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Enti locali e riordino territoriale: unioni di comuni, comunita montane e fusioni.

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

ENTI LOCALI E RIORDINO TERRITORIALE: UNIONI DI COMUNI, COMUNITA’ MONTANE E FUSIONI

Relatore: Candidato:

Prof. Andrea Pertici Michael Santini

(2)

INDICE

Indice………..2

Introduzione……….4

CAPITOLO: Il programma dei Comuni polvere tra efficenza e rappresentanza………5

1.“Comuni polvere”: rappresentanza e livello ottimale di gestione..………5

2.La rappresentanza dei piccoli Comuni all’interno degli enti di secondo livello e la necessità di un riassetto territoriale…….………..……13

3.Alcuni interventi del legislatore in merito alla frammentazione territoriale……….…………17

CAPITOLO 2: Le unioni di comuni……….………..21

1.Ricostruzione dello sviluppo normativo dell’istituto………21

2.Unioni di Comuni e rappresentanza……….37

3.Il Presidente……….……38

4.La Giunta………..40

5.Il Consiglio………43

6.Possibili correttivi per i difetti della rappresentanza nelle Unioni di Comuni……….50

(3)

CAPITOLO 3: Le Comunità montane……….……..…58

1.Contesto storico, sviluppo e competenza legislativa sulle Comunità Montane………58

2.Spending review: finanziaria del 2008, possibile soppressione o trasformazione delle comunità montane?………..66

3.Le Comunità montane come ente necessario, un’auspicabile inversione di marcia……….………..70

CAPITOLO 4: Esercizio associato delle funzioni e Convenzioni……….73

1.Convenzioni fra Comuni..…………..……….……73

2.Consorzi, Accordi di programma ed Patti territoriali……….…..…80

CAPITOLO 5: Le fusioni di Comuni……….82

1.Premessa……….…….82

2.Sviluppo normativo delle fusioni………83

3.Fusioni: criticità e vantaggi valutati alla luce del confronto con gli enti associativi….……….100

4.Modelli efficienti di Unione e fusione: Unione Bassa Romagna vs Valsamoggia………..112

5.Dall’Italia all’Europa: tra accorpamenti coattivi e associazionismo comunale…..……….……….119

Conclusioni………..………124 Bibliografia e Ringraziamenti

(4)

INTRODUZIONE.

Nell’attuale tessuto amministrativo e di fronte ai cambiamenti socio-economici avvenuti negli ultimi venti anni si prefigura come necessario un intervento di riordino territoriale con l’obiettivo di mettere mano agli enti locali verso una migliore efficienza ma soprattutto per andare incontro all’arretramento della rappresentanza perpetrato dalle ultime riforme sul tema.

L’elaborato si occuperà di inquadrare nella prima parte il perché questo riordino sia necessario e di elencare le difficoltà a cui i Comuni di dimensioni eccessivamente ridotte ed isolati vadano incontro.

Ampio spazio sarà dedicato ad analizzare le varie soluzioni che il nostro ordinamento propone dovendo puoi confrontare i due modelli principali costituiti dalle forme associative intercomunali e da i processi di fusione di Comuni, per verificare nella pratica quale sistema sia preferibile e se sono possibili delle modifiche o dei correttivi da applicare che rendano uno dei due modelli rispondente ai requisiti valutati nel corso dello scritto.

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CAPITOLO 1

IL PROBLEMA DEI “COMUNI POLVERE” TRA EFFICIENZA E RAPPRESENTANZA.

Sommario: 1.“Comuni polvere”: rappresentanza e livello ottimale di gestione. 2.La rappresentanza

dei piccoli Comuni all’interno degli enti di secondo livello e la necessità di un riassetto territoriale.

3.Alcuni interventi del legislatore in merito alla frammentazione territoriale.

1.“Comuni polvere”: rappresentanza e livello ottimale di gestione. La frammentazione amministrativa è uno dei temi che maggiormente interessa enti locali, cultori della materia, ma soprattutto, visto il susseguirsi degli interventi negli ultimi anni, anche il legislatore. Il dibattito ha occupato tutto il secolo scorso, già nel 1967 Massimo Severo Giannini coniava il termine “Comuni Polvere” per descrivere i Comuni sotto i 5000 1 abitanti sottolineando come Comuni di dimensioni eccessivamente ridotte non fossero in grado di erogare servizi fondamentali per i cittadini in modo efficiente, ma il tema ha visto una particolare attenzione del legislatore solo negli ultimi anni a seguito della crisi economica che ha inciso sopratutto su gli enti locali.

Il problema affonda le radici nel passato e nella storia amministrativa del nostro Paese fortemente influenzata dal modello centralista franco-piemontese diffusosi con le conquiste napoleoniche e mantenuto anche dopo la restaurazione. Con l’unità del Regno d’Italia i Comuni erano nel

S.IOMMI, Associazionismo e fusioni di comuni, punti di forza e criticità delle politiche di incentivo.

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numero considerevole di circa 7720 unità arrivate a 8383 con l’annessione del Veneto e del Lazio, essi però presentavano sul piano sostanziale delle differenze relative alla densità di popolazione ; infatti la società di allora 2 era in prevalenza rurale, da ciò conseguiva che solo 500 enti comunali sul totale sopra citato avesse una popolazione inferiore a 500 abitanti ma nonostante ciò la neonata amministrazione statale tentò di ridurre il numero dei Comuni accorpandoli in territori più ampi e con maggior densità di popolazione ritenendoli maggiormente idonei a svolgere le funzioni loro attribuite ma il numero negli anni, al contrario, non fece che aumentare andando di pari passo con spopolamento delle campagne e delle zone montane a favore delle grandi città, lasciando in eredità alla fine del XX secolo un elevatissimo numero di Comuni scarsamente popolati.

La situazione si è aggravata con la crisi del 2007. Da quella data sono seguiti diversi interventi di “spending review” da parte del legislatore, soprattutto di natura alluvionale ed emergenziale, andando a colpire un sistema politico-amministrativo basato su dinamiche di gestione e di spesa che si erano sedimentate negli anni e che avevano comportato non poche difficoltà di risposta ad un cambiamento così repentino e radicale nell’utilizzo delle risorse pubbliche.

Le problematiche maggiori sono state riscontrate tra tutti gli enti ed in modo particolare dai Comuni, ente più vicino al cittadino, e soprattutto da

G.MASSARI, I piccoli Comuni di fronte alla crisi e l’alternativa della fusione:uno sguardo critico, in

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quelli di modeste dimensioni, alcuni con poche centinaia di abitanti. La diminuzione di risorse a loro disposizione ha determinato una modalità insufficiente di risposta alle esigenze dei cittadini con una minore capacità di spesa e quindi una crescente difficoltà nel garantire i servizi di natura pubblica .

I cosiddetti “Comuni polvere” sono la maggioranza, circa il 70% dei Comuni Italiani non supera i 5000 abitanti e di questi l’80% presenta un numero di cittadini inferiore a 3000 abitanti di cui circa il 19% si trova concentrato nella sola Regione Piemonte . Al contrario molti studi 3 dimostrano che il livello ottimale di gestione necessario per l’erogazione di servizi in modo più efficiente sia costituito da quelle realtà con un bacino demografico vicino ai 20.000 abitanti . 4

Questi numeri comportano delle criticità nella gestione del territorio da parte dei Comuni su due piani diversi: economico-gestionale e politico. Sul piano economico unità così basse causano una certa difficoltà nel reperire risorse dovute al numero di contribuenti ridotto ed alla difficoltà di attirare consistenti investimenti e nel cogliere occasioni (salvo casi 5

Dati www.tuttitalia.it.

3

G.MASSARI, I piccoli Comuni di fronte alla crisi e l’alternativa della fusione:uno sguardo critico, in

4

Federalismi, 23 marzo 2016.

A.SPANO, Le unioni di comuni, collaborare mantenendo la propria autonomia, Maggioli Editore. S.MANESTRA, G.MESSINA, A.PETA L’unione (non) fa la forza? Alcune evidenze preliminari

sull’associazionismo comunale in Italia, Questioni di economi e Finanza. Banca d’Italia

OCSE (2006), “The efficiency of sub-central spending”, Workshop proceedings, OECD Network on fiscal relations across levels of government.

F. CALZAVARA, La premialità fiscale come strumenti per favorire le Unioni di Comuni, in

Federalismi, 28 luglio 2010.

R. Pacella , G. Milanetti , G. Verde Fusioni: Quali vantaggi? Risparmi teorici derivanti da un’ipotesi

di accorpamento dei comuni di minore dimensione demografica. Dipartimento per gli Affari Interni e

Territoriali Direzione Centrale della Finanza Locale, Ministero dell’Interno.

S.IOMMI, Un quinquennio di fusioni di Comuni, in Amministrare, fascicolo 3 2018.

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eccezionali e circoscritti alle zone ad alto interesse turistico) ed anche al maggior costo in proporzione nell’erogazione dei servizi dovuto al mancato raggiungimento delle economie di scala , più i Comuni hanno 6 dimensioni ridotte più i costi dell’azione amministrativa saranno alti e minore sarà la qualità del servizio svolto. Da tutto ciò conseguono ulteriori debolezze strutturali all’interno di questi Comuni che si riverberano nella 7 carenza di professionalità e di personale di servizio . Le poche risorse 8 permettono con difficoltà di assumere laureati in ingegneria negli uffici tecnici e laureati in economia negli uffici tributi e di ragioneria, l’intero lavoro grava su poche persone e spesso anche sulla componente elettiva che in realtà dovrebbe occuparsi solo di indicare l’indirizzo politico.

E’ evidente anche come in queste piccole realtà non siano sostenibili servizi pubblici consistenti collegamenti stradali e ferroviari, uffici postali, sportelli bancari, presidi sanitari e punti di primo soccorso che garantiscano la copertura in caso di emergenza, asili e scuole ; servizi che 9 invece sono sufficientemente erogati nelle grandi città, ciò ha comportato un esodo che si distribuisce sia all’interno del nostro Paese verso città e zone costiere lasciando spopolate le zone montane ma anche verso

A.SPANO, Le unioni di comuni, collaborare mantenendo la propria autonomia. Cap.1 L’erogazione

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dei servizi in forma associata, Maggioli editore.

P.RACCA, Piccoli Comuni e obbligo di gestione associata dei servizi (nota a ordinanza del Tar

7

Lazio n1027 del 2017),in Osservatorio AIC, fascicolo1\2018.

Cfr. S.RAMAZZA, Fusioni di Comuni in Emilia-Romagna: stima dei vantaggi sulla base dell’analisi

8

dei dati dei bilanci consuntivi e del censimento del personale del 2013, in Istituzioni del Federalismo, 2/2015. L’autore riporta dei dati che evidenziano come il numero del personale

rapportato ai residenti dei Comuni sia in una quantitativa ottimale nei bacini demografici fa 7500 e 10.000 abitanti e per alcune materie fino a 20.000 abitati.

P.RACCA, Piccoli Comuni e obbligo di gestione associata dei servizi (nota a ordinanza del Tar

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l’esterno con una fuga verso le capitali europee in particolare di giovani. La conseguenza che ne deriva è uno spopolamento inarrestabile con l’impossibilità di controllare un territorio vasto e scarsamente popolato, soggetto a fenomeni d’incuria come un maggiore rischio di dissesto idrogeologico.

L’articolo 119 comma 4 della Costituzione dispone: “Le risorse derivanti

dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città Metropolitane e alle Regioni di finanziare interamente le funzioni pubbliche loro attribuite”. Ma in contesti simili a quelli citati sopra è

evidente che le entrate dovute alle imposte non saranno sufficienti a offrire coperture per servizi che nei territori meno abitati e periferici assumono costi ancora maggiori, risulta difficile a questo punto parlare di autonomia finanziaria ed è per questo motivo che spesso gli amministratori locali sono costretti a rinunciare ad investimenti sul territorio per poter garantire, momentaneamente, i servizi di base e allo stesso tempo rimanere nei parametri di spesa. Il problema però va a riguardare anche i grandi centri che avranno a che fare con una sempre maggiore urbanizzazione e sovraffollamento e non saranno in grado di dare risposte adeguate alla richiesta di servizi (trovandosi a gestire il problema inverso) come ad esempio lo smaltimento di rifiuti, l’approvvigionamento idrico, la mobilità e alla richiesta di posti di lavoro.

Stanti le criticità riportate le riforme legislative dagli anni novanta (Leggi Bassanini ) in poi e la riforma del titolo V della Costituzione del 2001 sono 10

In particolare legge 59/1997.

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andate verso un decentramento amministravo che ha attribuito ai gli enti locali maggiori competenze ma non ha saputo distinguere tra realtà medio-grandi e realtà piccole che con affanno riescono a sostenere i medesimi compiti. Oltre al decentramento e l’allocazione delle funzioni agli enti più vicini al cittadino (sussidiarietà verticale) sarebbe stato opportuno pensare un modello differenziato per le realtà più svantaggiate in modo tale che esse potessero dotarsi di quelle risorse umane, strumentali e finanziarie tali da sostenere le funzioni attribuite. In parte è stato fatto ma a livello sovra-comunale con le Comunità Montante pensate per la valorizzazione del territorio montano (articolo 44 della Costituzione) anche se si sta andando verso la loro assimilazione alle unioni di Comuni e alla conseguente soppressione.

Il problema si ripercuote, come detto, anche sul piano politico. I “Comuni polvere” sono lontani dai centri decisionali, hanno poca voce in capitolo rispetto ai centri urbani nel contesto statale e regionale ed anche un peso politico marginale dato che il bacino elettorale non sposta gli equilibri e non consente di eleggere rappresentanti neI Consigli regionali o in Parlamento. Inoltre anche la rappresentanza politica a livello locale è scarsa, in molti Comuni, con poche centinaia di abitanti, è sempre più difficile presentare alle elezioni amministrative più di una lista e spesso la sola che si presenta non raggiunge nemmeno il quorum necessario comportando il commissariamento. Ancora più emblematica è l’assenza totale di partecipazione alle elezioni amministrative come avvenuto in almeno 7 Comuni alle votazioni del 2018, ma anche laddove si riesce ad

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avere una competizione elettorale esse hanno poco senso in relazione ad una platea elettorale che qualora arrivasse ad una affluenza globale comprenderebbe poche decine di elettori; un esempio su tutti il Comune di Castelmagno, provincia di Cuneo, con 62 abitanti alle lezioni amministrative del 2018.11

Inoltre con la fine del primo decennio degli anni 2000 si inaugura una stagione di ridimensionamento della spesa pubblica che va a colpire anche gli enti locali, in particolare a partire dal dl 78 del 2010 e seguenti il legislatore è intervenuto con l’obbiettivo di diminuire la spesa pubblica ma di fatto ha contribuito a rendere quello del rappresentante politico locale un ruolo difficile con sempre maggiori responsabilità e notevoli carichi di lavoro, cosa che si verifica in modo ancora più evidente nei Comuni polvere dove la rarefazione della macchina amministrativa e dirigenziale comporta spesso un impegno di Sindaco ed Assessori al pari di dipendenti comunali. L’intervento volto a diminuire il numero di Consiglieri comunali ha portato a risparmi irrisori a fronte di una diminuzione della rappresentanza politica consistente, anche in Comuni di non modeste dimensioni capita che le liste elettorali non siano in grado di offrire una rappresentanza su tutto il territorio.

In questa fase di tagli serrati alle risorse pubbliche, ad avviso di chi scrive, gli interventi del legislatore forse hanno anche avuto buone intenzioni ma il bersaglio sbagliato dato che le indennità degli Assessori nei piccoli Comuni sono marginali e i gettoni di presenza dei Consiglieri comunali

Dati www.tuttitalia.it.

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corrispondono a poche decine di euro che spesso non vengono nemmeno incassati, mentre lo stipendio di un Consigliere regionale corrisponde, in molti casi, a quasi dieci volte quello di un Sindaco che si deve sicuramente confrontare con una maggiore mole di lavoro ma anche con maggiori responsabilità. A queste istanze sembra voler rispondere una proposta di legge di Legautonomie definita “Per la dignità degli amministratori” che 12 punta ad imporre un minimo salariale che incentivi la partecipazione politica e consenta ai Sindaci in carica un impegno completo ed esclusivo nella gestione dell’ente locale.

I dati non sono comunque confortanti anche laddove la comunità sia in grado di eleggere il Sindaco ed il Consiglio Comunale. Uno studio 13 patrocinato dall’Istituto Regionale di Programmazione Economica della Toscana ha dimostrato che nei Comuni con popolazione inferiore a 1000 abitanti i Sindaci ed i relativi Assessori hanno un’età maggiormente elevata e pochi hanno titoli di studio universitari.

Le amministrazioni locali finiscono per essere o il cimitero di elefanti di professionisti al termine della loro carriera, o rischiano di andare in mano a persone che hanno interessi da difendere totalmente diversi rispetto a quelli del territorio.

La difficoltà nel individuare persone disposte ad intraprendere una carriera politica ha portato ad una recente proposta dell’ANCI che prospettava di eliminare il limite di tre mandati consecutivi per i Comuni sotto i 3000

Intervista al presidente di Legautonomie Matteo Ricci , Italia Oggi 28 dicembre 2018.

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S.IOMMI, Associazionismo e fusioni di comuni, punti di forza e criticità delle politiche di incentivo.

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abitanti. Emerge, come si può constatare chiaramente un problema di rappresentanza in queste realtà dove l’amministrazione è de facto affidata (in alcuni casi anche più volte di seguito) ad un funzionario governativo senza quindi un’espressione democratica e senza la possibilità di effettuare scelte politiche e di ordinaria amministrazione. Appare evidente che in casi simili la soluzione della fusione è più che auspicabile e necessaria come ad esempio per i tanti piccoli Comuni di Piemonte e Lombardia che spesso non raggiungono nemmeno il centinaio di abitanti. Ne consegue che, stando così le cose, non si riesce ad avere tornate elettorali amministrative in cui sia pienamente rispettato il principio democratico.

2.La rappresentanza dei piccoli Comuni all’interno degli enti di secondo livello e la necessità di un riassetto territoriale.

Un’altra problematica sorge in merito alla rappresentanza all’interno degli organi di amministrazione provinciale a seguito della riforma Delrio.

Il dettato normativo era nato con l’ambizioso compito di effettuare una profonda revisione dell’assetto territoriale superando il sistema delle Province ed arrivando alla loro completa abolizione attraverso la riforma costituzionale da lì a poco successiva. Però, come spesso accade, “la montagna ha partorito un topolino” infatti con la legge 56 del 2014 si passa solamente ad un sistema ad elezione di secondo livello ovvero 14

La Regione Sicilia ha tentato con la legge 11 agosto 2017 n 17 di reintrodurre l’elezione diretta

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sono i Sindaci ed i Consiglieri Comunali della Provincia ad eleggere, tra loro stessi, il Presidente della Provincia ed i componenti del Consiglio Provinciale (articolo 12) . Il sistema elettorale di secondo livello prevede 15 che il voto di ogni elettore indistintamente se Sindaco o Consigliere) corrisponde ad un coefficiente che cambia a seconda della fascia demografica del Comune di appartenenza, ciò comporta che i Comuni di minori dimensioni non solo saranno meno rappresentati ma nella maggior parte dei casi non riusciranno mai ad eleggere nessun rappresentante e allo stesso modo il voto ponderato a disposizione di un Consigliere comunale eletto in un Comune più grande rischierà di valere quasi quanto quello di un intero Consiglio di un piccolo Comune. La figura tradizionale della Provincia viene totalmente snaturata e privata di legittimazione democratica diventando un consesso di amministratori locali, una sorta 16 di ente di coordinamento per i Comuni con poche ma cruciali funzioni e nella sostanza senza risorse. “Una sorta di anestetizzazione delle Province in attesa dell’eutanasia .”17

Dubbi di costituzionalità sollevati dal Tar di Trieste con l’ordinanza del 495 del 12 ottobre 2014 e

15

dalle Regioni Puglia, Campania, Veneto e Lombardia con ricorso alla corte Costituzionale trattato con sentenza 50/2015. Nel ricorso si evidenziano molti tratti di illegittimità costituzionale ed in particolare si fa riferimento alla elezione indiretta degli organi della Provincia ritenuto dalle Regioni contrario al Principio Autonomistico sancito dall’articolo 5 della Costituzione Italiana e alla Carta europea delle Autonomie Locali la ratificata con legge 439 del 1989 la quale sancisce come requisito indispensabile dell’autonomia locale la possibilità per le comunità di eleggere propri rappresentanti. La Consulta però ha dichiarato non fondata la questione di costituzionalità.

O.CHESSA “La forma di governo provinciale nel DDL n.1542: profili d’incostituzionalità e possibili

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rimedi”, in Federalismi, 11 dicembre 2013: “(..) E’ perciò ragionevole attendersi che anche gli organi

di governo delle province siano inseriti in una forma di governo riconducibile alla tassonomia conosciuta delle forme di governo democratiche. Indubbiamente, una forma di governo in cui organi rappresentativi di II grado non sono responsabili politicamente dinanzi ad un organo rappresentativo di primo grado, non soddisfa il concetto democratico di rappresentanza politica, né quindi appare conforme al principio di sovranità popolare (..)”.

A.SIMONCINI e G.MOBILLO, L’identità delle Città metropolitane attraverso i loro Statuti: sintomi

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In certi casi si fatica a distinguere gli organi dell’Unione di Comuni da quelli Provincia che risulta essere solo una mera estensione. Così il sistema non può funzionare o si torna indietro sulla riforma Delrio oppure si porta l’eliminazione delle Province fino in fondo con la conseguente riforma costituzionale ma provvedendo in modo sensato alla distribuzione delle competenze tra gli enti rimasti ed in particolare Comune e Regione. La domanda da porsi è se il ruolo dimensionale delle Province di raccordo tra l’ente comunale e quello regionale rappresenta ancora un livello territoriale efficiente oppure deve ritenersi superato.

La crisi economica, come già affermato, ha portato il legislatore a intervenire sulla spesa pubblica e nell’ambito amministrativo la tendenza è stata quella di un accentramento delle funzioni verso lo Stato e le Regioni , che però hanno incontrato notevoli difficoltà vista la lontananza 18 dei territori periferici, la mancanza di strutture e l’assenza delle risorse sufficienti, si pensi anche solo al riassorbimento dei dipendenti delle Province. Forse non si è avuta una visione d’insieme e si è agito con superficialità.

B. CARAVITA, G. M. SALERNO, F. FABRIZI, S. CALZOLAIO, F. GRANDI

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“Mappe d’Italia”: dove va la riorganizzazione territoriale ? Prime osservazioni sul problema dello zoning amministrativo. Rivista Federalismi 11 Aprile 2018: “(…) Non occorre in questa sede ribadire

come quello provinciale sia stato, fin dall’Unità d’Italia, il parametro di riferimento per l’organizzazione statale sul territorio e come questo abbia influenzato anche l’organizzazione di tutti quei soggetti che con lo Stato erano chiamati a dialogare; è sufficiente riportare le parole di Ettore Rotelli che nel 1991 scriveva: “la circoscrizione provinciale è stata collaudata storicamente come organizzazione territoriale prevalente dell’amministrazione periferica dello Stato, degli enti pubblici nazionali, delle grandi associazioni sociali (sindacato dei lavoratori), nonché, infine, dei partiti politici nazionali”. Oggi si può affermare che tale ruolo prevalente della dimensione provinciale è venuto meno. La tendenza delle amministrazioni statali salvo talune eccezioni già richiamate come quella rappresentata dal Ministero dell’Interno, ovvero dalla Agenzie delle Entrate è nel senso del progressivo abbandono della articolazione territoriale organizzata su base provinciale; (…)”

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Situazione ancora più emblematica si verifica a proposito delle Città Metropolitane dove oltre al problema delle elezioni di secondo livello si incontra quello del Sindaco della Città metropolitana che non viene più eletto ma è di diritto costituito dal Sindaco del Comune capoluogo che 19 rappresenta solo una parte dell’elettorato, la disciplina è anche stata oggetto di un giudizio di legittimità costituzionale che però l’ha confermata. Da ciò consegue che nella sua attività rivolgerà la sua attenzione maggiormente al territorio corrispondente al suo bacino di voti emarginando ulteriormente i Comuni più piccoli e periferici . Senza 20 contare che una strutturazione delle Città metropolitane di questo tipo è totalmente priva di significato dato che si è solamente operato nel solco di una sostituzione di quello che prima era il territorio della Provincia ; nella 21 realtà dei fatti, molto spesso il territorio metropolitano o comunque il bacino d’influenza esercitato dalla realtà metropolitana non combacia con quello della Provincia e questo non è stato messo in conto. L’unica eccezione è stata rappresentata dalla Regione Sardegna che nel recepire la riforma Delrio ha previsto che la Città metropolitana di Cagliari

M.BARBERO e E.VIGATO, Il sindaco di diritto e l'elezione a suffragio universale e diretto nelle

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città metropolitane, in Federalismi, 8 aprile 2015.

A.SPADARO, La sentenza cost. n50/2015. Una novità rilevante: talvolta la democrazia è un

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optional, in Rivista AIC, fascicolo 2/2015.

F.FABRIZI definisce la riforma Delrio “quasi gattopardesca” ed in particolare nelle conclusioni una

21

riforma «che mentre sembra voler cambiare tutto in realtà lascia tutto come prima, salvo dare un di- verso nome a dieci province pomposamente definite “città metropolitane” e introdurre una governance di secondo livello in enti finora governati da organi eletti da tutti i cittadini». L’attuazione

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comprendesse oltre al territorio del Comune sardo quello di altri 17 Comuni previsti dalla legge regionale .22

3.Alcuni interventi del legislatore in merito alla frammentazione territoriale.

D’altro canto il concetto di frammentazione territoriale non deve di per se essere considerato negativo in quanto in essa risiede la conservazione delle singole identità e delle diversità culturali che caratterizzano il nostro Paese e che si esprimono proprio nelle peculiarità che mutano da campanile a campanile, il problema sorge però come visto per i costi in termini economici e per le difficoltà relative alla rappresentanza politica 23 che portano a darne una siffatta accezione. La nostra Costituzione nasce prendendo atto della frammentazione e cerca di porsi in un’ottica decentrata con il principio autonomista dell’articolo 5 e in seguito con il principio di sussidiarietà verticale si vuole concepire l’autonomia locale come strumento per provvedere in modo efficiente al più ampio numero di esigenze e bisogni della collettività a livello periferico e anche all’attuazione del principio democratico dando una rappresentanza alle realtà minoritarie, ma lo Stato non è risultato capace di rendere tali realtà nelle condizioni di potersi esprimere nelle loro diversità e allo stesso tempo poter competere al pari delle altre.

Articolo 17 comma 2 della legge regionale 2/ 2016.

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G.C.RICCIARDI, L’antidoto avverso la frammentazione: fusione di Comuni, partecipazione e

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Un primo tentativo di dare risposte al problema dell’eccessiva frammentazione si è avuto con l’articolo 16 del DPR n616/1977 dove si è tentato di fermare la proliferazione di piccoli comuni imponendo un tetto minimo alla costituzione di nuovi enti i quali avrebbero dovuto avere almeno un bacino demografico di 5000 abitanti . Ma le risposte più 24 concrete sono arrivate negli ultimi anni dapprima con la legge 142 del 1990 e poi con il Testo Unico degli Enti Locali del 2000 con il quale il legislatore sembra aver individuato come soluzione alla frammentazione l’accorpamento degli enti declinato in tre diversi modelli: il modello contrattuale sicuramente il preferito dagli amministratori locali perché più elastico consistente in convenzioni tra Comuni per lo svolgimento associato delle funzioni e che non da vita a nuovi enti o sovrastrutture lasciando una maggiore autonomia, il modello istituzionale ovvero la fusione già prevista nell’articolo 133 della Costituzione, l’unica che porta alla diminuzione effettiva del numero degli enti e alla creazione di un nuovo Comune o all’incorporazione (dopo la riforma 56/2014) di un Comune maggiore rispetto ad un altro e, infine, un modello misto che realizza la creazione di enti ad hoc con competenze sovra-comunali ma che lascia ad ogni realtà coinvolta propria identità . 25

Su questa scia si è inserito il DL n69 del 2013 “sblocca cantieri, manutenzione reti e territorio e fondi per i piccoli Comuni” dove oltre i

G.C.RICCIARDI, “L’antidoto avverso la frammentazione: fusione di Comuni, partecipazione e

24

trasparenza nell’ottica del consolidamento amministrativo”, in Federalismi, 11 novembre 2015.

P.RACCA, Piccoli Comuni e obbligo di gestione associata dei servizi (nota a ordinanza del Tar

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contributi per lo svolgimento associato di funzioni o fusione è previsto che i Comuni esito di fusioni o le Unioni di Comuni che partecipano al bando di gara per l’assegnazione di risorse abbiano la priorità.

Altre strade sono state tentate con misure a sostegno dei piccoli Comuni come l’articolo 3 della legge 158 del 2017 che per lo sviluppo dei piccoli 26 enti e delle zone disagiate istituisce un fondo di 10 milioni per l’anno 2017 ed uno di 15 milioni per il quinquennio 2018 - 2023 ma questa può essere prevista come una soluzione temporanea che non risolve il problema in via definitiva e non è nemmeno pensabile che il mantenimento di piccole realtà che spesso per campanilismo non vogliono procedere a fusione venga a costituire un’emorragia di risorse statali.

Ad avviso di chi scrive la soluzione al problema dell’eccessiva frammentazione amministrativa a causa dei risvolti deleteri mostrati sul piano economico e su quello della rappresentanza deve essere rintracciata in un modello di accorpamento dei Comuni che porti effettivamente alla diminuzione delle unità ma allo stesso tempo tenga conto della geografia del territorio e soprattutto della rappresentanza delle popolazioni coinvolte cercando di individuare soluzioni per superare le resistenze che spesso portano ad esito negativo molti referendum consultivi per la fusione di Comuni. Proprio quello sopra descritto sarà il compito che si propone di ottenere questo elaborato, indagando fra i modelli di cooperazione comunale (Unione o Convenzione) o quelli di fusione per rintracciare la soluzione migliore per risolvere l’annoso

P.RACCA, Piccoli Comuni e obbligo di gestione associata dei servizi (nota a ordinanza del Tar

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problema dei “Comuni polvere” ed individuare un sistema che rispecchi i criteri di efficacia ed efficienza e non violi i principi di sussidierà, adeguatezza, differenziazione, democraticità e autonomia.

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CAPITOLO 2

LE UNIONI DI COMUNI.

Sommario: 1.Ricostruzione dello sviluppo normativo dell’istituto. 2.Unioni di Comuni e

rappresentanza. 3.Il Presidente. 4.La Giunta. 5.Il Consiglio. 6.Possibili correttivi per i difetti della

rappresentanza nelle Unioni di Comuni 7.Ulteriori aspetti di criticità delle Unioni di Comuni.

1.Ricostruzione dello sviluppo normativo dell’istituto.

A cavallo tra prima e seconda Repubblica, quando iniziano ad emergere le prime ed evidenti difficoltà delle finanze pubbliche si cerca di dare una soluzione l’eccessiva frammentazione in conformità con i principi costituzionali.

Siamo in una fase di transizione nella quale si deve intervenire su parte della legislazione che ancora affonda le radici nel periodo fascista che lasciava pochissimo spazio alle autonomie locali, dare attuazione ai nuovi principi costituzionali (come a esempio l’istituzione delle Regioni), e restituire un nuovo assetto territoriale alla Repubblica.

La disciplina alla quale si arriva con la legge 8 giugno 1990 n142 ha l’obbiettivo di regolamentare gli enti locali, organizzare e raccogliere le disposizioni in materia e introdurre nuove norme per ridurre i costi nell’erogazione dei servizi pubblici; per raggiungere questi obbiettivi sono introdotte tra gli altri istituti le unioni di Comuni. Queste risultano essere enti locali a tutti gli effetti con propri organi di governance e uffici e di conseguenza capaci di svolgere funzioni amministrative. Le unioni nelle

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intenzioni del legislatore del 90 devono diventare una sorta di ente di secondo livello che coordini l’azione dei Comuni e serva per gestire in modo associato le funzioni comunali, ma la caratteristica più importante si rileva all’articolo 26 dove si precisa come esse siano una sorta di istituto che debba accompagnare gli enti in un percorso di fusione, infatti (articolo 26 comma 6) “Entro dieci anni dalla costituzione dell'unione deve

procedersi alla fusione, a norma dell'articolo 11. Qualora non si pervenga alla fusione, l'unione e' sciolta.”

In previsione della fusione, due o più Comuni contermini con popolazione non superiore a 5000 abitanti (derogabile per un solo comune ma fino a 10000 abitanti) e appartenenti alla stessa Provincia potevano costituire un’unione per l’esercizio di funzioni e erogazione di servizi accendendo ad una serie di contributi da parte dello Stato pari ad una quota dei trasferimenti spettanti ai singoli Comuni oggetto di fusione, a questi si sarebbero dovuti aggiungere contributi previsti dalle Regioni.

Fusione ed unione (almeno agli albori) hanno un percorso comune , in 27 via transitoria i Comuni avrebbero dovuto collaborare per, al massimo 10 anni, facendo un percorso sostenuto da finanziamenti statali, per poi procedere alla fusione al termine di un processo condiviso tra enti che 28

M.TRAPANI, “Unioni, fusioni e rappresentanza: la stretta callaia di un’organizzazione

27

istituzionale”, in Forum Costituzionale, 21 marzo 2017.

In particolare: “Nel testo erano previste varie modalità di esercizio associato di funzioni e servizi comunali aventi la funzione di razionalizzare – aumentandone la qualità - i costi dei servizi stessi e riducendone, al contempo, il numero delle relative gestioni.

In particolare, la legge in commento, assegnava alla modalità di esercizio associato di funzioni e servizi una strumentalità prodromica al successivo percorso di fusione2 attraverso l’istituzione dell’ Unione.”

L.MAZZARA, Scenari istituzionali per la governance del territorio, Associazionismo

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intercomunale e aggregazioni sovra-comunali: alla ricerca di sinergie organizzative e amministrative, in Azienditalia, I corsi, Enti Locali.

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mirava a ridurre le differenze fra i Comuni coinvolti e a creare un’identità unitaria. Questa percorso obbligatorio non è stato accolto con favore dagli amministratori locali infatti il numero di unioni in questi anni risulterà essere basso. Stante le resistenze nell’applicazione dell’istituto l’obbligo di procedere a fusione appare la soluzione più efficace per risolvere il problema dell’eccessiva frammentazione degli enti locali in quanto da un lato i Comuni avrebbero potuto godere singolarmente dei contributi e allo 29 stesso tempo il percorso di cooperazione di 10 anni avrebbe consentito il superamento delle resistenze della popolazione locale relative al timore di perdere la propria identità storico-culturale, centralità e di incorrere in maggiori inefficienze, in poche parole una sorta di percorso per una successiva unità.

Negli anni successivi il dibattito sull’inadeguatezza degli enti locali minori e sul decentramento delle funzioni si intensifica tanto che da arrivare alle leggi Bassanini. Il baricentro di queste riforme è ovviamente la sussidierà verticale che estende al massimo l’applicazione del principio autonomistico e sviluppa i principi di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione esplicitati all’art. 97 e quello di responsabilità sancito dall’articolo 28 della Costituzione.

La successiva legge 265/1999 cerca di venire incontro ai motivi che hanno portato gli amministratori locali a preferire altre forme associative eliminando il limite demografico ed il limite relativo all’appartenenza alla stessa provincia ma soprattutto elimina l’obbligo di procedere a fusione, le

F.POLITI, Dall’Unione alla fusione dei Comuni: il quadro giuridico, in Istituzioni del Federalismo ,

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unioni perdevano di vista il loro obbiettivo di ridurre la frammentazione amministrativa e diventavano il principale strumento associativo, una sorta di ente di sovra-comunale con la funzione di coordinare lo sviluppo del territorio e promuovere l’esercizio associato di funzioni e servizi. I contributi statali permangono anche venendo meno l’obbligo di fusione che rimane un’ipotesi volontaria . Con la riforma si ampliano 30 notevolmente le possibilità per le unioni ma a spese di un processo di integrazione ben progettato e scaglionato che avrebbe portato ad una vera riduzione degli enti locali di piccola entità.

Di poco successivo è il Testo Unico degli Enti Locali, il quale si occupa soprattutto di riordinare e raccogliere tutte le disposizioni sugli enti locali ed a proposito delle unioni elimina l’ulteriore vincolo dell’essere Comuni contermini per formare un’unione e aggiunge poco altro relativamente agli organi di governance. Ribadisce l’autonomia statutaria e regolamentare, e anche quella finanziaria di entrata e di spesa.

Resta difficile pensare, ad avviso di chi scrive, a queste figure in termini di ente locale, nonostante questa posizione sia presente nella legge 265 o ancora più chiaramente il T.U.E.L. all’articolo 2 le definisca enti locali (assieme alle comunità montane). Le riforme hanno di poco preceduto la legge costituzionale 3/2001 ma le unioni non sono comunque state inserite (si potrebbe affermare volutamente) nell’articolo 114 fra gli enti della Repubblica che vanno a comporre un elenco tassativo. Preferibile è

B.BALDI e G.XILO, Dall’Unione alla fusione di Comuni, in Istituzioni del Federalismo 1/2012. In

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particolare: “(…) La rimozione del vincolo giuridico ha portato, nel decennio successivo, ad un’ampia diffusione delle Unioni di Comuni che triplicano o raddoppiano di anno in anno, arrivando nel 2012 ad essere 370, coinvolgendo 1871 Comuni.”

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la posizione della giurisprudenza che appare non concordare con questa visione in quanto la sentenza del Consiglio di Stato n 7024 del 18 dicembre 2018 e sentenza 50 del 2015 della Corte Costituzionale ribadiscono il concetto di unione inteso come “mere forme istituzionali di associazione tra comuni per lo svolgimento di funzioni e erogazioni di servizi”.

Un dibattito interessante potrebbe aprirsi in relazione alla competenza normativa riguardante le Unioni; una parte della dottrina ritiene che esse ricadano nella competenza regionale (ex articolo 117 comma 4) ed è stata sostenuta parzialmente da alcune pronunce della Corte Costituzione , la 31 quale più che affermare espressamente la competenze delle Regioni si era limitata a ribadire che unioni di Comuni e Comunità montane non rientrassero nella competenza esclusiva statale dell’articolo 117 comma 2 lettera p, o al massimo prevedeva una competenza della Stato solo nell’ambito del coordinamento della finanza pubblica . La Consulta con 32 sentenza 50 del 2015 ha cambiato orientamento, a supporto di quanto affermato sopra, assegnando le unioni alla competenza esclusiva

Sentenza 244 del 2005 Corte Costituzionale

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Sentenza 456 del 2005 Corte Costituzionale Sentenza 397 del 2006 Corte Costituzionale

Sentenze 22 e 44 del 2014 Corte Costituzionale

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statale essendo queste uno strumento necessario per l’esercizio 33 associato delle funzioni dei Comuni e quindi pienamente rientrante nell’articolo 117 comma 2 lettera p che riporta tra le materie di competenza esclusiva la legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane .

La riforma del Titolo V, inoltre, all’articolo 118 introduce in Costituzione principi già oggetto delle leggi Bassanini come la sussidiarietà verticale ovvero l’attribuzione delle funzioni amministrative al Comune (l’ente della Repubblica) più vicino al cittadino e l’intervento degli enti superiori (Province, Città metropolitane, Regioni e Stato) solo in via sussidiaria nel caso in cui gli enti inferiori non possano agire, nell’articolo viene anche menzionato il concetto di differenziazione ovvero che le funzioni non debbano essere attribuite in modo uniforme tra gli enti ma al contrario si tenga conto delle diverse caratteristiche demografiche, territoriali e strutturali ed infine di adeguatezza ovvero che le funzioni siano distribuite nel modo più adeguato per lo svolgimento delle stesse. Questi tre principi combinati insieme cercano di creare il sistema perfetto di decentramento e di sfruttare a proprio vantaggio la frammentazione territoriale, anche se ci

In particolare la Consulta al punto 6.2.1 chiarisce: “Non è ravvisabile, in primo luogo, la dedotta

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violazione della competenza regionale con riguardo alle introdotte nuove disposizioni disciplinatrici delle Unioni di Comuni. Tali unioni − risolvendosi in forme istituzionali di associazione tra Comuni per l’esercizio congiunto di funzioni o servizi di loro competenza e non costituendo, perciò, al di là dell’impropria definizione sub comma 4 dell’art. 1, un ente territoriale ulteriore e diverso rispetto all’ente Comune – rientrano, infatti, nell’area di competenza statuale sub art. 117, secondo comma, lettera p), e non sono, di conseguenza, attratte nell’ambito di competenza residuale di cui al quarto comma dello stesso art. 117.

Per altro verso, le riferite disposizioni – in quanto introducono misure semplificatorie volte al contenimento della spesa pubblica (intervenendo sugli organi, sulla loro composizione, sulla gratuità degli incarichi e sul divieto di avvalersi di una segreteria comunale) − oltre che al conseguimento di obiettivi di maggiore efficienza o migliore organizzazione delle funzioni comunali, riflettono anche principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, non suscettibili, per tal profilo, di violare le prerogative degli enti locali (…). Sentenza n50 del 2015.

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si sarebbe potuto aspettare maggiore attenzione del legislatore nell’attuazione del principio della differenziazione che risulterebbe un principio di una importanza notevole e che manca a realtà estere come la Francia. Le unioni di Comuni tentano di andare in questa direzione anche se di fatto la riforma del Titolo V non nomina mai le forme associative. Con le riforme sopra citate le competenze attribuite ai Comuni sono finite per aumentare e contemporaneamente è sopraggiunta in Italia la crisi causando interventi di spending review da parte del legislatore. In questo panorama i “Comuni polvere” non riescono ad adempiere in modo efficiente alle loro funzioni per ciò gli interventi legislativi che si vedranno da qui in avanti avranno come filo conduttore il tentativo del legislatore di rendere ancora più appetibili le unioni tramite l’obbligo di esercizio associato non potendo pensare una forma coercitiva di fusioni fra comuni . Un primo passaggio è stato effettuato con il DL n78 del 2010. Il 34 decreto individua le funzioni fondamentali all’articolo 21 comma 3 della legge 42 del 2009 ovvero le funzioni di amministrazione, gestione e controllo, le funzioni di polizia locale, la viabilità e i trasporti, le funzioni riguardanti il sociale, le funzioni nel campo del territorio e dell’ambiente fatta eccezione per quelle riguardanti l’edilizia pubblica residenziale e il servizio idrico integrato.

cfr. E.PERTILLI, Il nuovo ordine delle Unioni di Comuni in Emilia-Romagna, in Istituzioni del

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Federalismo, 3/2017. In particolare: “La crisi economica del 2007-2008 ha poi aggiunto il carattere

di necessità economica alle politiche di riforma. Queste riforme hanno richiesto la collaborazione sia politica che normativa delle Regioni. Esse hanno fornito risposte differenti a quelle stesse esigenze di riforma, sia da un punto di vista normativo-organizzativo, che da un punto di vista delle politiche attuative. (…) Tra gli strumenti individuati per tradurre in realtà queste spinte riformistiche spicca l’associazionismo tra Comuni, e, più in generale, si è pre- ferita la collaborazione intercomunale piuttosto che l’accorpamento forzoso.

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Viene indicato un limite demografico di 5000 abitanti (3000 per i Comuni facenti parte di Comunità montane) al di sotto del quale le funzioni fondamentali devono essere svolte obbligatoriamente in modo associato prevedendo poi per i Comuni al di sotto dei 1000 abitanti una forma 35 speciale di unione obbligatoria per lo svolgimento associato di tutte le 36 funzioni (non solo quelle fondamentali) e di tutti i servizi. Viene assegnato anche un ruolo importante alle Regioni le quali si sarebbero occupate di individuare il livello ottimale di gestione delle funzioni fondamentali in concertazione con i Consigli comunali degli enti interessati entro un termine perentorio di 6 mesi. Nel successivo DL n95 del 2012 si è inoltre prevista in casi di inadempienza da parte dei Comuni nello svolgimento associato obbligatorio delle funzioni o nella costituzione delle unioni un potere sostitutivo-sanzionatorio dello stato con la nomina di un commissario ad acta.

Questa riforma ha stravolto la disciplina delle unioni, il legislatore non solo sottrae ai Comuni la possibilità di scegliere se e quante funzioni svolgere in modo associato, trasformando unioni e convenzioni da strumento volontario a coattivo, ma anche prevedendo la forma dell’unione come obbligatoria per i comuni più piccoli, una scelta che limita molto il circuito democratico dove i rappresentanti eletti dai cittadini non possono stabilire la modalità di esercizio dell’amministrazione pubblica che sono chiamanti

Dl 78/2010 articolo 14 comma 25-31.

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E.VIGATO, Le unioni e le fusioni di Comuni nel disegno di legge:“Disposizioni sulle città

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metropolitane, sulle Province, sulle unioni e fusioni di Comuni. Quali novità all’orizzonte per i piccoli Comuni? in Federalismi, 23 ottobre 2013.

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a svolgere ma limita anche la responsabilità politica degli stessi. Quella di associarsi o meno dovrebbe rappresentare il frutto di un indirizzo politico che gli organi dell’ente locale, in piena autonomia , possono decidere di 37 indicare, al contrario con queste riforme si è andati nella direzione dell’obbligo vincolando nelle decisioni gli organi dei comuni.

La scelta sembra dettata sia da un favor verso l’istituto dell’unione ritenendolo più funzionale della convenzione che viene ad essere un soluzione temporanea e residuale, inserendo una durata minima per le stesse di 3 anni al termine della quale se la scelta non si fosse dimostrata sufficientemente efficiente i Comuni sarebbero stati obbligati a procedere con l’unione, ma anche dalla volontà di tagliare definitivamente ogni legame con l’istituto della fusione, abbondato perché ritenuto più difficilmente praticabile per resistenze degli amministratori locali e di una parte del quarto governo Berlusconi da sempre contrario agli accorpamenti e promotrice del più estremo decentramento. Maggiormente auspicabile sarebbe stato, infatti, un intervento per rendere le fusioni più appetibili tramite delle modifiche dato che sono l’unico strumento risolutivo per l’eccessiva frammentazione, agendo verso una maggiore trasparenza dei processi decisionali e una maggiore ramificazione degli organi di

Sul punto la sentenza n77 del 1987 afferma: “Per quel che riguarda in particolare gli enti locali

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territoriali é un dato definitivamente acquisito come la loro autonomia vada in primo luogo intesa quale potere di indirizzo politico-amministrativo, il che esclude in principio ogni possibilità di ingerenza da parte di altri enti (come lo Stato, le Regioni etc.) in ordine alle valutazioni discrezionali compiute dagli organi degli enti dotati di autonomia nell'esercizio concreto delle loro attribuzioni.” Anche se poi la sentenza n33 del 2019 a punto 7.3 del considerato in diritto precisa: “(…)In ogni caso, se da un lato è indubbio che «per quel che riguarda in particolare gli enti locali territoriali è un dato definitivamente acquisito come la loro autonomia vada in primo luogo intesa quale potere di indirizzo politico-amministrativo» (sentenza n. 77 del 1987), tuttavia, dall’altro, nell’ordinamento, come ricordato, già da tempo sono previsti gli istituti della unione e della convenzione, che stabiliscono modalità di attuazione delle scelte di indirizzo politico di ciascun ente tramite la mediazione di specifiche strutture comuni.”

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amministrazione venendo in contro ai timori di perdita di centralità e di identità delle popolazioni interessate dalla fusione. Negli anni successivi al DL 78 il numero delle unioni esplode, le Regioni iniziano ad istituirle con apposita legge trovando una notevole quantità di adesioni nei piccoli Comuni delle Alpi piemontesi e valdostane ma anche in Emilia Romagna e nelle Isole maggiori.

Con la riforma Delrio, legge 56 del 2014, al contrario si tenta di rilanciare l’istituto della fusione , si introducono forme di partecipazione e 38 decentramento dei servizi come i Municipi elettivi e l’istituto della fusione per incorporazione dove non si crea un nuovo Comune ma per uno dei Comuni fusi viene mantenuta la propria personalità succedendo nei rapporti giuridici e amministrativi pendenti precedenti alla fusione degli enti incorporati . 39

La caratteristica della legge Delrio però che rende le importanti nuove disposizioni su unioni e fusioni solo aspetti di contorno è la riforma delle Province e l’introduzione delle Città metropolitane. I piccoli Comuni in questo modo hanno un’ulteriore difficoltà nell’interloquire con i livelli di governo regionali e statali visto che le unioni proprio per la loro disomogeneità e per i difetti relativi alla rappresentanza democratica non possono essere un efficiente catalizzatore delle istanze del territorio.

E’ interessante notare come anche a livello di produzione dottrinale da questa data si tende a

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produrre studi dottrinali maggiormente incentrati sulle fusioni rispetto agli strumenti associativi. F.PIZZETTI, La riforma degli enti territoriali. Città metropolitane, nuove province e unione di

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La disciplina delle unioni della legge 56 viene prevede essenzialmente delle conferme rispetto all’obbligo di esercizio associato delle funzioni 40 nonostante aumentino le perplessità su alcuni profili di incostituzionalità dell’istituto.

Un primo passaggio viene effettuato con la sentenza 50 del 2015 per le questioni di legittimità sollevate dalle Regioni Puglia, Veneto, Campania e Lombardia. La sentenza molto articolata e scomponibile in quattro diverse parti relative alla riforma delle Province, all’istituzione delle Città metropolitane, all’allocazione delle funzioni e alle Unioni e fusioni di Comuni conferma in toto il contenuto della riforma Delrio anche in previsione di una futura revisione delle seconda parte della Costituzione che avrebbe dovuto portare alla soppressione definitiva 41 delle Province ma che verrà bocciata con il referendum del 2016.

Un recente, parziale, cambio di rotta in giurisprudenza è invece arrivato con la sentenza numero 33 del 6 marzo 2019. La questione di costituzionalità era stata sollevata dal Tar Lazio con ordinanza numero 1027 del 2017 a seguito del ricorso da alcuni Comuni della Campania e dall’Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali i quali chiedevano l’annullamento di una circolare emanata dal Ministero dell’Interno in attuazione del DL n78 del 31 maggio 2010 che impone l’esercizio associato delle funzioni ai Comuni sottosoglia e la legge

Particolare è, però, il caso delle 36 unioni di comuni della Regione Sardegna che sono tutte 40

frutto della scelta volontaria degli enti aderenti e non il frutto di un’imposizione coattiva di una legge regionale. Audizione: “La gestione associata delle funzioni e dei servizi comunali”, Corte dei Conti, sezione Autonomie Locali, indagine della Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati, 1 dicembre 2015.

F.FABRIZI, L’attuazione della legge Delrio nelle Regioni del Sud, in Le Regioni, 5 ottobre 2017.

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regionale della Campania n16 del 2014. La circolare prevedeva le modalità di attuazione del decreto ed un termine perentorio entro cui i Comuni avrebbero dovuto uniformarsi relativamente all’esercizio associato obbligatorio delle funzioni fondamentali e sul quale dovevano supervisionare le prefetture competenti per territorio. Trascorso inutilmente tale termine sarebbe scattato il potere sostitutivo dello Stato in attuazione del decreto.

Le questioni ravvisate dal giudice amministrativo possono essere concentrate in 3 diversi punti: i criteri per procedere con la decretazione d’urgenza , il rispetto del principio autonomistico, di sussidiarietà, buon 42 andamento ed i sitemi per introdurre nuovi Comuni. 43

Il secondo punto viene discusso sulla base degli articolo 3, 5, 95 97, 117 comma 6, 114 e 118 della Costituzione con riferimento ai principi di buon andamento, differenziazione e tutela delle autonomie locali, non che violazione dell’articolo 3 della Carta Europea delle Autonomie Locali .44

Un primo argomento trattato è la mancanza dei criteri di urgenza previsti dall’articolo 77 della

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Costituzione. Può sembrare un aspetto poco inerente alla trattazione ma rivela aspetti di interessanti. Prima del 1995 l’orientamento della Corte Costituzionale andava nella direzione dell’insindacabilità dei presupposti d’urgenza se il decreto fosse stato seguito dalla legge di conversione. Con una sentenza del 1995 la Corte cambia orientamento e viene e fatta più attenzione ai criteri che determinano l’urgenza. Inoltre bisogna anche ricordare la sentenza del 2013 sulla riforma delle province del governo Monti effettuata proprio tramite decreto legge. Dopo questa premessa il TAR passa poi ad analizzare la normativa costituzionale riferendosi all’articolo 117 comma 2 lettera P il quale indica la competenza esclusiva dello Stato su legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali. La legislazione statale d’urgenza può quindi essere adottata in relazione agli enti locali ma non si va ad incidere sugli ambiti sopra citati mentre si va regolamentare l’assetto organizzativo degli enti locali e l’urgenza non può essere nemmeno dettata in relazione al risparmio di spesa pubblica perché essi non sono stati quantificati nella circolare.

P.RACCA, Piccoli Comuni e obbligo di gestione associata dei servizi (nota a ordinanza del Tar

43

Lazio n1027 del 2017), Osservatorio AIC fascicolo1\2018.

Articolo 3 CEAL: “Per autonomia locale, s'intende il diritto e la capacità effettiva, per le collettività

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locali, di regolamentare ed amministrare nell'ambito della legge, sotto la loro responsabilità, e a favore delle popolazioni, una parte importante di affari pubblici”

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Infine l’ultimo punto si concentra sull’articolo 133 comma 2 in relazione all’istituzione di nuovi comuni paragonandolo all’obbligo di gestione associata delle funzioni e su gli articoli 114 e 119 in relazione all’autonomia organizzativa e finanziaria degli enti locali.

Il Tar ha dichiarato le questioni di legittimità non manifestamente infondate ed ha argomentato così: “L’autonomia di un ente territoriale non può essere disgiunta dalla titolarità di un “nucleo minimo” di attribuzioni e delle correlate potestà regolamentari e finanziarie. Questo nucleo minimo non può che essere rappresentato dalle funzioni fondamentali, per le quali opera una riserva costituzionale di esercizio individuale. Le norme del DL n. 78 del 2010, in tal sede censurate, hanno disposto la traslazione di tutte queste funzioni ad un soggetto nuovo o diverso, spogliandone il precedente titolare, ciò che, ai fini dell'art. 133, comma 2, Cost., non appare distinguibile dall'estinzione dell'ente locale per fusione o incorporazione. La mancata previsione del coinvolgimento delle popolazioni interessate, alla stregua del disposto dell’art. 133, comma 2, Cost., rende anche sotto tale profilo dubbia la legittimità della riforma operata dalle norme del d.l. n. 78 del 2010”.

La Consulta nell’analizzare le questione di costituzionalità pur ritenendo come sia corretto ricondurre le funzioni fondamentali nella competenza statale e come la loro gestione rientri nel coordinamento delle finanza pubblica, e come ancora sia stato perfettamente legittimo il passaggio da un modello volontario e flessibile ad uno rigido e obbligatorio ha concentrato le sue riflessione su alcune interessanti argomentazioni. Il

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modello dell’obbligo dell’esercizio associato di funzioni comporta anche il passaggio da un sistema settoriale ad uno generale, ovvero tutte le funzioni fondamentali indistintamente (e nel caso dei Comuni con bacino inferiore a 1000 abitanti) devono essere svolte in esercizio associato senza che tra esse sia effettuato un serio studio economico ed un opportuno distinguo in base all’efficienza che in alcuni casi può risultare lesa se effettuata su un bacino troppo ampio, ribandendo che una presunzione iuris et de iure dell’inefficienza dei piccoli Comuni non è autorizzata della Costituzione. Viene anche svilito il ruolo degli organi dei Comuni direttamente eletti dai cittadini quindi con la massima legittimazione democratica e limiti si rintracciano anche nella gestione degli uffici dove il segretario comunale del Comune più grande si trova anche a doversi occupare, nell’ambito delle funzioni fondamentali, anche dell’intera unione. Rispetto all’articolo 133 la Corte ritiene necessario una maggiore concertazione tra enti locali e Regione proprio come avviene nel caso della fusione dato che l’autonomia amministrativa e finanziaria di un Comune si identifica con la sua autonomia nel gestire le funzioni fondamentali evidenziando quindi una compressione del principio autonomistico. La riflessione più interessante e illuminante del giudice di legittimità costituzionale riguarda gli obiettivi che devono essere alla base delle riforme, riflessione che dovrebbe essere un must alla base di tutti i disegni di legge, infatti il legislatore nelle riforme non può perseguire solamente obiettivi economici, non deve puntare unicamente ai conti, al raggiungimento delle economie di scala e all’efficienza economica ma

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deve basarsi anche su tutti quei principi che sono alla alla base del funzionamento democratico della nostra Repubblica.

La Corte Costituzionale non ha dichiarato fondate le questioni di legittimità poste dal Tar facendo ancora salvo l’obbligo della gestione associata ma apre a possibilità di deroga per particolari condizioni geografiche, socio ambientali o demografiche dei Comuni obbligati .45 46

Proprio per questo alcune rappresentanze di piccoli Comuni, anche se non è stata pronunciata una sentenza completamente favorevole, si sono dette soddisfatte e vedono nel responso della Consulta la possibilità di aggirare l’obbligo nei casi opportuni e qualora la gestione associata non realizzi risparmi. Ad avviso di chi scrive un Comune di poche centinaia di abitanti che riesce a permettersi un solo dipendente e magari un altro part-time e che vede tutte le sue attività gestite in collaborazione con i Comuni confinanti può trovare maggiori opportunità in un processo di fusione che all’interno di un’unione.

Sarà necessario quindi in tempi brevi una nuova riforma di riordino degli enti associativi sovra-comunali tendendo conto che i piccoli Comuni potranno scegliere, di fronte ad accurate e fondate motivazioni, di non

Servizio Studi, Camera dei Deputati, XVIII Legislatura, 4 marzo 2019.

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In Particolare, dispositivo punto 1: “dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 14, comma 28, del

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decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, in legge 30 luglio 2010, n. 122, come modificato dall’art. 19, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 135, nella parte in cui non prevede la possibilità, in un contesto di Comuni obbligati e non, di dimostrare, al fine di ottenere l’esonero dall’obbligo, che a causa della particolare collocazione geografica e dei caratteri demografici e socio ambientali, del Comune obbligato, non sono realizzabili, con le forme associative imposte, economie di scala e/o miglioramenti, in termini di efficacia ed efficienza, nell’erogazione dei beni pubblici alle popolazioni di riferimento;”. Sentenza n3 del 2019, Corte Costituzionale.

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essere più obbligati ad associarsi e non potendo prevedere ipotesi di fusioni coercitive stabilite dall’alto sarebbe utile rivedere questo istituto con dei correttivi che lo rendano maggiormente appetibile. Inoltre una soluzione potrebbe rintracciarsi nel recuperare l’originaria e naturale impostazione delle unioni che dovevano sfociare in nella creazione di un nuovo Comune mentre oggi risultano solamente un mero strumento per razionalizzare spese e servizi senza modificare l’asseto istituzionale e senza sopperire alle criticità politiche relative alla rappresentanza viste riguardo ai “Comuni polvere”.

Nel 2014, secondo dati del Ministero dell’Interno, erano attive 444 unioni di Comuni, inclusive di 2.270 Comuni, dei quali il 76% con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti. Emerge, quindi, che solo il 30% dei Comuni con meno di 5.000 abitanti ha deciso per un modello di gestione associata ; 47 ovviamente questi numeri si sono alzati negli anni successivo proprio per l’introduzione dell’esercizio associato obbligatorio che ha visto l’introduzione di più scadenze fino all’ultima del 31 dicembre 2019 . 48

Dati: Audizione: La gestione associata delle funzioni e dei servizi comunali, Corte dei Conti,

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sezione Autonomie Locali, indagine della Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati, 1 dicembre 2015

Servizio Studi, Camera dei Deputati, XVIII Legislatura, 4 marzo 2019.

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2.Unioni di Comuni e rappresentanza.

Gli organi di governance delle unioni di Comuni sono stati profondamente ritoccati dalle varie riforme che si sono succedute negli ultimi trent’anni. Queste però non sono riuscite a superare i limiti strutturali delle unioni relativamente alla rappresentanza e alla responsabilità politica. L’unione che da mero strumento preparatorio ad un processo di fusione è passato ad essere quasi una figura istituzionalizzata, si è dovuta dotare di organi di amministrazione che in parte hanno tentato di imitare quelli dei Comuni e delle Province, pur essendo nati per essere delle figure temporanee e di transizione, e non degli istituti permanenti.

E’ in dubbio che nelle unioni vi sia un arretramento della rappresentanza 49

dato che molte funzioni vengono trasferite ad un ente i cui organi sono frutto di elezioni secondo livello, ma difronte a questa cessione di sovranità non c’è una consultazione referendaria (come per altro avviene nel processo di fusione) che interpelli la volontà dei cittadini. L’elettorato delle unioni è frazionato e spesso diviso nei vari interessi locali e mai coinvolto nelle scelte dell’ente che sente molto distante. Il frazionamento della rappresentanza, basato sulla divisione territoriale e non sui

A.SPADARO, La sentenza cost. n50/2015. Una novità rilevante: talvolta la democrazia è un

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optional, in Rivista AIC, fascicolo 2/2015. In particolare l’autore sull’elezione di secondo livello:

“(…)A seguire il ragionamento della Consulta, se sempre fosse così, potremmo immaginare un’elezione diretta dei consiglieri dei circa 8000 Comuni italiani che, a cascata, potrebbero eleggere i consiglieri delle C.M. o dei Consigli provinciali, i quali a loro volta potrebbero eleggere i consiglieri regionali, e questi ultimi ancora a loro volta i parlamentari...in un gioco di scatole cinesi discutibilissimo proprio sul piano democratico, (…)La situazione è poi preoccupante perché, a ben vedere, la sentenza della Corte sembra consolidare la lenta erosione del sentimento democratico, confermata sempre più negli ultimi anni dalla progressiva riduzione della stessa partecipazione elettorale. Purtroppo, di fronte al mito funzionalista dell’efficienza amministrativa, per altro tutto da dimostrare, nel corso del tempo si è determinata anche una progressiva assuefazione al carattere relativa- mente democratico delle nostre istituzioni politiche.”

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programmi, comporta notevoli difficoltà nella governance e una distorsione nel circuito democratico.

Le disfunzioni della rappresentanza si sommano alla mancanza di efficienza che trova la sua origine nel lungo e travagliato processo di 50

formazione delle delibere dovuto alla mancanza di unità di intenti ed a cause che risiedono nella natura e nella composizione stessa degli organi dell’unione.

3-Il Presidente.

Il Presidente è l’organo di vertice, viene eletto tra i Sindaci dei Comuni aderenti ed è votato dal Consiglio con maggioranza qualificata. La figura presenta alcune perplessità rispetto al circuito democratico dato che essendo in concomitanza anche il Sindaco di uno dei Comuni (come avviene anche per il Sindaco della città metropolitana) tenderà inevitabilmente a privilegiare il suo bacino elettorale; la figura di un Presidente che è Sindaco solo di una parte del territorio dell’unione offre meno garanzie di un Sindaco di un Comune all’esito di un processo di fusione che ha una legittimazione diretta e rappresenta tutto il territorio.

B.BALDI e G.XILO, Dall’Unione alla fusione di Comuni, in Istituzioni del federalismo 1/2012.

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Gli autori fanno riferimento al caso dell’Unione dei Comuni dell’Arcipelago Toscano, precedentemente Comunità montana, dove molte decisioni vengono bloccate dall’incapacità dei Sindaci di pervenire ad un accordo senza trovarsi davanti veti incrociati e dalla difficoltà di gestire i rapporti inter-istituzionali.

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Arci, Associazione nazionale Giuristi democratici, Centro studi Sereno Regis, Laboratorio civico Almese,.