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La responsabilità civile medica Storia, evoluzione e prospettive

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Academic year: 2022

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La responsabilità civile medica

Storia, evoluzione e prospettive Avv. Michele Liguori*

Premessa.

La più antica testimonianza scritta, nella storia dell’umanità, circa la responsabilità del medico, può essere rinvenuta nel codice del re babilonese Hammurabi (2123-2091 a.C.)1.

La figura di cui effettivamente si parla nel testo2 era quella del chirurgo che rivestiva un ruolo sociale diverso da quello attuale, e di rango inferiore 3.

Il medico infatti era un sacerdote che, in base alla sintomatologia del paziente, doveva scacciare l’uno o l’altro dei sette demoni delle malattie4.

Egli era un uomo ricco e potente che praticava la mercatura e la finanza, esplicava diverse funzioni della vita pubblica, quali quella notarile e quella giudiziaria e si collocava, quindi, in un livello molto alto della gerarchia sociale.

Il chirurgo, invece, era solo un artigiano, un medicatore di ferite, un incisore di ascessi ed un aggiustaossa.

Se egli con il suo operato determinava la morte del paziente o la sua cecità, subiva conseguenze diverse a seconda del rango sociale del paziente, tanto che se il paziente apparteneva ad un livello alto della gerarchia sociale il chirurgo subiva il taglio delle mani, probabilmente, sia a scopo cautelativo per evitare il ripetersi dell’errore, sia a scopo punitivo.

Se il paziente, invece, era uno schiavo, quindi soggetto di rango inferiore, il chirurgo subiva solo conseguenze economiche, ad esempio un adeguato (probabilmente modesto) indennizzo pecuniario al padrone dello stesso.

Si trattava di pena tutt’altro che grave in quella società ove la morte veniva comminata anche per una semplice frode nella vendita della birra5.

Sono trascorsi oltre quattro millenni da questa prima testimonianza scritta in merito alla responsabilità del medico ma tale problematica è ancor oggi, e più che mai, a la mòde.

Sicché, si assiste oggi ad un duplice fenomeno.

Da un lato la scienza medica compie passi da gigante e le tecniche di diagnosi e di cura divengono sempre più sofisticate ed efficienti tanto da consentire il raggiungimento di traguardi fino a qualche anno fa insperati (si pensi all’attuale cura anticancro proposta dal prof. Luigi Di Bella che, se confermata nella sua validità scientifica dal comitato dei garanti nominato dal ns. Ministro della Sanità Rosy Bindi, può definirsi la scoperta scientifica del duemila).

Dall’altro lato, si può constatare in quest’ultimo ventennio, un aumento dei casi di responsabilità medica.

Ciò, paradossalmente, soprattutto in quei paesi in cui l’assistenza sanitaria raggiunge i più alti livelli di efficienza e che maggiormente hanno contribuito al progresso scientifico.

* Avvocato giurista, Napoli

1 E’ il più antico codice di leggi conservatosi integralmente. Inciso su una stele di diorite nera alta più di due metri, riportata alla luce nel 1902 da un’équipe di archeologi francesi negli scavi di Susa, in Iraq (antico Elam), tale codice è tuttora conservato nel museo del Louvre a Parigi.

2 Traduzione di R.F. Harper, The Code of Hammurabi, Un. Chicago, 1904.

3 A. Pazzini, Storia della Medicina, Soc. Ed. Lib., Milano, 1947.

4 La malattia, nella mentalità mesopotanica, veniva ad identificarsi con i demoni fuggiti dagli inferi per tormentare gli uomini e non restava, allora, che ricorrere all’esorcismo e all’incantesimo.

5 R.F. Harper, The Code of Hammurabi, Un. Chicago, 1904.

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Significativo è l’esempio degli Stati Uniti d’America ove il numero dei medici condannati per “malpractice” è in costante aumento ed è proporzionalmente maggiore rispetto a quello dei colleghi italiani

condannati al risarcimento per colpa professionale6.

Tale situazione può essere attribuita, anche se solo in parte, al diffondersi dell’uso di stipulare formule di assicurazione sulla responsabilità civile nel settore medico.

Si innesca così un singolare fenomeno che rende meno cauti i medici, potenziali responsabili, nell’affrontare ed esercitare determinate attività favorendo, in un certo senso, l’incremento degli eventi dannosi7.

A parte tale considerazione, deve ritenersi che l’aumento dei casi di responsabilità medica può dipendere anche da altri fattori quali:

- l’aumento vertiginoso delle patologie, anche e soprattutto quelle più gravi, curate dai sanitari;

- il progressivo allungamento della vita media dell’uomo. Si consideri, in particolare, che in Italia l’attuale atteso di vita è pari a circa 74 anni per gli uomini e 78 anni per le donne.

- Sicché è stato stimato che intorno all’anno 2000 le persone ultrasettantacinquenni dovrebbero costituire circa il 15% della popolazione8. In età avanzata, infatti, si assiste ad un incremento delle più diverse forme morbose9 con conseguente aumento di pazienti trattati, anche anziani, con manifestazioni patologiche sempre più gravi, che fino a qualche anno fa erano irrimediabilmente condannati;

- la maggiore e più consapevole presa di coscienza dei propri diritti da parte della popolazione, anche grazie ad un più alto livello di istruzione scolastica, alla preziosa opera di sensibilizzazione delle varie associazioni di difesa dei diritti del malato, nonché alla preziosa opera di pubblicità dei mass media. Questi presentano continuamente all’opinione pubblica evidenti casi di “malpractice” e, con il supporto di esperti nei vari settori, insegnano ai destinatari dei messaggi, il modo per riconoscerli. E’ quindi evidente che oggi vengano riconosciuti moltissimi casi di “malpractice”, portati poi nelle aule di giustizia, mentre fino a qualche anno fa essi sarebbero passati inosservati.

In altri termini è aumentato il numero di pazienti sottoposti a cure, di malati gravi, anche anziani, che anziché essere abbandonati vengono sottoposti a trattamenti, di soggetti che guariscono, ma anche di soggetti che vanno incontro ad esiti infausti o peggiorativi e che hanno però preso coscienza dei propri diritti che azionano nelle opportune sedi.

2. La definizione di “responsabilità civile medica”.

Il termine “responsabilità” trova una diversa accezione nelle varie branche del ns. diritto a seconda dell’attributo cui si accompagna, che ne specifica il significato.

Si parla così di responsabilità civile, in contrapposizione a quella penale, amministrativa e contabile, di responsabilità contrattuale, in contrapposizione a quella extracontrattuale.

6 A.V. Gambaro, La responsabilità medica nella prospettiva comparatistica, in La responsabilità medica, Giuffrè, Milano, 1982, 25.

7 R. Rascio, in atti del Convegno su La responsabilità civile per colpa professionale. Esperienza italiana ed anglosassone, a cura del Centro Studi di Diritto e di Medicina delle Assicurazioni, Napoli, 7/11/1981, 65.

8 G. Bruno, in atti del Convegno su Il danno alla persona nell’anziano, problemi clinici, medico legali e giuridico assicurativi, a cura dell’associazione medico giuridica M. Gioia e dell’IPSEG, Torino, 28/11/1997, 7.

9 F. Fabris, in atti del Convegno su Il danno alla persona nell’anziano, problemi clinici, medico legali e giuridico assicurativi, a cura dell’associazione medico giuridica M. Gioia e dell’IPSEG, Torino, 28/11/1997, 9.

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Si suole, ancora, distinguere responsabilità politica e responsabilità morale10, responsabilità etica, deontologica ecc.

Si tratta di un uso diversificativo del sostantivo “responsabilità” che, come è stato autorevolmente segnalato da attenta e autorevole dottrina11, è dovuto ad una certa povertà del ns. linguaggio che ha imposto il medesimo vocabolo per esprimere significati tra loro diversi.

Con il sintagma “responsabilità civile”, in particolare, si intende esprimere il rapporto stretto intercorrente tra il concetto di responsabilità e la sua conseguenza diretta sul patrimonio di una persona.

Esso esprime, quindi, la soggezione del patrimonio di una persona alla soddisfazione della pretesa altrui12.

Se fino a qualche anno fa, la “responsabilità civile” costituiva pacificamente una tecnica istituzionale di sostanziale redistribuzione dei danni, che poteva svilupparsi soltanto in presenza della crescita economica e sociale del Paese13, oggi è sempre più prossima a divenire uno strumento di allocazione delle risorse del sistema14 che pone in primo piano l’interesse alla riparazione del danno15.

Con il sintagma “responsabilità medica” in sostituzione di “responsabilità del medico” si intende sottolineare che non si è in presenza di un semplice capitolo di una trattazione generale dedicata alla responsabilità del professionista, ma che, di contro, si prende in considerazione un aspetto della tutela della salute dell’individuo, in relazione ai pericoli connessi allo svolgimento di un trattamento sanitario16.

3. La definizione di trattamento sanitario.

Per poter parlare di responsabilità professionale medica, bisogna intendersi sul significato di “trattamento sanitario”.

Con tale espressione si intende definire “ogni attività diagnostica e terapeutica posta a tutela della salute, e quindi atta a prevenire e curare lo stato di malattia”.

Si tratta, ovviamente, di interventi che richiedono che “l’individuo metta a disposizione il proprio corpo” per sottoporlo ad ogni “prestazione del caso” anche a quelle che “incidono sulla sfera più intima e privata del soggetto, toccando tra l’altro valori che sono oggetto di protezione costituzionale: il diritto alla vita e alla salute, il diritto all’integrità personale, così come la libertà personale, la libertà religiosa e di pensiero”17.

4. Il sistema organico del rapporto medico-paziente.

10 M. Franzoni, Fatti illeciti, in Commentario del Codice Civile a cura di Scialoja e Branca, Zanichelli, Bologna, 1993, 1.

11 S. Rodotà, Il problema della responsabilità civile, Giuffrè, Milano, 1964, 42, che a sua volta richiama F.

Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, Giuffrè, Milano, 1957, I, 201.

12 M. Franzoni, Fatti illeciti in Commentario del Codice Civile a cura di Scialoja e Branca, Zanichelli, Bologna, 1993, 1 e segg..

13 R. Rascio, in atti del Convegno su La responsabilità civile per colpa professionale.

Esperienza italiana ed anglosassone, a cura del Centro Studi di Diritto e di Medicina delle Assicurazioni, Napoli, 7/11/1981, 25.

14 Jonas, Il principio di responsabilità.Un’etica per la civiltà tecnologica, Utet, 1990.

15 L. Corsaro, Responsabilità civile, diritto civile, in Enc. Giur. It., XXVI, Roma, 1991; F.D. Busnelli, La parabola della responsabilità civile, in Riv. Crit. Dir. Priv., 1988, 649; S. Rodotà, Modelli e funzioni della responsabilità civile, in Riv. Crit. Dir. Priv., 1984, 595.

16 F.D. Busnelli, presentazione al volume La responsabilità medica, Milano, 1982, 1.

17 Documento del Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) approvato il 20/6/1992.

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L’evoluzione della dottrina medico-legale e giuridica e l’enorme contributo offerto dalla giurisprudenza di merito e, soprattutto, di legittimità, nella sua funzione di nomofilachia18, hanno consentito di ricostruire, in merito all’oggetto qui trattato, un vero sistema organico del rapporto medico-paziente e della responsabilità civile medica.

Si passa da una situazione di ingiustificata preminenza del medico, che poteva decidere liberamente se, come e quando intervenire, che spesso sostituiva la sua volontà a quella di chi era destinatario della sua attività, ad una più equa e giusta situazione paritaria.

In tale situazione, si equilibrano le rispettive sfere di competenza, di autonomia e di scelta del paziente e del medico, armonizzando “potestà di curare” (e non più di “diritto di curare”) da un lato, intesa come facoltà accordata al medico su richiesta del paziente, salvi i casi in cui sussista per il medico un obbligo giuridico di intervenire19, e dall’altro, diritti inviolabili della persona, costituzionalmente garantiti.

Nel rapporto medico-paziente due sono gli obblighi fondamentali a carico del medico:

- il primo è quello di informare il paziente;

- il secondo è quello di eseguire una prestazione professionalmente corretta e diligente.

5. L’obbligo di informazione.

5.1. Cenni storici.

Il problema dell’informazione al malato, affinché questi possa esprimere un consenso al trattamento sanitario proposto, è molto antico.

Nel Corpus Hippocraticum20 veniva riconosciuto il diritto-dovere di non rivelare nulla al paziente circa le sue condizioni di salute ed i trattamenti a cui era sottoposto (“tieni all’oscuro il paziente circa ogni evento futuro”).

Ciò era solo parzialmente giustificabile per il timore, anche se remoto, di “passi estremi”

che poteva prendere il malato.

Tale prassi diveniva invece fonte di privilegi e contribuiva a costruire intorno alla figura dello archiatra, un alone di potere e di mistero21.

Ancora nel Medio Evo Henri De Mondeville, i cui scritti sono del resto permeati della tradizione ippocratica, asseriva che “nulla doveva essere conosciuto dal paziente”, al quale doveva essere promessa una cura (e qualora vi fosse stato un benchè minimo rischio o pericolo questo doveva essere comunicato ai genitori ed agli amici).

Inoltre si ribadiva che i pazienti erano tenuti a sottostare sempre alla volontà del loro medico.

Solo con l’Illuminismo e con gli scritti di John Gregory e, ancor più, del suo allievo Benjamin Rush, si cominciò a prospettare la “demistificazione della medicina” e, di conseguenza, l’opportunità di informare il paziente.

In verità, Rush, non raccomandava l’informazione ai fini propri del consenso, ma perché il paziente potesse capire la prescrizione fatta dal medico per essere motivato ad attenervisi.

Egli sosteneva, infatti, che “la sottomissione del paziente al medico doveva essere assoluta”.

Si era in presenza non di un principio di rispetto per la libertà del paziente, bensì ad una sorta di ciò che oggi potrebbe essere definito “beneficio terapeutico” dell’informazione.

18 Art. 65 r.d. 30/1/41 n. 12: “La Corte Suprema di Cassazione, quale organo supremo della giustizia, assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge e l’unità del diritto oggettivo nazionale”.

19 G. Iadecola, Il codice deontologico del medico, I, Cedam, Padova, 1995, 57.

20 Un’antologia di scritti di diversi autori, tradizionalmente attribuita al medico greco Ippocrate di Coò (460-

?370 circa a.C.), raccolti dai bibliotecari di Alessandria intorno al III sec. a.C. e che andò perduta nell’incendio del 641 d.C., durante la conquista musulmana.

21 B.M. Altamura, Dal giuramento di Ippocrate ai Codici deontologici moderni: continuità o superamento?, in Med. mor., 3, 1984, 338 e segg..

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Si può certamente affermare che Rush fu l’antesignano della cosiddetta “therapeutic alliance”.

Thomas Percival, contemporaneo di Rush, per primo ha sostenuto il diritto del paziente all’informazione, quantunque questo diritto si scontrasse e, il più delle volte, si presentasse

“l’inganno caritatevole” per la salvaguardia della salute del malato.

E’ stato proprio il lavoro di Percival, la base per il primo codice di deontologia medica dell’AMA del 1947 nel quale, tuttavia, si continuava a sostenere il principio di “benevolent deception”.

Solo nella revisione del codice di deontologia medica effettuata nel 1957 e, ancor di più, in quella effettuata nel 1980, si trova il concetto di “informed consent” così come oggi inteso.

Proprio nell’anno 1957, l’espressione “informed consent” è entrata nel lessico legale negli Stati Uniti d’America22, quando all’esplicito dovere del medico di comunicare alcuni tipi di informazione, venne unito il tradizionale dovere di ottenere il consenso del paziente:

così “informed” + “consent”.

5.2. Il fondamento normativo.

Oggi l’obbligo di informazione al malato è basato su due norme della Costituzione:

- l’art. 13 Cost. che garantisce l’inviolabilità della libertà personale nel cui ambito deve comprendersi anche la libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità psicofisica;

- l’art. 32, 2° comma, Cost. a norma del quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge23.

L’obbligo di informazione, però, ha non solo una fonte di rango costituzionale, come già detto, ma anche una fonte costituita da disposizioni normative di rango subordinato.

Ci riferiamo alle seguenti norme:

- l’art. 132 R.D. 3/2/1901 n. 45 (regolamento generale sanitario) che stabilisce che “in tutti i casi di malattie infettive e diffusive, il medico curante dovrà dare alle persone che assistono o avvicinano l’infermo, le istruzioni necessarie per impedire la propagazione del contagio”;

- l’art. 4 L. 25/7/1956 n. 837 (profilassi delle malattie veneree) che stabilisce che “il sanitario che, comunque nell’esercizio professionale, riscontri una persona affetta da malattia venerea, è tenuto a renderla edotta della natura e della contagiosità della malattia, dell’obbligatorietà della cura radicale e delle facilitazioni concesse a tale fine dalla presente legge”;

- l’art. 4 L. 26/6/1967 n. 458 (trapianto del rene tra persone viventi) che stabilisce che “il trapianto del rene legittimamente prelevato e destinato ad un determinato paziente non può aver luogo senza il consenso di questo o in assenza di un stato di necessità”;

- l’art. 1 L. 13/5/1978 n. 180 (sulla riforma dei manicomi) che stabilisce che “gli accertamenti e i trattamenti sanitari sono volontari” salvo i casi espressamente previsti;

- l’art. 2 L. 22/5/1978 n. 194 (norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza) che stabilisce che “la somministrazione su

22 Caso “Salgo v Leland Stanford Jr. University Board of Trustees” citato in Guida all’esercizio professionale per i medici chirurghi e gli odontoiatri, Ed. medico scientif., 1994, 121.

23 Cass. 15/1/97 n. 364, in Foro It., 1997, I, 771, con nota di Palmieri, in Guida al Diritto il Sole 24 Ore, 1997, 5, 63, con nota di Umani Ronchi e in Mass., 1997; Cass. 25/11/94 n. 10014, che è opera di S.E. dott. Nicastro, che è il medesimo relatore della precedente sentenza citata, in Foro It., 1995, I, 2913, con nota di Scoditti e in Giur. Civ., 1995, I, 937, con nota di Ferrando.

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prescrizione medica, nelle strutture sanitarie e nei consultori, dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile è consentita anche ai minori”;

- l’art. 4 L. 22/5/1978 n. 194, cit., che stabilisce che “quando la donna si rivolge al suo medico di fiducia, questi compie gli accertamenti sanitari necessari... Valuta con la donna stessa e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, anche sulla base dell’esito degli accertamenti di cui sopra, le circostanze che la determinano a chiedere l’interruzione della gravidanza; la informa sui diritti a lei spettanti e sugli interventi di carattere sociale cui può fare ricorso nonché sui consultori e le strutture socio sanitarie”;

- l’art. 12 L. 22/5/1978 n. 194, cit., che stabilisce che “se la donna è di età inferiore ai 18 anni, per l’interruzione della gravidanza è richiesto l’assenso di chi esercita sulla donna stessa la potestà o la tutela. Tuttavia, nei primi novanta giorni, quando vi siano seri motivi che impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone esercenti la potestà o la tutela, oppure queste interpellate rifiutino il loro assenso o esprimano pareri tra loro difformi, il consultorio o la struttura socio-sanitaria o il medico di fiducia esplica i compiti e le procedure di cui all’art. 5 e rimette, entro sette giorni dalla richiesta, una relazione corredata del proprio parere, al giudice tutelare del luogo in cui esso opera”;

- l’art. 14 L. 22/5/1978 n. 194, cit., che stabilisce che “il medico che esegue l’interruzione della gravidanza è tenuto a fornire alla donna le informazioni e le indicazioni sulla regolazione delle nascite, nonché a renderla partecipe dei procedimenti abortivi, che devono comunque essere attuati in modo da rispettare la dignità personale della donna.

In presenza di processi patologici, fra cui quelli relativi ad anomalie o malformazioni del nascituro, il medico che esegue l’interruzione della gravidanza deve fornire alla donna i ragguagli necessari per la prevenzione di tali processi”;

- l’art. 2 D.M. 5/7/1978 (modificazioni alle modalità di raccolta ed elaborazione dei dati statistici relativi agli interventi terapeutici e riabilitativi in materia di tossicodipendenza da sostanze stupefacenti o psicotrope) che stabilisce che “qualora l’interessato richieda di avvalersi dell’anonimato ai sensi dell’art. 95 della Legge 685/1975, il sanitario, dopo aver illustrato l’importanza dei dati statistici, lo assicura circa la rigorosa applicazione del segreto professionale e di ufficio”24;

- l’art. 33, 1° e 5° comma, L. 23/12/1978 n. 833 (istituzione del Servizio Sanitario Nazionale) che stabilisce che “gli accertamenti e i trattamenti sanitari sono, di norma, volontari...gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori...devono essere accompagnati da iniziative rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato”;

- l’art. 5, 3° e 4° comma, L. 5/6/1990 n. 135 ( programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l’AIDS) che stabilisce che “nessuno può essere sottoposto, senza il suo consenso, ad analisi tendenti ad accertare l’infezione da HIV se non per motivi di necessità clinica nel suo interesse...La comunicazione dei risultati di accertamenti diagnostici diretti o indiretti per la infezione da HIV può essere data esclusivamente alla persona cui tali esami sono riferiti”25;

- l’art. 19 D.P.R. 28/9/1990 n. 314 (compiti del medico di medicina generale) che stabilisce che “l’inserimento negli elenchi di cui all’art. 5 determina relativamente all’ambito territoriale di iscrizione di ciascun medico e nei confronti dei cittadini che lo

24 L’intero D.M. 5/7/1978 è stato abrogato dall’art. 6 D.M. 10/10/1984, in G.U. 2/11/1984 n. 302.

25 La Corte Cost., con sent. 2/6/94 n. 218, in Dir. Regione, 1995, 105, con nota di Magri, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 32 Cost., tale articolo nella parte in cui non prevede accertamenti sanitari dell’assenza di sieropositività dall’infezione da HIV come condizione per l’espletamento di attività che comportano rischi per la salute di terzi.

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scelgono, l’affidamento al medico stesso della responsabilità in ordine alla tutela della salute del proprio assistito che si estrinseca in compiti diagnostici, terapeutici, riabilitativi, preventivi e di educazione sanitaria i quali sono espletati attraverso interventi ambulatoriali e domiciliari”; tale articolo, quindi, sancisce, tra l’altro, un obbligo di informazione a carico del medico nell’educazione sanitaria a scopi preventivi;

- l’art. 121 D.P.R. 9/10/1990 n. 309 (testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza) che stabilisce che “l’autorità giudiziaria o il prefetto nel corso del procedimento, quando venga a conoscenza di persone che facciano uso di sostanze stupefacenti o psicotrope, deve farne segnalazione al servizio pubblico per le tossicodipendenze competente per territorio. Il servizio pubblico per le tossicodipendenze, nell’ipotesi di cui al comma 2, ha l’obbligo di chiamare la persona segnalata per la definizione di un programma terapeutico e socio-riabilitativo”;

- l’art. 19 del Decreto 15/1/1991 del Ministro della Sanità, in G. U. del 24/1/1991 n. 20, in attuazione della L. 4/5/1990 n. 107, che definisce le trasfusioni come pratiche terapeutiche rischiose per le quali è necessario il consenso informato scritto del ricevente;

- gli artt. da 1.8 a 1.15 del D.M. 27/4/1992 (disposizioni sulle documentazioni tecniche da presentare a corredo delle domande di autorizzazione all’immissione in commercio di specialità medicinali per uso umano, in attuazione della direttiva CEE n. 507/91), in supplemento ordinario alla G.U. 15/6/1992 n. 139, che introducono in Italia le norme europee di “Good clinical practice”. Queste prevedono che l’informazione dev’essere fornita sia oralmente sia per iscritto (art. 1.9) e che il consenso dev’essere registrato “in modo appropriato” (art. 1.12), ovvero esso deve essere documentato o con firma datata del soggetto o con firma di un testimone indipendente che attesti la prestazione del consenso da parte dell’interessato, nel caso di studio non terapeutico, ovvero quando non sussista alcun beneficio clinico diretto per il soggetto (art. 1.14). In questo secondo caso, dovrà essere riportato il motivo per il quale non è stata raccolta la firma dell’interessato alla sperimentazione;

- gli artt. da 29 a 34 del Codice di deontologia medica approvato il 24-25/6/1995 dalla Federazione Nazionale Ordine dei Medici e Odontoiatri (che aggiorna, corregge, integra ed adegua ai tempi il precedente testo del 15/7/1989) che regolano, sul piano deontologico ed etico, i rapporti tra medico e paziente, stabilendo precisi obblighi a carico del primo, circa l’informazione da fornire e il consenso al trattamento da raccogliere.

La normativa deontologica per ultima indicata, è una normativa che, se non ha nel nostro ordinamento rango di fonte del diritto, è tutt’altro che indifferente in sede di interpretazione ed applicazione del diritto stesso.

Basti pensare, infatti, all’importanza che possono avere le norme dei codici deontologici che si riferiscono al “corretto esercizio della professione” per l’interprete chiamato ad applicare l’art. 1175 c.c. in tema di comportamento secondo correttezza; ovvero le norme che predicano “l’osservanza dei principi e delle regole deontologiche” ai fini della valutazione della diligenza.

Questa, com’è noto, ai sensi dell’art. 1176, 2° comma, c.c. deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata26.

Dunque, la normativa deontologica, seppur non può ritenersi una vera e propria fonte giuridica, deve ritenersi un autorevole strumento di conferma dell’obbligo dell’informazione

26 F.D. Busnelli, prefazione al Codice di deontologia medica a cura di Vittorio Fineschi, Giuffrè, 1996, 9, che a sua volta richiama A. Bellelli, Codice di deontologia medica e tutela del paziente, in Riv. Dir. Civ., 1995, I, 581.

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al paziente, tanto, che una certa tendenza giurisprudenziale, collega la prestazione informativa del sanitario, al rispetto “delle direttive attingibili dai principi deontologici e applicabili, tenendo conto della natura e dell’urgenza dell’intervento operatorio, nonché delle condizioni psichiche e di grado di cultura del paziente”27.

5.3. L’autonomia dell’obbligo di informazione.

La libertà personale è inviolabile, così come sancito dall’art. 13 Cost. in precedenza citato, vuol dire che non solo la libertà fisica, “l’habeas corpus”, è inviolabile, ma che anche la libertà morale lo è.

Libertà morale vuol dire libertà di autodeterminarsi, cioè possibilità di scegliere tra una o più possibilità che siano tra loro alternative quali, ad esempio, la scelta di curarsi o di non curarsi, la scelta di una terapia al posto di un’altra ecc..

Ciò significa che il medico che non informa il proprio paziente sulle varie alternative possibili, compresi i rischi connessi ad un trattamento sanitario, viola la libertà personale del paziente, perché non gli consente di autodeterminarsi e di effettuare una libera scelta.

Salvo eccezioni di legge, tra le quali sono da annoverare tutte le ipotesi in cui il medico agisca in stato di necessità, come delineato dall’art. 54 c.p.28, i trattamenti sanitari sono quindi volontari e come tali, devono essere liberamente scelti dal paziente.

E’ evidente che non vi è libertà di scelta se non vi è completezza di informazione.

L’inquadramento del principio in esame nella dinamica costituzionale della libertà personale, rafforza il concetto che interesse protetto dalla regola dell’informazione e del consenso non sia unicamente la salute del paziente, al cui fine deve essere rivolta la decisione medica approvata dal paziente stesso, ma proprio l’autodeterminazione dell’individuo29.

Ne consegue che senz’altro corretta deve ritenersi l’orientamento della più recente dottrina che ha sottolineato l’autonomia dell’obbligo di informazione rispetto agli obblighi di prestazione, con conseguenti riflessi sul piano delle responsabilità30; orientamento che si spiega in relazione alla libertà del paziente di rifiutare la cura31.

Orientamento, questo ultimo, confermato di recente sia dalla S.C., che ha ritenuto che "se dall'esecuzione, ancorchè prudente, diligente e tecnicamente corretta, di un intervento chirurgico o di un accertamento diagnostico invasivo, deriva un danno o addirittura la morte del paziente, non informato dai medici, dipendenti da un'ente ospedaliero, dei rischi gravi per la vita o l'incolumità fisica a cui poteva andare incontro, al fine di prestare il necessario consenso a procedervi, sussiste la responsabilità dell'ente, anche nel caso che non sia stato individuato il medico a cui incombeva tale obbligo"32, e sia dalla giurisprudenza di merito, che ha ritenuto "sussistente la responsabilità del sanitario per violazione dell'obbligo di

27 Cass. 26/3/81 n. 1773, in Arch. Civ., 1981, 544; conf. Cass. Pen. 13/5/92, citata da P. Iamiceli, La r.c. del medico, in La responsabilità civile, Utet, Torino, 1998, VI, 438, che, allo specifico riguardo, ha affermato che

“non sembra inutile ricordare che, ai sensi dell’art. 39 c.d.m., il consenso del paziente deve obbligatoriamente essere richiesto per ogni atto medico”.

28 Cass. Pen. 16/2/81, in Riv. Pen., 1982, 235.

29 P. Iamiceli, La r.c. del medico, in La responsabilità civile, Utet, Torino, VI, 1998, 426, che richiama a sua volta U.G. Nannini, Il consenso al trattamento medico, Giuffrè, Milano, 1989, 118 e segg., che collega autodeterminazione e integrità fisica, distinguendo tuttavia quest’ultima dal diritto alla salute.

30 F. Cafaggi, responsabilità del professionista, in Dig. Disc. Priv., XVII, Utet Torino, 1997, 21.

31 G. Giannini e M. Pogliani, La responsabilità da illecito civile, Giuffrè, Milano, 1996, 251.

32 Cass. 24/9/97 n. 9374, in Mass. Foro It., 1997, 923; conf. Cass. 8/7/94 n 6464, in Resp. Civ. Prev., 1994, 1029, in Giust. Civ., 1995, I, 767, in Nuova Giur. Civ., 1995, I, 1107, in Giur. It., 1995, I, 1, 790, con note di Fascella e Venturello, in Riv. It. Med. Leg., 1995, 1282, in Rass. Dir. Civ., 1996, 342 e in Mass., 1994; a proposito di un intervento di chirurgia plastica: Cass. 8/8/85 n. 4394, in Giur. It., 1987, I, 1, 1136, con nota di S. Romano, in Corriere Giur., 1985, 1221, con nota di Malinconico, in Foro It., 1986, I, 121, con nota di A.M.

Princigalli, in Resp. Civ. Prev., 1986, 44, con nota di Danovi e in Giust. Civ., 1986, I, 1432, con nota di Costanza.

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informazione...anche quando...non sia allo stesso medico ascrivibile alcun altro profilo di responsabilità professionale"33.

5.4. La natura dell’obbligo.

L’art. 1337 c.c. (trattative e responsabilità precontrattuale) sancisce che “le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede”.

Un autorevole e recente filone giurisprudenziale ha fatto riferimento a tale norma per affermare che il diritto del malato all’informazione “assume rilievo nella fase precontrattuale, in cui si forma il consenso del paziente al trattamento o all’intervento e trova fondamento nel dovere di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto (art. 1337 c.c.)”34.

Altro filone giurisprudenziale altrettanto autorevole ha ritenuto che “la violazione del dovere di informazione gravante sul professionista è fonte di responsabilità contrattuale”35.

La differenza tra i due filoni è rilevante in quanto, in dottrina, non è pacifica la natura della responsabilità precontrattuale tanto che si sono sviluppate, in proposito, ben quattro diverse correnti di pensiero:

1. la prima afferma che si tratta di una responsabilità extracontrattuale36; 2. la seconda afferma che si tratta di una responsabilità contrattuale37;

33 Trib Napoli 11/2/98 n. 1317, in corso di pubblicazione su Tagete, 1998, 3; conf. App. Milano 2/5/95, in foro It., 1996, I, 1418; App. Venezia 23/7/90 n. 1990, in Riv. It. Med. Leg., 1991, 1320, con nota di Zanchetti; Trib.

Padova 9/8/85, in Nuova Giur. Civ., 1986, I, 115, con nota di Zatti e in Foro It., 1986, I, 1995, con nota di Zeno-Zencovich.

34 Cass. 15/1/1997 n. 364, in Foro It., 1997, I, 771, con nota di Palmieri, in Guida al Diritto il Sole 24 Ore, 1997, 5, 63, con nota di Umani Ronchi e in Mass., 1997; conf. Cass. 25/11/94 n. 10014, in Foro It., 1995, I, 2913, con nota di Scoditti e in Giur. Civ., 1995, I, 937, con nota di Ferrando; Cass. 12/6/82 n. 3604, in Foro It.

Rep., 1983, voce Professioni intellettuali, n. 54, in Arch. Civ., 1982, 1124, in Giust. Civ., 1983, I, 939 e in Mass., 1982; Trib. Napoli 11/2/98 n. 1317, in corso di pubblicazione su Tagete, 1998, 3.

35 Cass. 8/8/85 n. 4394, in Giur. It., 1987, I, 1, 1136, con nota di S. Romano, in Corriere Giur., 1985, 1221, con nota di Malinconico, in Foro It., 1986, I, 121, con nota di A.M. Princigalli, in Resp. Civ. Prev., 1986, 44, con nota di Danovi e in Giust. Civ., 1986, I, 1432, con nota di Costanza; conf. Cass. 26/3/81 n. 1773, in Arch. Civ., 1981, 544; Cass. 29/3/76 n. 1132, in Riv. Giur. Lav. 1997, 140 e in Giur. It. 1977, I, 1, 1987; App. Milano 2/5/95, in Foro It., 1996, I, 1418.

36C.M. Bianca, Diritto civile, Giuffrè, Milano, 1984, III, 161 e segg. e 724 e segg.; P. Checchini, Rapporti non vincolanti e regola di correttezza, Cedam, Padova, 1977, 269 e segg.; P. Greco, Formazione di contratto nullo e responsabilità extracontrattuale, in Temi, 1952, 467; Osti, in Noviss. Dig. It., voce Contratto, 515; R. Sacco, Il contratto, in Trattato di diritto civile italiano diretto da F. Vassalli, IV, 2, 676; F. Carresi, Il contratto, in Trattato Cicu Messineo, XXI, 734 e segg..

37 C. Castronovo, La nuova responsabilità civile, Giuffrè, Milano, 1997, II, 258 e segg.; M. Franzoni, Fatti illeciti, in Commentario del Codice Civile a cura di Scialoja e Branca, Zanichelli, Bologna, 1993, 17 e segg.; F.

Galgano, Diritto civile e commerciale, Cedam, Padova, 1990, II, 466 e segg.; F. Benatti, Culpa in contrahendo, in Contratto e Impresa, 1987, 303 segg., che motiva la sua tesi muovendo dalla nozione di buona fede che, al di fuori del possesso, rileva solo quale buona fede contrattuale e conclude che non potrebbe non essere tale quella prevista dall’art. 1337, pertanto non può non essere contrattuale la responsabilità conseguente alla sua violazione; Scognamiglio, Dei contratti in generale, in Commentario del Codice Civile a cura di Scialoja e Branca, Zanichelli, sub art. 1337, 213 e segg.; A. Ravazzoni, La formazione del contratto, Giuffrè, Milano, 1974, II, 159 e segg.; G. Tucci, Il danno ingiusto, Jovane, Napoli, 1970, 134; M. Giorgianni, Appunti sulle fonti delle obbligazioni, in Riv. Dir. Civ., 1965, I, 70 e segg.; F. Benatti, La responsabilità precontrattuale, Giuffrè, Milano, 1963, 126 e segg.; Mengoni, Sulla natura della responsabilità precontrattuale, in Riv. Dir.

Comm., 1956, II, 832 e segg.; E. Betti, Teoria generale delle obbligazioni, Giuffrè, Milano, 1954, I, 84; F.

Messineo, Il contratto in genere, in Trattato di diritto Civile e Commerciale a cura di Cicu e Messineo, 365 e segg.; A. Di Majo, Obbligazioni in generale, in Commentario del Codice Civile a cura di Scialoja e Branca, sub art. 1173, 206; e per l’ampia ricostruzione del dibattito C. Turco, interesse negativo e responsabilità precontrattuale, Giuffrè, Milano, 1990, 723 segg..

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3. la terza ha proposto di configurare autonomamente la responsabilità derivante dagli art.

1337 e 1338, giungendo a delineare un tertium genus di responsabilità, tra quella contrattuale e quella extracontrattuale38;

4. la quarta ha sostenuto che essa si presenta come contrattuale o extracontrattuale, a seconda della fattispecie, giungendo ad ammettere che, a secondo delle ipotesi, l’oggetto del risarcimento è l’interesse contrattuale negativo, ma che può essere anche l’interesse contrattuale positivo39.

La S.C., dal canto suo, persiste nel ritenere la responsabilità precontrattuale di natura extracontrattuale40.

La distinzione della natura dell’obbligo di informazione (contrattuale od extracontrattuale) ha una rilevanza pratica, in ordine alla costituzione in mora, alla disciplina sulla competenza per territorio, ai termini di prescrizione e alla diversa area dei danni risarcibili.

Di questi ultimi due aspetti parleremo più compiutamente nell'ultima parte della ns.

relazione.

5.5. La nostra opinione sulla natura dell’obbligo.

Noi riteniamo, in generale, sicuramente corretto l’orientamento che fa riferimento all’art.

1337 c.c. per affermare che il diritto del malato all’informazione assume rilievo nella fase precontrattuale e quindi riteniamo di natura extracontrattuale l’obbligo di informazione.

Ciò in quanto tale obbligo preesiste alla conclusione del contratto d’opera professionale ed è un obbligo che esiste ed è a carico del sanitario, anche nel caso in cui il contratto d’opera professionale non solo non venga concluso tra il medico e il paziente, ma allorché esso non sia stato mai voluto dalle parti.

Si pensi all’esempio del medico dipendente della struttura pubblica che entri in contatto con il paziente solo al momento dell’intervento. In questo caso a carico del sanitario v’è comunque l’obbligo di informare il paziente anche se tra le parti non v’è, e non vi sarà, alcun vincolo contrattuale.

Ma va fatta in proposito un’ulteriore precisazione: tale obbligo può essere anche oggetto di uno specifico contratto “col quale il professionista si sia impegnato a fornire un parere o un consiglio, anche in vista di un’eventuale futura prestazione di altro genere”41. In tale caso, va riconosciuta la natura contrattuale dell’obbligo di informazione.

5.6. Il contenuto dell’obbligo.

38 R. Sacco, Culpa in contrahendo e culpa aquiliana, in Riv. Dir. Comm., 1961, II, 186, tesi però successivamente abbandonata dall’autore in Il Contratto, Trattato di diritto civile italiano diretto da F. Vassalli, IV, 2, 676; P. Rescigno, in Enc. del dir., voce Obbligazioni (dir. priv.), 142, 160; Cuffaro, in Enc. del dir., voce Responsabilità precontrattuale, 1270.

39 A. De Cupis, Il danno, Giuffrè, Milano, 1979, 95 e segg.; L. Bigliazzi Geri, in Digesto IV, Sez. civ., voce Buona fede nel diritto civile, 178; A. Luminoso, La lesione dell’interesse contrattuale negativo (e dell’interesse positivo) nella responsabilità civile, in Contratto e impresa, 1988, 792 e segg., che ritiene di natura contrattuale la responsabilità derivante da rotture ingiustificate delle trattative e da omessa comunicazione di una causa di invalidità, mentre di natura extracontrattuale la responsabilità derivante dalla distruzione della cosa che forma oggetto della trattativa.

40 Cass. 11/5/90 n. 4051, in Corriere Giur., 1990, 832, con nota di Carbone, in Foro It., 1991, I, 184, con nota di Caruso, in Giust., Civ., 1991, I, 113, in Resp. Civ. Prev., 1990, 809 e in Rass. Giur. Ener. Elettr., 1991, 492;

Cass. 18/6/87 n. 5371, in Foro It., 1988, I, 181, in Mass., 1987 e in Giust. Civ., 1988, I, 197; Cass. 19/10/72 n.

3129, in Giust. Civ., 1973, I, 818.

41 G. Cattaneo, La responsabilità del professionista, Giuffrè, Milano, 1958, 90.

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L’obbligo di informare non ha carattere per così dire assoluto ma va ponderato ed adattato in relazione alle diverse capacità reattive del paziente, al suo diverso grado di cultura e alla sua diversa sensibilità42.

Quindi l’informazione deve, da un lato, essere adeguata al singolo paziente in relazione alla sua cultura, alle sue possibilità cognitive, alle sue condizioni psichiche e di emotività;

dall’altro deve garantire una comprensione completa e corretta della diagnosi, della terapia o della mancata terapia, delle possibili alternative terapeutiche, dei rischi eventuali e della prognosi.

Nell’ambito degli interventi chirurgici, come del resto per tutti i trattamenti sanitari, la S.C. ha sancito che il dovere di informazione concerne la portata dell’intervento, le inevitabili difficoltà connesse, gli effetti conseguibili e gli eventuali rischi, sì da porre il paziente in condizioni di decidere, con l’ausilio tecnico scientifico del sanitario, sull’opportunità di procedervi o di ometterlo, attraverso il bilanciamento di vantaggi e rischi43.

L’obbligo si estende ai rischi sia probabili, sia prevedibili.

Gli unici rischi dei quali non deve essere informato il paziente, sono i rischi anomali, vale a dire quelli assolutamente imprevedibili, eterogenei rispetto al tipo di intervento che si va ad effettuare44 e cioè quelli che possono essere ascritti al caso fortuito.

Sempre nell’ambito degli interventi chirurgici la S.C. ha sancito ancora che “l’obbligo di informazione si estende, inoltre, ai rischi specifici rispetto a determinate scelte alternative, in modo che il paziente, con l’ausilio tecnico-scientifico del sanitario, possa determinarsi verso l’una o l’altra delle scelte possibili, attraverso una cosciente valutazione dei rischi relativi e dei corrispondenti vantaggi. Sotto un altro profilo è noto che interventi particolarmente complessi, specie nel lavoro in équipe, ormai normale negli interventi chirurgici, presentino, nelle varie fasi, rischi specifici e distinti, allorché tali fasi assumano una propria autonomia gestionale e diano luogo, esse stesse, a scelte operative diversificate, ognuna delle quali presenti rischi diversi, l’obbligo di informazione si estende anche alle singole fasi ed ai rispettivi rischi”45.

Sempre in merito al contenuto dell’informazione, è opportuno evidenziare che la S.C. ha distinto tra intervento operatorio a fini funzionali, come sopra esplicitato, ed intervento di chirurgia estetica.

Nell’ambito di quest’ultimo, la S.C. ha fatto un ulteriore distinzione tra intervento di chirurgia plastica estetica ed intervento di chirurgia plastica ricostitutiva.

Per quanto concerne l’intervento di chirurgia plastica estetica, ciò che la S.C. richiede al chirurgo estetico, è un maggiore rigore nel dovere di informazione.

Esso, innegabilmente, grava, come già visto, su qualsiasi medico, ma diviene, tuttavia, ben più incisivo e pregnante nell’eventualità di trattamenti di chirurgia plastica estetica ove il chirurgo persegue il diverso obiettivo di migliorare l’aspetto fisico del paziente.

Qui, infatti, a differenza dalle ipotesi di interventi operatori a fini funzionali, si fa particolarmente sentita l’esigenza che il chirurgo non esponga il paziente, qualunque sia il suo desiderio, a rischi troppo gravi rispetto ai (prevedibili) risultati del trattamento: egli, cioè, deve innanzitutto valutare vantaggi e pericoli e prendere le relative decisioni con particolare prudenza, ma principalmente ha il preciso obbligo di prospettare al paziente, nel

42 G.G. Scalfi, Consenso e fiducia nel rapporto medico paziente, in La responsabilità medica, 37.

43 Cass. 15/1/97 n. 364, in Foro It., 1997, I, 771, con nota di Palmieri e in Guida al Diritto il Sole 24 Ore, 1997, 5, 63, con nota di Umani Ronchi e in Mass., 1997.

44 Cass. 15/1/97 n. 364, in Foro It., 1997, I, 771, con nota di Palmieri e in Guida al Diritto il Sole 24 Ore, 1997, 5, 63, con nota di Umani Ronchi e in Mass., 1997.

45 Cass. 15/1/97 n. 364, in Foro It., 1997, I, 771, con nota di Palmieri, in Guida al Diritto il Sole 24 Ore, 1997, 5, 63, con nota di Umani Ronchi e in Mass., 1997.

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momento in cui gli richiede il consenso all’intervento, le possibilità di successo ed anche i relativi limiti e rischi.

Allo specifico riguardo la S.C. ha ritenuto che il dovere di informazione limitato in genere, per il terapeuta (chirurgo o medico che sia), ai possibili rischi ed effetti delle terapie suggerite o degli interventi chirurgici proposti (in quanto tali, appunto, “da porre in serio pericolo la vita o la incolumità fisica del paziente”), deve essere da parte del chirurgo plastico, che esegue interventi con finalità estetiche, molto più ampio e circostanziato.

Il sanitario, in particolare, ha l’obbligo preciso di ragguagliare il paziente sulla possibilità di conseguire o meno “un miglioramento effettivo dell’aspetto fisico, che si ripercuota favorevolmente sulla (sua) vita professionale e sulla vita di relazione”46.

Nel caso esaminato dalla S.C. si trattava di un intervento di chirurgia plastica al seno di una ballerina spogliarellista che aveva lasciato segni evidenti di cicatrici ed eccessivo spostamento in alto ed asimmetria dei capezzoli, così da compromettere gravemente l’attività professionale dell’attrice.

La S.C., pur avendo accertato che l’intervento era stato eseguito secondo le corrette regole tecniche del caso e con la dovuta diligenza, ha confermato tuttavia la responsabilità del chirurgo per essere questi venuto meno al suo dovere di informare la paziente “dei rischi estetici soprattutto cicatrici ai quali essa andava inevitabilmente incontro”.

E ciò aveva una particolare rilevanza considerato che il medico “era al corrente dell’attività professionale di ballerina spogliarellista della cliente”.

All’attento cultore della materia non sarà sfuggito che tale più pregnante informazione da parte del chirurgo estetico è stata, però, apparentemente annullata da una successiva decisione della S.C. che allo specifico riguardo ha sancito che “un consenso immune da vizi non può che formarsi dopo aver avuto piena conoscenza della natura dell’intervento medico e/o chirurgico, della sua portata ed estensione e dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative, sicché presuppone una completa informazione sugli stessi da parte del sanitario o del chirurgo, senza che possa distinguersi, sotto tale profilo, tra chirurgia riabilitativa e chirurgia estetica”47 ed ha citato, a conferma di tale principio, le sue precedenti decisioni48.

Non crediamo che con la richiamata sentenza la S.C. sia voluta entrare consapevolmente in contrasto con il suo precedente filone giurisprudenziale già citato per vari ordini di motivi:

- perché nei precedenti giurisprudenziali, pur richiamati a sostegno della propria decisione, la S.C. aveva messo in risalto l’obbligo per il chirurgo estetico di fornire al paziente un’informazione più ampia e circostanziata;

- perché il “dictum” non è “ratio decidendi” in quanto, nel caso esaminato dalla S.C., non era oggetto del “devolutum” la differenza che intercorre tra l’informazione che il sanitario deve fornire al paziente in ambito di chirurgia estetica rispetto a quella che il sanitario deve fornire al paziente in ambito di chirurgia generale;

46 Cass. 8/8/85 n. 4394, in Giur. It., 1987, I, 1, 1136, con nota di S. Romano, in Corriere Giur., 1985, 1221, con nota di Malinconico, in Foro It., 1986, I, 121, con nota di A.M. Princigalli, in Resp. Civ. Prev., 1986, 44, con nota di Danovi e in Giust. Civ., 1986, I, 1432, con nota di Costanza; conf. Trib. Roma 10/10/92, in Giur. It., 1993, I, 2, 337; App. Milano 30/4/1991, in Foro It., 1991, I, 2855.

47Cass. 25/11/94 n. 10014, in Foro It., 1995, I, 2913, con nota di Scoditti e in Giur. Civ, 1995, I, 937, con nota di Ferrando.

48 Cass. 8/8/85 n. 4394, in Giur. It., 1987, I, 1, 1136, con nota di S. Romano, in Corriere Giur., 1985, 1221, con nota di Malinconico, in Foro It., 1986, I, 121, con nota di A.M. Princigalli, in Resp. Civ. e Prev., 1986, 44, con nota di Danovi e in Giust. Civ., 1986, I, 1432, con nota di Costanza; Cass. 12/6/82 n. 3604, in Foro It. Rep., 1983, voce Professioni intellettuali, n. 54, in Arch. Civ., 1982, 1124, in Giust. Civ., 1983, I, 939 e in Mass., 1982.

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- perché la S.C. non ha speso neanche una parola per giustificare, a sostegno dei principi affermati, tale contrasto con il suo precedente filone giurisprudenziale.

La S.C., quindi, con una “sintassi sintetica” ovvero una “sintesi di sintassi”49 eccessivamente ermetica ha probabilmente affermato ciò che non era sua intenzione affermare.

Si tratta, quindi, di un “obiter dictum” che non deve trarre in inganno l’interprete e l’operatore.

Tale ns. opinione, proprio di recente, è stata confermata dalla S.C. che, a proposito di un intervento di chirurgia plastica estetica, ha riconfermato il suo precedente costante orientamento sancendo che “dalla peculiare natura del trattamento sanitario volontario scaturisce, al fine di una valida manifestazione di consenso da parte del paziente, la necessità che il professionista lo informi dei benefici, delle modalità di intervento, dell’eventuale possibilità di scelta tra diverse tecniche operatorie e, infine, dei rischi prevedibili in sede post-operatoria, necessità, quest’ultima, da ritenersi particolarmente pregnante nel campo della chirurgica estetica (ove è richiesta la sussistenza di concrete possibilità, per il paziente, di conseguire un effettivo miglioramento dell’aspetto fisico che si ripercuota favorevolmente sulla sua vita professionale o di relazione)”50.

Per quanto concerne, infine, l’intervento di chirurgia plastica ricostitutiva, che si differenzia da quella estetica “pura”, in quanto volta a porre rimedio ad un stato voluto e provocato dal paziente ma da lui successivamente ritenuto ripugnante, la S.C., con recentissima decisione, ha evidenziato, in motivazione, che “nel caso di chirurgia estetica deve ricorrere il requisito della massima consapevolezza dei rischi dell’intervento” (con ciò ribadendo il principio della più pregnante informazione che grava a carico del chirurgo estetico in generale) con la specificazione, precisata nella massima, che “l’obbligo di informazione gravante sul professionista chiamato ad una operazione di chirurgia plastica cosiddetta ricostitutiva (nella specie rimozione di tatuaggi) è limitato agli eventuali esiti che, contrariamente agli intenti del paziente, potrebbero rendere vana l’operazione, non comportando un effettivo miglioramento rispetto alla situazione preesistente”51.

5.7. Quadro riassuntivo del contenuto dell’obbligo di informazione del chirurgo.

In definitiva, riassumendo, il contenuto dell’obbligo di informazione da parte del chirurgo può essere così riassunto e schematizzato:

- se trattasi di un intervento chirurgico a fini funzionali, il chirurgo deve informare il paziente circa la portata dell’intervento, le inevitabili difficoltà, gli effetti conseguibili e gli eventuali rischi coinvolgenti probabilità di esito negativo o infausto;

- se trattasi di un intervento di chirurgia plastica estetica, il chirurgo deve informare il paziente circa la portata dell’intervento, le inevitabili difficoltà, gli effetti conseguibili, gli eventuali rischi e circa la concreta possibilità di successo intesa come possibilità di conseguire effettivamente un miglioramento fisico;

49 Espressioni simpaticamente utilizzate da M. Rossetti, La sintassi sintetica ed i suoi effetti nocivi per l’interprete, in nota a Cass. 15/9/97 n. 9261, in Riv. Giur. Circ. Trasp., 1997, 819.

50 Cass. 6/10/97 n. 9705, in Mass. Foro It., 1997, 974 e in Gazz. Giur. Giuffrè, 1997, 41, 22.

51 Cass. 8/4/97 n. 3046, in Foro It., 1997, I, 1801 e in Mass., 1997.

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- se trattasi di un intervento di chirurgia plastica cosiddetta ricostitutiva, il chirurgo deve informare il paziente circa la portata dell’intervento, le inevitabili difficoltà, gli effetti conseguibili, gli eventuali rischi e circa gli eventuali esiti che potrebbero rendere vano l’intervento ma non è tenuto ad informare sulla possibilità di successo intesa come possibilità di conseguire un effettivo miglioramento rispetto alla situazione preesistente;

- se trattasi di un intervento chirurgico, sia esso rivolto a fini funzionali e sia esso rivolto a fini estetici, comunque particolarmente complesso tanto che, nelle sue varie fasi, presenti rischi specifici e distinti, l’obbligo di informazione si estende a tutte le singole fasi ed ai rispettivi rischi.

6. Il consenso. Requisiti.

La corretta informazione, come si evince da quanto fin qui esposto, rappresenta un aspetto prodromico nella genesi del consenso manifestato dal paziente, che ne consente la libera autodeterminazione al trattamento sanitario.

Attraverso il contributo dato sul punto dalla giurisprudenza e dalla più attenta dottrina, è stata elaborata una lunga serie di requisiti, esattamente nove, che il consenso all’accertamento e al trattamento medico-chirurgico deve soddisfare52.

Il consenso, secondo tale contributo, deve essere:

1. personale: esso è un atto personale anche se delegabile. Infatti il paziente può delegare al medico l’assunzione della decisione, in forza della natura fiduciaria del rapporto che intercorre tra i due53; la rappresentanza è ammessa quando avviene nelle forme della rappresentanza legale e pertanto quando si tratta di paziente minore d’età54 o di soggetto legalmente incapace sottoposto alla tutela di altro soggetto55. Il consenso presunto è previsto solo nei casi in cui ricorrono gli estremi dello stato di necessità, quindi, quando l’intervento sia urgente e indefettibile;

2. consapevole e informato: esso deve scaturire da un’adeguata informazione da parte del medico, attraverso l’esposizione dei vantaggi e dei rischi di un trattamento terapeutico, ovvero di un intervento chirurgico56. Ma di tale requisito abbiamo a lungo parlato nel precedente paragrafo dedicato al contenuto dell’informazione;

3. attuale: esso deve permanere per tutto il trattamento essendo sempre possibile una revoca, anche all’ultimo istante. La revocabilità del consenso già prestato garantisce l’autodeterminazione del paziente57 che, come già detto, è l’interesse protetto;

4. manifesto: esso deve essere espresso in modo chiaro e non equivoco anche se non è chiesta la forma scritta, salvo che nei casi espressamente previsti dalla legge indicati in precedenza quali, ad esempio, le donazioni di sangue e la sperimentazione dei farmaci.

Nel nostro ordinamento, infatti, vige il principio della libertà delle forme del negozio giuridico, con la conseguenza che le parti possono scegliere quella ritenuta più opportuna,

52 M. Bilancetti, La responsabilità penale e civile del medico, Padova, 1996, II, 132 e segg.; G.B. Petti, Il risarcimento del danno biologico, Utet, Torino, 1997, 247 e segg..

53 P. Iamiceli, La r.c. del medico, in La responsabilità civile, Utet, Torino, 1998, VI, 430.

54 Pret. Milano 18/9/82, in Foro It., 1984, I, 3066.

55 P. Iamiceli, La r.c. del medico, in La responsabilità civile, Utet, Torino, 1998, VI, 430.

56 Cass. 25/11/94 n. 10014, in Foro It., 1995, I, 2913, con nota di Scoditti e in Giur. Civ., 1995, I, 937, con nota di Ferrando; a proposito di un intervento di chirurgia plastica: Cass. 8/8/85 n. 4394, in Giur. It., 1987, I, 1, 1136, con nota di S. Romano, in Corriere Giur., 1985, 1221, con nota di Malinconico, in Foro It., 1986, I, 121, con nota di A.M. Princigalli, in Resp. Civ. e Prev., 1986, 44, con nota di Danovi e in Giust. Civ., 1986, I, 1432, con nota di Costanza; Cass. 12/6/82 n. 3604, in Foro It., Rep., 1983, voce Professioni intellettuali, n. 54, in Arch. Civ., 1982, 1124, in Giust. Civ., 1983, I, 939 e in Mass., 1982.

57 Sulla revocabilità del consenso v. M. Romano, Considerazioni in tema di responsabilità contrattuale del medico per violazione del dovere di informazione, in Giur. It., I, 1, 1135; G. Iadecola, La rilevanza del consenso del paziente nel trattamento medico-chirurgico, in Riv. It. Med. Leg., 1986, 40.

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ivi compresa la forma orale e la forma tacita. E’ ammesso, perciò, anche il consenso tacito58, purchè desumibile da comportamenti concludenti come il sottoporsi da parte del paziente alle analisi, agli accertamenti, agli atti preparatori, ecc.59;

5. libero: esso deve essere una scelta di persona consapevole, non coartata, con volontà esente da errore essenziale, violenza o da inganno;

6. completo: esso deve derivare da una informazione esauriente e perciò completa, su tutti i punti decisivi e rilevanti non solo del trattamento e delle sue conseguenze, ma anche di ogni altro eventuale trattamento alternativo, con le relative conseguenze. Con un’ulteriore precisazione: quando si tratta di interventi chirurgici di particolare complessità che presentino nelle varie fasi rischi specifici che possono portare a scelte alternative diversificate, l’obbligo di informazione si estende anche a tali scelte alternative ed alle loro conseguenze. Ma anche su tale requisito ci siamo a lungo soffermati nel precedente paragrafo, dedicato al contenuto dell’informazione;

7. gratuito: esso è diretto alla tutela della salute, quindi un fine di lucro renderebbe illecito l’accordo ai sensi dell’art. 1418 c.c.. La gratuità, poi, è espressamente prevista per la validità stessa dei trapianti, delle donazioni di sangue e di emocomponenti;

8. recettizio: esso ha effetto nel momento in cui il medico viene a conoscenza di tale volontà;

9. richiesto: esso è richiesto dal medico, generalmente da quello che formula la proposta terapeutica o che dà esecuzione alla stessa, previo assolvimento del dovere di informazione.

6.1. Il consenso. Limiti.

Il paziente, nonostante il valore costituzionale della sua libera autodeterminazione, non ha un arbitrio assoluto sul proprio corpo e sulla propria integrità psicofisica.

I limiti del consenso agli atti dispositivi della propria integrità fisica si ricavano dall’art. 5 c.c. a norma del quale “gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume”.

7. L’onere della prova.

La regola generale dettata dall'art. 2697 c.c. per quanto concerne l'onere della prova è semplice: chi intende far valere un diritto deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, mentre chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti, deve a sua volta dimostrare la fondatezza della sua eccezione.

La norma, quindi, distingue tra fatti costitutivi da un lato e fatti impeditivi, modificativi ed estintivi dall’altro.

Per la distribuzione dell’onere della prova tra le parti, deve farsi riferimento alla tecnica della semplificazione analitica della fattispecie.

Il significato di questa tecnica, rispetto ai fatti impeditivi, cioè agli elementi della fattispecie concreta coevi a quelli costitutivi e che valgono a paralizzarne l’efficacia, sta nel porre a carico dell’attore l’onere della prova dei soli fatti idonei per sé a produrre l’effetto, ponendo a carico del convenuto quello di dimostrare l’esistenza degli altri elementi della fattispecie concreta, cui la stessa od altra norma, attribuisce la portata di paralizzare l'efficacia dei primi60.

Applicando tali principi, deve ritenersi che l’onere della prova dell’omessa o incompleta informazione, grava sempre sul paziente qualunque sia la natura, contrattuale o extracontrattuale, dell’obbligo di informazione a carico del medico.

58 Cass. 26/3/81 n. 1773, in Arch. Civ., 1981, 544.

59 Cass. 18/6/75 n. 2439; Cass. 6/12/68 n. 3906; Cass. 25/7/67 n. 1950.

60 Cass. 26/6/97 n. 5706, in Foro It., 1997, I, 2861.

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Invero, se si ritiene l’obbligo di informazione di natura contrattuale, ai fini della ripartizione dell’onere della prova, conformemente a quanto avviene in materia di obbligazioni, si deve aver riguardo all’oggetto della domanda.

Se l’attore richiede l’esecuzione del contratto e l’adempimento delle relative obbligazioni, dovrà provare esclusivamente il titolo che costituisce la fonte del diritto vantato, cioè l’esistenza del contratto e, quindi, dell’obbligo che si assume inadempiuto.

Se l’attore richiede la risoluzione del contratto per inadempimento, ovvero il risarcimento del danno, dovrà provare oltre al titolo che costituisce la fonte del diritto vantato, anche il fatto che legittima la risoluzione ossia l’inadempimento: l’omessa o incompleta informazione nonché le circostanze inerenti in funzione delle quali esso assume giuridica rilevanza61.

Se si ritiene, invece, l’obbligo di informazione di natura extracontrattuale, è il paziente che allega l’omessa o incompleta informazione da parte del medico a dover provare tale condotta illecita, secondo il combinato disposto di cui agli artt. 2043 e 2697 c.c..

Né l’obiettiva difficoltà in cui concretamente incorre il paziente nel fornire la prova del fatto costitutivo del diritto vantato, quale l’omessa informazione da parte del sanitario, può condurre ad una diversa ripartizione dell’onere probatorio.

Ciò alla luce dell’antico brocardo: “negativa non sunt probanda” da intendersi nel senso che, non potendosi provare ciò che non è, la prova dei fatti negativi deve essere fornita mediante la prova dei fatti positivi e non, al contrario, nel senso che la negatività dei fatti escluda od inverta l’onere probatorio62.

8. L’obbligo di eseguire una prestazione professionalmente corretta e diligente. L’obbligo di diligenza.

Nell’adempimento del suo secondo obbligo, che come detto in precedenza, è quello di eseguire una prestazione professionalmente valida e diligente, il medico deve compiere tutte quelle attività che vengono ritenute idonee e necessarie al raggiungimento del fine perseguito dal paziente.

Il sanitario, come qualsiasi altro professionista intellettuale, deve osservare, nell’adempimento dell’obbligazione assunta con il paziente, un comportamento informato al criterio della diligenza che si deve valutare ai sensi dell’art. 1176, 2° comma, c.c., con riguardo alla natura dell’attività prestata63 con una precisazione: la diligenza professionale medica va valutata oggettivamente e cioè in relazione alle concrete circostanze ed alla natura della prestazione, specialistica o meno, senza però riferimento alle capacità personali del medico in quanto, altrimenti, si correrebbe il rischio di richiedere al luminare o al primario un comportamento da valutarsi con maggior rigore rispetto al comportamento del comune professionista.

Questi, in tale caso, potrebbe, del tutto ingiustamente, addurre le proprie scarse capacità quale esimente per l’addebito di responsabilità.

Così, ad esempio, la giurisprudenza di merito ha ritenuto che “ai fini della valutazione della colpa professionale nel caso di prestazioni mediche di natura specialistica effettuate da

61 Cass. 25/11/94 n. 10014, in Foro It., 1995, I, 2913, con nota di Scoditti e in Giur. Civ., 1995, I, 937, con nota di Ferrando; conf. Cass. 29/1/93 n. 1119, in Foro It., 1993, I, 1469, in Contratti, 1993, 333, con nota di Cortese, in Corriere Giur., 1993, 568, con nota di Mariconda e in Arch. Civ., 1993, 542.

62 Cass. 25/11/94 n. 10014, in Foro It., 1995, I, 2913, con nota di Scoditti e in Giur. Civ., 1995, I, 937, con nota di Ferrando; conf. 26/12/69 in Foro It. Rep. 1969, voce Professioni intellettuali, n. 29.

63 Cass. 12/8/95 n. 8845, in Rep. Gen. Ann. Giur. It., 1995, voce Professioni intellettuali, n. 87 e in Mass., 1995; Cass. 3/3/95 n. 2466, in Giur. It., 1996, I, 1, 91 con nota di Carusi, Responsabilità del medico, diligenza professionale, inadeguata dotazione della struttura ospedaliera, in Rep. Gen. Ann. Giur. It., 1995, voce Professioni intellettuali, n. 88 e in Mass., 1995; Cass. 26/3/90 n. 2428, in Giur. It., 1991, I, 1, 600, con nota di Carusi, Responsabilità del medico, prestazione professionale di speciale difficoltà e danno alla persona e in Mass., 1990.

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chi sia in possesso del diploma di specializzazione, non può prescindersi dal considerare le cognizioni generali e fondamentali che si richiedono al medico specialista, non essendo sufficiente il riferimento alle nozioni minime di cultura e di esperienza, quali si pretendono dal medico generico”64.

9. La responsabilità contrattuale ed extracontrattuale. Fondamento normativo.

Le professioni intellettuali sono soggette alla disciplina di cui agli artt. da 2229 a 2238 c.c..

In modo particolare l’art. 2230 stabilisce che “il contratto che ha per oggetto una prestazione d’opera intellettuale è regolato dalle norme seguenti e, in quanto compatibili con queste e con la natura del rapporto, dalle disposizioni del capo precedente”, quello relativo al lavoro autonomo.

Tale articolo, indica, quindi, come momento centrale dell’attività del professionista in generale e, per l’appunto del medico, il contratto avente come oggetto una prestazione d’opera intellettuale.

Il contenuto dell’obbligazione del medico è dato da una prestazione, ovvero da un comportamento che egli deve mantenere nei confronti del paziente.

La responsabilità contrattuale del medico, nasce quindi, dall’inadempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto e, conseguentemente trova fondamento nella norma di cui all’art. 1218 c.c..

In base a tale articolo, “il debitore che non esegue esattamente la prestazione è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.

La responsabilità extracontrattuale in generale e del medico in particolare, trova fondamento nella clausola generale d’ingiustizia di cui all’art. 2043 c.c. a norma del quale

“qualunque fatto doloso o colposo che cagioni ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

La responsabilità extracontrattuale, quindi, è quella che non sorge da un precedente rapporto contrattuale tra i soggetti, ma che si configura ogni qualvolta, in conseguenza di un fatto illecito, si determini ad altri un danno ingiusto che si presenti nel contempo, “non iure”

e “contra ius”.

“Non iure”, com’è noto, è il danno privo di giustificazione, ossia quello originato da un comportamento non conforme al diritto.

“Contra ius”, è il danno che lede un interesse riconosciuto e tutelato dall’ordinamento giuridico nella forma di diritto soggettivo65.

Detta responsabilità extracontrattuale è detta anche aquiliana, mutuando il nome della Lex Aquilia (286 a.C.), che, per prima, ha introdotto l’obbligo del risarcimento per i danni causati a terzi, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto contrattuale tra danneggiante e danneggiato.

9.1. Il concorso o cumulo.

E’ ormai pacifico in giurisprudenza il concorso o il cumulo delle due responsabilità, quella contrattuale e quella extracontrattuale66, e delle relative azioni.

Tale concorso o cumulo, si verifica ogni qual volta un unico comportamento leda, non solo specifici diritti derivanti al contraente dalle clausole contrattuali, ma anche diritti

64 App. Cagliari 10/4/89, in Riv. Giur. Sarda, 1991, 644, con nota di Murino.

65 G. Giannini e M. Pogliani, La responsabilità da illecito civile, Giuffrè, Milano, 1996, 5.

66 Cass. 6/10/97 n. 9705, in Mass. Foro It., 1997, 974 e in Gazz. Giur. Giuffrè, 1997, 41, 22.

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