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INTERBARTOLO GANDOLFO MARIA N. IL 03/11/1954

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SENTENZA

sul ricorso proposto da:

INTERBARTOLO GANDOLFO MARIA N. IL 03/11/1954

avverso l'ordinanza n. 829/2016 TRIB. LIBERTA' di PALERMO, del 24/06/2016

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ADET TONI NOVIK;

1~/sentite le conclusioni del PG Dott.

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Penale Sent. Sez. 1 Num. 3272 Anno 2017 Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA Relatore: NOVIK ADET TONI

Data Udienza: 19/12/2016

Corte di Cassazione - copia non ufficiale

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RILEVATO IN FATTO

1. Gandolfo Maria Interbartolo, tramite il difensore, ricorre per cassazione avverso l'ordinanza in data 26 maggio 2016 del Tribunale di Palermo che, in sede di riesame, ha confermato l'ordinanza del G.I.P. presso il medesimo Tribunale che aveva applicato la misura della custodia cautelare in carcere in ordine al reato di cui alle seguenti imputazioni:

I. capo 1 - artt. 99, 416 bis, commi 1, 2, 3, 4 e 5 cod. pen., 71 Decreto legislativo n. 159 del 2011 per aver, unitamente ad altri, fatto parte dell'associazione mafiosa Cosa Nostra, promuovendone, organizzandone e dirigendone le relative illecite attività avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere numerosi delitti contro il patrimonio e l'ordine economico al fine di realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé e per gli altri, per intervenire sulle istituzioni e sulla pubblica amministrazione. In particolare, "per aver diretto la famiglia mafiosa di Cerda dirigendo e coordinando un "gruppo d'azione" composto da sodali anche di altre famiglie, dedicandosi alla commissione di estorsioni, atti intimidatori, furti e danneggiamenti; occupandosi, per conto del sodalizio ed in virtù della sua professione di geometra, dei rapporti con l'amministrazione comunale, intrattenendo riservati clandestini rapporti con diversi sodali del suo mandamento e di altri, tra cui quello di San Mauro Castelverde e di Bagheria, svolgendo esternamente funzioni direttive, secondo le indicazioni di Contino Stefano". Con la recidiva reiterata ed infraquinquennale.

2- capo 34 -artt. 110, 56, 629, secondo comma, in relazione all'art. 628, primo e terzo comma n. 1 e 3 cod. pen., 7 legge n. 203 del 1991 per aver, quale appartenente a cosa nostra, in concorso con Contino Stefano, mediante il danneggiamento di cui al capo precedente [non riportato] tentato di costringere Giovanni e Francesco Micciché a consegnare somme di denaro a titolo di" messa a posto", non riuscendo nell'intento per cause indipendenti dalla loro volontà;

reato commesso il 7 maggio 2012 con l'utilizzo del metodo mafioso e al fine di agevolare l'attività dell'associazione.

Il tribunale, richiamando l'ordinanza impugnata per una più esaustiva ricostruzione della vicenda, indicava gli elementi ritenuti maggiormente significativi da cui desumere i gravi indizi di colpevolezza per il reato contestato, in prevalenza ricavati dalle conversazioni intercettate tra il novembre 2011 e l'estate 2013, rispettivamente data di inizio e fine delle captazioni, e sui riscontri effettuati dagli investigatori con attività di osservazione, pedinamento, controllo;

riteneva quindi la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari a carico di Interbartolo.

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2. Per quanto riguarda la contestazione associativa, il tribunale evidenziava l'importanza delle intercettazioni ambientali eseguite all'interno del deposito di materiale edilizio gestito da Diego Rinella, capo mandamento di Trabia, luogo di ritrovo di mafiosi dei mandamenti vicini, tra cui Interbartolo, che vi si recavano solo per dialogare con Rinella di tematiche concernenti l'associazione. Nel corso di questi incontri si notava che Rinella per parlare si appartava al centro del piazzale, lontano da manufatti e mezzi, per l'evidente timore di essere monitorato.

2.1. Altri incontri importanti avvenivano in luoghi isolati o presso l'ospedale di Termini Imerese, i cui locali erano messi a disposizione da un dipendente del nosocomio.

2.2. Altrettanto importanti erano altre intercettazioni effettuate all'interno dei veicoli di Antonino Vallelunga e Michele Modica; all'interno dello studio tecnico di Interbartolo, geometra, e delle sua autovetture, siccome dimostrative dell'operatività della famiglia e dei rapporti criminali in essere; nei confronti di Palmisano Salvatore. Si evidenziava come molti capi mandamento, al fine di non esporsi nominavano altri soggetti, tra cui Interbartolo, con il compito di mantenere i rapporti con gli associati e gestire "l'ordinaria amministrazione".

2.3. Relativamente, in particolare, alla figura di Interbartolo, il tribunale riteneva circostanze significative a livello indiziario la partecipazione agli incontri riservati con gli altri associati e con Contino Stefano, capo della famiglia di Cerda; l'attivismo nella gestione delle attività estorsive (risultante dalle intercettazioni); i propositi vendicativi con utilizzo di armi e di ordigni manifestati al proprio figlio ed al legale per risolvere proprie questioni; gli incontri clandestini nelle campagne con gli altri associati dissimulati dietro il paravento dell'attività professionale; l'intervento svolto per consentire dietro compenso la restituzione al proprietario di un mezzo rubato (c.d. cavallo di ritorno); i numerosi imprenditori agganciati verosimilmente per la richiesta di pizzo; i numerosi contatti con soggetti di elevata caratura mafiosa. Richiamava sul punto numerosi arresti di legittimità.

3. Per il capo 34, il tribunale rilevava che dalle intercettazioni in atti era emerso che Interbartolo e Contino, supponendo che i fratelli Micciché per

"mettersi a posto" anziché a loro si fossero rivolti alla famiglia Rizzo, avevano dato incarico ad altri affiliati, non identificati, di bruciare i mezzi parcheggiati all'interno della loro azienda agricola, al fine di indurli al pagamento del pizzo in favore dell'organizzazione mafiosa di Cerda, avente "competenza territoriale" sul luogo di esercizio dell'attività.

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4. Per quanto riguardava le esigenze cautelari, il tribunale rilevava la sussistenza della presunzione di pericolosità, non superata da ulteriori acquisizioni o allegazioni difensive. Oltre a ciò, il tribunale evidenziava indici concreti ed attuali di pericolosità del ricorrente, in considerazione della gravità delle condotte, siccome poste in essere in epoca recente; del coinvolgimento in attività estorsive; dell'adesione ai disvalori dell'associazione; della possibilità di intimidazione delle parti offese, nonché la possibilità di sottrarsi ai provvedimenti giudiziari che lo riguardavano grazie alla nota disponibilità di risorse umane e materiali di cui l'associazione di riferimento godeva.

5. Il ricorrente articola un motivo preliminare e tredici motivi di ricorso, compendiati in 90 pagine, cui ha fatto seguire quattro motivi aggiunti per ulteriori 23 pagine. Essi vengono qui sinteticamente riassunti come prescritto dall'art. 173 disp. att. nell'ordine di esposizione.

5.1. Il motivo preliminare denuncia violazione del diritto di difesa (artt. 97 e 111 Costituzione) e dell'obbligo di motivazione (art. 292, commi 2 lettera c) e cbis) e 2ter cod. proc. pen.) con conseguente nullità dell'interrogatorio e inefficacia della misura cautelare. In particolare, con i relativi richiami cronologici, il difensore sostiene che avendo ricevuto telematicamente solo il 1 giugno 2016 alle 11:03 l'avviso di deposito dei documenti a corredo della richiesta di custodia cautelare in carcere era stato di fatto impossibilitato al loro esame prima dell'interrogatorio svoltosi il 3 successivo per il quale non era stata accolta dal Gip la richiesta di differimento. Precisa che gli atti erano consultabili solo a mezzo del sistema TIAP (Trattamento Informatico Atti Processuali) in una sala avvocati appositamente attrezzata con 8 postazioni, con orario di apertura- chiusura 9-12, e che il giorno 2 era festivo. Il tribunale del riesame non aveva dato risposta all'eccezione ritualmente proposta.

5.2. Violazione dell'obbligo di motivazione (art. 292, commi 2 lettera c) e cbis) e 2ter cod. proc. pen.); illegittimo uso del TIAP. Ritiene che il mero deposito di atti da parte dell'ufficio di procura al Gip e al riesame tramite questo applicativo telematico, nato ad uso interno, non possedeva valenza ufficiale ed era illegittimo, non essendo, diversamente che nel processo civile, garantito il controllo sulla autenticità degli atti e sulla loro immodificabilità. Nessun documento era stato dalla procura depositato al Gip o al tribunale del riesame nel termine di cui all'art. 309 cod. proc. pen., da ciò derivando l'inefficacia della misura. Anche su questa eccezione il tribunale del riesame non aveva dato risposta.

5.3. Con il secondo motivo, deduce violazione dell'art. 292 cod. proc. pen.

per motivazione apparente, con conseguente nullità dell'ordinanza cautelare. La

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motivazione del Gip era frutto di un mero copia-incolla della richiesta del pubblico ministero, con modifiche solo formali, come si evidenziava da un esame di specifici atti indicati. Il tribunale aveva omesso di citare la censura, incorrendo nel medesimo vizio. Osserva che la motivazione del tribunale del riesame non può integrare una motivazione mancante.

5.4. Violazione dell'art. 292, secondo comma, cod. proc. pen. La difesa aveva prodotto una memoria, con allegata documentazione, con cui aveva giustificato i rapporti con i altri soggetti citati nel provvedimento e l'assenza di azioni estorsive (episodi Pizzillo e Cruciano). Il tribunale non aveva esaminato questi specifici elementi a discarico indicati.

5.5. Violazione di legge in relazione all'art. 273, primo comma, cod. proc.

pen. Riprodotto il capo di imputazione, la difesa rileva come il contenuto della motivazione non fosse in correlazione con la specifica condotta contestata.

Nessun accenno vi era ai rapporti con l'amministrazione comunale né a quelli con i sodali di altri mandamenti. L'ordinanza cautelare trattava episodi asseritamente estorsivi diversi da quelli contestati. A fronte della specifica doglianza della difesa il tribunale nulla aveva argomentato, incorrendo in violazione di legge. In ogni caso, a fronte della specifica contestazione mossa dal pubblico ministero - rapporti con l'amministrazione comunale e con sodali di altri mandamenti-, la misura era stata emessa per fatti diversi.

5.6. Contraddittorietà della motivazione e violazione di legge. La difesa con la memoria difensiva aveva evidenziato la contraddittorietà dell'ordinanza cautelare, laddove da un lato aveva rigettato la richiesta del pubblico ministero di applicazione della misura per i capi di imputazione relativi a reati di estorsione, atti intimidatori, furti e danneggiamenti per l'insussistenza di un sufficiente quadro indiziario, dall'altro aveva ricavato la condotta partecipativa del ricorrente da episodi estorsivi o illeciti non contestati. La motivazione era anche sotto questo profilo illogica, laddove ricavava la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il delitto associativo sulla base di episodi illeciti non contestati, escludendola per quelli contestati. Il tribunale non aveva dato risposta a queste doglianze.

5.7. Violazione di legge in relazione agli artt. 416 bis cod. pen. e 273 cod.

proc. pen., nonché l'illogicità e la contraddittorietà della motivazione. La difesa contesta le argomentazioni del tribunale sul punto della contestazione associativa:

I- Con richiamo alla memoria difensiva depositata ed alla documentazione allegata, il ricorrente -pagine da 31 a 39- contesta il significato attribuito alle conversazioni intercettate, richiamate dal tribunale (501 del 27/7/2012; 745 del 8/5/2012, 2191 del 30/8/2012), escludendo che avessero ad oggetto l'attività

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estorsiva e che da esse potesse ricavarsi il ritenuto, ma non dimostrato, attivismo di Interbartolo nella gestione delle attività estorsive. Il tribunale era incorso "in una carenza grafica di motivazione, essendosi limitato ad indicare, senza spiegarne la valenza, l'asserito attivismo nel settore delle estorsioni e i contatti con altri soggetti". La mancanza assoluta di motivazione determinava altresì violazione di legge;

II- in relazione a quella parte dell'ordinanza del riesame in cui si richiamano propositi vendicativi con utilizzo di armi, la difesa, riportando brani della memoria difensiva, contesta che sia stato ricavato un quadro indiziario mafioso da quello che era un mero sfogo verbale "bellicoso" per una questione civilistica.

Peraltro, osserva, che lo stesso Gip aveva escluso che Interbartolo avesse la disponibilità di armi;

III- "suggestiva" e "travisante" era l'affermazione che per occultare i contatti illeciti con i sodali, Interbartolo era solito portare con sé documentazione relativa a terreni e progetti: la difesa, depositando le pratiche, aveva dimostrato come si trattasse di rapporti lavorativi leciti;

IV- quanto all'episodio del cd. "cavallo di ritorno", il ricorrente riporta il passo della memoria ad esso relativo che ritiene idoneo a dimostrare l'intraneità di Interbartolo a cosa nostra. Si trattava di un mero commento ad una vicenda cui Interbartolo era rimasto estraneo;

V- in merito agli episodi da cui il tribunale del riesame ha ritenuto riguardassero imprenditori ai quali verosimilmente il ricorrente ha chiesto il pizzo, si riporta il passo della memoria difensiva -da pagina 51 a pagina 58- in cui si era eccepito la genericità e non significatività delle conversazioni. Innanzi al tribunale si era evidenziata la contraddittorietà della motivazione, nei termini riportati sub 5.6.: il giudicante nulla aveva precisato al riguardo, oppure aveva adottato formule di stile. Correlato il vizio di violazione di legge in relazione all'apprezzamento della valenza probatoria degli indizi;

VI- relativamente agli incontri e ai contatti con esponenti del sodalizio mafioso, il ricorrente riporta il passo della memoria difensiva in cui tali argomenti erano stati trattati indicandosi le ragioni di lavoro che li avevano determinati. Il tribunale non aveva assolto l'obbligo di motivazione non potendo questa consistere nella mera elencazione degli elementi di fatto, ignorando gli elementi rassegnati dalla difesa. Si esclude che la mera frequentazione di soggetti affiliati ad un sodalizio criminoso, in assenza di ulteriori elementi di riscontro, sia sintomatico dell'appartenenza ad un sodalizio mafioso.

5.8. e 5.9. Omessa pronuncia sul capo 34; contraddittorietà della motivazione; mancata correlazione tra i capi 33 e 34. L'accusa era collegata al danneggiamento contestato nel precedente capo 33 per il quale il Gip non aveva

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emesso misura cautelare ritenendo estranei Interbartolo e Contino. Era quindi illogica la motivazione che riteneva il ricorrente responsabile della tentata estorsione. Negli atti di causa non vi era nessun elemento che facesse riferimento a pressioni o intimidazioni ascrivibili a Interbartolo. La motivazione era inoltre contraddittoria: escluso il coinvolgimento di Interbartolo nel danneggiamento degli automezzi, era anche escluso che potesse aver ordinato ad altri affiliati questo reato. Lo stesso pubblico ministero, pur avendo proposto appello avverso l'ordinanza cautelare del Gip, non aveva impugnato il rigetto della misura per il capo 33.

5.10. Violazione di legge in relazione agli artt. 416 bis cod. pen. e 273 cod.

proc. pen., nonché l'illogicità e la contraddittorietà della motivazione in relazione al capo 34. Riportando il contenuto della memoria depositata e brani delle conversazioni intercettate, il ricorrente contesta che da esse si possa desumere la responsabilità per il reato associativo e per la tentata estorsione. Da un lato i discorsi richiamavano incendi compiuti da terzi, dall'altro costituivano una mera millanteria circa nuovi attentati da compiere.

5.11. Mancanza ed illogicità della motivazione in ordine all'aggravante di cui all'art. 7 Decreto-Legge n. 152 del 1991, senza individuazione degli elementi da cui trarre l'esistenza della "camorra". Si sostiene l'insufficienza del mero collegamento con ambienti della criminalità organizzata, occorrendo l'effettivo utilizzo del metodo mafioso.

5.12. Erronea applicazione dell'art. 56 cod. pen., mancanza ed illogicità della motivazione. Per quanto riguarda la tentata estorsione non vi erano mai stati contatti con la parte offesa, né erano state posti in essere atti idonei. Le mere intenzioni non si erano tradotte in atti concreti.

5.13. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione ai sufficienti indizi di reato per i reati contestati. Con richiamo alla memoria depositata, la difesa contesta la mancanza di motivazione dimostrativa di una effettiva partecipazione di Interbartolo a cosa nostra. Apoditticamente si era affermata l'importanza del suo ruolo senza dimostrare l'esercizio di un ruolo dirigenziale ed il suo riconoscimento da parte dell'associazione. Richiama la sentenza di questa sezione n. 3140 del 2015 ed altri precedenti giurisprudenziali che affermano che la mera elencazione descrittiva degli elementi di fatto non soddisfaceva l'obbligo di motivazione di una misura cautelare in assenza di una valutazione critica ed argomentata delle fonti indiziarie.

3.14. Vizio di motivazione sulle esigenze cautelari. La condotta addebitata si era esaurita nel marzo 2013. La difesa aveva evidenziato il decorso del tempo, il brevissimo arco temporale di riferimento, l'assenza di ruoli concretamente direttivi, l'assenza di precedenti penali dello stesso tipo. Ed era obbligo del

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tribunale indicare le ragioni per cui vi era il pericolo di reiterazione dei reati.

Comunque per il reato di cui al capo 34 vi era una presunzione relativa ed era necessario affrontare il profilo dell'adeguatezza della misura applicata. La motivazione nulla diceva in merito al pericolo di fuga ed al rischio di inquinamento probatorio.

6. Con il primo dei motivi aggiunti si deduce violazione della legge processuale e vizio di motivazione dell'ordinanza di custodia cautelare. Il ricorrente contesta il richiamo operato dal tribunale del riesame all'ordinanza cautelare, a sua volta ripetitiva della richiesta del pubblico ministero. Senza spiegare le ragioni per cui Interbartolo era partecipe della consorteria mafiosa, nell'ordinanza impugnata si era fatto rinvio alla lettura delle intercettazioni da cui si dovrebbe ricavare, in modo automatico, ciò che invece si doveva spiegare.

L'illogicità della motivazione si desumeva dal contrasto tra la contestazione che vedeva il ricorrente dirigente della famiglia mafiosa di Cerda ed il contenuto dell'ordinanza in cui il ruolo di capo era attribuito a Contino. Si richiamano i principi di diritto espressi dalla giurisprudenza e dalla dottrina sull'obbligo di motivazione e sui criteri di validità di quella per relazione.

6.1. Il secondo motivo, sulla base di cospicuo richiamo di giurisprudenza, deduce erronea applicazione della legge penale ed illogicità della motivazione in relazione agli artt. 273 cod. proc. pen. e 416 bis, primo, secondo, terzo comma, cod. pen., 27 Cost. Riprendendo e sviluppando quanto esposto nel ricorso principale, il ricorrente contesta gli elementi addotti per ritenere Interbartolo partecipe dell'associazione mafiosa con ruolo direttivo. Sostiene che vi è stata sovrapposizione tra le figure di Contino e di Interbartolo e ribadisce la mancanza di una formale investitura richiamando gli approdi della sentenza di questa sezione n. 3137 del 2015. Nessun collaboratore aveva reso dichiarazioni accusatorie nei confronti di Interbartolo, né allo stesso erano stati riconosciuti ruoli in tal senso.

6.2. Il terzo motivo aggiunto eccepisce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al reato contestato al capo 34 in termini sovrapponibili al ricorso principale.

6.3. Il quarto motivo è relativo alla sussistenza delle esigenze cautelari. Era stato applicato il meccanismo presuntivo di pericolosità con motivazione censurabile che non aveva tenuto conto che la difesa aveva fornito elementi per giungere a conclusioni opposte: Interbartolo non si era avvalso della facoltà di non rispondere nel corso dell'interrogatorio di garanzia e aveva fornito spiegazioni utili a dimostrare la propria estraneità ai fatti per cui si procedeva.

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Detti elementi, conclude, erano significativi per escludere la partecipazione all'associazione mafiosa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi di ricorso imperniati sull'illegittimità dell'uso del TIAP sono infondati. Non rileva in proposito l'omessa risposta del tribunale al motivo di censura formulato dalla parte ricorrente, in quanto il vizio di motivazione non è denunziabile con riferimento a questioni di diritto, poichè queste se sono fondate e disattese dal giudice di merito (motivatamente o meno) danno luogo al diverso motivo di censura costituito dalla violazione di legge (lett. b) dell'art. 606, primo comma) mentre se sono infondate il loro mancato esame non determina alcun vizio di legittimità della pronunzia. Ulteriore conseguenza di tale assetto è che questa Corte, nell'esaminare la denunzia di violazione (o falsa applicazione) delle norme coinvolte nella operazione interpretativa è tenuta a rielaborare globalmente il tema dedotto.

Ciò posto, si rileva che, diversamente da quanto opinato dal ricorrente, l'applicativo TIAP è un programma ministeriale, ufficialmente in uso agli uffici giudiziari. Il TIAP è stato adottato dal Tribunale di Palermo d'intesa con la Procura della Repubblica, l'Ordine degli avvocati di Palermo e la Camera penale di Palermo e consente l'accesso agli atti del fascicolo del Pm da postazioni messe a disposizione in appositi locali attrezzati. La comunicazione di atti con mezzi telematici trova la sua fonte legislativa nell'art. 64, comma 3 e 4, disp. att. cod.

proc. pen. ed ha trovato piena attuazione a livello ministeriale. La diffusione del sistema è operata in via esclusiva dalla Direzione Generale per i Sistemi Informativi Automatizzati per il tramite dei propri tecnici e nell'ambito delle ordinarie attività di assistenza ed è assistito da livelli di sicurezza interna ed esterna assolutamente adeguati. Il comunicato 8/7/2016 del Ministero della Giustizia contiene la risposta a tutte le critiche mosse nel ricorso "L'architettura del sistema Tiap prevede la cifratura di tutti i documenti ed una procedura di archiviazione che non consente alcun collegamento tra il documento (criptato) ed i soggetti o il procedimento cui esso si riferisce. è anche prevista la cifratura di tutti i c.d. "metadati" (dati relativi ai procedimenti). Tra l'altro, l'accesso al fascicolo e le singole operazioni effettuate (consultazione, ricerca, modifica) vengono registrate, permettendo così l'esatta tracciabilità di chiunque abbia operato sui sistemi. Il sistema prevede diversificati livelli di autorizzazione ad operare, in ragione delle specifiche funzioni che i soggetti interessati devono svolgere. Non risponde pertanto al vero ogni riferimento giornalistico ad una asserita accessibilità al sistema, sottratta alle politiche di sicurezza adottate (così

come opportunamente sottolineato nell'odierno comunicato stampa della Procura ,4 /

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di Roma). Inoltre non è consentito in alcun modo l'accesso al TIAP dall'esterno della rete giustizia.". L'utilizzo di mezzi telematici per le comunicazioni di atti risponde all'esigenza di rapidità che connota la procedura di riesame in funzione dell'interesse de libertate della persona sottoposta a misura coercitiva.

È da escludersi quindi ogni vizio dell'interrogatorio in quanto questo, è viziato da nullità quando non sia stato preceduto dal deposito nella cancelleria del giudice, a norma del comma terzo dell'art. 293 stesso codice, dell'ordinanza applicativa, della richiesta del P.M. e degli atti con essa presentati. Le argomentazioni svolte a pag. 4 dal ricorrente per supportare l'impossibilità di accedere alla consultazione degli atti sono meramente ipotetiche e non danno conto che si sia effettivamente verificato quanto dal difensore esposto.

Comunque, dal punto di vista pratico, eventuali difficoltà che possono insorgere alle parti nella consultazione degli atti dovranno essere evitate o superate mediante le più opportune misure organizzative, affidate ai responsabili degli uffici, per consentire l'apertura della sala a ciò destinata anche nei giorni festivi o per orari più ampi.

Va infine osservato che nessuna difficoltà evidentemente ha avuto il ricorrente nella consultazione degli atti attesa la completezza della memoria difensiva presentata innanzi al tribunale del riesame, composta da 48 pagine in cui sono affrontati tutti i temi di rilievo per la posizione dell'imputato.

2. Anche il secondo motivo con cui si deduce la violazione dell'art. 292 cod.

proc. pen. è infondato.

Lo stesso ricorrente nel sesto motivo riconosce che il Gip aveva rigettato la richiesta di misura cautelare per numerosi altri capi di imputazione. Ciò dimostra che l'ordinanza ha effettuato una valutazione critica degli elementi probatori elencati nel provvedimento selezionando gli elementi di accusa, così compiendo la "autonoma valutazione" richiesta dalla norma.

Deve comunque ribadirsi che la previsione dell'"autonoma valutazione"

delle esigenze cautelari e dei gravi indizi di colpevolezza, introdotta all'art. 292, comma primo, lett. c), cod. proc. pen. dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, impone al giudice l'obbligo del vaglio critico delle risultanze investigative tramite un'attività ricostruttiva ed esplicativa, che, tuttavia, non significa divieto della motivazione per relationem o di riproduzione di atti probatori o anche di parti della richiesta del pubblico ministero, essendo stata piuttosto esplicitata la necessità che dall'ordinanza emerga la dimostrazione che il giudice, nel riportarsi al contenuto di un atto del procedimento ovvero nel riprodurlo nel corpo della motivazione, abbia effettivamente valutato la vicenda (Sez. 1, sentenza n.

8323/2015, Rv. 265951).

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Come è stato osservato "La riforma dell'art. 292 c.p.p., però, non ha obbligato il G.i.p. a procedere ad un totale rifacimento o una riscrittura originale del compendio probatorio. Non è stato introdotto un onere di autonomia stilistica, quasi che si trattasse di un'attività letteraria, né sono richiesti sterili formalismi o l'inutile ripetizione degli stessi concetti con altre parole. La motivazione per relationem e quella "per incorporazione", inoltre, possono tuttora rappresentare uno strumento che il G.i.p. può adottare.". La nullità pertanto ricorre nei soli casi in cui l'ordinanza consista in una mera adesione acritica alle scelte dell'accusa, ed è esclusa quando dal contesto del provvedimento emergano indicatori concreti dell'avvenuta ponderazione dei presupposti previsti dalla legge per l'applicazione di una misura cautelare.

3. L'ordinanza deve essere annullata in accoglimento dei motivi con cui si lamenta la omessa risposta alle deduzioni difensive.

La memoria depositata al tribunale, ampi stralci della quale sono riportati nel ricorso, sviluppava diffuse censure in tema di correlazione del capo di imputazione con la condotta contestata, criticando l'interpretazione fornita dal Gip alle conversazioni captate, ritenute dalla difesa generiche o insignificative.

La memoria sottolineava inoltre la liceità dei rapporti con i "complici" e le

"vittime"; che la ricostruzione di intenti estorsivi per episodi non oggetto di contestazione era formulata in termini di "verosimiglianza"; la reale natura del rapporto con Pizzillo; lo scopo professionale dell'incontro con Rinella; la contraddizione insita nell'emissione della misura cautelare per l'estorsione tentata di cui al capo 34, a fronte del rigetto della misura per il danneggiamento ad essa funzionale; la mancanza di prova sull'adesione di Interbartolo a cosa nostra.

Su questi punti, centrali nell'ottica dell'ordinanza cautelare, diffusamente trattati dalla difesa dell' imputato, il tribunale del riesame non ha sviluppato alcuna argomentazione, del tutto ignorando le questioni sottoposte ed omettendo una qualsivoglia replica motivazionale alle doglianze ed alle osservazioni del ricorrente, nonostante l'indubbio rilievo delle dedotte circostanze in fatto e le connessioni logiche da esse desumibili, puntualmente rilevate dalla difesa.

Non ignora certo la Corte che, secondo proprio costante insegnamento, "in sede di legittimità non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame quando la stessa è disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata, di guisa che, pertanto, per la validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi

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difensiva disattesa, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio, che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa, sicché, ove il provvedimento indichi con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, "sì da consentire l'individuazione dell'iter logico- giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del denunciato vizio di preterizione" (Cass., Sez. 2, 19/05/2004, n. 29434), ma l'esposto arresto giurisprudenziale non appare aderire all'ipotesi in esame ove la mancanza non è riferita alla singola argomentazione difensiva nell'ambito del singolo motivo di censura, ma su punti decisivi della causa sottoposti al giudice del riesame mediante la formulazione di specifiche deduzioni.

Avuto riguardo quindi alle contestazioni difensive, occorreva almeno che il tribunale indicasse le ragioni per cui le disattendeva. Il tribunale invece si è limitato ad una mera sintesi del provvedimento impugnato, riportandone le parti ritenute significative, senza spiegare le ragioni per cui gli elementi enucleati erano significativi nell'ottica della contestazione.

In sostanza, rinviando all'ordinanza cautelare ed omettendo il confronto con le deduzioni difensive ha sbrigativamente, quanto assertivamente, dimostrato provato quanto invece doveva costituire oggetto di prova.

Già la sentenza del 21 giugno 2000, Primavera, affrontando il tema della motivazione -nella specie di un decreto- ebbe ad affermare che "ciò che rileva è che dalla motivazione fornita, succinta o compendiosa come si addice in genere a ogni provvedimento del giudice, [...] si possa dedurre l'iter cognitivo e valutativo seguito dal giudice e se ne possano conoscere i risultati che siano conformi alle prescrizioni della legge".

A sua volta, Sezioni Unite Gatto (sent. 26 novembre 2003, n. 919/2004) precisò che "La motivazione ha la funzione di dimostrare la corrispondenza tra la fattispecie concreta e la fattispecie astratta, che legittima il provvedimento, e di indicare i dati materiali e le ragioni che hanno fatto ritenere esistente la fattispecie concreta, «funzione che, a seconda dei casi, può richiedere uno svolgimento diffuso o poche parole»".

Nel caso in esame, l'ordinanza è del tutto carente e deve essere annullata.

Gli altri motivi di ricorso sono assorbiti.

P.Q. M.

Corte di Cassazione - copia non ufficiale

(13)

Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Palermo competente ex art. 309 c.p.p.

N CE) Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell'istituto penitenziario, ai sensi dell'art. 94, co. 1-ter, disp.

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Corte di Cassazione - copia non ufficiale

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