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Il rapporto tra il giudizio di ottemperanza e il divieto di azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali - Judicium

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Fabio Valerini

Il rapporto tra il giudizio di ottemperanza e il divieto di azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali (*)

1. La sentenza della sezione terza del TAR Lombardia, sede di Milano, del 17 ottobre 2011, n. 2458, che qui si annota, ha avuto modo di pronunciarsi sull’ambito oggettivo dell’efficacia preclusiva del divieto previsto dal comma 51 della legge n. 220 del 2010 (c.d. legge di stabilità 2011) che, a sua volta si colloca, nell’ambito di quelle disposizioni normative volte a consentire il conseguimento degli obiettivi dei piani di rientro dai disavanzi sanitari1.

Quella disposizione, infatti, dispone, oggi, che, a certe condizioni, da un lato,“non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime, fino al 31 dicembre 2012”.

D’altro lato, poi, che “i pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalle regioni di cui al presente comma alle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle regioni medesime, effettuati prima della data di entrata in vigore del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, non producono effetti dalla suddetta data fino al 31 dicembre 2012 e non vincolano gli enti del servizio sanitario regionale e i tesorieri, i quali possono disporre, per le finalità istituzionali dei predetti enti, delle somme agli stessi trasferite durante il suddetto periodo”.

2. Si tratta, quindi, di una norma che si inserisce nell’ambito di una disciplina normativa, sostanziale e processuale, volta a fronteggiare i gravi problemi finanziari nell’ambito del settore sanitario i cui effetti si producono, in primis, sul livello e qualità delle prestazioni del servizio sanitario nazionale chiamato a realizzare il diritto alla salute costituzionalmente previsto2.

1 Norma analoga era già prevista dall’articolo 2, comma 89 della l. 23 dicembre 2009, n. 191. Su alcuni profili processuali della normativa in esame vedi G. Palmieri, Sul rilievo “officioso” dell’impignorabilità dei crediti delle ASL nel procedimento espropriativo presso terzi, tra tutela dei destinatari dei servizi sanitari essenziali e ragioni creditorie, in www.judicium.it.

2 La Corte costituzionale con sentenza 26 marzo 2010, n. 123 nel dichiarare l’illegittimità dell’art. 25, comma 2 della legge della Regione Campania 16 gennaio 2009, n. 1 (che aveva previsto l’impignorabilità dei beni degli enti sanitari e zooprofilattici, così sottraendo al regime dell’esecuzione forzata detti beni, in deroga al regime della responsabilità patrimoniale del debitore) ha affermato che “nel disporre la suddetta impignorabilità, [la legge regionale] introduce una limitazione al soddisfacimento patrimoniale delle ragioni dei creditori non prevista dalla normativa statale riguardante la materia, assegnando «alle situazioni soggettive di coloro che hanno avuto rapporti patrimoniali con quegli enti un regime, sostanziale e processuale, peculiare rispetto a quello (ordinario, previsto dal codice civile e da quello di procedura civile) altrimenti applicabile» (sentenza n. 25 del 2007). La norma regionale censurata opera, dunque, nell’àmbito della materia dell’«ordinamento civile», di cui all’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., e ne va di conseguenza dichiarata l’illegittimità costituzionale”.

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Problemi finanziari che, però, determinano anche ulteriori effetti a livello dei singoli creditori e a livello generale.

Ed infatti, il mancato pagamento da parte delle aziende sanitarie locali delle imprese fornitrici determina effetti economici di sistema non indifferenti: si pensi agli effetti sui livelli di produzione e di occupazione nonché alla capacità di quelle imprese di far fronte, a loro volta, ai propri debiti ed in particolare i debiti tributari con conseguenze, nuovamente, sulle disponibilità di bilancio e, quindi, sulle capacità dello Stato di operare eventuali trasferimenti alle Regioni.

3. Orbene, nel caso oggetto del giudizio davanti al TAR Lombardia, in sede di giudizio di ottemperanza, era accaduto che un’impresa operante nel settore dei supporti medici aveva ottenuto dal Tribunale civile di Monza tre decreti ingiuntivi nei confronti dell’azienda sanitaria Napoli 1 per un importo complessivo che, al netto degli accessori, superava i quattro milioni di euro.

Una volta che i decreti ingiuntivi erano divenuti definitivi per mancanza di opposizione da parte della debitrice ingiunta (che, quindi, non ha contestato né l’esistenza, né la consistenza di quei debiti) dal momento che l’azienda sanitaria ingiunta non aveva integralmente soddisfatto le pretese creditori dell’impresa creditrice, quest’ultima decide di tentare il recupero coattivo delle somme dovute attraverso il procedimento di ottemperanza3.

Scelta che, come ben noto, trova certamente il conforto normativo dal momento che il giudizio di ottemperanza ben può essere utilizzato anche per ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi alle sentenze passate in giudicato del giudice ordinario (così la lettera c) dell’articolo 112 Codice processo amministrativo).

Ed inoltre quella scelta consente all’impresa creditrice, ai sensi del terzo comma dell’articolo 112, di proporre in quel giudizio “anche azione di condanna al pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza, nonché azione di risarcimento dei danni derivanti dalla mancata esecuzione, violazione o elusione del giudicato”.

3E’ pacifico che il creditore ha sempre la possibilità di scegliere tra l’esecuzione forzata del codice di procedura civile e il giudizio di ottemperanza: sul punto, da ultimo, vedi C.d.S. , sez. IV, 21 febbraio 2011, n. 1084, in Diritto e giustizia del 15 marzo 2011 secondo cui “il ricorso per ottemperanza è diretto ad assicurare piena e concreta soddisfazione all'interesse sostanziale riconosciuto dal giudicato civile ed è esperibile, in particolare, anche per l'esecuzione di una condanna al pagamento di somme di denaro, alternativamente o congiuntamente rispetto al rimedio del processo di esecuzione, con il solo limite dell'impossibilità di conseguire due volte le stesse somme. L'esatto adempimento del giudicato da parte dell'Amministrazione non può essere eluso invocando problematiche di copertura finanziaria”.

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4. Senonché, nel corso del giudizio di ottemperanza l’azienda sanitaria eccepisce l’inammissibilità del giudizio di ottemperanza in quanto, a suo dire, avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 1, comma 51, della legge 2010 n. 220 prima ricordato.

L’eccezione proposta ha, quindi, determinato la necessità per i giudici amministrativi del capoluogo lombardo di esaminare la questione processuale relativa al se il divieto di intraprendere

“azioni esecutive” si riferisca soltanto alle azioni esecutive promosse nelle forme del terzo libro del codice di procedura civile ovvero se comprenda anche il giudizio di ottemperanza (come quello azionato nel caso di specie)4.

Orbene, per il TAR Lombardia quel divieto si riferisce unicamente alle azioni esecutive che i creditori intraprendono secondo le forme del codice di procedura civile e, quindi, non è idoneo a rendere, di per sé, inammissibile il ricorso al giudizio di ottemperanza per ottenere l’integrale soddisfazione dei propri crediti5.

La soluzione così accolta e le motivazioni che la sorreggono, però, non convincono tanto che, a mio avviso, la tesi preferibile è quella per la quale il giudizio di ottemperanza deve essere qualificato come “azione esecutiva in senso proprio, peraltro alternativa all’esecuzione di cui al codice di rito” restando così “assoggettato al termine di sospensione previsto dalla legge 220/2010”6.

4Una questione simile relativa all’applicabilità del termine dilatorio di cui all’articolo 14 del d.l. n. 669 del 1996 era stata affrontata e risolta sulla base anche di un argomento testuale da T.A.R. Catania Sicilia sez. IV 02 luglio 2010 2647.

Ed infatti, in quella sentenza si legge che “l'art. 14 comma 1, d.l. n. 669 del 1996 stabilisce un termine dilatorio per la proposizione dell'azione esecutiva nei confronti degli enti pubblici non economici e riguarda, specificamente, l'esecuzione forzata disciplinata dal codice di procedura civile, come si evince dall'inequivoco riferimento, ivi contenuto, all'"esecuzione forzata" e all'"atto di precetto" e, pertanto, non è estensibile per analogia al giudizio di ottemperanza davanti al g.a.; la "ratio" del divieto deve essere individuata nell'esigenza di accordare "alle amministrazioni statali e agli enti pubblici non economici, attraverso il differimento dell'esecuzione, uno spatium adimplendi per l'approntamento dei mezzi finanziari occorrenti al pagamento dei crediti azionati", al fine "di evitare il blocco dell'attività amministrativa derivante dai ripetuti pignoramenti di fondi, contemperando in tal modo l'interesse del singolo alla realizzazione del suo diritto con quello, generale, ad un'ordinata gestione delle risorse finanziarie pubbliche"; non vi è ragione per estendere l'ambito applicativo della norma in esame anche al giudizio di ottemperanza, le cui peculiarità procedimentali garantiscono la finalità perseguita dal divieto posto dall'art. 14, d.l. n. 669 del 1996”.

Orbene, per quanto non dirimenti possano essere le argomentazioni basate su dati testuali non in equivoci, la differente espressione utilizzata nel nostro caso (e, cioè, “azioni esecutive”) mi pare possa rappresentare quantomeno un indizio di ciò che vi deve essere ricompreso anche il giudizio di ottemperanza. Nessuna efficacia persuasiva può avere, invece, l’osservazione contenuta nella motivazione della sentenza che pogga sul riferimento testuale “solo al pignoramento e alla prenotazione a debito”. Ciò perché quella disposizione ha lo scopo di disciplinare gli effetti di pignoramenti già compiuti o compiuti in violazione della norma.

5 Nello stesso senso, con identica motivazione, TAR Lombardia, sez. III, 1 agosto 2011, n. 2074, in Red. amm. TAR 2011, 7-8 e sez. III, 17 giugno 2011, n. 1573, in Foro amm. TAR 2011, 6, 1856 (s.m.).

6 In questo senso TAR Calabria, Catanzaro, sezione I, sentenza n. 516 del 2011, peraltro citata nella motivazione della sentenza annotata.

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5. Orbene, il TAR Lombardia ritiene di poter argomentare l’esclusione del giudizio di ottemperanza dal divieto di azioni esecutive sulla base della ricostruzione del quadro normativo di riferimento e della sua ratio.

Correttamente la motivazione muove dalla individuazione dei presupposti in presenza dei quali scatta il divieto per i creditori di intraprendere e proseguire azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie e, cioè, “a) che esse operino in regioni commissariate secondo la procedura di cui all'articolo 8, comma 1, della legge 5 giugno 2003, n. 131; b) che siano stati predisposti piani di rientro dai disavanzi sanitari, ai sensi dell'articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 finalizzati alla riorganizzazione, riqualificazione o al potenziamento del servizio sanitario regionale; c) che sia stata effettuata la ricognizione dei debiti di cui all'articolo 11, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78”.

Ne deriva che il divieto (temporaneo) di azioni esecutive rappresenta, nell’ottica del legislatore, uno strumento necessario per consentire a quelle aziende sanitarie appartenenti a quelle Regioni che abbiano redatto i piani di rientro dai disavanzi sanitari (anche avvalendosi dell’aiuto economico da parte dello Stato che vi provvede con trasferimenti finanziari) e che abbiano eseguito una ricognizione dei debiti esistenti di portare a compimento quei piani di rientro seguendo la programmazione indicata in quel piano.

E ciò nell’interesse, in primo luogo, della collettività che ha diritto ad un sistema sanitario efficiente e, in secondo luogo, dei creditori delle aziende sanitarie locali i cui crediti sono spesso, di fatto, “congelati” nonostante la già avvenuta effettuazione della fornitura.

Non c’è dubbio, quindi, che la norma impone ai creditori un temporaneo divieto, che certamente sacrifica ulteriormente le aspettative di veder soddisfatti i propri diritti.

E’ altrettanto vero, però, che questo sacrificio è imposto, nell’intenzione del legislatore, nell’interesse generale al rientro del disavanzo sanitario.

La previa programmazione e il rispetto del piano – anche con riferimento al pagamento dei creditori oltre che alla miglior organizzazione del servizio – rappresenta l’obiettivo del divieto di azioni esecutive.

6. Senonché, il TAR Lombardia ritiene che “l’obiettivo dell’attuazione dei piani di rientro e del contemporaneo mantenimento dei livelli di assistenza, a tutela del fondamentale diritto alla salute, presuppone che l’amministrazione conservi integri e nel loro complesso i beni strumentali e funzionali all’erogazione delle prestazioni sanitarie, nonostante sia gravata da una situazione

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debitoria tale da pregiudicarne l’equilibrio economico e finanziario e da giustificare un finanziamento integrativo a carico dello Stato”.

Ond’è che il TAR Lombardia sembra individuare (e, direi anche, limitare) lo scopo del divieto di azioni esecutive nella sola conservazione dei “beni strumentali e funzionali all’erogazione delle prestazioni sanitarie” dimenticandosi così dell’altrettanto importante scopo della norma che è quello di garantire l’attuazione di un piano di rientro nell’interesse generale.

Ciò premesso, viene allora naturale per i giudici amministrativi ritenere che quell’esigenza (e, cioè, quella di conservare l’integrità dei beni strumentali) “si soddisfa escludendo che nei confronti delle aziende sanitarie versanti nelle condizioni economiche e finanziarie suindicate, possano essere attivate o completate procedure esecutive che, al fine di soddisfare il creditore, consentano di aggredire i beni, mobili e immobili, di cui l’amministrazione si avvale per l’erogazione delle prestazioni del servizio sanitario, sottraendoli alla loro destinazione funzionale”.

Arrivando, quindi, finalmente alle conclusioni per il Tribunale amministrativo soltanto “il processo esecutivo in senso stretto, caratterizzato dal pignoramento […] da un lato, produce l’effetto giuridico di vincolare determinati beni del debitore al soddisfacimento del creditore, dall’altro, è prodromico alla soddisfazione coattiva del creditor mediante l’assegnazione o la vendita, secondo la disciplina posta dagli artt. 491 e seg. del c.p.c.”.

Viceversa, con il giudizio di ottemperanza “il creditore non aggredisce esecutivamente singoli beni sottraendoli alla loro destinazione funzionale e vincolandoli alla soddisfazione della propria pretesa, ma ottiene che il giudice si sostituisca all’amministrazione, direttamente o indirettamente per il tramite di un commissario ad acta, nel compimento degli atti necessari per l’adempimento del debito”.

“Atti” – prosegue il TAR Lombardia – “che consistono nel reperimento delle somme necessarie per la soddisfazione del credito, eventualmente anche mediante il ricorso a finanziamenti, nei limiti consentiti dalla legge, ma non nel pignoramento e nella successiva assegnazione o vendita di beni determinati, che sono atti diretti a realizzare la conversione in denaro di beni determinati a soddisfazione del creditore”.

7. La tesi espressa, quindi, consiste in ciò il giudizio di ottemperanza “non incide sui beni, mobili o immobili, che l’A.S.L. utilizza per l’erogazione del servizio sanitario, né sulle somme che in base alla legge sono destinate all’erogazione di tale servizio”.

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8. Orbene, come anticipato, le motivazioni addotte dal TAR Lombardia non sono convincenti sia nella parte in cui limitano l’obiettivo del divieto di azioni esecutive alla conservazione dei beni strumentali all’erogazione delle prestazioni sia nella parte in cui sembrano prospettare che l’esecuzione nelle forme del codice di procedura civile possa incidere sui beni, mobili o immobili, che l’A.S.L. utilizza per l’erogazione del servizio sanitario così compromettendo il sistema sanitario.

9. Quanto alla prima affermazione già abbiamo detto che l’obiettivo non è soltanto quello individuato, ma quello più ambizioso del rientro dal disavanzo programmando, tra gli altri, i tempi di pagamento dei debiti già oggetto di ricognizione e garantendo che non vi siano strumenti (le azioni esecutive) che possano portare all’alterazione dei piani e, quindi, nuovamente all’impossibilità di far fronte e superare i gravi problemi finanziari.

Orbene, a voler seguire la tesi del TAR Lombardia potrebbe ben accadere che i creditori muniti di titolo idoneo, in luogo di agire nelle vie precluse dall’articolo 1 comma 51 della legge n.

220 del 2010, agiscano con il giudizio di ottemperanza.

Quale sarebbe la conseguenza? Che l’A.S.L. in prima battuta, ovvero il nominato commissario straordinario, invece che occuparsi dell’esecuzione del piano di rientro devono dedicarsi (e dedicare le risorse) alla soddisfazione dei creditori agenti in ottemperanza.

Non è forse questo un risultato che la norma portante il divieto di azioni esecutive vuole evitare?

10. Quanto alla seconda affermazione (e, cioè, quella in base alla quale soltanto l’esecuzione nelle forme del terzo libro del codice di procedura civile può incidere sui beni, mobili o immobili, che l’A.S.L. utilizza per l’erogazione del servizio sanitario così compromettendo il sistema sanitario) occorre svolgere alcune precisazioni.

Ed infatti, a prescindere dalla possibilità di applicare l’articolo 14 del d.l. n. 669 del 1996 alle esecuzioni nei confronti delle aziende sanitarie locali7, resta che l’esecuzione forzata nei confronti delle aziende sanitarie deve tener conto, di una particolare disciplina normativa relativa al

<denaro> pignorabile.

Ed infatti, in primo luogo il quinto comma dell’articolo 1 del d.l. 18 gennaio 1993, n. 9 limita la possibilità di sottoporre ad esecuzione forzata “le somme dovute a qualsiasi titolo dalla

7 Per l’applicabilità anche alle esecuzioni contro le aziende sanitarie vedi Trib. Napoli, 26 settembre 2006, in Redazione giuffré. e T.A.R. Catania Sicilia sez. IV 02 luglio 2010 2647. Contra TAR Roma Lazio, sez. III, 8 novembre 2006, n.

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unità sanitarie locali e dagli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico […] nei limiti degli importi corrispondenti agli stipendi e alle competenze spettanti al personale dipendente o convenzionato, nonché nella misura dei fondi a destinazione vincolata essenziali ai fini dell’erogazione dei servizi sanitari definiti con decreto del Ministero della sanità, di concerto con il Ministero del tesoro”8.

In secondo luogo, poi, il comma 294 dell’articolo 1 della l. n. 266 del 2005 per la quale “i fondi destinati, mediante aperture di credito a favore dei funzionari delegati degli uffici centrali e periferici del Ministero della salute, a servizi e finalità di sanità pubblica nonché al pagamento di emolumenti di qualsiasi tipo comunque dovuti al personale amministrativo o di spese per servizi e forniture prestati agli uffici medesimi, non sono soggetti ad esecuzione forzata”.

Inoltre, resta sempre che, con riferimento a (taluni) beni mobili ed immobili (ed in particolari quelli strumentali alla erogazione delle prestazioni), le aziende sanitarie possono invocare il disposto dell’articolo 830 Cod. Civ. che sancisce l’applicabilità dell’articolo 828 Cod.

Civ. ai beni degli enti pubblici “destinati ad un pubblico servizio”.

11. Ne deriva, pertanto, che la legislazione sostanziale e processuale – sicuramente applicabile all’espropriazione forzata disciplinata dal terzo libro del codice di procedura civile, prevede già – e a prescindere dall’esistenza di un piano di rientro dal disavanzo sanitario – limiti alla pignorabilità dei bei mobili e immobili nonché delle somme di denaro strumentali all’esercizio delle funzioni cui sono preposte le aziende sanitarie locali.

Ecco allora che il divieto di azioni esecutive non può essere – come vorrebbe il TAR Lombardia – funzionale (soltanto) ad evitare che i creditori pignorino beni strumentali all’erogazione delle prestazioni sanitarie.

Ciò perché tale finalità è già perseguita e protetta dalla disciplina sostanziale e processuale che abbiamo prima ricordato.

Ne deriva che ogni distinzione, ai fini che qui interessano, tra giudizio di ottemperanza e espropriazione forzata non ha ragione di esistere con la conseguenza che anche l’azione di ottemperanza è un’azione esecutiva (e su questo non c’è dubbio) che deve soggiacere ai limiti di cui all’articolo 1 comma 51 della legge n. 220 del 2010

8 Sul punto vedi, oltre alla sentenza C. Costituzionale 29 giugno 1995, n. 285, S. Venturi, Le (presunte) novità in materia di esecuzione forzata contro la pubblica amministrazione, in Giur. merito, 1995, 426 e segg.

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Ma v’è di più. Ed infatti, secondo il TAR Lombardia il giudizio di ottemperanza sarebbe escluso dall’area di operatività del divieto di azioni esecutive perché tramite quella vi sarebbe una sorta di <garanzia> che i beni strumentali non vengano pregiudicati dalle esigenze creditorie.

Senonché, ancora una volta, è bene precisare che quella <garanzia> non proviene dal tipo di giudizio promosso (l’ottemperanza anziché il pignoramento), ma deriva dalle norme relative alle condizioni e limiti alla pignorabilità dei beni.

Tant’è vero che, ove mai in un giudizio di ottemperanza per il pagamento di somme di denaro, il commissario ad acta non dovesse trovare (in cassa) o reperire (magari tramite finanziamento) le somme necessarie, egli dovrebbe operare come agirebbe un comune debitore (intenzionato a pagare) e, cioè, vendendo i beni che compongono il suo patrimonio (rectius: quei beni che sono disponibili in quanto non attratti dalla legge nell’ambito della condizione giuridica di cui all’articolo 828 Cod. Civ)9.

12. Infine, resta da dire che le osservazioni sin qui svolte (e, per le quali, deve essere preferita l’interpretazione dell’articolo 1, comma 51 della legge n. 220 del 2010) sono imposte dalla ratio della norma speciale e dalla necessità di garantire l’operatività della medesima.

Sebbene dal punto di vista della politica del diritto la norma possa prestarsi a considerazioni critiche (sia per la scelta in sé di sacrificare i fornitori delle A.S.L. ovvero per le modalità con le quali (non) è stato bilanciato l’interesse dei creditori paralizzati nelle loro pretese esecutive con alcune misure di favore (quali ad esempio nel settore fiscale poteva essere una compensazione dei debiti tributari o altro), l’interpretazione adottata dal TAR Lombardia ha come conseguenza quello di privare di effetto utile la disposizione stessa10.

9 In senso conforme vedi M.E. Schinaia, I poteri del giudice amministrativo nella fase dell’esecuzione delle sue decisioni da parte dell’Amministrazione, in www.giustizia-amminitrativa.it

10 In tal senso devono essere affrontati – senza, però, il necessario approfondimento che meriterebbe il tema a causa dei limiti di questa nota – i profili della compatibilità della normativa interna che prevede il divieto temporaneo di azioni esecutive con la disciplina comunitaria della concorrenza ed in particolare – per quanto osservato dal TAR Lombardia in motivazione – con la disciplina dei ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali. Ed infatti, il Collegio ha affermato che “intervenendo normativamente in materia di soddisfazione dei crediti derivanti da transazioni commerciali tra imprese ed amministrazioni,[lo Stato] non può paralizzare procedure esecutive diverse dall’esecuzione forzata in senso stretto, in quanto così facendo si porrebbe in contrasto con la direttiva comunitaria 2000 n. 35, che non gli attribuisce tale potere in sede di recepimento della direttiva medesima”. Senonché, a parte ogni considerazione sul merito della compatibilità – ciò che, in tesi, sarebbe illegittima è la preclusione temporanea delle azioni esecutive che dovrebbe portare come logica conseguenza ad una disapplicazione della norma interna configgente (sia in sede civile sia in sede amministrativa). Ecco allora che il TAR Lombardia avrebbe dovuto verificare quella compatibilità ed eventualmente disapplicare la norma anziché fornire un’interpretazione sostanzialmente abrogatrice della disposizione.

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www.judicium.it (*) Testo destinato alla pubblicazione nella Rivista amministrativa della Regione Lombardia, supplemento alla Rivista amministrativa della Repubblica italiana.

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