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L idea politica di Maurizio Fedeli

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Academic year: 2022

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L’idea politica di Maurizio Fedeli

Premessa

Ritengo che la ipotesi politica di Maurizio Fedeli (ipotesi politica superistica) sarà meglio comprensibile quando avremo presente quello che è il suo pensiero intorno all’istruzione ideale. Perché dico questo? Perché la ipotesi in questione risulta applicabile solamente là dove esista una società ideale, ossia una società scevra da disonestà, individualismo e avidità, in cui ogni individuo sia improntato ai principi di rettitudine e rispetto reciproco (il che porterebbe come corollario il rispetto delle attitudini e delle inclinazioni individuali al lavoro e alle attività socialmente utili, con le conseguenze che vedremo).

Cosa dovrebbe essere la politica La politica dovrebbe essere qualcosa che aiuta le persone a vivere in un modo organizzato, predisponendo nella società un’equa distribuzione dei beni e dei servizi per garantire la massima felicità degli individui.

La politica dovrebbe essere la sana amministrazione di una società.

Le fondamenta

Maurizio Fedeli introduce il concetto di effetti personali.

Noi sentiamo spesso utilizzare questo termine, che sta solitamente ad indicare gli oggetti minuti che utilizziamo a livello personalissimo (l’agenda, il rossetto, la spazzola, lo spazzolino da denti, il dentifricio, gli abiti...).

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In realtà, nella ipotesi politica superistica tale concetto si estende a tutto ciò che sia strettamente e assolutamente necessario ad ogni individuo (e alla sua famiglia) per vivere una vita tranquilla e pienamente

soddisfacente, senza avere necessità di beni ulteriori che non siano quelli di consumo. È quindi effetto personale tutto ciò che esiste perché tu (individuo) esisti; perché è assolutamente funzionale alla tua vita.

Così, per esempio, ogni persona (o ogni nucleo familiare) dovrebbe possedere una casa adeguata ad ospitarla e a farla vivere a proprio agio, nonché tutto ciò che può servire a tale scopo (per esempio un giardino, o un parco se la persona lo utilizza e lo cura per proprio piacere; una piscina, se la persona la usa; un campo da tennis o uno da equitazione, se la persona gioca a tennis o cavalca, e così via). Anche una Ferrari potrebbe essere funzionale alla felicità, se la persona la utilizzasse veramente e da questo utilizzo traesse gioia e soddisfazione. Quindi, tutto ciò che è funzionale alla vita serena e compiuta di un individuo e dei propri cari dovrebbe essere considerato effetto personale.

Ciò che va al di là di questo confine è proprietà privata, che Maurizio Fedeli definisce privante. In che senso? Nel senso che tutto ciò che un individuo possiede senza averne necessità (e che quindi non solo non gode appieno, ma addirittura nella maggior parte dei casi nemmeno utilizza) toglie ad un altro la possibilità di goderne.

Per esempio. Mettiamo che una persona possegga 10.000 ettari di terreno. Si danno due casi: o la persona li utilizza tutti (ad esempio per coltivarli); oppure la

persona non li utilizza poiché non le servono, e li tiene per sé solamente per il piacere di poter dire di possederli. In questo caso si avrebbe la proprietà privata/privante, poiché tale persona impedirà, senza motivo alcuno, ad altre decine di persone, di possedere un pezzo di terra di cui fruire (magari per costruire la propria dimora, che per loro sarebbe invece un effetto personale).

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È chiaro che sugli effetti personali, essendo propri di un individuo e da questi pienamente utilizzati, non dovrebbe assolutamente gravare alcun tipo di tassa.

E allora perché esiste la proprietà privata?

A tal proposito c’è una storia che spiega bene. Un principe viene educato ad essere un giorno re, e gli viene domandato:

«Quando sarai un re, come farai ad essere un grande re?»

«Sarò ricchissimo», risponde il bimbo.

«E come farai ad essere ricchissimo?»

«Avrò un baule grande pieno d’oro e pietre preziose.»

«Non basta!»

«Allora ne avrò due!»

«Non basta!»

«Tre, quattro, cinque!»

«Non bastano!»

Al che il bimbo si arrende. E il maestro gli spiega:

«Non basta, perché non devi essere tu ad avere tanta ricchezza, ma gli altri a non avere niente. L’unica maniera per essere ricchissimo è quella di fare in modo che tutti gli altri non abbiano niente. Ecco a cosa serve la proprietà privata: a far sì che gli altri non abbiano realmente alcunché, perché altrimenti non lavorerebbero mai per far ricco te senza che tu faccia niente! Se gli altri hanno qualcosa, la useranno per vivere e non ti serviranno, non manterranno te illudendosi che sia tu a mantenere loro. Non ti pagheranno le tasse fino a strozzarsi, non verranno a farti da servi nel tuo meraviglioso castello, e non lavoreranno le tue terre per un tozzo di pane appena sufficiente alla loro sopravvivenza, illudendosi che quello sia il loro destino prefissato.»

Uno potrà dire: ma la proprietà privata è roba tua, e oggi esistono miliardi di persone che hanno la loro proprietà privata e vivono felici. Siamo sicuri?

Se voi avete quella che chiamate una proprietà privata ve la godete appieno o ci pagate sopra le tasse? “Ma la prima casa non paga tasse!” (eppure le avete pagate, anche se meno che se fosse seconda casa, quando l’avete comprata).

“Ma il letto non paga tasse, e neppure la lavatrice, e neppure le scarpe!” Ah, non pagate l’IVA quando le acquistate? E l’IVA cos’è? Si chiama tassa

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indiretta (cioè tutti la devono pagare se desiderano quel bene, anche se di prima necessità).

Tenendo conto quindi della differenza tra effetti personali e proprietà privata, possiamo concludere che una società funzionerebbe alla perfezione laddove tutti gli individui che la compongono possedessero effetti personali, abbandonando il concetto di proprietà privata, ossia di possesso di beni inutilizzati e dunque inutili (e infatti una delle piaghe di oggi è l’induzione, da parte delle pubblicità criminali e ingannevoli, a comprare compulsivamente e acriticamentre tutto ciò di cui non abbiamo bisogno, facendocelo apparire come assolutamente necessario).

Quindi, per concludere, diciamo che nessuno dovrebbe avere qualcosa che andasse oltre i suoi effetti personali, ossia ciò che realmente gli serve per la sua vita, perché quel qualcosa in più diventerebbe proprietà privata/privante.

Scambio di Minuti Lavoro e uso del Buonsenso Facciamo subito un esempio: su

un’isola vivono dieci persone e ci sono dieci alberi di banane. Ogni persona di organizza in modo da avere un albero di banane a testa per sfamarsi. Ad un certo momento, una di queste persone dice agli altri: «Da oggi quest’isola è mia, e sarò io a distribuire il cibo come mi piacerà!»

Naturalmente, con tutta probabilità gli altri si opporrebbero chiedendo spiegazioni al riguardo. Orbene, il prepotente, senza dare tante spiegazioni, usa bastone per imporre la propria autorità e farsi riconoscere padrone assoluto. Dopodiché, egli potrà distribuire una banana a chi gli vada a procurare un bel pranzo a base di pesce, o a chi gli costruisca una bella dimora, o ancora a chi vada a servizio presso di lui e così via.

Ma ci sono altri modi di porsi di fronte a una collettività.

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Mettiamo il caso che sulla stessa isola quel soggetto non si comporti come un gradasso violento, ma agisca in altro modo, convocando una riunione e dicendo:

«Non è giusto che ognuno possieda un albero di banane per sfamarsi, poiché ci sono alberi che producono due caschi, altri che ne producono tre, altri quattro ed altri addirittura cinque o sei. Mi sembra un’idea molto migliore raccogliere tutte le banane e distribuirle tra noi!»

Naturalmente, chi non accoglierebbe un’idea tanto umana ed egualitaria?

Così, questo signore si mette a dividere le banane e dice: «Una a te, una a me;

due a te e una e due a me; tre a te e una, due e tre a me...» Alla fine, guarda caso, gli altri si trovano con dieci banane a testa e lui con mille, ma nessuno è in grado di replicare, perché tutti hanno accettato il sistema anche se nessuno ci ha capito nulla.

Questo è il problema di fondo: se non esiste una politica onesta, non può esistere una società funzionante fatta di persone felici.

La stessa cosa nel lavoro. Il denaro così come è stato concepito è una delle più grandi aberrazioni che esistano, poiché è esso che diviene unità di misura per la retribuzione delle attività lavorative al posto del lavoro stesso, e da mezzo si trasforma immediatamente e necessariamente in fine.

Ora, quando una persona lavora, per terminare tale lavoro necessiterà di un certo tempo: un minuto, un’ora, un mese, un anno... Bene, adesso, se sempre si considerasse come punto di riferimento non il valore del denaro comparato col tempo impiegato, bensì il tempo stesso (ad esempio il Minuto Lavoro), a quel punto il denaro

diventerebbe il perfetto mezzo di ricompensa. Ossia: se un euro, per esempio, valesse un minuto lavoro, io potrei gestire i miei averi sapendo esattamente quanto verrebbe a costare qualunque prestazione di cui avessi necessità.

Esistono però dei lavori in cui non sarebbe possibile misurare la prestazione in Minuti Lavoro. Prendiamo per esempio il caso di una persona

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che, avendo tre appartamenti non utilizzati, li affitti. In questo caso, in una società basata sulla corsa al profitto, in cui non esiste un’esatta unità di misura del lavoro per cui un idraulico può costare tre ed un altro dieci, anche chi loca immobili cercherà di trarre più profitto possibile, applicando non il criterio del Buonsenso, tipico di una società altamente evoluta, ma quello dell’accumulo.

Naturalmente, più la società si evolve e differenzia, più saranno le ipotesi di attività da prendersi in considerazione. Ma la base rimane sempre la stessa: avere un’unità di misura per i lavori, basata sul Minuto Lavoro e sul Buonsenso, che, di conseguenza, guida le retribuzioni di tutte le attività umane. In una società dove il denaro

sia il mezzo e non il fine (e qui, lo ripeto, si parla di una società evolutivamente molto avanzata), la politica avrebbe vita molto facile nel fare il proprio mestiere, poiché tutto partirebbe da basi solide.

Si potrebbe obiettare che, però, certi lavori sono più importanti di altri e, soprattutto, che per arrivare a farli occorre studiare per anni. Pensiamo per esempio al medico, o all’ingegnere, che devono frequentare per molto tempo i corsi di studi.

Benissimo, ma se noi permettiamo che

queste persone, una volta laureate, stabiliscano i prezzi delle loro prestazioni a proprio piacimento, assisteremo, come già avviene, a delle aberrazioni sociali profonde: persone che non possono curarsi perché il luminare costa troppo;

persone che possono curarsi meglio di altre per la differenza dei costi degli specialisti. Noi ormai siamo abituati a questo genere di società e non ci facciamo quasi più caso ma, se ci pensiamo bene, queste sono perversioni sociali belle e buone.

In una società ideale, dove ognuno fosse libero di scegliere il proprio mestiere non sulla base del successo (cioè del desiderio di accumulare per possedere e superare gli altri) – in quanto già avrebbe tutti gli effetti personali che gli sono necessari per una vita serena e compiuta – ma delle proprie

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attitudini e delle reali necessità sociali, non ci sarebbero così tanti laureati costretti ad andare a raccogliere pomodori o a starsene a casa a non far niente (poiché non vogliono raccogliere pomodori tirandosela in quanto laureati), mandando in rovina i genitori

che continuano a mantenerli, e che li hanno già mantenuti lungo tutto l’excursus di studi. In una società ideale, dicevo, chi scegliesse di studiare, verrebbe pagato in Minuti Lavoro dallo Stato già durante gli studi e, quando diventasse un professionista, continuerebbe a guadagnare in base alla stessa unità di misura: Minuti Lavoro.

Il concetto di utopia come pretesto di irrealizzabilità di una società giusta

Purtroppo, oggi siamo così sovraccaricati di false ideologie, che tutto quanto sopra descritto appare impossibile da realizzare. “No, ma quello è un pilota di linea, ha una grande responsabilità e quindi deve guadagnare molto più di un operatore ecologico”; oppure “Ma quello è un grande

professore, un chirurgo che se ti opera ti salva la vita, quindi deve essere pagato a peso d’oro” e così, in una società in cui tutte le superfici brillano di oro e pietre preziose, migliaia di persone muoiono perché non possono farsi operare dal chirurgo luminare, oppure posseggono cose superflue (sottraendole agli altri o creando il caos consumistico che ha portato alla società in fin di vita che conosciamo) che servono solamente a far arricchire altri personaggi squallidi che per contrappeso creeranno ancora più povertà e disperazione.

Forse non sarà mai possibile avere una società in cui tutti siano perfettamente uguali; ma raggiungere una società in cui tutti possano avere

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una vita di base dignitosa sarebbe possibilissimo, con una politica semplicemente onesta.

La trappola più atroce creata da chi ha interesse che lo status quo rimanga tale e quale è adesso è rappresentata dal concetto di utopia.

Tale concetto viene urlato dagli ideologi politici a ogni piè sospinto, quando si faccia avanti una teoria capace di spiegare la corruzione alla base della politica e le soluzioni vere per il raggiungimento di una società amministrata in maniera sana e corretta.

In generale, quando si va a parlare di società, diritti dei singoli, benessere, addirittura felicità, tutti sarebbero d’accordo nel vivere in una società dove vigessero questi principi; anche perché, se non si è completamente stupidi, si dovrebbe capire che, se il nostro vicino

sta bene, noi staremo bene, e anche l’altro vicino starà bene e così via, lungo tutta la catena umana che forma l’intera società intorno al mondo.

Ma allora, se praticamente tutti sarebbero d’accordo nel vivere in felicità e concordia grazie ad un’armonia generale dell’umanità, come mai questa cosa non si realizza? Ci sono due ragioni, di cui l’una è la conseguenza dell’altra:

1. La prima sono coloro (i pochi che hanno creato il caos) che gridano

“utopia!”, ossia impossibilità di poter dare vita ad una società siffatta.

E questa affermazione viene sostenuta attraverso l’argomento che fino ad oggi, nella storia, ci sono stati tanti politici, tanti sistemi di governo e mai nessuno è riuscito a dare armonia vera alla società.

2. La seconda, che dipende dalla prima, è che la gente ascolta quel grido e, convinta che non esista alcuna probabilità di vivere in un mondo armonioso, torna a chiudersi costantemente nella propria sfera egoistica, continuando a cercare di accumulare, di accaparrarsi il massimo possibile, dando così continuità al sistema vigente voluto dall’elite al comando supremo della Terra.

Ora, è chiaro che, finché ci saranno i criminali che conosciamo molto bene, che per 12.000 anni hanno tramato al fine di dare vita al sistema degenerato in cui noi siamo immersi fin sopra i capelli, non sarà certo possibile cambiare alcunché; anzi, sarà facile che le cose peggiorino (e infatti,

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stanno peggiorando a vista d’occhio, in quanto stiamo avviandoci alla stretta finale per il soggiogamento definitivo dell’umanità).

Pensiamoci bene: politicamente, non esiste alcun progetto sociale utopico.

esistono solamente le resistenze di coloro che non vogliono la felicità dell’umanità.

Ma scusate, se qualcuno vi avesse detto, solamente un anno fa, che oggi sareste andati in giro solo quando ve lo

avessero permesso, squadrandovi come nemici, tenendovi a distanza, senza più darvi la mano, un abbraccio o un bacio di saluto, con una mascherina a tapparvi la bocca e coprirvi il viso, impauriti da un virus narrato come non è mai stato nella realtà solo per stravolgervi la vita, ci avreste

creduto? Eppure, è così. Avreste gridato “utopia!”, eppure adesso sembrate tanti pupazzi manovrati dal marionettista, e credete a tutto perché ormai siete talmente immersi in una realtà marcia fino al midollo, che non riuscite più nemmeno a capire che le sabbie mobili vi stanno per trascinare sotto soffocandovi.

L’utopia non e-si-ste. Esiste solo la vostra convinzione che tutto ciò che non vi viene imposto dalle elite sia utopico, e ciò serve a scoraggiarvi a combattere per i vostri diritti.

In una società strutturata sul Minuto Lavoro, poche ore di lavoro alla settimana basterebbero a dare da vivere dignitosamente a chiunque, in quanto, non essendoci uno Stato che si

ingerisce “rubando” il 90% dei guadagni e disperdendolo negli innumerevoli rigagnoli della sua corruzione organizzata, tutta la filiera riadatterebbe immediatamente i prezzi di ogni bene, voluttuario o meno, e di ogni prestazione, al nuovo ordine di cose.

Le persone, non più assillate dal dovere di lavorare per campare o avere più di quanto serva loro, avrebbero il tempo e la tranquillità per dedicarsi alle proprie, vere inclinazioni, e avremmo davvero individui altamente specializzati in ogni settore, che non pensano al guadagno ma a fare ciò che

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piace loro. Questo permetterebbe di entrare a vivere in una società umanizzata, ciò che oggi è l’opposto.

I Minuti Lavoro virtuali e il cappello magico della Finanza

In una società perfettamente equilibrata, in cui ognuno ha tutto ciò che gli serve, dai beni strettamente necessari a quelli voluttuari necessari per una vita piena e soddisfacente, che senso avrebbe ammazzarsi per guadagnare più degli altri?

Il mondo basato sulla competizione, così come lo conosciamo, snatura completamente le qualità e le aspirazioni umane, rendendo gli individui parte di una catena di montaggio in cui ognuno cerca di superare l’altro facendo in realtà il gioco di chi quella catena ha costruito con la pazienza dei secoli.

In realtà il problema non è che uno guadagni dieci e un altro venti, ma che tutti abbiano assicurato il fatto che i

Minuti Lavoro corrispondano a una realtà materiale di prodotti (beni, servizi o altro che siano) in modo che tutti abbiano assicurato ciò che gli serve per vivere.

Ma... c’è un ma grande così! La Finanza.

La Finanza ha inventato i Minuti Lavoro virtuali, ed essendo in grado, come fa il mago col proprio cappello magico, di creare denaro sulla base del nulla (all’inizio il denaro corrispondeva ai depositi in oro massiccio che uno Stato aveva a disposizione nei propri forzieri, ma ormai questa è acqua totalmente passata), lo distribuisce come meglio crede e, in primis, a se stessa.

Cosicché noi abbiamo l’assurdo di individui i quali, non facendo niente se non stampare fogli di carta che, di per sé, non avrebbero alcun valore, si attribuiscono contributi basati sul nulla (in quanto essi non hanno accumulato alcun Minuto Lavoro) creando così squilibri poi incolmabili all’interno della società: una massa di denaro non corrispondente ad alcun bene-servizio.

Nel momento in cui il Minuto Lavoro non corrisponde più alla reale creazione di beni o servizi, l’intera economia comincia a fluttuare su acque

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troppo alte per vederne il fondo, tanto che i predatori possono fare il buono e il cattivo tempo mangiando tonnellate di pesci piccoli senza che nessuno se ne accorga.

Questo permette loro, tra l’altro, di gettare le basi per appropriarsi di proprietà private che, a furia di privare gli altri dei beni essenziali, li portano a illudersi che, lavorando sempre più,

possano arrivare ad averli, mentre ciò non fa altro che aumentare la ricchezza delle elite e creare ulteriori sacche di sperequazione sociale e povertà, utilissime all’azione sempre più criminale dei padroni del mondo.

In una realtà come questa, chi fa il medico, o l’ingegnere, o il pilota, solitamente non lo fa per vocazione, ma per una volontà di guadagnare più di molti altri alla fine del mese.

Invece, in una società equilibrata nella quale tutti abbiano una vita in cui non manca loro alcunché di importante, il medico, o il pilota o l’ingegnere faranno il loro mestiere per vocazione, e lo faranno bene, e costruiranno, piloteranno e salveranno vite molto meglio di quanto

non facciano adesso la maggior parte di questi cosiddetti professionisti. Come sarebbe bello vedere tutte persone sorridenti andare a fare il lavoro che più le aggrada e le realizza, guadagnando il giusto, invece di osservare in continuazione categorie di lavoratori scontenti e in lotta per un tozzo di pane!

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La disoccupazione programmata per creare dissidi tra le persone Verso la metà del secolo scorso la

popolazione ha cominciato a crescere in maniera vertiginosa. Fino agli anni ’60 del ‘900 eravamo circa tre miliardi e mezzo, adesso siamo sette miliardi e mezzo. Come mai? Sembrerebbe quasi che qualcuno, che fino a un certo momento aveva tenuto alla

regolamentazione della natalità, improvvisamente abbia cambiato idea e dato via libera alla procreazione indiscriminata.

Teniamo presente che un pianeta, per quanto grande possa essere, non è in grado di sopperire alle necessità di una sovrappopolazione.

Il regno della Natura docet. Gli stessi animali (vedi le formiche o le cavallette), quando si trovano in sovrannumero, si mangiano tra di loro, consumando le proprie larve o addirittura attaccandosi l’un l’altro per permettere la sopravvivenza del più forte attraverso una selezione naturale.

Ma l’uomo non è così, almeno sulla carta. L’uomo è dotato di un’intelligenza programmatica, che può tenere conto dello spazio e del tempo a sua disposizione, per cui dovrebbe, per rendere possibile e agiata la vita di ognuno, raccomandare a se stesso una regolamentazione delle nascite.

Facciamo un esempio, che poi è quello che sta realmente accadendo: ci sono certi Paesi, diciamo, civilizzati, che hanno ridotto drasticamente il numero delle nascite, tanto che una concezione globalista della politica tende a rimpiazzare il numero mancante di cittadini con persone “importate” da altri Paesi o addirittura da altri continenti. Ecco allora che i politici del Paese che fa meno figli cominciano a urlare: «Dobbiamo fare più figli, altrimenti verremo rimpiazzati da Caio, da Tizio o da Sempronio!»

Può esserci concezione più miope e demenziale? La Terra è una, e la superficie emersa è di 149 milioni e 600 mila Kmq. Ora, tenendo conto che circa un quarto di tale superficie risulta inabitabile (in quanto ricoperta da

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deserti o foreste, di cui tra l’altro abbiamo assoluto bisogno per sopravvivere), bisognerebbe capire che il numero di persone presenti sul pianeta, si trovino a Nord, a Sud, a Est o a Ovest, rappresentano sempre e comunque un tutto all’interno di un territorio definito. Quindi è inutile, oltreché assurdo, qualora il numero diminuisca a Nord ma aumenti in tutte le altre direzioni, affermare che a Nord occorra aumentarlo.

Se, facendo una mera supposizione, il numero massimo di esseri umani che il nostro pianeta può sostenere fosse di sei miliardi, nel momento in cui questo numero venisse scavalcato comincerebbero i problemi (di

alimentazione, di lavoro, di distribuzione dei beni e delle dimore; in una parola: di sovrappopolazione). Vi sembra dunque normale che se, per esempio, in Italia nascono 100 mila bambini in meno all’anno, ma in Africa ne nascono 2 milioni in più all’anno, in Italia si gridi che è necessario aumentare le nascite?

Questa è la miopia della politica!

Ma sarà veramente miopia? O si tratta di una politica guidata da capi che hanno progetti a lunghissimo termine, per cui adesso è il momento di attuare un programma che porti ad una sovrappopolazione mondiale, al fine di creare più caos possibile e mettere le persone le une contro le altre?

In una società mal organizzata (volutamente mal organizzata), dove la politica non svolge eticamente il proprio compito ma opera a favore e sotto il controllo di forze occulte, è logico che la disoccupazione diventi un elemento fondamentale per creare scontento e lotta fra le masse.

Pensiamo a questo: se il numero della popolazione fosse compatibile con la capacità

“contenitiva” della Terra e la ricompensa per il lavoro nonché la distribuzione dei beni avvenissero secondo i criteri più

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sopra esposti (Minuto Lavoro, Buonsenso...), sarebbe matematicamente impossibile che esistesse la disoccupazione. Ognuno avrebbe la propria casa e tutti gli effetti personali di cui ha bisogno; la proprietà privata/privante non impedirebbe l’equa distribuzione dell’agiatezza e, quindi, tutto funzionerebbe come un orologio. Utopia? Certo, finché vi sia una politica che obbedisce a chi si oppone anima e corpo ad una tale visione della vita!

Tra l’altro, teniamo presente che, in un sistema dove la concorrenza individuale diventi sempre più necessaria, gli istinti primordiali degli esseri umani prenderanno via via più piede, fino a che la parte peggiore del genere umano non sarà completamente venuta alla luce per obbedire all’istinto di sopravvivenza

(devo fare le scarpe al mio collega perché ho bisogno del suo lavoro per mantenere al meglio la mia famiglia). In questo modo, le sperequazioni sociali saranno sempre più evidenti: ci sarà chi si troverà costretto a inchinarsi e chi godrà nel far inchinare qualcuno. Inoltre, inculcandosi fin da piccoli l’idea della supremazia sugli altri, dell’emergere, del primeggiare, ecco che tali concezioni, laddove vi sia una sovrappopolazione, porteranno alle peggiori esternazioni che l’animo umano possa mostrare. In realtà, tutto ciò dipende da una disperazione individuale di fondo, arrecata dalla mancanza di una vita tranquilla in cui ogni persona possa godere appieno e gioiosamente dei propri effetti personali dedicandosi all’attività che le sia più consona e sorridendo di quella che, invece, oggi è ritenuta la base della civiltà e del potere: la proprietà privata.

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Il conseguimento del pieno impiego in modo semplicissimo Per quanto riguarda l’aspetto del lavoro, la disoccupazione è comunque solo una delle piaghe nell’ambito di una società non funzionante.

Pensiamo infatti che, quando una persona lavora, in generale lavora per otto ore (e siccome la società è mal funzionante e ci sono tanti lavoratori che non lavorano, coloro che devono sopperire alle mancanze di questi ne lavorano molte di più!).

In più, teniamo presente che molti hanno necessità di spostarsi, per cui, tra andare, lavorare e rientrare a casa possono passare anche dieci ore o più;

magari per fare, come abbiamo visto sopra, attività che non li soddisfano non essendo loro congeniali.

È questa una bella vita? Ma, domanda ancora più pregnante: un’attività così concepita è ottimamente produttiva?

Certamente no! Dopo circa cinque ore di attività (sia essa manuale o intellettuale), il lavoratore comincia ad accusare i primi segni di stanchezza. Dopo sei ore, la sua resa diminuisce moltissimo. Dalle sei ore in poi, la sua

“produttività” non è più conveniente, e infatti vediamo sempre più spesso il dilagare dei

cosiddetti straordinari, ossia ore che vanno oltre il normale orario di lavoro, necessarie al fine di concludere attività portate avanti con eccessiva fatica.

Quale potrebbe essere la soluzione per evitare il sovraffaticamento dei lavoratori e ottenere la moltiplicazione immediata dei posti lavoro? Molto semplice: il dimezzamento delle ore lavoro procapite. Invece di far lavorare le persone per otto ore, le si fanno lavorare per quattro, in due turni, adeguando i compensi ai nuovi orari (ossia facendo in modo che, nonostante le ore lavorate siano meno, il lavoratore percepisca comunque un corrispettivo adeguato per poter vivere una vita decorosa). Questo sistema permetterebbe di aumentare di moltissimo i posti lavoro (solamente per certi tipi di professioni, dove l’individuo è assolutamente insostituibile – pensiamo per

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esempio agli artisti, o a certi tecnici di chiara fama – questo non sarebbe applicabile; ma teniamo presente che queste categorie hanno già un’organizzazione lavorativa consona alle loro capacità professionali e dunque altamente soddisfacente e performante).

Questa soluzione, tra l’altro, produrrebbe automaticamente un corollario: il crollo di ogni crisi socio-

economica (intesa come crisi del sistema produttivo e di consumo), presente in maniera drammatica in questo momento storico. Infatti, se tutti avessero soldi da spendere, il denaro girerebbe e nessuno avrebbe

problema alcuno. Questo è ciò che avviene in tutte le economie che funzionano: ottimizzazione della distribuzione della ricchezza con conseguente ottimizzazione dei consumi e totale o quasi totale azzeramento della crisi socio-economica.

Naturalmente, per fare una cosa del genere – che, badate bene, non è utopia! – occorrerebbero diversi elementi:

a. Una istruzione di base di un certo tipo, completamente differente da quella attuale;

b. Una società fondata su basi solidamente egualitarie, con un alto senso di convivenza civile e collaborazione reciproca e non, come la nostra, basata sulla concorrenza e la competizione continua. Tra l’altro, questa cosa va a nocumento di tutti i lavoratori, perché fa il gioco dei datori di lavoro. Pensiamoci: se una persona è disposta ad andare a lavorare per 1.000 Euro e un’altra per 800, chi verrà assunto? Alla fine, riusciranno a trovare anche chi, pur di lavorare, sarà disposto a farlo per 100 Euro, e così tutta la filiera degli stipendi si abbasserà;

c. Per realizzare tutto ciò sarebbe quindi assolutamente necessario uno Stato efficiente che stabilisse un calmiere sugli stipendi e sui prezzi e si facesse garante del suo rispetto. Ma uno Stato del genere sarebbe possibile solo con una politica guidata da persone che desiderassero il bene della popolazione e non che, al contrario, come avviene

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adesso, cerchino in ogni modo di peggiorare il peggio in modo da creare più caos possibile e comandare attraverso l’odio e la disperazione diffusi.

Noi in questo momento siamo schiavi di un sistema sbagliato e, per di più, schiavi felici delle proprie catene.

Leggetevi il mito della caverna di Platone. Ivi si racconta che alcuni uomini, incatenati in una caverna, adoravano le ombre di ciò che vedevano (che in realtà erano le ombre degli uomini liberi), convinti che quella fosse la loro unica condizione possibile e quindi arrivando ad accettare e addirittura ad adorare le proprie catene!

La speciazione come necessità per una rinascita personale

Vorrei in poche righe introdurre un concetto, che ritengo molto importante per poter comprendere appieno (anche al fine di criticarle, perché no, ma niente si può criticare se non si è compreso in toto) le idee di Maurizio Fedeli. Esso è il concetto di speciazione.

Tale concetto si riferisce non tanto e non solo alla comprensione della concezione politica, ma anche di tutti gli altri aspetti del corpus della sua teoria (alienologia, religione, astrofisica, istruzione...).

La speciazione è un termine mutuato dalla biologia, e sta ad indicare la capacità, per alcune specie, di

differenziarsi dalle altre seguendo un percorso che le porta (attraverso una lenta evoluzione oppure velocemente) a svilupparsi e a vivere in maniera diversa dalle specie precedenti da cui derivano.

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Solitamente, questo termine si riferisce alle specie vegetali o a certe specie animali, ma personalmente ritengo si adatti molto bene anche all’uomo.

Vi faccio un esempio. Fate conto di viaggiare su un’autostrada assieme ad altri miliardi di veicoli. Voi non vi guardate neanche intorno; vi hanno abituato, fin dall’istruzione di base, a viaggiare su quell’autostrada e a non domandarvi se vi siano altre vie per raggiungere la meta verso cui siete diretti.

Il vostro spirito non è sufficientemente critico per domandarsi se vi siano alternative e, conseguentemente, vi adattate ogni giorno di più a proseguire sul cammino intrapreso dalla specie cui appartenete, che viaggia tutta su quell’autostrada.

Ma ammettiamo che, a un certo punto, il traffico si blocchi. Voi vi trovate chiusi in una fila interminabile di automezzi,

sotto il sole, impossibilitato a fare alcunché, e guardandovi intorno presi da disperazione vedete che, su una strada laterale, praticamente deserta, viaggia un’auto completamente libera di raggiungere la propria destinazione. Ecco, quell’auto è guidata da un individuo speciato, ossia uno

che, nonostante di base abbia ricevuto gli stessi vostri input, ha scelto di pensare con la propria testa e ha compreso che viaggiare sulla strada indicata come unica o principale non sempre conviene e, naturalmente, riuscirà a raggiungere la meta molto ma molto prima di voi. Non solo, ma vi arriverà anche assai meno stanco, depresso, e molto più motivato e pieno di energie per fare ciò che deve.

Naturalmente, non è che voi siate esclusi dalla speciazione poiché, se il vedere quella persona, libera di

viaggiare con il proprio mezzo senza incontrare ostacoli o problemi di alcun genere, vi fa sorgere dubbi e mina le vostre convinzioni portandovi a pensare con la vostra testa, avrete sempre una possibilità di intraprendere

la sua stessa strada. Il problema è che, per la maggior parte, coloro che si trovano sull’autostrada continueranno a credere che quello sia il percorso

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migliore giudicando un pazzo ribelle e sovversivo colui che invece viaggia libero su una strada completamente sgombra.

Perché dico questo? Perché i concetti di peccato sessuale, di competizione lavorativa, di crisi economico-sociale, di pseudo-istruzione, universalmente o quasi accettati a livello mondiale, fanno tutti parte del pensiero unico che dalla scuola in poi è stato segnato per l’umanità, e sono veramente pochi quelli capaci di scegliere una strada alternativa, magari un po’ faticosa all’inizio, perché impone un cambiamento, ma infinitamente più appagante non appena comincia la discesa.

Il denaro dovrebbe esistere sempre in maniera equa e bilanciata Chi stampa il denaro e lo distribuisce per sé e le classi dominanti non fa nulla ma è pieno di soldi.

Chi lavora produce materialmente le cose ma molte volte non ha i soldi per acquistarle.

Questo genera uno sbilanciamento tra potere di acquisto di chi veramente lavora e produce le cose e potere di acquisto di chi non fa niente se non stampare moneta ma poi ha la facoltà di comprarsi tutto quello che vuole.

Ecco quindi che non solo una elite di individui facoltosissimi riesce ad avere tutto ciò che la stragrande maggioranza degli esseri umani non può avere, ma può anche attribuirsi una proprietà privata così vasta da divenire privante per una corretta distribuzione degli effetti personali a tutta la popolazione.

Infatti, il principio informatore dell’economia monetaria dovrebbe essere questo: il denaro si crea, in maniera legittima e concreta, nell’esatto momento in cui viene realizzato qualcosa di realmente usufruibile ed utile per gli altri.

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Facciamo qualche esempio: se un falegname ha creato un tavolo, contemporaneamente ha creato il valore

di quel tavolo (diciamo indicativamente 200 Euro); se un professore ha insegnato per quattro ore e ogni Minuto Lavoro vale, per esempio, un Euro, contemporaneamente avrà creato i 240 Euro necessari al suo compenso. E altrettanto un dentista, un ballerino, un

impiegato, un affittacamere e così via all’infinito.

È chiaro che, poi, questo denaro, nascendo realmente e concretamente dal ciclo produttivo e di servizi, altrettanto realmente entrerà in circolazione e corrisponderà effettivamente al ciclo di produzione-consumo. È ugualmente chiaro che, se alcuni “capi” invisibili possono creare denaro dal nulla e farlo circolare come, quando e finché vogliono, tutto il ciclo formato da produzione-consumo verrà sbilanciato e, di conseguenza, la gente si ammazzerà di lavoro per acquistare beni di cui non ha bisogno o per raggiungere obiettivi che non sono funzionali alla sua esistenza.

Il denaro, di per sé, è solamente carta stampata. Qualora volessimo, potremmo far fare un disegno a un

bimbo, poi fotocopiarlo all’infinito e dire che quei fogli sono banconote (e sarebbero sicuramente molto più belle di quelle attuali...). Siamo dunque noi e noi soltanto (o, meglio, gli Stati) che assegniamo un valore al denaro e, dato che gliene assegniamo troppo e male, ecco che esso prende

il sopravvento sulla qualità della vita, prevale e la soffoca, rendendoci feroci predatori di qualcosa che in realtà non avrebbe valore alcuno e che dovrebbe avere solamente quello, equo, derivante da una giusta economia.

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Che mondo vorremmo per noi e i nostri cari

Maurizio Fedeli esprime sentitamente un desiderio: che ognuno di noi gli comunichi il mondo che vorrebbe per sé e i propri cari e dunque, dato che siamo tutti gemelli, per tutti noi.

Io qui posso dire ciò che vorrei io: un mondo semplicissimo, in cui le persone potessero vivere con la gioia di

farlo, in armonia e in pace con se stesse prima che con gli altri. Un mondo dove il maestro ami l’allievo e gli consegni il Sapere (quello vero, non lo schifo che viene insegnato adesso nelle scuole); un mondo dove lo Stato, amando il popolo e l’umanità intera, agisca per il loro bene;

un mondo in cui ognuno possa avere

tutto ciò che è funzionale alla propria felicità (fosse pure l’auto più costosa del mondo, lo yacht, l’aereo privato o chissà cosa) e possa goderne appieno e senza limitazioni; un mondo in cui nessuno sottragga ad altri acquistando ciò che non gli serve solo per il gusto di averlo; un mondo in cui ogni mano sia pronta ad afferrare quella di chi ha bisogno e a non lasciarla andare finché il pericolo sia cessato; un mondo, infine, libero dal giogo di chi ci vuole e ci ha sempre voluto male, dove i nostri cari possano sempre sorridere ad ogni alba e ad ogni tramonto, ad ogni alito di vento e risacca del mare, ad ogni grido di gabbiano e garrito di rondine.

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