedaliere per redigere un piano di organizzazione del servizio sanitario (a differenza del modello toscano nel quale erano presenti meccanismi di sovra-coordinamento aziendale); dato che ci si trova difronte ad un

36Il forte ruolo del medico di medicina generale è presente in tutti i sistemi ma nel modello lombardo è più marcato perché è il meccanismo a monte per evitare l’incontrollabilità dell’accesso alle prestazioni.

(24)

28

sistema competitivo, la conferenza dei direttori generali rappresenta un piano di concertazione necessario.

A fronte di tale modello si sviluppa un sistema regionale interessante, più recente, ovvero il modello di Azienda Sanitaria Unica Regionale (ASUR) adottato dalla Regione Marche.

L’ ASUR ricevendo l’intero finanziamento ottenuto dalla Regione deve organizzare il servizio sanitario, individuando da un lato i privati e dall’altro le Aziende Ospedaliere.

Si tratta un meccanismo ibrido in quanto la concorrenza rimane tra le Aziende Ospedaliere e le altre strutture (l’ASUR non ha presìdi interni) e, essendoci un’unica Azienda Sanitaria, quest’ultima deve gestire anche l’attività distrettuale, a differenza degli altri modelli nei quali si svolge a livello locale.

Occorre tener presente che tale impostazione è possibile perché si tratta di una Regione di piccole dimensioni e comunque la presenza di minori strutture offre il vantaggio di semplificare il sistema. In tal senso, infatti, la Regione Toscana ha previsto il riordino del sistema sanitario: le Aziende Usl di tipo ‘provinciale’ sono state accorpate in tre grandi Aziende modellate secondo le estensioni delle tre Aree Vaste regionali (si veda Capitolo 4).

Il modello di ASL-Sponsor prevede un ruolo più marcato per l’ASL in termini di programmazione e controllo della spesa; l’azienda ha il compito di valutare gli erogatori pubblici e privati che fanno parte del sistema e quelli che forniscono il miglior rapporto qualità-prezzo vengono sponsorizzati ovvero vengono stipulati appositi contratti di fornitura.

È evidente che in questo modo si limita la libertà di scelta del cittadino tra gli erogatori

target selezionati dall’ASL. La concorrenza è quindi circoscritta, a differenza del

modello lombardo nel quale si ha un meccanismo di concorrenza pura (tra aziende

pubbliche e tra aziende pubbliche e private), ma è comunque sostenuta considerando

che le strutture vogliono riconfermare la sponsorizzazione

(25)

29

1.3.3 Considerazioni conclusive.

Nel nostro Paese la spesa sanitaria, che riveste un’importanza cruciale per i suoi tassi di crescita e per la valenza sociale che tale comparto rappresenta, viene gestita da enti decentrati (le Regioni) mentre allo Stato è affidato il compito di supervisionare il rispetto delle regole e dei vincoli di bilancio.

Per tale motivo sono stati creati meccanismi di competizione, più o meno forte, con l’obiettivo di raggiungere la condizione di equilibrio economico e la soddisfazione dei bisogni del paziente.

La conoscenza dei vari modelli sanitari è quindi importante per i diversi attori del sistema sanitario

37

:

 per il governo centrale affinché garantisca che vengano rispettati i principi ispiratori del SSN (universalità delle prestazioni, equità del finanziamento, della spesa e dell’accesso ai servizi; tali considerazioni valgono anche per le amministrazioni regionali in quanto può influenzare le decisioni di politica sanitaria. Inoltre può permettere di individuare, qualora ci fossero, differenze di efficienze derivanti da spreco di risorse;

 per gli operatori del settore dei servizi sanitari ossia coloro che offrono i servizi poiché può supportare le richieste nei confronti delle Amministrazioni regionali ma anche per i cittadini stessi.

Con la consapevolezza che, nell’ambito sanitario, l’aspetto economico non potesse assumere un ruolo preponderante (non bisogna dimenticare gli aspetti sociali ed etici), il D.lgs..299/99 “Razionalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale” tenta di riformare l’impianto normativo del D.lgs. 502/92, rimanendo però in gran parte disatteso.

37 Per approfondimenti cfr. I sistemi sanitari regionali in Italia. Riflessioni in una prospettiva di lungo periodo., Caroppo M.S., Turati G., Vita e Pensiero, Milano 2007

(26)

30

(27)

31

CAPITOLO 2 L’ISTITUTO DELL’ACCREDITAMENTO

2.1 Il contesto internazionale.

2.1.1. L’accreditamento “di eccellenza”

Per comprendere meglio l’istituto dell’accreditamento a livello internazionale e le sue peculiarità, è opportuno citare alcune definizioni, tra le più significative, formulate da organismi di rilievo in tale ambito:

 JCI (Joint Commission International)

L’ accreditamento è un processo nel quale un’organizzazione esterna alle strutture sanitarie, usualmente non governativa, valuta un’organizzazione sanitaria per determinare se corrisponda ad un insieme di standard finalizzati a mantenere e migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria. L’accreditamento è solitamente volontario.

Gli standard di accreditamento sono normalmente considerati ottimali e raggiungibili. L’accreditamento fornisce all’organizzazione un mandato visibile per migliorare la qualità delle cure fornite ed assicurare un ambiente di cura sicuro

38

.

 ExPeRT (External Peer Review Techniques)

Processo con il quale un soggetto abilitato valuta un individuo, un’organizzazione, un programma o un gruppo, e ne attesta la corrispondenza rispetto a requisiti quali standard o criteri

39

.

 ISQua (International Society for Quality in Health Care)

L’accreditamento è il processo di autovalutazione e di revisione esterna fra pari utilizzato dalle organizzazioni sanitarie per valutare accuratamente il proprio livello di performance relativamente a standard prestabiliti e per attivare modalità di miglioramento continuo del sistema sanitario

40

.

38 International Accreditation Standard for Hospital, preview edition, Joint Commission on Accreditation of Health Care Organizations, 1999.

39 ExPeRT bulletin, 1996.

40 Regole operative della federazione, 1998.

(28)

32

Partendo da questi presupposti, si evince che si tratta di sistemi volontari, attuati fra pari ed effettuati da un ente terzo (organismo indipendente dalla struttura richiedente); la finalità che si pongono è il miglioramento continuo dei sistemi di erogazione dell’assistenza sanitaria indirizzandone i processi, i risultati e le strutture.

L’attivazione dei programmi di accreditamento è spinta, non solo dalla necessità di ricercare un sistema di controllo-regolazione che consideri le esigenze di qualità dell’assistenza erogata e che ne controlli la crescita, ma anche da ulteriori motivazioni di fondo:

1. la volontà da parte delle strutture sanitarie e dei professionisti di ottenere una valutazione oggettiva dei propri livelli qualitativi;

2. l’interesse delle associazioni professionali e delle società scientifiche ad attivare processi di miglioramento in cui i professionisti rivestono un ruolo attivo, che favoriscano la crescita culturale degli operatori e di conseguenza migliori risultati sui pazienti;

3. la necessità di sottoporre le strutture sanitarie, da parte dei soggetti pagatori, a verifiche di corrispondenza a determinati livelli qualitativi per ottenere l’ammissione ai sistemi di pagamento.

I primi due punti costituiscono la base dei programmi di accreditamento volontario (o di eccellenza) attraverso i quali viene certificata la sussistenza di qualità predeterminante in capo ad una struttura sanitaria che si sottopone volontariamente a giudizio; il terzo infine costituisce il fattore determinante dei programmi di accreditamento obbligatorio o istituzionale, come quello italiano (paragrafo 2.2), improntati su una logica di tipo dicotomico partendo dall’ipotesi di verificare e certificare la conformità di una determinata struttura ai requisiti di qualità.

Che sia svolta da soggetti pubblici o privati, che sia volontaria o obbligatoria, l’attività di accreditamento si è sviluppata in diversi settori

41

.

Volendo analizzare le metodologie di miglioramento e di garanzia della qualità occorre premettere che il contesto socio-culturale e professionale, rispetto al passato, è profondamente cambiato: i cittadini hanno ormai sviluppato una maggiore conoscenza

41 Si pensi, per citare un esempio, alle valutazioni svolte dalle agenzie di rating, su cui si veda il

Regolamento (UE) n.462/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2013 che modifica il Regolamento (CE) n.1060/2009 relativo alle agenzie di rating.

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