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La valutazione delle aziende dei servizi idrici integrati

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Academic year: 2022

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La valutazione delle aziende dei servizi idrici integrati

Rossella Romano

Dottore di ricerca in Economia e regolazione delle aziende e delle amministrazioni pubbliche, XXIV Ciclo, Dipartimento di Studi Aziendali, Università degli Studi di Napoli “Parthenope”

sommario: 1. Introduzione. – 2. Il valore delle aziende dei servizi di pubblica utilità: studi in materia. – 3. La stima del valore. – 3.1. Il campione. – 3.2. La scelta del metodo. – 3.3. Metodologia di ricerca. – 3.4. I risultati. – 4. Conclusioni e problematiche ancora aperte.

L’art. 23-bis (comma 8) del d.l. 112/2008, così come modificato dall’art. 15 del d.l. 135/2009 ha tentato di spingere il comparto dei servizi pubblici locali verso una significativa privatizzazione.

In particolare, il settore idrico, considerata l’attenzione che l’opinione pubblica pone sulla “risorsa acqua”, è stato forse quello su cui si sono ravvedute maggiori resistenze. Partendo da queste consi- derazioni lo scopo del lavoro è valutare – utilizzando un approccio misto, deduttivo-induttivo, tipico delle discipline economico-aziendali – quei gestori del servizio idrico italiano che si configurano come aziende in house providing e aziende miste pubblico-private, individuando il probabile va- lore della quota che questi avrebbero dovuto cedere a privati in ossequio alle disposizioni dell’art.

23-bis, abolito dal referendum c.d. “salva gestioni” (giugno 2011).

Article 23-bis of d.l. 112/2008, ad amended by article’s of Decree-Law 135/2009. Has attempted to open to private the public utilities industry, although it has found some constraints with reference to the water sector, because of the emphasis that the public opinion gives to this issue. In a similar environment, this paper aims to evaluate the fair value of the shareholdings that water firms would have had to sell to private investors according to the law provisions (article 23-bis of d.l. 112/2008, abolished by the referendum of June 2011.

Parole chiave: Aziende dei servizi idrici integrati – Valutazione d’azienda, Privatizzazione Key words: Firms of Integrated water services – Firm evaluation, Privatization

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1. introduzione

Dopo anni di riforme nel comparto dei servizi pubblici locali, il processo non solo può dirsi incompleto ma talvolta anche contraddittorio.

Il quadro normativo presenta, infatti, un elevato grado d’instabilità, dovuto alla sovrapposizione tra norme generali e norme settoriali e alla distribuzione delle competenze tra Comunità Europea, Stato e Regioni. Gli interventi normativi attuati non hanno dunque perseguito una finalità univoca:

taluni volti a promuovere il ricorso al mercato (Pozzoli e Mulazzani 2005;

Trovati 2010); altri, al contrario, finalizzati a restringere l’operatività dei meccanismi concorrenziali.

In particolare, il settore idrico, considerata l’attenzione che l’opinione pubblica pone sulla “risorsa acqua”, è stato forse quello su cui ci sono state maggiori resistenze alla normativa che proponeva un’apertura ai privati. (1)

La predetta riforma era destinata ad avere un forte impatto sull’assetto organizzativo e gestionale del settore, sia con riferimento alle caratteristi- che dei fornitori di servizio idrico integrato, sia riguardo alla platea degli azionisti. La stessa, infatti, avrebbe ridisegnato il regime degli affidamenti, ponendo una data di scadenza diversa a seconda del tipo di affidamento. (2) Si sarebbe così data vita a un vero e proprio mercato di partecipazioni azionarie, che avrebbe potuto interessare numerosi stakeholder.

Alle intenzioni, però, non si è dato seguito nei fatti, in quanto il risultato delle consulte referendarie del mese di giugno 2011 ha nuovamente cristal- lizzato la situazione esistente, rendendo improbabile qualunque evoluzione del settore.

Il presente articolo si pone l’obiettivo di valutare quei gestori del servizio idrico che si configurano come aziende in house providing e aziende miste pubblico-private, individuando il probabile valore della quota che questi avrebbero dovuto cedere a privati in ossequio alle disposizioni dell’art.

23-bi, d.l. 112/2008.

In tal senso il lavoro, utilizzando un approccio metodologico misto, deduttivo-induttivo tipico delle discipline economico-aziendali, focalizza innanzi tutto la propria attenzione sul concetto di valore nel settore dei servizi pubblici locali (Borgonovi 2001) e sui diversi metodi di valutazione riconosciuti in dottrina (Guatri e Bini 2005). Successivamente esamina, attraverso un’indagine empirica, un panel di 26 gestori italiani del Servizio Idrico Integrato (d’ora in poi SII).

1 Ci si riferisce all’art. 15 del d.l. 135/2009, “Disposizioni urgenti per l’attuazione di ob- blighi internazionali e comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee”, convertito in l. 166/2009.

2 Al riguardo si veda l’art. 23-bis, d.l. 112/2008, comma 8, modificato dall’art. 15, d.l.

135/2009.

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2. il valore delle aziende dei servizi di pubblica utilità: studi in materia

Il procedimento di stima del valore di un’azienda si presenta alquanto com- plicato, poiché legato a diversi elementi di carattere tecnico, temporale e informativo. Il processo, infatti, conduce a un dato relativo: non unico, non univoco, non definitivo, ma valido solo alla data in cui viene espresso, per le finalità per le quali viene elaborato e in presenza di precise condizioni (Copeland et al. 1994; Pozzoli 2011).

I fattori sui quali gli studi aziendali si sono maggiormente soffermati sono tre: (i) i principi che dovrebbero guidare ogni processo di valutazione; (ii) le condizioni in cui si effettua un giudizio di valutazione; (iii) i diversi metodi di valutazione. (3)

Con riguardo ai principi, la dottrina(Guatri 1998) evidenzia alcuni cri- teri, quali: razionalità, obiettività, equità e stabilità. Le condizioni, invece, attengono sia all’oggetto che al soggetto della valutazione (Caramiello 1993; Fazzini 2003). In riferimento all’oggetto, la prassi operativa ha spinto per modelli di valutazione legati, in prevalenza, all’appartenenza settoriale dell’azienda valutanda e per modelli di valutazione legati al ciclo di vita della stessa(Damodaran 2002). Le ragioni vanno ricercate nei numerosi vantaggi che una valutazione aziendale “per settori” può presentare, legati alla riduzione dei costi del processo e all’affinamento tecnico, che favorisco- no una maggiore specializzazione. (4) Relativamente ai soggetti che sono chiamati a formulare un giudizio di valore, essi possono essere molteplici, quali: azionisti, imprenditori, società di consulenza. La loro stima risente evidentemente delle informazioni a loro disposizione, del ruolo ricoperto e delle finalità che li muovono, oltre che dai criteri e dai metodi di valutazione.

Alcuni autori (Zanda et al. 2005) hanno individuato ulteriori profili entro cui il valore può essere analizzato: il profilo ontologico, che conduce alla consapevolezza dell’assoluta relatività del concetto; il profilo gnoseologico, che richiama la natura “camaleontica” della tematica; il profilo etico-deon- tologico, che attiene alle difficoltà di elaborare una teoria univocamente applicabile. Altri(Smith 1953; Vicari 1995; Beretta Zanoni 1999), infine, con riferimento alla ricerca del valore, scindono il loro pensiero tra “po- sizione oggettivista”, basata sull’assunto che il valore sia oggettivamente determinabile e che dipenda dalla quantità di lavoro necessario a produrlo, e “posizione soggettivista”, che poggia sull’ipotesi che il valore di un bene derivi dall’utilità che esso è in grado di generare (teoria del valore-utilità).

è chiaro che il concetto di “valore” presenta numerose sfaccettature e, se la sua stima risulta essere tutt’altro che semplice nel contesto privato,

3 Per la trattazione dei metodi di valutazione si rimanda al paragrafo 3.

4 Si pensi al ripetersi di tali operazioni in uno o più settori, che potrebbe consentire l’otte- nimento di economie di scala sul piano informativo, di riprodurre, velocizzare e agevolare la metodologia valutativa, di basarsi su database vasti e già consolidati, cioè diffusi e con- divisi e così via.

(4)

determinarlo per un’azienda che opera in un settore regolato è operazione ancora più complessa e, per taluni aspetti, problematica (Giannessi 1961;

Passarelli e Parrini 1999; Dell’Acqua 2001; Deidda Gagliardo 2002;

Bianco e Cappiello 2003).

D’altra parte, la tematica dei servizi pubblici è stata per lungo tempo posta in secondo piano dagli aziendalisti (Borgonovi 1984). La ragione va ricercata in una tradizione culturale che per decenni ha visto l’economia aziendale interessarsi esclusivamente delle aziende del settore privato, in quanto si riteneva che l’applicazione dei principi economico-aziendali nell’ambito delle aziende pubbliche fosse riconducibile alla semplice trasposizione di modelli e strumenti gestionali tipici del mondo privato al settore pubblico. è a partire dagli anni ’70 e ancor più dagli anni ’80, con l’ampliamento delle logiche dello Stato imprenditore e dello Stato sociale e assistenziale, che si inizia ad avvertire la necessità del rispetto delle regole economico aziendali anche in presenza di finalità sociali, in quanto si avverte il rischio del venir meno delle condizioni di equilibrio economico (Pivato 1938).

La mission istituzionale dell’azienda pubblica è di soddisfare i bisogni del relativo soggetto economico e, pertanto, come qualsiasi altra azienda, la via da percorrere è quella della creazione del valore (Mele 1994).

Non può, però, di certo sfuggire che “la natura stessa del prodotto del settore pubblico, le cui prestazioni sono spesso immateriali e complesse, scindibili in unità di erogazione in modo non perspicuo ed incontrovertibile”

(Bondino e Bruzzo 1988: 252) rende consolidata l’opinione relativa all’e- sistenza di una certa difficoltà nel misurare l’output delle amministrazioni pubbliche. Inoltre, nel comparto in questione, non sempre è di immediata significatività rapportare le risorse impiegate con i risultati ottenuti, in quanto la misura delle performance è esprimibile in termini quantitativi o economici solo in alcuni casi. La letteratura internazionale ha oltremodo evidenziato una serie di distorsioni e paradossi legate al sistema di indicatori. Alcuni autori (Van Thiel e Leeuw 2002: 267-281) intravedono delle limitazioni nella poca chiarezza sull’oggetto da misurare, nella manipolazione delle informazioni da parte del responsabile a proprio vantaggio (De Bruijn 2007: 17-33; Perrin 1998: pp. 367-379; Hatry 2002: 352-358). Altri (Pidd 2005), invece, ritengono che la problematica si annidi nella pluralità di interpretazioni fornita dagli indicatori. (5)

Ragion per cui, gli studiosi che si sono susseguiti hanno cercato di in- tegrare gli indicatori di valore e i relativi modelli tenendo presente diversi aspetti ritenuti validi e strategicamente rilevanti nel comparto, in grado di fotografare il sistema dei vincoli cui l’amministrazione è sottoposta, il ruolo politico, sociale, economico che ricopre e le modalità di svolgimento delle

5 Si pensi, ad esempio, al rapporto “Costo dell’acqua (valore in mc)/Volume di acqua ero- gata”. Tale rapporto può essere interpretato sia come indicatore di efficacia (per il cliente), in termini di costanza della fornitura, sia come indicatore di efficienza (per l’azienda), orientan- do l’azione alla riduzione del numeratore.

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funzioni operative tipiche, da cui sia possibile dimostrare adeguatamente le condizioni di sviluppo e la legittimazione all’esistenza (Borgonovi 2005). In tale settore, infatti, la ricerca del valore diviene un’esigenza (Farneti 2005):

• per gli Enti locali che, conseguentemente ai processi di liberalizzazio- ne dei mercati, sono maggiormente attenti alla creazione del valore;

• per i gestori che, a causa dei continui mutamenti del mercato, dell’aumento della competizione e dell’evoluzione normativa, devono mostrarsi particolarmente attivi, volti alla frequente ricerca di nuove formule strategiche e di assetti più adeguati.

Per Moore (1995), la determinazione del valore pubblico guiderebbe i manager nelle scelte strategiche da prendere e stimolerebbe la loro creatività, generando, di conseguenza, benefici per l’intera collettività. In particolare, l’Autore sviluppa un metodo pratico, cercando di adattare le strategie aziendali tipiche del settore privato a quello pubblico.

Rebora (1999), invece, si focalizza maggiormente sugli outcome otte- nuti dall’istituzione pubblica. L’Autore sostiene che essa crea valore e di conseguenza legittima la propria presenza solo quando si mostra capace di ottenere risultati che, nell’immaginario collettivo, valgano almeno quanto le risorse che preleva e impiega.

Per Borgonovi (2001:186) “anche l’azienda pubblica deve produrre valore”. Tale obiettivo è raggiunto quando l’azienda pubblica, a parità di tributi e altri proventi richiesti al sistema economico, è in grado di fornire gli stessi servizi migliori dei precedenti e garantire remunerazioni più soddi- sfacenti per i propri dipendenti perché organizza meglio la propria attività.

Ciò significa che l’azienda pubblica deve continuamente ricercare nuove modalità di gestione per far fronte alle esigenze dei diversi stakeholders.

L’Autore propone anche alcune modalità per attuare un aumento del valore, quali: abbandono della logica del soddisfacimento necessario delle singole esigenze con lo scopo di ottenere un maggior consenso, per orientarsi, in- vece, verso una più razionale selezione dei bisogni alternativi; autonomia gestionale da parte dei dirigenti, prevedendo però responsabilità tecniche ed economiche; focalizzazione verso le attività “migliori”, cioè efficienti;

esternalizzazione di quelle attività che, svolte internamente, consentirebbero un livello di efficienza minore; orientamento verso le moderne tecnologie, come l’ICT.

Altri Autori, invece, mettono in luce alcune variabili significative per la stima del valore pubblico. Tra questi, Marinò (1997) si riferisce specifica- mente al valore di privatizzazione, inteso come quel valore (presumibile) calcolato in sede di quotazione in borsa o di operazioni straordinarie, quali cessione di quote di capitale a privati o ad altre aziende pubbliche locali (APL) (Pozzoli 1992). L’Autore precisa che tale valore, oltre che esse- re espressivo del quantum economico, non può prescindere dall’interesse della collettività: questo significa che un giudizio che sottovaluti il valore

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delle APL può arrecare, in senso lato, un danno ai cittadini. Nella stima del valore, l’Autore rinvia all’analisi di due elementi: il rischio e la redditività del settore. Il richiamo a questi elementi non è casuale: se, da un lato, il regime concessorio e la definizione delle tariffe rendono abbastanza pre- vedibili i flussi futuri, dall’altro, l’instabilità politica ne incrementa il rischio.

In aggiunta a ciò si considera, da un lato, il ruolo dello Stato che, qualora tali aziende dovessero trovarsi in difficoltà, interverrebbe consentendone la sopravvivenza; dall’altro, la sfera politica che, con le sue scelte, può nuovamente portare a cambiamenti di scenario. Infine, l’Autore conclude la trattazione considerando le possibili ed eventuali sinergie (partnership pubblico-private) tra operatori. In merito, però, sottolinea che l’individuazio- ne di partner settoriali o specializzati porta inevitabilmente all’ottenimento di prezzi di cessione delle quote inferiori rispetto a quelli conseguibili mediante procedure competitive.

Deidda Gagliardo (2002) contribuisce alla discussione ampliando i c.d.

“soggetti del valore”, rappresentati non unicamente da coloro che si collo- cano all’esterno dell’ente (gli utenti), ma anche da individui che operano all’interno (gli organi politici di rappresentanza e di governo). (6) Introduce, dunque, una visione più estesa di valore dell’ente (c.d. valore globale), inteso come capacità dello stesso di conciliare il “valore economico”, cioè la capacità, attuale e prospettica, di raggiungere e perpetuare l’economi- cità (Borgonovi 2002; Sostero 2003) minima per adempiere alla propria mission istituzionale, e il “valore finalistico”, ossia l’attitudine dell’ente a soddisfare i bisogni sociali.

Il contributo di Gilardoni e Miglietta (2003) approfondisce la tematica, considerando emblematici una molteplicità di aspetti, quali: gli asset produt- tivi, le reti distributive, il portafoglio clienti, l’attività integrata nel suo com- plesso. Una volta individuati gli aspetti rilevanti, gli Autori si soffermano sulle principali problematiche valutative per ciascuna categoria. Con riferimento agli asset, considerano la durata elevata e il legame con le materie prime che li alimentano, la redditività delle imprese che li utilizzano, il tasso di utilizzo.

Per quanto riguarda il valore delle reti, prendono in considerazione le spese di manutenzione e la redditività generata per le imprese gestori (funzione della durata della concessione, delle tariffe applicabili, ecc.). In merito al valore della clientela, sono considerati fattori quali: capacità complessiva di spesa; tasso di fidelizzazione (tranne che in casi di monopolio); mix di clientela (se applicate diverse tariffe); sinergie (in caso di multi-utilities). In merito a quest’ultimo elemento, gli Autori sottolineano le maggiori difficoltà di calcolo in ipotesi multi-utilities, legate alla differenziazione delle attività ma, soprattutto, alla considerazione che ognuna richiede la stima di tassi di rischio peculiari, che dovranno quindi essere necessariamente tenuti distinti.

Altri studi (Scaletti 2003) intravedono la possibilità di soddisfare la veri-

6 L’Autore afferma: “Il soggetto economico locale non è più solo il cittadino o la sua rappre- sentanza politica, ma diviene un insieme composito di attori, ognuno portatore di specifiche esigenze, non di rado in contrasto con quelle degli altri interlocutori aziendali”.

(7)

fica delle condizioni di equilibrio nei processi di creazione e distribuzione del valore, attraverso un’analisi che coinvolge, da un lato, le informazioni deducibili dal sistema contabile aziendale, e dall’altro, l’impiego di indica- tori quali-quantitativi espressivi delle attese conoscitive dei diversi pubblici aziendali (Saulou 1987). Si ipotizza, dunque, la possibilità di applicare strumenti multidimensionali di controllo del valore nelle aziende pubbliche (c.d. Balanced Scorecard, Kaplan e Norton 1996). Al fine di ridurre il rischio di perdita dell’efficienza e dell’efficacia dell’informazione, gli stessi devono essere progettati in maniera adeguata, cioè far riferimento a una serie di rapporti causa-effetto da cui il valore si origina e viene distribuito.

Farneti (2005), approfondisce la tematica individuando nuove pecu- liarità del business in oggetto, ossia: il settore; gli asset produttivi e le reti distributive; il territorio/il portafoglio clienti; i contratti in essere; i servizi erogati; l’immagine. (7) L’Autore procede ad analizzare le componenti più significative di tali variabili, individuando i legami con la formula valutativa, in termini di incidenza sui flussi e sul tasso di rischio.

Cole e Parston (2006) identificano un modello di valore (Mella e Vello 2007), considerando da un lato i cittadini, i destinatari del servizio pubblico e i contribuenti; dall’altro l’efficienza e i risultati ottenuti. Questi ultimi non devono essere intesi come output, ossia l’insieme di beni e servizi offerti, ma come outcome, cioè come risultati finali conseguiti.

Pertanto, un servizio pubblico genera valore quando è in grado di forni- re, in modo efficace, un set di risultati sociali ed economici allineati alle priorità dei cittadini.

In conclusione, troviamo il contributo di Landriani (2010). L’Autore propo- ne un modello per la ricerca del valore (strategico) nelle aziende del settore pubblico, individuando in sintesi tre variabili fondamentali strettamente interrelate tra loro e in grado di incidere su tale processo: la governance del sistema pubblico, il controllo strategico, la complementarietà politica.

Con l’ausilio delle tre variabili sopra citate, l’Autore delinea un modello in grado di conciliare le finalità tipiche dell’istituto, cioè la socialità, con quelle proprie dell’azienda, cioè l’economicità. Egli sostiene che il valore dell’azienda cresce proporzionalmente man mano che ci si allontana da ipotesi di esclusiva socialità verso la piena economicità e l’equilibrio economico durevole. L’economicità, infatti, è intesa, in accordo con alcuni Autori citati in precedenza, come sinonimo della creazione di valore, in quanto rappresenta “il punto di massima soddisfazione o ricompensa per i contributi dei diversi pubblici aziendali, considerando le risorse disponibili ed i vincoli presenti”.

7 L’immagine della local utility è una variabile di rilievo dello studio e del tutto innovativa ri- spetto ai precedenti contributi. Essa è esplicitata in una serie di elementi come qualità, effi- cienza, efficacia ed in alcuni strumenti tipici del comparto: carta dei servizi, bilancio di soste- nibilità (ansElmi 1995; Bonacchi e rinaldi 2004).

(8)

3. La stima del valore

La valutazione e, conseguentemente, la ricerca del metodo dipende, come detto (par. 2), dalla finalità e dall’oggetto di valutazione. (8)

L’attenzione verso le aziende dei servizi pubblici locali si è posta con enfasi quando, il 20 novembre 2009, la Camera dei Deputati ha convertito in legge il d.l. 135/2009, definendo, secondo le disposizioni contenute all’art. 15, un nuovo regime di affidamento.

Nel presente lavoro, l’oggetto di analisi sono i soggetti affidatari del SII, in particolare le aziende a capitale interamente pubblico (c.d. in house providing) nonché le aziende pubbliche che, in seguito a una gara ad evi- denza pubblica, hanno selezionato il socio privato che detiene una quota minoritaria del capitale sociale (c.d. partenariati pubblico-privati).

Ciò che lo studio si propone di determinare è il valore della quota di capitale che i gestori avrebbero dovuto cedere ai privati, previa gara ad evidenza pubblica, per poter continuare a svolgere il servizio idrico. In particolare, in base a quanto detto:

• per le c.d. in house providing, si è proceduto a determinare il va- lore del 40% del capitale economico, quota che si sarebbe dovuta dismettere entro il 31 dicembre 2011 (art. 23-bis, comma 8, lett. a);

• per i partenariati pubblico-privati (PPP) si è calcolato il 100% del valore del capitale economico al 31 dicembre 2011, data in cui era prevista la scadenza dell’affidamento (art. 23-bis, comma 8, lett. b).

Il campione

Lo studio è stato condotto su un panel composto da 26 aziende monoservizio, rappresentanti poco più del 5% delle aziende idriche presenti sul territorio italiano, (9) di cui sono stati analizzati i bilanci d’esercizio dal 2004 al 2009. Il campione è stato, dapprima, suddiviso in tre gruppi (aziende grandi, medie e piccole) sulla base dell’ammontare dei ricavi delle vendite e prestazioni (tabella 1) e, successivamente, ripartito in funzione del tipo di affidamento (tabella 2).

8 In particolare, l’IVSC (International Valuation Standards Committee) nel luglio 2011 ha emanato i nuovi principi di valutazione internazionali. L’obiettivo è di accrescere l’affidabili- tà delle valutazioni e la fiducia degli utilizzatori di stime di valore, in un contesto nel quale i mercati finanziari, collassando, impattano negativamente sulla loro capacità di fornire infor- mazioni primarie. Dai principi emergono regole che riguardano: la completezza della base informativa; le scelte metodologiche più rilevanti e le alternative scartate; le variabili chiave.

9 In Italia esistono circa 500 aziende idriche (dati Aida Bureau Van Diik, giugno 2012). Si precisa che il numero di aziende idriche indicate fa riferimento a quelle iscritte su AIDA con codice ATECO 36 (Raccolta – trattamento e fornitura acqua); pertanto lo stesso rappresenta una sottostima di quelle realmente attive in Italia: difatti, bisogna considerare che potrebbero esserci aziende non iscritte oppure altre registrate con un diverso codice ATECO (es. ACEA ha codice 35), variabile in funzione del proprio business.

(9)

Tabella 1 – Composizione delle classi del panel valutato Cluster Classi dimensionali

(Ricavi delle vendite e prestazioni)

bilanci 2004-2009

Grandi Medie Piccole

>38 Mln di e

12 Mln di e < Medie <= 38 Mln di e

<= 12 Mln di e

129 5

Totale campione 26

Tabella 2 – Campione oggetto di valutazione

Cluster In house Miste

Grandi Medie Piccole

67 3

62 2

Totale campione 16 10

La scelta del metodo di valutazione

L’adozione del metodo è stata dettata prevalentemente dal quantitativo di informazioni a disposizione e dalla ricerca di uniformità delle caratteristiche individuali del panel analizzato.

Si chiarisce che, in alcuni casi, la disomogeneità delle aziende, le spe- cificità del trattamento di determinate poste di bilancio e la lacunosità di alcuni dati hanno reso più complicata l’indagine.

Dalla lettura delle note integrative, le notizie che sono state considerate di maggior rilievo sono le seguenti:

• tutte le aziende sono proprietarie delle reti idriche: queste o sono state cedute direttamente dai singoli Comuni, o derivano da investimenti effettuati dalle aziende stesse;

• quasi tutte dispongono di beni in leasing, i quali vengono valutati prevalentemente con il metodo patrimoniale; (10)

• le aziende valutano le partecipazioni immobilizzate principalmente al costo;

• i debiti sono calcolati al valore nominale, i crediti al valore di presu- mibile realizzo.

Una volta definite le peculiarità della valutazione dei gestori del SII, si pone il problema di decidere quale metodo adottare (Guatri 1998). La dottrina economica, come noto, ravvisa alcuni approcci generalmente adot- tati per la stima del valore (Guatri e Bini 2005; Pozzoli 2011), sintetizzati nella tabella 3.

10 Al riguardo si veda lo IAS 17, Contabilizzazione del leasing.

(10)

Tabella 3 – I metodi di valutazione

CRiTERi GRANDEZZE METODO

Assoluti

Flussi Reddituale

Finanziario

Misti Patrimoniale/reddituale EVA

Stock Patrimoniale

Relativi

Di mercato Multipli o Moltiplicatori Valori “potenziali”

Fonte: Guatri (1998)

Valutare un’azienda col solo metodo patrimoniale non parrebbe corretto.

A tal proposito è stato osservato che “la determinazione del valore patrimo- niale rappresenta, nel processo di determinazione del valore economico, una fase, non un metodo”. (11) Esso, infatti, non consente una visione prospettica dell’azienda, in quanto l’analisi si basa essenzialmente sulla rielaborazio- ne di valore storici (grandezze stock), al contrario dei metodi finanziari e reddituali, che sono impostati su un’analisi per flussi.

Il metodo reddituale, o in alternativa quello finanziario, sembrerebbero quindi i più adatti per la valutazione del capitale economico dei gestori del SII. Basti pensare che il regime concessorio e la definizione delle tariffe rendono semplice la stima dei flussi futuri perché facilmente prevedibili;

relativamente al tasso, invece, si nota che i servizi pubblici locali rappre- sentano un business relativamente a basso rischio, poiché, una volta vinta la gara, la società potrà gestire il relativo servizio per un periodo di tempo predeterminato (Farneti 2005). Tuttavia, anche tali metodi presentano alcune criticità. Riguardo al metodo finanziario si pensi all’eccessiva aleatorietà nella stima dei flussi attesi, all’inquinamento che le politiche di bilancio potrebbero creare nella determinazione del loro ammontare (soprattutto se orientato al breve periodo), al rischio di mancata conservazione del capitale.

(12) Invece, nel metodo reddituale si ravvede la difficoltà di selezionare l’op- portuna categoria di reddito da inserire, nonché la metodologia di calcolo della stessa (Guatri e Bini 2005). Inoltre, il processo di normalizzazione, pur tentando di superare le politiche di bilancio, rischia di introdurre elementi di arbitrio e soggettività.

Ciò detto, dalla rassegna dei diversi metodi di valutazione, si nota che:

il metodo patrimoniale si focalizza sugli asset aziendali, importanti per evidenziare il livello di patrimonializzazione dei gestori, ma risulta carente nell’analisi dei flussi futuri. I metodi reddituale e finanziario(Hackel 1992;

Choratas 1995; Guatri 1998; Copeland et al. 2002; Damodaran 2002;

11 Si veda caramiEllo (1993), il quale sostiene che “il metodo è unico, patrimoniale-reddi- tuale, e non potrebbe essere altrimenti”.

12 Al riguardo si vedano Guatri e Bini (1997) e Guatri (1998).

(11)

Farneti 2005) colmano le lacune del precedente, ma tralasciano la valoriz- zazione degli asset. L’approccio dei multipli effettua un utile confronto del singolo gestore del SII rispetto ad altri che operano nel medesimo mercato, ma si figura estremamente superficiale se considerato a sé stante.

In conclusione, la tecnica di valutazione che appare maggiormente interessante, per tutte le tipologie di aziende considerate, è il metodo misto patrimoniale-reddituale. Tale metodo giunge al valore sommando algebricamente il valore corrente dell’aggregato patrimoniale al valore dell’avviamento distintamente considerato. In formula:

W= K + (R – i’*K) an¬i dove:

K: capitale netto rettificato R: reddito medio normale atteso

i’: tasso di rendimento del capitale proprio i: tasso di attualizzazione dei sovraredditi.

A parere di chi scrive, il criterio in questione risulta coerente con l’analisi effettuata per due ordini di motivi:

• tiene in considerazione gli asset materiali e immateriali, che per il cluster considerato sono particolarmente significativi, soprattutto con riguardo ai primi. Si pensi che il peso delle immobilizzazioni materiali (13) sul totale dell’attivo è mediamente pari al 31% per le aziende miste e arriva fino al 52% per le in house; le immateriali, (14) invece, hanno un peso mediamente pari al 17% per le miste e al 12% per le in house;

• perviene alla stima autonoma dell’avviamento sottraendo al flusso reddituale il capitale netto rettificato. Questa grandezza può avere valore sia positivo (goodwill) che negativo (badwill) e ciò dipende dalla capacità dell’azienda di realizzare (o meno) un “extrareddito”

rispetto al normale rendimento conseguibile in quel settore.

Detto ciò, gli step percorsi sono stati i seguenti:

• stima del patrimonio netto rettificato mediante il metodo patrimoniale complesso (Guatri 1989; Guatri 1990; Zanda et al. 2005);

• determinazione del reddito medio normale;

• calcolo del tasso normale di rendimento del capitale proprio (i’) e del tasso di attualizzazione dei sovraredditi (i);

13 La rilevanza delle immobilizzazioni materiali riflette l’osservazione che la totalità del- le aziende esaminate hanno provveduto a costruire in proprio le reti di distribuzione idrica.

14 Con riguardo alle “immobilizzazioni immateriali” ci si riferisce esclusivamente alle voci B.I.3 e B.I.4, cioè quelle ritenute significative per tale genere di aziende e, pertanto, ogget- to della valutazione.

(12)

• quantificazione dell’avviamento;

• misura del valore d’azienda.

Le fasi che hanno indotto maggiori problematiche sono state la stima del reddito medio normale e la quantificazione dei tassi.

Con riguardo alla prima variabile, il risultato d’esercizio che origina dai prospetti di sintesi di fine anno deve essere rivisto poiché, da un lato, risulta generalmente inquinato dalla presenza di componenti straordinari o estranei alla gestione caratteristica e, dall’altro lato, non tiene conto della variazione del patrimonio intangibile, il quale influisce sulla capacità reddi- tuale prospettica e quindi sul valore del capitale economico. Ne consegue che, per passare dal risultato contabile al reddito normalizzato, è necessario compiere alcune operazioni:

• normalizzazione, che consente di giungere a un risultato significativo e stabile nel tempo mediante l’eliminazione di tutte le componenti accessorie e straordinarie (Rinaldi 2003);

• integrazione, che permette, al contrario della prima, di riconsiderare le componenti economiche relative a tutte le attività rideterminate ai valori correnti.

Il tasso di rendimento del capitale proprio, in ottica equity side, è deter- minato mediante il c.d. cost of equity (Ke). La prassi propone anche altre soluzioni, come la stima del ROE e del P/E medi di settore in cui l’azienda opera. Tuttavia, pur applicando dei correttivi a tali indicatori, si evidenziano dei limiti di fondo non sempre superabili (Valeri 2011).

Circa il tasso dei sovraredditi, invece, la dottrina propone alcune solu- zioni (Valeri 2011):

• scegliere un tasso risk free (i<i’);

• adottare un saggio normale di rendimento del capitale (i=i’);

• utilizzare un tasso che esprima il rischio specifico dell’investimento nell’azienda oggetto di valutazione, determinato in relazione a un livello di redditività medio del settore (i>i’).

Metodologia di ricerca

Una volta stabilito il metodo da adottare, sono stati esaminati i bilanci degli esercizi 2004-2009. Più specificamente, per l’analisi patrimoniale, sono state indagate le singole poste dell’attivo e del passivo dei bilanci 2009, verificando la congruità del valore iscritto in bilancio e apportando eventuali rettifiche in aumento o in diminuzione laddove ritenuto necessario.

Tale disamina ha consentito il passaggio dal valore di patrimonio netto al valore di patrimonio netto rettificato al 31 dicembre 2009.

In fase di riespressione ai valori correnti delle poste patrimoniali, conside- revole interesse hanno suscitato le immobilizzazioni immateriali e materiali (B.I. e B.II). L’attenzione si è soffermata su tali classi di valori in quanto le

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altre poste presentavano un valore di bilancio non oggetto di rettifica, op- pure il loro trattamento era così tipico del singolo gestore da non permettere un’approssimazione generale a tutte le aziende considerate (Pozzoli 2008).

Le immobilizzazioni materiali sono state rivalutate secondo il metodo del costo di sostituzione. La logica del metodo è quella di confrontare il bene già in uso con beni simili, ma nuovi. Il valore del nuovo, però, deve essere abbattuto in luogo di un coefficiente che tenga in giusta considerazione il deperimento fisico e l’obsolescenza economica. Se le quote di ammorta- mento sono espressive della perdita di valore del bene, il coefficiente di deperimento può essere calcolato rapportando il fondo ammortamento al costo storico; tale percentuale, successivamente, è tolta dal costo di sosti- tuzione a nuovo. La differenza tra il costo di sostituzione e il valore iscritto in bilancio rappresenta la rettifica da apportare agli asset materiali: se questa è positiva, si rileva una variazione in aumento; se è negativa, una variazione in diminuzione.

L’applicazione del suddetto criterio, seppur apparentemente semplice, ha evidenziato diverse problematiche. Prima tra tutte, l’impossibilità oggettiva di definire il valore corrente per ciascuna categoria di asset posseduti: infatti, non solo trattasi di beni piuttosto eterogenei con diversi stadi di deperimen- to e consumo, per le diverse aziende, ma, in aggiunta, le note integrative riportano direttamente il valore della voce in forma aggregata, senza la specifica della sotto-voce. (15) Per ovviare a tale criticità si è stimato un “costo di sostituzione a nuovo” pari al 10% in più del costo storico. Quest’ultimo valore è stato calcolato sommando alla posta di bilancio B.II. dell’attivo dello Stato patrimoniale il fondo ammortamento. (16) Al valore di costo storico (incrementato del 10%) è stato, poi, detratto il coefficiente di deperimento, ottenendo in tal modo il “costo di sostituzione a nuovo”. La logica seguita è che, di norma, un bene nuovo costi di più rispetto a uno in uso; in rapporto, invece, alla scelta di quella particolare percentuale, è dipesa da verifiche a campione su specifici beni di aziende che possedevano un quantitativo di informazioni tale da rendere possibile la stima a valore corrente.

Con riferimento alle immobilizzazioni immateriali, particolare attenzione è stata data alla composizione delle voci B.I.3. (diritti di brevetto, marchi ecc.) e B.I.4. (concessione, licenze). (17) La metodologia prescelta per la loro valutazione è stata l’approccio del risultato economico differenziale.

Il ragionamento è che i suddetti beni siano causa di specifici e misurabili

15 In nota integrativa, tra le Immobilizzazioni materiali (B.II.), si è soliti riportare la voce di bilancio, ad esempio “attrezzature” (B.II.3.), ma non vi è alcun obbligo ad indicare quante ve ne sono, il costo storico di ciascuna, il piano di ammortamento; il valore, dunque, è data dalla somma di tutte le attrezzature disponibili.

16 Si fa presente che nelle successive tabelle di rappresentazione dati (tabelle 4 e 8) le im- mobilizzazioni materiali sono iscritte al netto del fondo ammortamento, mentre l’incremento percentuale risultante dalle rispettive tabelle di rettifica (5 e 9) è stato calcolato sul costo sto- rico (costo iscritto in bilancio + il fondo ammortamento indicato nelle note integrative). liBEra-

torE G. (2011:57).

17 La scelta deriva direttamente dai requisiti di identificabilità e controllo richiamati dal prin- cipio contabile internazionale IAS 38.

(14)

vantaggi differenziali. Pertanto, è stata dapprima stimata la percentuale di incidenza di questi beni sul totale attivo; successivamente, tale aliquota è stata applicata al valore della produzione e ai costi della produzione determinando, dalla loro differenza, il “risultato differenziale”. Infine, si è attualizzato tale risultato al tasso Ke, ottenendo un valore che è stato aggiunto a quello di bilancio. (18)

Il costo del capitale (Ke) è stato calcolato mediante l’utilizzo del Capital Asset Pricing Model (CAPM), che ne prevede la stima come somma di due variabili: il rendimento dei titoli privi di rischio (c.d. tasso risk-free) e il premio per il rischio aziendale (market risk premium) ponderato per il coefficiente di rischio sistematico non diversificabile ß).(19) Detto ciò, è stato posto:

• un rendimento reale dei BTP indicizzati a trent’anni (r) pari a 2,94% (20) (c.d. tasso risk-free);

• un premio per il rischio (rm – r) pari a 5,40%; (21)

• un ß pari a 0,6, stimato considerando la media dei ß per le aziende operanti nel settore delle Utility (water) a livello internazionale. (22) Terminate le fasi di rettifica, si sono rilevate, per la totalità dei casi, delle plusvalenze sui beni. A questo punto, per controbilanciare gli effetti sul passivo e sul netto patrimoniale, sono state incrementate la voce “riserva di rivalutazione” (A.III.), pari alla plusvalenza (potenziale) netta rilevata, (23) e la posta “fondo rischi” (B.), pari alle imposte latenti (di norma fissate al 30%). Ne consegue che la nuova configurazione di patrimonio è espressione del patrimonio netto rettificato al 31 dicembre 2009.

Conclusasi l’indagine patrimoniale, analoghe correzioni sono state opportunamente riconsiderate per l’analisi reddituale, secondo step del metodo misto. (24) Per la predetta analisi sono stati presi in considerazione sia i flussi di reddito storici, dal 2004 al 2009, che quelli programmati 2010-2011. La ragione dell’adozione di entrambe le metodologie risiede nel fatto che non si può giungere ad un valore equo bypassando quello storico, né tantomeno tralasciare il reddito futuro, che in un settore regolamentato è facilmente prevedibile.

18 Si è ritenuto opportuno attualizzare il risultato differenziale per un periodo di tempo pari a 25 anni, durata media delle concessioni, dei brevetti, dei marchi, e così via.

19 Si precisa che il tasso di rendimento normale (Ke) è stato stimato in termini reali, così come i flussi reddituali (Massari 1998).

20 Fonte:http://www.dt.tesoro.it/export/sites/sitodt/modules/documenti_it/debito_pub- blico/rendimenti_composti/Rendimenti_Lordi_allxEmissione_nel_2009.pdf. Il tasso è stato stimato calcolando una media tra quello netto di gennaio e quello netto di ottobre (mesi di- sponibili alla data di valutazione).

21 Fonte:http://pages.stern.nyu.edu/~adamodar/New_Home_Page/datafile/ctryprem.

html. A tal fine è stato considerato unicamente il risk premium italiano.

22 Fonte: http://pages.stern.nyu.edu/~adamodar/.

23 Le plusvalenze potenziali che vengono individuate in seguito al processo di riespressio- ne a valori correnti devono in genere essere ridotte per tenere conto degli oneri fiscali laten- ti (o potenziali).

24 Alcuni dati (es. tassi di inflazione, tasso di crescita della tariffa reale media, ecc.) sono stati ottenuti grazie all’Ente di ricerca Utilitatis pro acqua energia e ambiente, con il quale si è instaurato un rapporto di collaborazione per la stesura del Blue Book 2010.

(15)

A tal riguardo, la stima a preventivo dei flussi è avvenuta sulla base del tasso di crescita dei ricavi regolati previsto nei piani d’ambito, che è stato utilizzato per simulare l’andamento futuro della voce A.1 del conto economico a partire dall’ultimo bilancio disponibile. Laddove ciò non è stato possibile, si è proceduto a stimare il tasso di crescita dei ricavi sulla base dell’andamento rilevato nel periodo storico considerato. Per giungere alla stima del reddito normalizzato, (25) si è, quindi, proceduto a:

• adeguare le quote di ammortamento delle immobilizzazioni materiali e immateriali: per le prime, in sintonia con la rivalutazione patrimo- niale, accrescendole del 10%; per le seconde, aumentandole in base all’aliquota derivante dal rapporto tra “Immobilizzazioni Immateriali”

(solo per le voci B.I.3. e B.I.4.) e “Totale Attivo”;

• eliminare e/o integrare i proventi e gli oneri accessori e straordinari;

• rilevare le plusvalenze latenti determinate in fase di revisione patri- moniale;

• ricalcolare le imposte dirette. Per quanto riguarda l’IRES, l’aliquota applicata è del 27,5%, percentuale attualmente in vigore; per l’IRAP, invece, è stata effettuata una forzatura, assumendo un valore medio pari al 4,5%; (26)

• uniformare, infine, il reddito per tener conto dell’inflazione. In par- ticolare, per i flussi a consuntivo si è considerato l’indice generale nazionale dei prezzi al consumo; per i risultati a preventivo, invece, il tasso programmato nel documento di programmazione economico finanziaria (DPEF).

Determinato il patrimonio netto rettificato e il reddito medio normalizzato, si è pervenuti alla stima del valore.

I risultati

Nella rappresentazione dei risultati si procederà dapprima al commento del valore delle aziende in house e, successivamente, a quello delle miste pubblico-private.

Per le aziende in house, si è proceduto a stimare il 40% del capitale che queste avrebbero dovuto cedere entro fine 2011, in ossequio alle disposi- zioni normative sopra enunciate. Tuttavia, a luglio 2010 venne prevista una maxi-deroga per tale categoria di aziende; infatti, per ottenere il via libera dell’Antitrust, le stesse non avrebbero più dovuto dimostrare i fallimenti della concorrenza, ma sarebbe stato sufficiente riportare un buon risultato in bi-

25 è una particolare configurazione di reddito privo di componenti spurie e straordinarie e al netto di eventuali politiche di bilancio che prevedono normalmente diverse finalità. A tale valore si è pervenuti stimando dapprima, in maniera puntuale, i redditi normalizzati di cia- scun anno (2004-2009) e, successivamente, sommandoli e dividendoli per il numero di anni complessivo (6).

26 Essendo l’IRAP un’imposta regionale la cui percentuale varia, per l’appunto, da Regione a Regione, la si è determinata effettuando una media tra la più bassa (3,9%) e la più alta (5,25%).

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lancio. Più precisamente, sarebbe bastato: avere i bilanci in utile; reinvestire almeno l’80% dei profitti nel servizio; applicare tariffe e costi operativi inferiori alla media del settore. Il gestore che fosse stato in grado di rispettare i suddetti requisiti avrebbe potuto continuare l’affidamento diretto fino a scadenza del contratto. Nel presente studio, però, non si è tenuto conto di tale eventualità.

Considerare le scadenze dei diversi contratti di servizio e di conseguenza fare una previsione da qui a trent’anni appariva alquanto aleatorio in ragione dei repentini mutamenti normativi e dell’instabilità politica.

Dunque, per rispondere al quesito su quanto vale il 40% del capitale delle aziende in house, l’indagine ha considerato un campione di 16 ope- ratori di cui sono stati analizzati i bilanci 2004-2009. La tabella 4 riporta il bilancio d’esercizio al 2009 dell’aggregato del cluster.

Tabella 4 – Stato patrimoniale totale al 31 dicembre 2009, campione delle aziende in house

Stato patrimoniale

Somma campione Grandi (e)

Somma campione Medie (e)

Somma campione Piccole (e)

A. Crediti verso soci - - -

B. Totale immobilizzazioni 1.531.251.510 457.458.835 88.650.786 B.I. Totale immob. immateriali 640.383.806 67.698.668 1.858.894 B.II. Totale immob. materiali 713.761.483 387.009.364 82.916.978 B.III. Totale immob. finanziarie 177.106.221 2.750.803 3.874.914 C. Attivo circolante 1.232.116.997 185.633.956 28.975.744

D. Ratei e riscontri 9.274.567 3.405.100 86.203

TOTALE ATTiVO 2.772.643.074 646.497.891 117.712.733

A. Patrimonio netto rettificato 715.052.428 287.595.138 69.805.610

B. Totale fondi rischi 122.236.845 15.582.874 3.886.764

C. TFR 73.483.656 11.959.892 1.684.610

D. Totale debiti 1.789.206.571 289.236.762 38.437.782

E. Ratei e riscontri 72.663.574 42.123.225 3.897.967

TOTALE PASSiVO 2.772.643.074 646.497.891 117.712.733

Si noti che le misure sono fortemente divergenti in relazione alle diverse categorie dimensionali: le piccole presentano un totale attivo pari a € 117,71 milioni, a fronte di € 646,49 milioni per le medie e di € 2,7 miliardi per le grandi.

Le immobilizzazioni materiali rappresentano in media più del 50% dell’at- tivo, mentre le immobilizzazioni immateriali pesano “solo” circa il 12%.

Le immobilizzazioni materiali sono composte prevalentemente da attrezza- ture industriali e commerciali, terreni, fabbricati, impianti. Tra le immateriali le principali voci sono diritti d’uso dei beni demaniali, licenze d’uso per software e brevetti, marchi, costi capitalizzati per migliorie su beni di terzi. Entrambe

(17)

le tipologie di asset sono state valutate al costo d’acquisto o di produzione e ammortizzate in funzione della residua possibilità di utilizzazione futura.

Quindi, partendo dal presupposto che le suddette poste presentano una particolare analogia di trattamento contabile si è proceduto, per le attività materiali, alla stima del costo di sostituzione, e per le immateriali, al calcolo del risultato economico differenziale. Con riferimento alle immobilizzazioni materiali il procedimento di rettifica ha determinato un aumento di circa il 43% per le aziende in house di piccole dimensioni, del 38% per le grandi e del 13,73% per le medie. Per cui, ad un incremento del 10% del costo storico (costo d’iscrizione in bilancio + fondo ammortamento) depurato del coefficiente di deperimento, è derivato un aumento complessivo più che proporzionale (anche se per il cluster delle medie è stato decisamente più contenuto). Le rettifiche apportate sulle immobilizzazioni immateriali mo- strano, invece, un incremento pressoché nullo dovuto, probabilmente, ad un’incidenza (media) relativamente bassa sul totale attivo (12%). Ciò dimostra che l’apporto “differenziale” di tale posta, cioè il detenere quel particolare intangible a differenza di altre aziende, è in pratica quasi inesistente. Nel complesso, l’attivo immobilizzato ha subito un incremento medio pari al 16%, in linea con l’aumento più che proporzionale delle attività materiali.

I maggiori valori rilevati sono stati opportunamente “bilanciati” nel passivo e nel netto patrimoniale generando, come detto, un aumento della riserva di rivalutazione e del fondo imposte. La nuova configurazione di bilancio che ne deriva è rappresentata nella tabella 5.

Tabella 5 – Stato patrimoniale rettificato totale al 31 dicembre 2009, campione delle aziende in house

Stato patrimoniale

Somma campione Grandi (e)

Somma campione Medie (e)

Somma campione Piccole (e)

A. Crediti verso soci - - -

B. Totale immobilizzazioni 1.803.633.851 510.580.717 124.248.955 B.I. Totale immob. immateriali 640.386.582 67.699.922 1.858.895 B.II. Totale immob. materiali 986.141.048 440.129.992 118.515.146 B.III. Totale immob. finanziarie 177.106.221 2.750.803 3.874.914 C. Attivo circolante 1.232.116.997 185.633.956 28.975.744

D. Ratei e riscontri 9.274.567 3.405.100 86.203

TOTALE ATTiVO 3.045.025.415 699.619.773 153.310.902

A. Patrimonio netto rettificato 905.720.067 324.780.455 94.724.329 B. Totale fondi rischi 203.951.547 31.519.439 14.566.215

C. TFR 73.483.656 11.959.892 1.684.610

D. Totale debiti 1.789.206.571 289.236.762 38.437.782

E. Ratei e riscontri 72.663.574 42.123.225 3.897.967

TOTALE PASSiVO 3.045.025.415 699.619.773 153.310.902

(18)

Per quanto concerne la stima del reddito medio normalizzato, sono state apportate simili modifiche ai flussi reddituali storici degli anni 2004-2009 e condotte delle previsioni per gli anni 2010-2011.

Il metodo di previsione del reddito ha adottato come ipotesi di riferimen- to il tasso di crescita della tariffa reale media previsto nei Piani d’ambito, applicandolo alla componente di ricavo delle vendite, mentre per le altre poste reddituali sono stati presunti tassi di variazione media osservati nella serie storica 2004-2009.

La stima dei redditi normalizzati ha permesso la determinazione del reddito medio, che è alla base del calcolo dell’avviamento (tabella 6). A tal riguardo, la differenza tra reddito atteso e capitale netto rettificato è stata moltiplicata per il tasso di rendimento (reale) normale del capitale proprio (i’), stimato mediante il metodo CAPM. (27) I sovraredditi, invece, sono stati attualizzati al saggio risk free (i).

Tabella 6 – Il reddito medio normalizzato e la stima dell’avviamento, aziende in house

Cluster Reddito medio normalizzato (e) Avviamento (e) Grandi

Medie Piccole

90.961.723 42.120.094 13.721.736

92.128.165 60.316.579 21.717.655

Dalla tabella 6 emerge, per tutte le classi dimensionali, un avviamento positivo. è però da precisare che il valore è dato dalla somma dei singoli avviamenti. Pertanto, laddove si è verificato un valore negativo per alcuni gestori, lo stesso è stato compensato da risultati positivi di altri. Conclusa anche la stima reddituale si perviene al valore delle in house (tabella 7).

Tabella 7 – Il valore della quota (40%) delle aziende in house Cluster Patrimonio netto

rettificato (e) 31.12.2009

Avviamento

(e) Valore

complessivo (e) 997.848.232

Valore 40%

399.139.293 (e) Grandi

Medie Piccole

905.720.067 324.780.455 94.724.329

92.128.165 60.316.579 21.717.655

997.870.654 385.097.034 116.441.984

399.148.262 154.038.814 46.576.794

Totale 1.499.387.250 599.754.901

Come prevedibile il dato, in termini assoluti, decresce al ridursi della dimensione.

Riguardo alle società miste pubblico-private, l’art. 15 d.l. 135/2009 aveva, invece, previsto una duplice scadenza, a seconda dei requisiti richiesti

27 La scelta di attualizzare i flussi a tre anni scaturisce direttamente dall’obiettivo della ricer- ca ovvero la stima al 2011 della quota di capitale sociale da cedere. Con riferimento, inve- ce, al tasso d’attualizzazione si è deciso di porre i=i’ in virtù della particolare rischiosità dei sovra redditi. Tale approccio trova accordo anche con l’impostazione prudenziale fatta pro- pria dall’UEC nel libretto del 1961 nei confronti del modello reddituale.

(19)

al socio privato in sede di gara. L’assenza di informazioni e la scarsa chia- rezza dei contratti di servizio hanno però reso complicata la separazione tra le società miste pubblico-private con compiti operativi (il cui servizio termina a scadenza del contratto) e quelle senza compiti operativi. Pertanto, per semplicità di analisi, si è fatto rientrare l’intero panel delle miste nella seconda fattispecie (scadenza al 31 dicembre 2011). La ragione di tale scelta non risiede nella convinzione che la maggioranza dei suddetti gestori abbia soci privati con compiti “non operativi”, ma semplicemente nelle scadenze previste nei contratti di servizio che, essendo diverse da gestore a gestore, avrebbe reso complessa l’identificazione di una data comune.

L’indagine ha avuto ad oggetto un campione composto da 10 aziende gestori. In analogia al precedente cluster, si sono analizzati i bilanci 2004- 2009. La situazione patrimoniale aggregata di partenza è rappresentata nella tabella 8.

Tabella 8 – Stato patrimoniale totale al 31 dicembre 2009, campione delle aziende miste

Stato patrimoniale

Somma campione Grandi (e)

Somma campione Medie (e)

Somma campione Piccole (e)

A. Crediti verso soci - - -

B. Totale immobilizzazioni 920.155.437 95.685.922 4.902.192 B.I. Totale immob. immateriali 266.743.902 35.191.151 2.101.916 B.II. Totale immob. materiali 650.445.061 56.030.534 2.789.360

B.III. Totale immob. finanziarie 2.966.474 4.464.237 10.916

C. Attivo circolante 680.074.758 41.371.116 12.459.982

D. Ratei e riscontri 11.132.404 19.402.100 61.762

TOTALE ATTiVO 1.611.362.599 156.459.138 17.423.936

A. Patrimonio netto 309.426.727 37.993.280 2.306.066

B. Fondi rischi 57.332.909 4.862.714 137.774

C. TFR 25.449.673 2.079.349 916.894

D. Totale debiti 1.049.790.813 96.568.292 14.004.837

E. Ratei e riscontri 169.362.477 14.955.503 58.365

TOTALE PASSiVO 1.611.362.599 156.459.138 17.423.936

Rispetto a quanto rilevato per le società in house, la differenza tra i cluster è decisamente più evidente. Si passa da un totale attivo di € 1,61 miliardi per le grandi, a € 156,45 milioni per le medie e a € 17,42 milioni per le piccole.

Anche in questo caso, la rideterminazione a valori correnti ha condotto a incrementi delle Immobilizzazioni materiali e immateriali, generando, di conseguenza, plusvalenze. In riferimento alle prime, l’incremento significativo si è rilevato soprattutto nel cluster delle aziende miste di grandi dimensioni

(20)

(+2,87%). Le variazioni dei restanti cluster, risultano, invece, proporzionali all’incremento applicato del 10%. Passando alle attività immateriali, in linea con le evidenze emerse dal campione delle aziende in house, si segnala una variazione pressappoco nulla. Il risultato è coerente, anche in questo caso con il peso che tale posta ha sul totale attivo (17%).

A valle delle rettifiche, il nuovo quadro patrimoniale è illustrato nella tabella 9.

Tabella 9 – Stato patrimoniale rettificato totale al 31 dicembre 2009, campione delle aziende miste

Stato patrimoniale

Somma campione Grandi (e)

Somma campione Medie (e)

Somma campione Piccole (e)

A. Crediti verso soci - - -

B. Totale immobilizzazioni 1.088.549.032 102.155.928 5.197.551 B.I. Totale immob. immateriali 266.875.610 35.193.446 2.118.339 B.II. Totale immob. materiali 818.706.948 62.498.245 3.068.296

B.III. Totale immob. finanziarie 2.966.474 4.464.237 10.916

C. Attivo circolante 680.074.758 41.371.116 12.459.982

D. Ratei e riscontri 11.132.404 19.402.100 61.762

TOTALE ATTiVO 1.779.756.194 162.929.144 17.719.295

A. Patrimonio netto rettificato 427.302.243 42.522.284 2.512.817

B. Fondi rischi 107.850.987 6.803.716 226.382

C. TFR 25.449.673 2.079.349 916.894

D. Totale debiti 1.049.790.813 96.568.292 14.004.837

E. Ratei e riscontri 169.362.477 14.955.503 58.365

TOTALE PASSiVO 1.779.756.194 162.929.144 17.719.295

Terminato lo studio degli elementi patrimoniali, si è proceduto con l’in- dagine dei componenti reddituali e con il calcolo dell’avviamento (tabella 10). Terminate le stime pocanzi descritte, si ottiene il valore delle aziende miste (tabella 11).

Tabella 10 – Il reddito medio normalizzato e la stima dell’avviamento, aziende miste

Cluster Reddito medio normalizzato (e) Avviamento (e) Grandi

Medie Piccole

60.200.666 7.159.096 427.207

93.093.090 12.618.196 746.973

(21)

Tabella 11 – Il valore delle aziende miste pubblico-private Cluster Patrimonio netto rettificato

(e) 31.12.2009 Avviamento

(e) Valore

complessivo (e) Grandi

Medie Piccole

427.302.243 42.522.284 2.512.817

93.093.090 12.618.196 746.973

520.395.333 55.140.480 3.259.790

Totale 578.795.603

4. Conclusioni e problematiche aperte

L’obiettivo del lavoro era di stimare il valore potenziale di quei gestori che si configurano come aziende in house providing o aziende miste pubblico- private, in ottemperanza alle disposizioni dell’art. 23-bis, d.l. 112/2008, comma 8, modificato dall’art. 15, d.l. 135/2009. Dallo studio è emerso che le società in house avrebbero attivato un mercato delle partecipazioni (percentuale del 40%), complessivamente pari a € 599 milioni; a differenza del valore delle società miste pubblico-private, pari a complessivi € 578 milioni.

Attraverso lo studio si è voluta considerare una tematica particolarmente complessa come quella della valutazione delle aziende del servizio idrico integrato alla luce della disposizione normativa che ha tentato di modifica- re l’assetto del settore. Benché alle parole non si sia dato seguito nei fatti, l’argomento è parso ugualmente interessante in quanto, non solo è stata dimostrata l’esistenza di un “valore” per tal genere di aziende, ma, oltre- modo, si è dato il via a una nuova problematica: capire come l’evoluzione normativa impatterà sullo stesso.

Il d.l. 135/2009 si poneva l’obiettivo di riformare il comparto idrico ripartendo dalla “concorrenza”. (28) L’idea di base era che, incrementando la competizione, sarebbero di conseguenza aumentati la trasparenza, l’indu- strializzazione dei servizi pubblici locali in generale e, di contro, sarebbero diminuite le difficoltà nel finanziare gli investimenti programmati (29)dal sistema bancario e i disavanzi di gestione. (30) Ma i buoni propositi legislativi sono stati ben presto sfatati dai due referendum abrogativi del 12-13 giugno 2011:

28 In realtà l’obbligo di cessione delle quote sarebbe scattato solo per gli enti che si fosse- ro opposti alla liberalizzazione della gara e avessero deciso di proteggere la propria azien- da, riconfermandole la gestione.

29 Il sistema bancario ha stimato investimenti per 64 miliardi di euro in 30 anni, quindi cir- ca 2,2 miliardi l’anno, riguardanti, per più della metà, i sistemi di fognatura e depurazione.

Il Blue Book 2010 ha evidenziato che le Autorità degli ambiti affidati sia in house che miste hanno dovuto apportare forti correzioni alle componenti della tariffa legate agli investimen- ti, per un importo pari a – 50% per gli ammortamenti e – 40% per la remunerazione del ca- pitale, per le prime, e – 13,2% e 19,6% per le miste. Al riguardo si veda Blue Book (2010) I dati sul servizio idrico integrato, Utilitatis pro acqua, energia e ambiente, Anea, Associazio- ne Nazionale Autorità e Enti di Ambito.

30 L’incremento tariffario avrebbe permesso di colmare i costi sostenuti, riducendo di fatto i disavanzi di gestione e l’imposizione generale.

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