L’induismo
Per l’induismo il problema fondamentale consiste nel raggiungimento della felicità; l’indù pero sa che la felicità non è uno stato d’animo che l’uomo potrà raggiungere in questa terra, ma soltanto nell’al di là.
L’indù pensa di poter ottenere questa beata situazione quando riesce a controllare le proprie passioni e raggiungendo il massimo della purificazione. In questo modo potrà vivere per sempre felice direttamente unito alle divinità.
Per ottenere questo, deve compiere il bene, cosa che gli procura un merito.
Se l’uomo continuerà ad agire bene, diventerà sempre più santo si che riuscirà a raggiungere un grado tale di purificazione che gli consentirà di non reincarnarsi più.
Chi si è sempre comportato male ed ha compiuto azioni cattive, dopo morto tornerà a reincarnarsi, prima a persone di caste inferiori e poi in animali sempre più impuri.
Naturalmente quando tornerà a reincarnarsi sia come uomo sia come animale, la persona continuerà a soffrire e non potrà essere felice, infatti proprio questo suo essere attaccato alle passioni lo terrà legato alla terra ed alla caducità dei corpi che di volta in volta reincarna.
Soltanto l’uomo giusto e santo ottiene la liberazione dalla ruota delle reincarnazioni. La bontà deve essere unita ad azioni, gesti e riti buoni: tutta la vita di un indù infatti è scandita da gesti religiosi per ricordare alla persona quanto sia importante l’atteggiamento dell’uomo che riconosce l’autorità delle divinità e la loro influenza.
La trimurti
Gli dei e i semidei dell’induismo sono molto numerosi; inoltre ci sono spiriti e demoni che sono personificazioni della natura. Gli dei vivono sul Monte Meru, che è un monte simbolico situato al centro del mondo; intorno ad esso ruotano le stelle e i pianeti.
Tutte le deità sono guidate da tre dei principali, Brahma il creatore, Visnù il conservatore, e Siva il distruttore e rinnovatore. Essi formano insieme una triade divina detta trimurti, ossia “dalla triplice forma”. Parallelamente esiste una triade di divinità femminili, Sarasvati, la consorte di Brama, è la dea della scienza e dell’arte, Lakshami, la consorte di Visnù, è la dea della prosperità. La sposa di Siva si presenta invece sotto due aspetti contrapposti; a volte come Parvati, che è figlia dell’Himalaya, sorella del fiume Gange, ed è la dea della saggezza; a volte come Kalì, la nera dea della distruzione, che ha otto mani, una lingua penzolante e una collana di teschi ed è la protettrice della città di Calcutta.
Brahma
Il dio brama è la personificazione maschile del brahman, il principio universale dell’assoluto. Egli è il creatore dei mondi, perché per l’induismo di Brahma ce ne saranno più di uno. All’inizio dell’attuale epoca fu Visnù a chiedere a Brahma di creare un nuovo mondo. Brahma vivrà per 3.110.040 anni, e si estinguerà al termine dell’attuale mondo, quando un altro Brahma creerà un nuovo universo su invocazione di un’altra divinità.
Visnù
Visnù è il conservatore del mondo ed è una figura mite e benevola, dispensatrice di grazia infinita. È venerato come difensore del diritto e della verità e come dio della salvezza. Nei periodi di decadenza e oscurantismo, Visnù si incarna in un essere e discende sulla terra al fine di ristabilire l’ordine nel mondo. Ogni discesa viene chiamata avatara. Secondo l’induismo classico gli avatara saranno in tutto dieci. Nelle epoche trascorse Visnù è già disceso otto volte, prendendo tra l’altro la forma di un pesce, di una tartaruga, di un enorme cinghiale, di un uomo leone e infine di Krishna, uno degli eroi più popolari dell’India. Poi, all’inizio dell’epoca attuale, Visnù è disceso per la nona volta e, per liberare il mondo dal dolore ha preso la forma di Buddha. In questo modo, ad opera dei bramini, la predicazione di Buddha è entrata a far parte dell’induismo. Così essi hanno sconfitto definitivamente il Buddismo senza eliminarlo.
Visnù scenderà per il decimo avatara fra 425.000 anni, al termine dell’epoca attuale. Allora Visnù si manifesterà al mondo come il cavaliere dell’apocalisse, e apparirà su un cavallo bianco, impugnando una spada fiammeggiante.
Siva
Siva è il principio distruttore e al tempo stesso rigeneratore del mondo. Egli è il dispensatore sia della morte che della rinascita ed è il gran Signore del tempo.
Nelle sculture inoltre Siva è spesso rappresentato nelle vesti di un danzatore, perché è considerato anche il Signore della danza. Naturalmente si tratta di una danza simbolica, la danza cosmica che rappresenta il continuo rinnovarsi del mondo, in un ritmo infinito di nascite e dissoluzioni.
Per gli induisti, al momento della creazione del mondo, Siva pose il piede destro sul capo del demone primordiale, simbolo dell’ignoranza, e lo uccise. Poi sollevò il piede sinistro per simboleggiare, con questo atto di leggerezza, che solo la conoscenza conduce alla salvezza. Mentre danzava Siva teneva però nella mano destra, levata in alto, un piccolo tamburo a forma di clessidra.
Percuotendo il tamburo il Danzatore cosmico scandiva il ritmo del mondo, e creava, un battito dopo l’altro, l’aria, il fuoco, l’acqua e la terra.
Sembra un’immagine allegra, perché Siva ha fatto risvegliare la vita danzando e battendo un tamburo, ma dalla stessa danza è scaturita anche la scintilla che distruggerà la terra. Per questo Siva tiene nella mano sinistra, levata ancora più in alto, una lingua di fuoco. In conclusione tamburo e fiamma sono i due simboli del gioco creazione – distruzione e le due mani che li stringono rappresentano l’equilibrio tra la vita e la morte.
Le caste
Secondo questa religione il mondo è regolato con leggi ferree della Trimurti.
Ciò significa che ogni essere vivente deve rispettare leggi precise.
Anche gli uomini devono rispettare queste leggi e perciò sono stati suddivisi in caste.
Di queste caste tre sono considerate superiori:
➢ Sacerdoti;
➢ Guerrieri;
➢ Nobili.
Oltre a queste, ricordiamo la grande casta dei sudra, che è la più numerosa, formata da operai, contadini, artigiani e commercianti.
I più poveri e gli abbandonati appartengono ai paria e cioè sono dei fuori casta che significa letteralmente “gli intoccabili”.
I paria sono coloro che vengono letteralmente rifiutati dalla società e che generalmente vivono per strada. Nessuno può contrastare questa rigida suddivisione in casta e perciò non ci si può sposare fra persone appartenenti a caste differenti. Anche se la dominazione inglese prima e la repubblica indiana poi hanno abolito questa suddivisione in caste, così come l’uso del sati (=
morte della sposa bruciata viva nella pira del marito) ancora oggi tra gli indù osservanti queste leggi vengono fatte rispettare.
Gesti religiosi indù
La vita di culto di un indù è caratterizzata da molti riti pubblici e domestici, legati ai ritmi della vita e della natura: la purificazione; la visita quotidiana al tempio; la recitazione mentale di preghiere sotto forma di brevi formule; il pellegrinaggio ai luoghi santi e la partecipazione alle moltissime feste religiose.
Ogni giorno il fedele indù si reca al tempio per la puja, il rito con cui venera l’immagine della divinità e a cui offre in dono fiori, frutta, profumi, talvolta animali, simbolicamente del cibo. Al mattino è compito di alcuni sacerdoti risvegliare la statua della divinità al suono del campanello, lavarla, profumarla, vestirla con stoffe colorate e agitare davanti ad essa incenso e lumini. Alla divinità essi offrono del cibo, di solito orzo, riso, latte e burro fuso. Qualche volta una parte del cibo viene consumata dall’offerente.
La più importante solennità indù e Divali, che dura quattro o cinque giorni (a seconde del calendario che è lunare) tra ottobre e novembre. Il primo giorno di festa è il 13° giorno del periodo di buio del mese di Ashwin. Alla sera l’unica lampada accesa è posta davanti alla casa; è l’offerta a Yama, dio della morte.
Il secondo giorno si celebra si celebra la vittoria di Krishna sul demone Narakaasura. Gli indù si profumano con olio e, dopo il bagno, indossano abiti nuovi o puliti. La sera la casa è illuminata dalle lampade a olio. Il terzo giorno
essa cade nella notte buia. Ogni casa si adorna Laxmi e si lasciano aperte porte e finestre finché possa entrarvi. La casa e i luoghi vicini sono illuminati con lamade ad olio, affinché Laxmi veda la strada. Il quarto giorno è il primo del mese di Kartik; si ricorda il re Bali per la sua generosità: le donne sposate ricevono un gioiello dal marito, in famiglia e tra amici ci si scambia regali. Il quinto giorno è celebrato come “giorno della sorella” in ricordo dei primi fratello e sorella. Tutti gli uomini devono andare a mangiare a casa della sorella; ella lo accoglie profumandolo e, dopo il bagno cerimoniale, facendo ruotare davanti a lui una lampada per scacciare il male. Il fratello, poi, le offre un regalo.
Il fiume Gange
Tutti gli abitanti dell’India pensano che le acque del Gange siano sacre dal punto in cui sgorga la sorgente al punto in cui sfocia nel mare. Per questo motivo su tutto il suo percorso sono disseminati luoghi di culto e città sante;
ove le persone possono compiere essenzialmente i riti della purificazione.
Le acque del Gange vengono anche raccolte dai fedeli e portate o presso le loro abitazioni per essere venerate o all’interno di templi per compiere riti particolari: ad esempio durante i matrimoni quando l’acqua del Gange viene servita col pane, o nell’iniziazione dei giovani bramini. Se l’acqua del Gange, inoltre, viene spruzzata attorno ad una casa, questa continuerà ad essere ferma per moltissimo tempo.
Uno dei più grandi desideri di un indù è quello di poter disperdere le proprie ceneri nelle acque del Gange o di morire addirittura sulle sue rive poiché in questo modo si può giungere immediatamente alla liberazione dalle reincarnazioni ed alla fusione con le divinità.
La tradizione vuole che se un grande peccatore muore a Benares (città santa sul Gange) non segue il destino di qualsiasi altro uomo nelle sue condizioni e perciò non si reincarna in un uomo di casta inferiore o in un animale, ma raggiunge direttamente la sua divinità preferita per vivere eternamente con lui e tutto ciò per grazia di Siva: la stessa credenza vale per tutti gli altri luoghi di culto che si trovano sul fiume. Un tempo l’idea della morte presso il Gange come mezzo per raggiungere la beatitudine aveva portato molte persone alla pratica del suicidio sacro. Chi compiva un atto di questo tipo erano soprattutto giovani molto religiosi i quali non erano sicuri di poter tutta la vita sulle rive del fiume, ma dall’altro canto non volevano abbandonare la prospettiva di realizzare immediatamente la salvezza. Tale privilegio poi era concesso a tutti gli uomini indipendentemente dalla casta a cui essi appartenevano.
Le sponde del Gange brulicano degli asceti detti Shadu. Gli Shadu sono persone che, appartenenti a qualsiasi casta, ricercano la pace nel Brahman ed hanno perciò abbandonato tutto. Essi non appartengono più alla società di cui rifiutano tutti gli agi e vivono soltanto di elemosina per riuscire ad avere quel tanto che basti per sopravvivere fisicamente. Gli Shadu sono pellegrini e quindi si spostano da un luogo di culto all’altro.
Sono molti coloro che in India scelgono ancora di vivere in questo modo, anche perché tutti gli uomini e le donne dovrebbero, dopo aver allevato i figli, ritirarsi per dedicarsi completamente alla ricerca di se stessi e di Dio.
Alcuni di questi Shadu vivono in comunità e sono seguiti da un guru (maestro spirituale), meditano e studiano testi sacri.
Ai guru sono attribuiti poteri eccezionali quali ad esempio la possibilità di guarire alcune malattie.
Nelle acque del Gange, che i fedeli credono abitate da una dea, vengono affidati molti fiori come omaggio alla divinità delle acque.
In genere sono foglie di Pipol piegate in modo da creare una coppa e contenenti fiori e una candelina accesa.
Durante le cerimonie vengono donate alle divinità collane di fiori che vengono prima immerse nelle acque del Gange per essere purificate. Anche durante le cerimonie funebri vengono offerti fiori ai defunti, ornati con ricchissime collane fiorite. Tali ghirlande vengono sciolte e gettate in aria per simboleggiare la liberazione dell’anima. Le acque del Gange ogni giorno servono innanzitutto ad accogliere il bagno rituale di milioni di persone soprattutto prima che il sole spunti.
Beato chi muore durante una di queste immersioni, poiché Siva stesso dona a questo fortunato la formula rituale che lo rende capace di liberarsi dalla catena delle reincarnazioni.
Ecco cosa si deve fare per compiere il bagno purificatore in modo corretto e perciò efficace:
➢ Meditare prima di fare il bagno;
➢ Bagnarsi completamente;
➢ Lavare ogni parte del corpo;
➢ Pregare a mani giunte prima di emergere;
➢ Adorare il sole nascente.
È possibile compiere una corretta abluzione soltanto sulla riva sinistra del Gange perché la destra è considerata infausta, anche se molti indù pensano che sia addirittura purificante guardare le sponde del fiume per essere immediatamente purificati.
Morte, rinascita, trasmigrazione: Il mistero della vita
Secondo le scritture indù Tutte le religioni nate nell'India credono fermamente nella reincarnazione o meglio nell'eterno rinnovarsi della vita e nel rinnovarsi della morte.
Si può dire che l'indù non discute, non rifiuta, non afferma questo concetto: lo pone come dato di fatto. È un'esperienza interiore che gli asceti sperimentano attraverso dure ascesi e particolari discipline.
Nelle scritture il concetto di rinascita è implicito nel grande valore che si attribuisce all’immortalità dell’anima e alla ricerca della liberazione. La morte non è altro che un mero passaggio nel viaggio della vita per realizzarne lo scopo ultimo, la liberazione (moksha), quindi essa non ha molta rilevanza, è un
processo di cambiamento di stato ed organizzazione di energie, ma i contenuti della mente rimangono. Ecco perché si pone grande enfasi sulla conoscenza del Sé in quanto la morte e la nascita non sono altro che il prodotto dell’ignoranza e solo la Conoscenza suprema può riportare allo stato della Realtà.
La conoscenza del Sé è il fondamento, l’unico scopo della vita.
Non vi è scampo al ciclo di nascita e morte finché non si realizza la conoscenza che la Coscienza è immutata in ogni essere ed in ogni luogo.
E, attraverso i cicli dell’esistenza, attraverso diverse forme di vita, l’uomo ha la possibilità di realizzare tale Conoscenza, ha la possibilità di liberarsi.
L’uomo, quindi, si interroga sulla sua natura, la sua origine, il motivo dell’esistenza, il piacere, il dolore e la morte.
I filosofi indiani non si sono accontentati di accettare il volere di Dio, hanno voluto indagare “scientificamente” i processi relativi all’uomo e cercato una ragione non solo alle differenze che si impongono all’umanità, ma anche agli animali e alle piante.
Chi ci ha creato e perché? E chi ci ha creato, perché ci lascia morire? La morte è una punizione? Come è possibile che bambini innocenti, che non possono aver fatto nulla di male, possano morire talvolta in modo crudele? Perché alcuni uomini sono ricchi ed altri poveri, alcuni intelligenti, altri stupidi? Perché ci sono queste disparità? Chi le infligge? Molte domande rimangono irrisolte. Se la risposta è “la volontà di Dio”, di che sorta è questo Dio? Un tiranno, un irragionevole, un irresponsabile?
Dio, nel pensiero indiano, è presente in ogni essere come Atman, come essere puro, e questo concetto non lascia spazio nemmeno all’idea di un destino cieco e crudele che costringe ingiustamente a soffrire. Quindi l’indù ha capito che queste differenze devono aver origine dalle sue stesse azioni.
L’interrogativo più forte rimane sempre riguardo al mistero della morte e della vita.