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Biden presidente eletto e un intruso alla Casa Bianca

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Academic year: 2022

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Ore 17.25 (11.25 negli Usa), sabato 7 novembre 2020. Joseph (Joe) Robinette Biden jr., 78 anni il prossimo 20 novembre, è il 46mo presidente degli Stati Uniti, secondo le proiezioni della Cnn e poi di tutti i principali network americani riguardanti lo spoglio dei voti in Pennsylvania, dove sono in ballo venti voti di collegio, che portano il candidato democratico a 273 voti, tre sopra la soglia dei 270 necessari per essere eletti presidente.

La prima reazione di Donald Trump è stata di rigetto dell’esito proclamato dalle tv, FoxNews compresa, anche per via legale. Dal suo golf club nel nord della Virginia, il candidato sconfitto ha detto: “Il fatto semplice è che queste elezioni sono lungi dall’essere terminare. Joe Biden non è stato ancora proclamato vincitore in nessuno stato, senza contare gli stati dove è stato deciso un riconteggio e quelli dove la nostra campagna ne ha impugnato legalmente la validità e la

legittimità che potrebbero determinare chi è il vincitore definitivo”.

Sono le nove locali di venerdì, tre giorni dopo l’Election Day. Le 15 nostre, quando sulle mappe colorate delle tv la Pennsylvania si fa più azzurra che rossa. È il momento tanto atteso del superamento dei fatidici 270 voti di collegio che consentono d’incoronare Joe Biden 46mo

presidente degli Stati Uniti. Il conteggio non si è concluso, ce ne vuole, ma intanto buone notizie arrivano anche dalla Georgia, dall’Arizona, dal Nevada. È un giubilo liberatorio globale.

Brindiamo, adesso o quando Joe Biden nella notte proclamerà la vittoria? Che altro può

succedere? Le ore, le giornate dopo il voto saranno ricordate come le più caotiche e drammatiche nella storia delle elezioni americane, comprese quelle dell’inquietante giallo della Florida nel 2000, quando Bush rubò la vittoria a Gore. Prudenza e pazienza sono d’obbligo.

Nella Casa Bianca resta asserragliato l’insurgent, il presidente ribelle, come lo definì l’Economist poco dopo il suo insediamento. Ribelle, eversore, anche adesso. Ha “il piglio del combattente”,

“pensa che gli conviene lottare”, fanno filtrare dalla sua cerchia ristretta. I consiglieri, specie il potente capo di gabinetto Mark Meadows, lo spronano a resistere. Dal fronte opposto, il portavoce della campagna elettorale di Biden, Andrew Bates, mette in chiaro che “sono gli americani a decidere queste elezioni” e avverte che “il governo degli Stati uniti è perfettamente in grado di scortare un intruso fuori della Casa bianca”. Intanto lo spazio aereo su Wilmington, in Delaware, dove risiede Joe Biden diventa no fly zone, come sulla Casa bianca, e intorno alla sua abitazione la sorveglianza dell’Fbi è quella che vigila sul presidente. Per i servizi di sicurezza è lui, è Biden, il

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Un primo tassello degli apparati dello stato che presiedono al passaggio dei poteri presidenziali è dunque già al suo posto. Questa volta non è un semplice automatismo istituzionale. La misura apre anche simbolicamente il processo della lunga transizione, una diarchia che si concluderà

mercoledì 20 gennaio 2021 con il giuramento e l’insediamento del nuovo presidente. Di lì ad allora il presidente ancora in carica sarà un’anatra zoppa e governerà con poteri ridotti all’ordinaria amministrazione, con il suo successore in attesa di subentrargli, un president-elect senza potere, collegati tra loro da una squadra mista incaricata del passaggio dei poteri.

Uno scenario del genere è però impensabile, nelle ore convulse che ancora contrassegnano il dopo elezioni. Se si realizzerà un passaggio dei poteri lineare sarà solo in virtù di un rapporto di forze che a un certo punto oscillerà definitivamente a favore di Biden. Una volta legittimato dai voti contati, i diversi poteri istituzionali prenderanno via via posizione, formalmente o informalmente, a suo sostegno. I servizi di sicurezza lo stanno già facendo, poi i capi delle forze armate, i vertici burocratici. Da questi Trump sarà considerato, qual è, un’anatra zoppa. Allo schieramento dei poteri istituzionali s’unirà poi quello dei poteri forti dell’economia, compresi quelli che hanno investito nella sua rielezione. L’economia del profitto non può seguirlo nel tunnel del disordine.

Non parteciperà al caos di una Washington con due presidenti che non collaborano per la

successione ma si scontrano violentemente. La logica del potere, del carro del vincitore, favorisce Biden.

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Come evitare lo scontro? Nel giro stretto del president-elect si studia una proposta di uscita onorevole per Trump. La garanzia di immunità per i reati fiscali e finanziari per i quali rischia letteralmente la galera nello stato di New York. Per non dire di tutto il materiale raccolto per il suo impeachment, bloccato dai repubblicani, e che tornerà di nuovo a galla dopo la sua uscita dallo studio ovale.

Un tragitto del genere è troppo lineare per un personaggio come Trump. Ancora una volta le sue mosse saranno dettate più che dalla logica dei rapporti di potere all’interno del gioco politico dato,

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dalla Casa bianca con le mani in alto, senza neppure aver provato a usare gli ultimi giorni da presidente in carica per mobilitare i suoi seguaci, che sembrano non aspettare altro, esacerbando i toni delle elezioni vinte con la frode e con l’inganno. E non si pensi solo alle frange facinorose della sua base.

E fosse pure costretto a lasciare la Casa Bianca il 20 gennaio, Trump “si dimostrerà più resiliente di quanto ci si aspettasse”, osservano Peter Baker e Maggie Haberman sul New York Times, “e sicuramente resterà una forza potente e distruttiva nella vita americana”. Questa forza gli deriva evidentemente dai 68 milioni di voti conquistati, cinque in più rispetto a quelli del 2016, e

ragionano ancora Baker e Haberman, “ottenendo il 48 per cento del voto popolare ha con sé quasi la metà dell’elettorato nonostante quattro anni segnati da scandali, sconfitte, impeachment e una pandemia che ha ucciso oltre 233.000 americani”.

Una dote di voti e di seguaci così rilevante ha un peso, un valore politico. E d’altra parte, senza di lui, che ne sarà del Partito repubblicano, anche questa volta debitore nei suoi confronti di una buona prestazione elettorale, impensabile senza il suo trascinamento. A rischio è il futuro stesso del Grand Old Party, con la sua mancata rielezione. Il mondo conservatore, non solo le frange dell’ultradestra, lo considereranno ancora il loro leader, ancora più tale perché “cacciato” dalla Casa bianca. Ma tutta questa forza andrà incanalata politicamente, perché non erutti come un vulcano politico. Trump metterà sul piatto della bilancia questa sua forza, se vorrà negoziare la

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sua uscita “onorevole”, come auspicano i dem, o sarà tentato di far saltare il banco. A quel punto i poteri che stanno via via disponendosi al fianco del nuovo presidente, comprese le forze armate, saranno obbligate a posizionarsi e a scendere in campo.

il manifesto

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