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PAERP Piano delle Attività Estrattive, di Recupero delle aree escavate e Riutilizzo dei residui recuperabili della Provincia di Pisa II stralcio:

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(1)

P R O V I N C I A D I P I S A S

ERVIZIO

D

IFESA DEL

S

UOLO

U.O. Georisorse

PAERP

Piano delle Attività Estrattive, di Recupero delle aree escavate e Riutilizzo dei residui recuperabili della Provincia di Pisa II stralcio: Comuni di Bientina, Calcinaia, Capannoli, Casciana Terme, Castelfranco di Sotto, Chianni, Crespina, Fauglia, Lajatico, Lari, Lorenzana, Montopoli, Palaia, Orciano Pisano, Peccioli, Ponsacco, Pontedera, San Miniato,

Santa Croce sull’Arno, Santa Maria a Monte, Terricciola

DOCUMENTO DI VALUTAZIONE AMBIENTALE STRATEGICA

Rapporto ambientale

Ai sensi dell’art. 24 L.R. 10 del 12 febbraio 2010

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Indice

1. PREMESSA ... 3

2.1. Illustrazione dei contenuti del piano ... 5

2.2. Illustrazione degli obiettivi del Piano e rapporto con altri pertinenti piani o programmi... 5

2.3. Stato attuale dell'ambiente... 7

2.3.1.Morfologia ... 7

2.3.2.Geologia ... 8

2.3.3.Caratteristiche vegetazionali generali dell’area... 9

2.4. Evoluzione dell'ambiente in assenza del Piano... 10

2.4.1.Ipotesi legalista... 10

2.4.2.Ipotesi realista ... 11

2.5. Caratteristiche ambientali delle aree pianificate per l’attività estrattiva ... 11

2.2.1.Principali associazioni floristiche ... 13

2.6. Problemi relativi ad aree di rilevanza ambientale ... 16

2.6.1. I problemi del “recupero ambientale” - La colonizzazione naturale delle cave dismesse ... 16

2.7. Obiettivi di protezione ambientale pertinenti al piano... 17

3. ANALISI DEI POTENZIALI IMPATTI... 18

3.1. Il ciclo dell’utilizzo della risorsa lapidea... 18

3.2. Gli impatti dell’attività di estrazione di inerti... 18

3.3. Misure di riduzione degli eventuali effetti negativi sull’ambiente ... 22

3.2.1. Sottrazione di copertura vegetale... 22

3.2.2. Sottrazione di suolo... 23

3.2.3. Modifica del paesaggio ... 23

3.2.4. Emissione di polveri... 24

3.2.5. Emissione di CO2... 24

3.2.6. Emissione di rumore ... 24

3.2.7. Prelievi idrici ... 24

3.2.8. Scarichi in corpi idrici superficiali ... 25

3.2.9. Aumento del traffico pesante ... 25

3.7. Motivazione della scelta delle alternative individuate... 25

4. INTERAZIONI CON ALTRI STRUMENTI DI PIANIFICAZIONE... 27

4.1. Interazione con i Piani di Assetto Idrogeologico... 27

4.2. Piani di bacino riguardanti la risorsa idrica ... 27

4.3. PTC... 27

4.4. Piano della viabilità extra-urbana ... 28

4.5. Pianificazione urbanistica comunale... 28

4.6. Piano provinciale per la gestione dei rifiuti e per la bonifica dei siti inquinati ... 28

4.7. I PAERP delle Province limitrofe ... 29

6.IL MONITORAGGIO... 32

7.SINTESI NON TECNICA ... 33

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Valutazione Intermedia 3 1. PREMESSA

La L.r. 10/2010 all’art. 24 così definisce il rapporto ambientale:

1. “Il rapporto ambientale è redatto dal proponente e contiene le informazioni di cui all’Allegato 2 alla presente legge. Esso, in particolare:

a. individua, descrive e valuta gli impatti significativi sull’ambiente, sul patrimonio culturale e sulla salute derivanti dall’attuazione del piano o del programma;

b. individua, descrive e valuta le ragionevoli alternative, alla luce degli obiettivi e dell’ambito territoriale del piano o del programma, tenendo conto di quanto emerso dalla consultazione di cui all’articolo 23;

c. concorre alla definizione degli obiettivi e delle strategie del piano o del programma;

d. indica i criteri di compatibilità ambientale, gli indicatori ambientali di riferimento e le modalità per il monitoraggio.

2. Il rapporto ambientale tiene conto del livello delle conoscenze e dei metodi di valutazione attuali, nonché dei contenuti e del livello di dettaglio del piano o del programma; a tal fine possono essere utilizzati i dati e le informazioni del sistema informativo regionale ambientale della Toscana (SIRA).

3. Per la redazione del rapporto ambientale sono utilizzate, ai fini di cui all’articolo 8, le informazioni pertinenti agli impatti ambientali disponibili nell’ambito di piani o programmi sovraordinati, nonché di altri livelli decisionali.

4. Per facilitare l'informazione e la partecipazione del pubblico, il rapporto ambientale è accompagnato da una sintesi non tecnica che illustra con linguaggio non specialistico i contenuti del piano o programma e del rapporto ambientale.”

L’allegato 2 della citata legge così elenca i contenuti che il rapporto ambientale deve avere:

a) illustrazione dei contenuti, degli obiettivi principali del piano o programma e del rapporto con altri pertinenti piani o programmi;

b) aspetti pertinenti dello stato attuale dell’ambiente e sua evoluzione probabile senza l’attuazione del piano o del programma;

c) caratteristiche ambientali, culturali e paesaggistiche delle aree che potrebbero essere significativamente interessate;

d) qualsiasi problema ambientale esistente, pertinente al piano o programma, ivi compresi in particolare quelli relativi ad aree di particolare rilevanza ambientale, culturale e paesaggistica, quali le zone designate come zone di protezione speciale per la conservazione degli uccelli selvatici e quelli classificati come siti di importanza comunitaria per la protezione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatica, nonché i territori con produzioni agricole di particolare qualità e tipicità, di cui all’articolo 21 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228;

e) obiettivi di protezione ambientale stabiliti a livello internazionale, comunitario o degli Stati membri, pertinenti al piano o al programma, e il modo in cui, durante la sua preparazione, si è tenuto conto di detti obiettivi ed di ogni considerazione ambientale;

f) possibili impatti significativi sull’ambiente, compresi aspetti quali la biodiversità, la popolazione, la salute umana, la flora e la fauna, il suolo, l’acqua, l’aria, i fattori climatici, i beni materiali, il patrimonio culturale, anche architettonico e archeologico, il paesaggio e l’interrelazione tra i suddetti fattori; devono essere considerati tutti gli impatti significativi, compresi quelli secondari, cumulativi, sinergici, a breve, medio e lungo termine, permanenti e temporanei, positivi e negativi;

g) misure previste per impedire, ridurre e compensare nel modo più completo possibile gli eventuali impatti negativi significativi sull’ambiente dell’attuazione del piano o del programma;

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h) sintesi delle ragioni della scelta delle alternative individuate e una descrizione di come è stata effettuata la valutazione, nonché le eventuali difficoltà incontrate (ad esempio carenze tecniche o difficoltà derivanti dalla novità dei problemi e delle tecniche per risolverli) nella raccolta delle informazioni richieste;

i) descrizione delle misure previste in merito al monitoraggio e controllo degli impatti ambientali significativi derivanti dall’attuazione del piani o del programma proposto definendo, in particolare, le modalità di raccolta dei dati e di elaborazione degli indicatori necessari alla valutazione degli impatti, la periodicità della produzione di un rapporto illustrante i risultati della valutazione degli impatti e le misure correttive da adottare;

j) sintesi non tecnica delle informazioni di cui alle lettere precedenti.

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Valutazione Intermedia 5

2. IL RAPPORTO AMBIENTALE

2.1. Illustrazione dei contenuti del piano

Il Piano contiene essenzialmente le prescrizioni localizzative delle aree nelle quali i Comuni potranno autorizzare attività estrattive ai sensi della L.R. 78/1998 previo recepimento di esse nel regolamento urbanistico, e le norme alle quali il Comune ed i soggetti interessati all’attività estrattiva dovranno attenersi nello svolgerla.

Le prescrizioni localizzative derivano dai giacimenti individuati dalla pianificazione di indirizzo regionale e sono state modificate e integrate dalla Provincia al fine di conseguire l’obiettivo di bilancio tra il fabbisogno di materiale inerte di cava e la sua disponibilità stimata da siti inseriti nel Piano. Il Piano contiene quindi anche tutta la illustrazione della metodologia seguita per aggiornare il fabbisogno calcolato dallla Regione nel 2002 nonché la metodologia seguita per individuare nuovi giacimenti e da lì nuove prescrizioni localizzative. Queste metodologie sono state informate dagli obiettivi che il Piano ha per norme vigenti, e che la Provincia, con l’avvio del procedimento ha voluto aggiungere.

2.2. Illustrazione degli obiettivi del Piano e rapporto con altri pertinenti piani o programmi Gli obiettivi di protezione ambientale che occorre tener presenti nel PAERP devono confrontarsi con evidenze e caratteri emergenti, ben documentati nell’ampia letteratura disponibile:

 la ricchezza e la varietà delle risorse naturalistiche e l’assoluta singolarità di quelle paesistiche della collina tipica toscana, anche riferibili alla collocazione nodale di un’area di particolare tensione tra l’ambiente mediterraneo e l’ambiente continentale;

 un intreccio particolarmente stringente tra i problemi e le prospettive delle attività economiche come quella estrattive e la tutela paesistica ed ambientale;

 una forte esposizione alle pressioni derivanti dal contesto economico-territoriale, diffusamente urbanizzata e ricca di infrastrutture che necessita dell’approvvigionamento dei materiali estratti;

 la tutela dei valori naturalistici, paesaggistici, ambientali; il restauro dell’ambiente naturale e storico;

il recupero degli assetti alterati in funzione del loro uso sociale;

 la realizzazione di un rapporto equilibrato tra attività economiche ed ecosistema, problematica che si incrocia peraltro con quelli del declino economico e sociale e dei processi d’abbandono di alcune aree collinari - montane interne.

La finalità del miglioramento delle condizioni di vita, mette in particolare evidenza la necessità basilare di individuare forme specifiche di sviluppo sostenibile delle attività che caratterizzano il profilo socioeconomico del contesto locale, coniugandole con le azioni volte alla conservazione attiva di un ineguagliabile compendio di risorse naturali-culturali.

Questa necessità, che rappresenta ormai la sfida centrale delle politiche ambientali a livello europeo, si confronta nel caso di alcune aree provinciali sottoposte ad un lento declino economico (Val di Cecina) con una situazione problematica del tutto specifica, anche se non infrequente in altre zone italiane e toscane.

Un primo aspetto, che le indagini in corso hanno messo progressivamente a fuoco, concerne la rilevanza dei fenomeni d’abbandono nel determinare od aggravare i processi di degrado e la destabilizzazione degli equilibri ambientali. Molti problemi ambientali discendono dal decadimento delle attività produttive agricole e agro-pastorali tradizionali, dall’abbandono dei versanti acclivi, dall’abbandono di alcune aree coltivabili oggi sempre più marginali, del degrado di parte del patrimonio forestale a causa di una gestione improntata allo sfruttamento della risorsa legno, dei castagneti e dei pascoli e dal declino delle

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secolari pratiche manutentive del suolo, ed infrastrutturale (problematica rilevante in Val di Cecina ma anche nel Monte Pisano).

È con queste domande che debbono confrontarsi gli obbiettivi specifici di gestione da perseguire col Piano.

Partendo da e tenendo conto dell’orientamento a livello internazionale dall’Unione Mondiale per la Natura (peraltro non vincolante per l’Europa, ma rappresentante una utile base per orientarsi in materia ambientale), tali obbiettivi possono essere così sinteticamente definiti:

 preservazione della biodiversità e del patrimonio genetico, tutela o ricostituzione della continuità delle matrici ambientali, formazione di una rete ecologica di connessione;

 stabilizzazione idrogeologica, difesa del suolo, prevenzione di dissesti e calamità;

 tutela delle risorse idriche, prevenzione dell’inquinamento, razionalizzazione della gestione delle acque;

 riqualificazione del patrimonio forestale, tutela della vegetazione caratterizzante;

 manutenzione paesistica (caso tipico il paesaggio agricolo toscano), preservazione della diversità paesistica e dei caratteri culturali tradizionali, salvaguardia dei valori panoramici e della leggibilità del paesaggio;

 protezione di biotopi, habitat ed aree sensibili di specifico interesse geomorfologico, naturalistico, paleontologico, speleologico, archeologico, storico e culturale;

 razionalizzazione e reintegrazione paesistica-ambientale delle attività estrattive, recupero ambientale e paesistico dei siti estrattivi, eliminazione delle attività improprie (per esempio manufatti inutilizzati a servizio dell’attività estrattiva) e degli elementi di degrado;

 restauro degli ambienti storici e naturali degradati, recupero e riuso di quelli irreversibilmente alterati o abbandonati;

In quest’ottica ripercorriamo sinteticamente nella seguente tabella gli obiettivi del PAERP, già ampiamente discussi nel Documento di Avvio del Procedimento, associandovi le attività con cui interagiscono.

Obiettivi

derivano

da: interagiscono con:

Autosufficienza dei territori; PRAER trasporti - viabilità

Priorità nell’uso di materiale derivante da riciclo; PRAER

edilizia; risparmio energetico;

risparmio di risorsa litica Restituzione di vecchie cave dismesse senza ripristino al paesaggio; PRAER paesaggio

Minimizzazione dei costi sociali ed in particolare di impatto paesaggistico, interferenza sulla risorsa idrica, depauperamento delle biocenosi,

congestione ed usura della viabilità, emissioni in atmosfera; PRAER

paesaggio; trasporti-viabilità; tutela della risorsa idrica; tutela delle biocenosi e della biodiversità Incentivazione delle migliori pratiche estrattive, PRAER risparmio energetico; paesaggio Particolare cura nel programmare i ripristini delle aree interessati da

estrazione PRAER

paesaggio; trasporti-viabilità; tutela della risorsa idrica; tutela delle biocenosi e della biodiversità Salvaguardia delle risorse idriche e mitigazione delle criticità quali-

quantitive della risorsa idrica in Val di Cecina, indotta anche

dall'escavazione d'inerti nell' ambito della pianura alluvionale, PTC

tutela della risorsa idrica; tutela del trasporto solido dei corsi d'acqua

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Valutazione Intermedia 7

Definizione di criteri progettuali di dettaglio sulle modalità di escavazione e di risistemazione paesaggistica ed ambientale, strettamente correlati alle

caratteristiche dei luoghi in cui insistono le attività estrattive. PTC

paesaggio; trasporti-viabilità; tutela della risorsa idrica; tutela delle biocenosi e della biodiversità Previsione di riuso naturalistico e didattico delle aree di cava dismesse e

recuperate, poste in prossimità di Aree Protette o di S.I.R. o di G.I.R. o

soggetti ad allagamenti e situati lungo rotte migratorie o corridoi ecologici. PTC

paesaggio; trasporti-viabilità; tutela della risorsa idrica; tutela delle biocenosi e della biodiversità Definizione di criteri che favoriscano un’integrazione con il Piano di

smaltimento dei rifiuti, per l'utilizzo come inerti dei materiali di risulta

delle attività di scavo e delle attività edilizie. PTC smaltimento dei rifiuti Pianificazione del riutilizzo delle terre di scavo.

Specifico

PAERP smaltimento dei rifiuti

Individuazione di siti da utilizzare per cave di prestito.

Specifico PAERP

paesaggio; trasporti-viabilità; tutela della risorsa idrica; tutela delle biocenosi e della biodiversità Priorità del recupero di cave dismesse senza ripristino per il

soddisfacimento della domanda di materiale inerte, su nuovi siti.

Specifico

PAERP paesaggio

Da questa schematica disamina ricaviamo ed elenchiamo per chiarezza le attività con le quali gli obiettivi del PAERP interagiscono:

1. sfruttamento della risorsa litica 2. paesaggio

3. trasporti-viabilità 4. edilizia

5. risparmio energetico 6. tutela della risorsa idrica

7. tutela delle biocenosi e della biodiversità 8. smaltimento dei rifiuti

9. tutela del trasporto solido dei corsi d'acqua

In sintesi possiamo strutturare il rapporto ambientale come segue. Dopo una disamina delle caratteristiche geologiche, geomorfologiche e vegetazionali generali di tutta l’area interessata, finalizzata a giustificare le scelte dei giacimenti, si passa ad approfondire queste caratteristiche nelle aree di giacimento.

In relazione alle caratteristiche ambientali generali dell’area di piano e specifiche delle aree di giacimenti ed alle potenzialità di sviluppo della attività estrattiva dai giacimenti individuati si passa a valutare le interazioni con le attività di cui alla lista precedente ed ai documenti di pianificazione eventualmente collegati.

2.3. Stato attuale dell'ambiente 2.3.1.Morfologia

Il territorio della provincia di Pisa interessato da questo secondo stralcio del PAERP si sviluppa in gran prevalenza nel bacino idrografico del fiume Arno e soprattutto nei sottobacini degli affluenti di sinistra Elsa, Egola, Chiecina, Era, Isola, Crespina, Tora ed altri minori. In questo stralcio è compreso, in destra d’Arno, anche gran parte del bacino scolante nella bonifica della piana di Bientina.

In sinistra d’Arno i corsi d’acqua principali scorrono in prevalenza da sudest a nordovest. Nei tratti più montani scorrono incassati. Allo sbocco in piane alluvionali formano spesso dei blandi ventagli alluvionali.

Le alluvioni delle piane di maggiori dimensioni, ad esempio la Val d’Era, sono spesso, per granparte

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terrazzate rispetto al corso attuale del fiume che scorre incassato in esse con corso pseudomeandriforme nelle alluvioni attuali.

Eccezion fatta per l’asta dell’Arno, gli altri corsi d’acqua sono a carattere torrentizio e scorrono per gran parte in piane alluvionali relativamente poco estese. La composizione granulometrica di queste alluvioni varia non solo in funzione dell’energia di rilievo, che diminuisce da monte a valle, ma anche della litologia delle rocce e terreni del bacino d’alimentazione. Anche la granulometria di terreni e rocce del bacino diminuisce grossomodo da monte a valle, così che i depositi alluvionali sono prevalentemente ghiaiosi nelle porzioni più alte del bacino (Val di Sterza, valle del Ragone, alta Val d’Era) e più limoso sabbiosi nelle parti più basse e nelle piane dei corsi d’acqua minori che nascono direttamente in colline sabbioso-argillose.

L’orografia di questo settore vede i rilievi più alti a sud, lungo lo spartiacque con i bacini del Cecina e del Fine. Si tratta comunque di rilievi di forme mai fortemente acclivi e con quote che al massimo raggiungono i 670 m del Monte Vitalba, lugo lo spartiacque tra Val di Sterza (bacino dell’Era) e Val di Fine.

Mancano vere e proprie catene montuose. Si individuano piuttosto degli allineamenti strutturali nei rilievi.

Il più occidentale è rappresentato dai rilievi di Santa Luce – Castellina. Altro allineamento strutturale ben evidente è costituito dai rilievi di Montaione – San Gimignano che fungono da spartiacque tra bacino dell’Era e bacino dell’Elsa, nonché da confine con la provincia di Firenze.

In destra d’Arno, in questo settore si estende il vasto rilievo collinare terrrazzato delle Cerbaie che, da un versante relativamente acclive sul Valdarno, scende con debolissima inclinazione verso nord nordovest tra le piane di Bientina e del Padule di Fucecchio – Val di Nievole.

Il territorio collinare assume forme diverse soprattutto in relazione al substrato litologico. Le colline del settore meridionale (alto bacino dell’Era), che si sviluppano in prevalenza su formazioni argilloso sabbiose del Miocene Superiore – Pliocene – Pleistocene hanno forme poco acclivi, mentre i settori più a monte, soprattuttto in prossimità dei citati massicci montani si sviluppano su rocce di composizione prevalentemente calcareo – argillitica, con frequenti affioramenti di rocce verdi (gabbri, serpentiniti e basalti) e mostrano di conseguenza forme più acclivi.

2.3.2.Geologia

La struttura geologica di questo settore della Provincia di Pisa è fortemente caratterizzata dalla alternanza di dorsali morfologiche nelle quali affiorano alti strutturali dell’edificio a falde appenninico e bassi strutturali riempiti da depositi di età compresa tra il Miocene Superiore ed il Pleistocene Inferiore. Le dorsali principali seguono gli allineamenti descritti nel paragrafo precedente.

Tra queste dorsali si aprono le principali depressioni strutturali rappresentate dalla Val di Tora-Fine, la Valdera e, solo per una modesta porzione nel territorio provinciale, la Val d’Elsa. L’asse di queste depressioni, allungato come le dorsali in direzione nordovest – sudest, immerge debolmente verso nordovest. Procedendo quindi verso sudest in queste depressioni, affiorano depositi progressivamente più antichi, dai depositi alluvionali terrazzati del Pleistocene Superiore nelle propaggini più basse delle Colline Pisane, alle argille, gessi e salgemma del Messiniano (Miocene Superiore) nell’alta Val d’Era.

Le formazioni geologiche che formano l’edificio appenninico affiorano nelle dorsali e sono intensamente deformate in pieghe e falde di sovrascorrimento. La parte più profonda che affiora in piccoli lembi nella dorsale Montaione – San Gimignano, nel Comune di Montaione vicino al confine con il Comune di Volterra Cecina è costituita da scisti del Carbonifero e da quarziti e scisti del Triassico; al sopra di questi, sempre nell’alta Val d’Era, sia orientale, nel Comune di Volterra, sia occidentale, nella dorsale di Santa Luce - Castellina affiorano formazioni calcaree del Giurassico – Cretaceo Inferiore ed Eocene. Il resto delle formazioni appenniniche è costituito in prevalenza da calcari arenacei torbiditici e da alternanze di calcari ed argilliti, che nei termini più alti presentano le successione di formazioni ofiolitiche del

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Valutazione Intermedia 9 Giurassico Superiore. Su estese porzioni delle due dorsali affiorano infatti serpentiniti, gabbbri e, in misura minore, basalti.

Le formazioni geologiche più ricercate per inerti di pregio sono quelle calcaree fini, che in questa parte del territorio provinciale abbondano solo nel territorio di Casciana Terme. Altre aree ricche di formazioni litoidi sono i Comuni di Chianni e Lajatico nei quali affiorano estese formazioni di conglomerati del Miocene Superiore.

Nel resto del territorio di questo stralcio le uniche formazioni di interesse estrattivo sono le sabbie plioceniche e pleistoceniche, diffusamente affioranti in gran parte del territorio collinare.

2.3.3.Caratteristiche vegetazionali generali dell’area

Questa introduzione ha lo scopo di presentare in modo sintetico e divulgativo, le caratteristiche vegetazionale dell’area che è stata oggetto del censimento cave della Provincia di Pisa. Quanto esposto, troverà riferimento puntuale nella descrizione vegetazionale di ogni singola cava che è riportata nella scheda del sito.

Il paesaggio vegetazionale dell’area del 2° stralcio del PAERP non è molto differenziato, ricadendo univocamente in un contesto temperato-caldo di tipo mediterraneo, con locali caratterizzazioni in funzione della morfologia, dell’esposizione, della pedologia e della disponibilità idrica.

Tra le varie fitocenosi identificate nel territorio della provincia di Pisa, quelle di interesse nell’area di indagine sono le seguenti:

 Querceto misto a Quercus cerris prevalente: aspetto di transizione tra le leccete e le associazioni di altitudine, con specie predominante il cerro, cui si accompagna il carpino;

 Querceto misto a Quercus pubescens: boschi decidui di tipo submmediterraneo, con specie arborea dominante la roverella;

 Boschi di sclerofille sempreverdi: comunità di tipo mediterraneo diffusa in aree caratterizzate da carenza d’acqua, con specie dominante il leccio e sottobosco ricco;

 Formazioni riferibili genericamente alla macchia mediterranea che si caratterizza come un’associazione floristica complessa in cui la vegetazione si stratifica su tre livelli: un livello superiore formato dalle chiome di piante a portamento arboreo, uno intermedio formato dalla vegetazione di piante a portamento arbustivo o cespuglioso e uno basale formato dalla vegetazione erbacea e dai frutici. Questa stratificazione si ottimizza negli equilibri naturali permettendo il massimo grado di sfruttamento della luce incidente sui tre livelli. In relazione alla composizione floristica e allo sviluppo in altezza della vegetazione, si distinguono due tipi di macchia:

o Macchia alta. La vegetazione dello strato superiore è prevalentemente composta da specie a portamento arboreo, con chiome che raggiungono i 4 metri d'altezza. In questa macchia sono rappresentative le specie arboree del genere Quercus sezione suber (leccio e sughera), quelle del genere Phyllirea (ilatro e ilatro sottile), il corbezzolo, alcune specie del genere Juniperus (in particolare Ginepro rosso), il lentisco e altre di minore diffusione. Questa macchia si estende nelle migliori condizioni pedoclimatiche, evolvendo verso il climax del leccio o foresta mediterranea sempreverde.

o Macchia bassa. La vegetazione dello strato superiore è prevalentemente composta da specie a portamento arbustivo, con chiome che raggiungono al massimo i 2-3 metri d'altezza. In questa macchia sono rappresentative specie arbustive come il lentisco, l'erica, il corbezzolo, il mirto, l'euforbia arborea, le ginestre e altre cespugliose quali i cisti e il rosmarino. Questa

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macchia si estende in condizioni pedoclimatiche più difficili e involve naturalmente verso il climax delle specie termoxerofile nelle aree più aride.

 Formazioni della gariga: associazione fitoclimatica caratteristica e molto diffusa nell'ambiente mediterraneo, nella maggior parte dei casi la gariga è una formazione floristica secondaria e rappresenti uno stadio involutivo derivato dalla degradazione delle macchie in seguito ai seguenti fattori:

o aridità

o rocciosità del suolo o erosione del suolo;

o pascolo con carichi eccessivi;

o incendi;

o disboscamento.

La gariga rappresenta uno stadio involutivo delle associazioni fitoclimatiche e la sua presenza diffusa può essere un indice della desertificazione in ambiente mediterraneo.

 Formazioni riparali a Populus e Salix.

Nelle pagine seguenti si riportano tre schede di rilevamento vegetazionale che sintetizzano la tassonomia delle specie rinvenibili nei siti ispezionati.

2.4. Evoluzione dell'ambiente in assenza del Piano

Esaminare che evoluzione avrebbe l’ambiente di quest’area se il Piano non fosse fatto è più un esercizio di stile che un serio contributo alla valutazione ambientale, poiché la cosiddetta opzione zero, cioè la scelta di non fare il piano, non è optabile per legge. Il Piano va fatto e basta.

Cogliamo comunque l’occasione di questa prescrizione della L.R. 10/2010 – allegato 2, per spiegare ancora una volta perché la legge che impone di fare un piano cave è una legge buona e giusta.

Occorre a questo punto dividere lo scenario futuro in due ipotesi:

 ipotesi legalista: avverrà solo ciò che è perfettamente lecito

 ipotesi realista: avverrà tutto quello che può ragionevolmente avvenire.

Esaminiamo queste due ipotesi partendo da questa prospettiva comune. Il PAERP non viene fatto, quindi resta vigente il vecchio PRAE, e la disponibilità di materiale inerte per i prossimi 10 anni è quella residua di questi siti, cioè, nel caso ottimistico che tutta la risorsa potenzialmente estraibile venga effettivamente estratta è di 7.153.241 m3. Ciò significa che, stante un fabbisogno annuo di circa 1,3 Mm3, in capo a cinque anni e mezzo non sarà più materiale vergine di cava in questo territorio.

I singoli siti nei quali il piano prevede l’attività estrattiva, resterebbero aree naturali generalmente di scarso pregio ambientale e basso valore poiché, a meno di previsioni urbanistiche future e di investimenti non presentano nel loro insieme caratteristiche utili a generare un elevato reddito. Vi sarebbe certamente un minore impatto paesaggistico, comunque generalmente limitato ad aree di limitata visibilità.

2.4.1.Ipotesi legalista

Esaurite le cave del II stralcio a metà 2016, il mercato si rivolge alle cave più vicine, quindi alle cave del I stralcio ed a quelle delle Provincie di Livorno, Firenze e Lucca. Le immediate e certe conseguenze sono da un lato l’aumento del prezzo del materiale vergine di cava in quest’area, dall’altro l’aumento del traffico di mezzi di trasporto pesante sulle principali arterie di collegamento tra le aree di approvvigiovamento e la Valdera – Valdarno Inferiore, in particolare la SGC FI-PI-LI, la SR 439 Sarzanese – Valdera e la SR 68

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Valutazione Intermedia 11 Volterrana. L’aumento del traffico pesante soprattutto su queste due ultime causerebbe disagi al traffico locale, particolarmente intenso soprattutto sulla 68 nei periodi di maggior afflusso turistico, avendo così ripercussioni negative sulle attività di un’area molto più vasta.

Inoltre il più lungo percorso che i mezzi di trasporto dovrebbero fare si tradurrebbe in maggiori costi e maggiori emissioni di CO2, che possono essere così stimati. Assumendo che il maggior percorso che i mezzi dovrebbero fare sia mediamente di 60 km (che è ad esempio la distanza tra Borgo a Mozzano e Capannoli) e stimando una portata a mezzo di circa 24 m3, poiché il volume che dovrebbe essere trasportato da queste aree sarebbe di circa 6 Mm3, considerando un consumo medio di un mezzo a pieno carico di 2 l/km di gasolio, un prezzo del gasolio di 1,4 €/l ed un valore di emissioni di 2.650 g di CO2 per l di gasolio, nell’opzione “0” otteniamo, a partire dal 2016 un incremento di emissioni di CO2 di circa 20.000 t. Il materiale trasportato avrebbe inoltre un costo maggiore, soltanto in termini di maggiori costi di carburante di circa 1,75 €/m3. Stimando in altrettanto i costi di ammortamento ed esercizio del mezzo, e considerando un costo medio del materiale di circa 12 €/m3 l’aumento che ne deriverebbe può essere valutato in circa il 30%.

2.4.2.Ipotesi realista

Il sensibile aumento del materiale vergine da cava, comporterebbe la tendenza da parte degli operatori del settore a reperire materiale il più vicino possibile al sito di trasformazione o di utilizzo finale. In questo modo sarebbero sempre più frequenti le cosiddette “bonifiche agrarie” effettuate senza una reale necessità agronomica, ma solo per reperire materiale inerte e come esse tutte le attività di movimento terra dalle quali asportare materiale in modo più o meno lecito. È pur vero che le norme sulle terre e rocce da scavo pongono limiti stretti a queste pratiche, ma è altrettanto vero che il controllo che la pubblica amministrazione deve porre in atto per far rispettare la legge in queste circostanze è molto impegnativo e rischia quindi di essere inefficace.

Occorre quindi mettere in conto, in caso di opzione “0” un aumento delle estrazioni di materiale inerte abusive e quindi incontrollate, e quindi fortemente impattanti sul territorio.

2.5. Caratteristiche ambientali delle aree pianificate per l’attività estrattiva

L’individuazione dei fattori strutturanti non può evitare di far riferimento a concetti e metodologie consolidate, in particolare quelli adottati per la redazione dalla Carta della Natura (delib. 2/12/96 Comitato aree protette del Ministero dell’ambiente) e più precisamente quello di “ambito territoriale omogeneo”.

In armonia con tali concetti, i fattori strutturanti dell’assetto ecologico sono stati individuati in base alla litologia dei substrati pedogenetici ed alle fasce climatiche vegetazionali (Ferrarini, 1972) come nella griglia di seguito illustrata. La griglia individua situazioni assai differenziate e pur tuttavia ulteriormente diversificabili al proprio interno; ed è in relazione a questa più spinta diversificazione che si può tentare una prima attribuzione del valore complessivo di biodiversità, naturalità e rarità. L’approccio metodologico consiste nel riconoscimento dei fattori caratterizzanti dell’ambiente vegetazionale, col ricorso al concetto di

“unità ambientale”.

Rinviando agli studi di settore per ogni approfondimento, basti qui ricordare che con tale concetto, seguendo le impostazioni metodologiche di Forman e Godron, 1986 e Zonneveld, 1989, si intende un’area relativamente omogenea sotto il profilo macro-litologico e bioclimatico (fascia di vegetazione), caratterizzata da più unità (patch) di vegetazione interagenti, dall’azione antropica o dalla morfologia.

Nell’area in esame, possono essere riconosciute – in linea generale - i seguenti “tipi di unità ambientali”, raggruppabili nei seguenti gruppi, come nella lista seguente:

(12)

a. Aree di crinale e di alto versante ad elevata naturalità:

b. Crinali e versanti acclivi con litosuoli con copertura vegetale con formazioni prevalentemente erbacee ed arbustive. Presentano valori elevati di biodiversità ed un buon contingente di specie tipiche, oltre ad ospitare zoocenosi di notevole importanza;

c. Falde detritiche con vegetazione erbacea discontinua colonizzate da vegetazione discontinua con specie vegetali e faunistiche di notevole interesse scientifico; di valore medio alto;

d. Aree extrasilvatiche di degradazione forestale, aree con pascolo intenso e di abbandono agro- silvopastorale

e. Medi e bassi versanti, non o poco acclivi, con copertura continua erbacea, che in seguito a pascolo intenso (ovini e caprini) e incendi hanno sostituito la vegetazione originaria (praterie primarie o, più spesso, foreste di valore medio-basso;

f. Medi e bassi versanti, su suoli con arbusteti di degradazione forestale per incendi o di ricostituzione su ex coltivi e pascoli, cenosi vegetali secondarie, la cui presenza è prevalentemente legata a degradazione della vegetazione originaria causata da ripetuti incendi;

g. Aree con boschi spontanei del piano basale a composizione mista e variabile

h. Medi e bassi versanti, posti prevalentemente nei versanti marittimi, spesso su substrato carbonatico, con boschi misti termofili di caducifoglie; si tratta di boschi anche di alto fusto misti di caducifoglie con netta prevalenza di roverella e orniello.

i. Versanti marittimi e fondovalli del primo entroterra, rivestiti da boschi e macchie di sclerofille sempreverdi e macchia mediterranea, è diffusa per lo più nella parte più bassa delle colline costiere, in particolare su calcare.

j. Aree boscate a castagneto e forme di degradazione/sostituzione a Pinus Pinaster

k. Medi e bassi versanti, su substrato acido siliceo, con castagneti da frutto o cedui in aree spesso completamente terrazzate, rappresentano una tipologia forestale diffusa in molte aree collinari;

occupano prevalentemente i terreni derivati da rocce silicee, ma in alcuni casi anche in quelli calcarei fortemente dilavati. Si presentano come cedui coetanei, selve da frutto (cultivar da farina) molto spesso abbandonate.

l. Bassi versanti e rilievi modesti della parte marittima della catena, con boschi semi-naturali di conifere (pinete a Pinus pinaster), presente sui terreni delle colline costiere. Spesso il pino marittimo si è diffuso negli ultimi decenni nei terrazzamenti coltivati e poi abbandonati (Monte Pisano, colline della bassa Val di Cecina, ecc.);

m. Aree boscate artificialmente per impianto o neoformazione

n. Versanti collinari con boschi artificiali di conifere, diffusa in alcune aree interne appartenenti soprattutto all’orizzonte submontano, in seguito ad interventi di rimboschimento con finalità prevalentemente idrogeologica, condotti nel corso di questo secolo. Le specie principali sono, il pino silvestre, cipresso, ecc;

o. Margini pedecollinari, impluvi ed aree prossime a vie di penetrazione e a centri abitati, anche sparsi, colonizzati da boschi di robinia, la diffusione della robinia è molto marcata anche lungo le fasce pedemontane;

p. Aree con risorse idriche e boschi igrofili

q. Ripe fluviali e margini di torrenti con boschi ed arbusteti igrofili di estensione significativa solo ai margini dell’area in esame e lungo alcuni affluenti del Fiume Cecina, Serchio, Arno;

(13)

Valutazione Intermedia 13 Spe cie Arbore e

Fam. Ace race ae

Acer opalus Willd. (Loppo)

Fam. Corilacae

Ostrya carpinìfolia Scop. (Carpino nero) Fam. Cupre ssace ae

Cupressus sem perv irens L. (Cipresso com une) Fam Fagacae

Quercus cerris L. (Cerro)

Quercus ilex L. (Leccio)

Quercus pubescens Willd. (Rov erella)

Quercus robur L. (Farnia)

Quercus semprev irens L. (Quercia) Fam. Le guminosae

Robinia pseudoacacia L. (Acacia) Fam. Pinacae

Pinus pinaster Aiton (Pino m arittim o)

Pinus pinea L. (Pino da pinoli)

Fam. Salicace ae

Populus alba L. (Pioppo bianco)

Populus nigra L. (Pioppo nero)

Salix alba L. (Salice bianco)

Sahx cinerea L. (Salice cenerino)

S alix purpurea L. (Salice rosso) r. Aree coltivate

s. Aree di contorno ai nuclei abitati stabili, su superfici spianate di modellamento fluviale, con prati, seminativi ed ex coltivi (“casale”), progressiva riduzione della superficie utilizzata, con ricolonizzazione delle aree incolte;

t. Bassi versanti terrazzati e coltivati ad olivo, su sponde esposte a solatìo diffusa soprattutto nelle colline del versante marittimo, di rilevante valore paesaggistico;

u. Aree collinari coltivate a vite, nelle aree collinari più vocate, unità presente con estensioni significative in aree limitate del territorio considerato; inoltre parcelle modestissime di vigneto si riscontrano frequentemente anche nelle aree di contorno ai nuclei abitati;

v. Altre aree coltivate (prevalentemente a cereali quali il grano duro e il grano tenero, oppure colture oleaginose quali il girasole) della fascia collinare e dei fondovalle (prevalentemente in Val di Cecina);

La varietà dei tipi ora indicate, e la loro articolata mosaicatura osservabile sulle carte offrono una prova eloquente dell’estrema varietà del paesaggio della provincia pisana. Le unità caratterizzate dalla copertura boschiva costituiscono una ampia porzione della superficie complessiva dell’area in esame, ma non va certo dimenticato quella parte costituita da unità “antropizzate” che includono le aree interessate dalle attività umane, in primis l’attività agricola. Ma, nell’insieme, l’area provinciale presenta buoni esempi di quei territori a “naturalità diffusa” che rappresentano una delle maggiori ricchezze del nostro paese. Ai fini della gestione del territorio, tuttavia, è necessario distinguere accuratamente i valori e le criticità con cui bisogna fare i conti. Ciò ha comportato da un lato, l’attribuzione di un giudizio sintetico di valore naturalistico (basato sui valori riferibili alla biodiversità, alla naturalità ed alla rarità) a ciascun tipo di unità ambientale, dall’altro, l’individuazione di specifici fattori di qualificazione e di criticità, espressamente cartografabili.

A tale secondo riguardo nelle schede dei siti sono state evidenziate le emergenze floristiche (con particolare riferimento alle “specie guida”

inserite nella Direttiva Habitat e negli elenchi integrativi e diversi, nonché alle specie di particolare significato fitogeografico). Sono state altresì evidenziate le aree di maggior criticità, per esposizione alle pressioni antropiche ed ai fattori di degrado.

2.2.1.Principali associazioni floristiche

Al fine di orientarsi nella consultazione delle schede floristiche dei siti di giacimento è stata redatta una sintetica guida alle principali associazioni floristiche rilevate.

La seguente tabella elenca le principali specie arboree rilevate nei siti esaminati suddivise per famiglie.

Specie arboree tipiche della macchia mediterranea

(14)

Gli alberi devono far fronte a lunghi periodi di aridità del terreno, per questo sono di solito sempreverdi oppure arbusti e piante aromatiche.

Leccio Quercus ilex

Quercia da sughero Quercus suber

Carrubo

Ceratonia siliqua

Le seguenti tabelle elencano le principali specie arbustive rilevate nei siti esaminati suddivise per famiglie.

Specie arbustive tipiche della macchia mediterranea

Fanno parte della macchia mediterranea diverse specie accomunate da alcune caratteristiche (crescita bassa, fusti resistenti, foglie rigide e coriacee) che le rendono capaci di tollerare i venti salmastri che soffiano dal mare.

Erica arborea Erica arborea

Euforbia arborea Euphorbia dendroides

Lentisco

Pistacia lentiscus

Cisto villoso Cistus incanus

Cisto marino Cistus

monspeliensis

Cisto femmina Cistus salviifolius

Alloro

Laurus nobilis

Corbezzolo Arbutus unedo

Mirto

Myrtus communis

Rosmarino Rosmarinus officinalis

(15)

Valutazione Intermedia 15 Cappero

Capparis spinosa

Palma nana

Chamaerops humilis

Ginepro rosso Juniperus oxycedrus

Ginepro licio Juniperus phoenicea

Alaterno

Rhamnus alaternus

Orniello Fraxinus ornus

Olivastro (oleastro, olivo selvatico) Olea europaea var.

sylvestris

Ilatro

Phillyrea latifolia

Ilatro sottile Phillyrea angustifolia

Ginestra dei Carbonai

Cytisus scoparius

Ginestra odorosa Spartium junceum

Ginestra spinosa Calycotome spinosa

Sparzio villoso Calycotome villosa

Caprifoglio mediterraneo

Lonicera implexa Stracciabraghe Smilax aspera

Oleandro

Nerium oleander

Pungitopo Ruscus aculeatus

Specie rappresentative di formazioni a gariga

(16)

Helichrysum italicum Lavandula stoechas Rosmarinus officinalis

2.6. Problemi relativi ad aree di rilevanza ambientale

2.6.1. I problemi del “recupero ambientale” - La colonizzazione naturale delle cave dismesse Si tratta della diffusione spontanea delle specie arboree e arbustive nelle aree delle cave abbandonate o dismesse. La colonizzazione delle cave presenta alcune specificità. Il fronte di cava, infatti, è in genere subverticale o a gradoni e privo di significativi tratti con terriccio o materiale frantumato. Il piazzale sottostante, invece, è pianeggiante, ma il suolo è notevolmente alterato dal frequente e diffuso transito degli automezzi. Le condizioni per la vita della vegetazione forestale risultano, quindi, ancor meno favorevoli di quelle presenti nei corpi franosi. Si può, di conseguenza, ipotizzare un processo di colonizzazione autonomo, peraltro, ancora poco conosciuto.

La presenza delle cave nel territorio della Provincia certamente un aspetto di degradazione del paesaggio anche a causa del loro impatto visivo, talvolta rilevante. Tuttavia, con una certa frequenza l'impatto visivo delle cave è parzialmente attenuato dal ricoprimento e/o mascheramento da parte della vegetazione arborea e arbustiva che s'insedia spontaneamente dopo la cessazione o la dismissione della cava. Non è certamente su questo processo che si può fondare un razionale recupero dei siti estrattivi abbandonati. Tuttavia, la sua conoscenza potrebbe risultare utile, ad esempio, per stabilire un ordine di priorità negli interventi di recupero. Le cave già parzialmente ricoperte di vegetazione potrebbero, infatti, essere recuperate in un momento successivo rispetto a quelle ancora completamente spoglie.

Dall’analisi dei dati raccolti nei fronti di cava appare che le differenze di composizione delle specie arboree e arbustive presenti nei diversi siti sono dovute soprattutto all'epoca d'abbandono. Un'ulteriore elemento di differenziazione è dovuto alla combinazione del settore territoriale (fattore macroclimatico) con l'esposizione (fattore microclimatico). La natura del materiale estratto (e quindi del substrato) non sembra, invece, svolgere un ruolo rilevante. Ciò può essere spiegato se si considera che, in queste condizioni in cui il suolo manca o non è strutturato, la presenza delle specie arboree e arbustive è probabilmente condizionata più dalla capacità di captare e usare l'acqua che dal chimismo del suolo. Il numero delle specie presenti è, in genere, maggiore, nelle cave di ambienti più freschi (esposizione nord o intermedie verso ovest o est) e, fra queste, in quelle abbandonate da più tempo.

Fra le specie arboree e arbustive colonizzatrici si può certamente annoverare l'orniello e la robinia, presenti ovunque. Nelle cave abbandonate da più tempo sono presenti anche il rovo (Rubus sp.), che in realtà manca in quelle delle esposizioni calde, e l'ailanto. Altre specie presenti nei fronti delle cave da più tempo abbandonate sono: l'edera e il carpino nero e, fra le sporadiche, l'olmo (Ulmus minor), il castagno (Castanea sativa) l'albero di Giuda (Cercis siliquadrum), e il corniolo (Cornus mas).

Nelle cave abbandonate recentemente è sempre presente l'erica arborea, spesso affiancata dalla roverella. In quelle con esposizioni fresche sono presenti anche il corbezzolo e il castagno, mentre solo in quelle settentrionali compaiono anche il cisto (Cistus salvifolius), il biancospino (Crataegus monogyna) e i salici.

La ginestra (Spartium junceum) è tipica delle cave più soleggiate, mentre l’Oenotera biennis è presente in

(17)

Valutazione Intermedia 17 modo ubiquitario e spesso in quantità abbondante. Tra le specie sporadiche, oltre ai rari terebinto, tiglio e pioppo tremulo (Populus tremula), merita segnalare la presenza dell'esotica Paulownia tomentosa che si va diffondendo spontaneamente.

Nei piazzali, a differenza di quanto visto per i fronti di cava, i più dotati di specie arboree e arbustive sono quelli abbandonati più di recente e posti nelle esposizioni più calde.

In generale, si può segnalare che la vegetazione arborea e arbustiva insediatasi spontaneamente può arrivare a “mascherare” fino al 75% gli effetti dell’estrazione.

2.7. Obiettivi di protezione ambientale pertinenti al piano

Riprendendo la disamina di obiettivi di piano enunciata al paragrafo 2.1., selezioniamo quelli che hanno valenza di protezione ambientale. Poiché molti tra gli obiettivi generali di piano hanno comunque almeno una ricaduta sulle matrici ambientale, li dividiamo tra quelli che hanno una valenza diretta e quelli che hanno una valenza indiretta.

Obiettivi di piano con valenza di protezione ambientale diretta

1. Restituzione di vecchie cave dismesse senza ripristino al paesaggio;

2. Minimizzazione dei costi sociali ed in particolare di impatto paesaggistico, interferenza sulla risorsa idrica, depauperamento delle biocenosi, congestione ed usura della viabilità, emissioni in atmosfera;

3. Particolare cura nel programmare i ripristini delle aree interessati da estrazione

4. Salvaguardia delle risorse idriche e mitigazione delle criticità quali-quantitive della risorsa idrica in Val d’Era, indotta anche dall'escavazione d'inerti nell' ambito della pianura alluvionale,

5. Definizione di criteri progettuali di dettaglio sulle modalità di escavazione e di risistemazione paesaggistica ed ambientale, strettamente correlati alle caratteristiche dei luoghi in cui insistono le attività estrattive.

6. Previsione di riuso naturalistico e didattico delle aree di cava dismesse e recuperate, poste in prossimità di Aree Protette o di S.I.R. o di G.I.R. o soggetti ad allagamenti e situati lungo rotte migratorie o corridoi ecologici.

Obiettivi di piano con valenza di protezione ambientale indiretta 7. Autosufficienza dei territori;

8. Priorità nell’uso di materiale derivante da riciclo;

9. Incentivazione delle migliori pratiche estrattive,

10. Definizione di criteri che favoriscano un’integrazione con il Piano di smaltimento dei rifiuti, per l'utilizzo come inerti dei materiali di risulta delle attività di scavo e delle attività edilizie.

11. Pianificazione del riutilizzo delle terre di scavo.

12. Individuazione di siti da utilizzare per cave di prestito.

13. Priorità del recupero di cave dismesse senza ripristino per il soddisfacimento della domanda di materiale inerte, su nuovi siti.

(18)

3. ANALISI DEI POTENZIALI IMPATTI

In una VAS si valutano gli impatti che possono prevedibilmente essere conseguenza dell’atto di pianificazione. Nel nostro caso dunque esamineremo gli impatti complessivi che la previsione di attività estrattive sul territorio potrà ragionevolmente provocare.

Descriviamo anzitutto per sommi capi un’attività estrattiva al fine di focalizzare i principali impatti sulle matrici ambientali.

3.1. Il ciclo dell’utilizzo della risorsa lapidea

La risorsa lapidea si trova nel sottosuolo. Anche se esistono cave ottenute scavando a fossa in zone di pianura, i casi più frequenti sono di cave in collina o montagna. Nel territorio della Provincia di Pisa le rocce sono quasi ovunque ricoperte da suolo vegetale, e quindi il primo passo nello sfruttamento della risorsa consiste nella rimozione della copertura vegetale e del suolo. Si procede quindi a scavare sul versante con mezzi meccanici ed eventualmente con esplosivi, formando dei terrazzamenti separati da gradoni molto acclivi. Spesso, per garantire l’accesso dei mezzi meccanici ai vari settori della cava e per collegare la stessa alla viabilità principale occorre aprire nuove strade. La gestione del materiale cavato necessita di uno o più piazzali di stoccaggio temporaneo, sufficientemente ampi da consentire comodi movimenti dei mezzi di carico e trasporto del materiale. I piazzali vengono generalmente realizzati nel terrazzamento più basso, o comunque nel più ampio.

Quando non sono ospitati direttamente dai piazzali di cava gli impianti di frantumazione, lavaggio e vaglio del materiale di cava sono comunque a breve distanza dalla cava. Gli impianti necessitano di acqua per il lavaggio e vasche di sedimentazione dei fanghi di risulta.

Gli impianti devono essere a portata di una viabilità camionabile.

3.2. Gli impatti dell’attività di estrazione di inerti

Dalla sintetica analisi condotta nel paragrafo precedente possiamo ricavare il seguente elenco di impatti primari:

1. sottrazione di copertura vegetale 2. sottrazione di suolo

3. modifica del paesaggio 4. emissione di polveri 5. emissione di CO2

6. emissione di rumore 7. prelievi idrici

8. scarichi in corpi idrici superficiali 9. aumento del traffico pesante

Da questi impatti primari è possibile derivare gli impatti secondari indicati nella tabella seguente. In essa è riportata anche una colonna che indica il grado di permanenza dell’impatto. I valori previsti sono:

“breve”, in caso di impatto dovuto ad eventi transitori contemplati dall’attività pianificata, “medio” in caso di impatto dovuto a specifiche fasi dell’attività, e “lungo” in caso di impatto legato all’insieme dell’attività, che, lo ricordiamo è qui pianificata su di un arco temporale di 10 anni. Poiché gli impatti sono generati a partire dai singoli sito di previsione dell’attività estrattiva, i quali non saranno attivati tutti in contemporanea, gli impatti saranno, localmente di medio termine. Poiché però, gli impatti delle singole

(19)

Valutazione Intermedia 19 attività estrattive sono valutati in sede di VIA, in questa sede si valuta l’impatto complessivo, e quindi la durata attribuita è lunga.

derivazione degli impatti secondari del PAERP II stralcio e loro grado di permanenza

Impatto primario Impatti secondari

Grado di permanenza

aumento CO2 lungo

aumento del trasporto solido lungo sottrazione di copertura vegetale

diminuzione biodiversità lungo

aumento CO2 lungo

sottrazione di suolo

aumento del trasporto solido lungo

modifica del paesaggio permanente

emissione di polveri aumento problemi sanitari lungo

emissione di CO2 lungo

emissione di rumore lungo

prelievi idrici lungo

aumento della torbidità lungo

scarichi in corpi idrici

superficiali impermeabilizzazione della falda freatica lungo

aumento del traffico pesante aumento CO2 lungo

Da questa prima analisi possiamo osservare anche che l’impatto di aumento dell CO2 è cumulato da tre tipi di impatti; anche la sottrazione di suolo e gli scarichi di impianti di lavaggio inerti cumulano i loro effetti di aumento della torbidità dei corsi d’acqua recettori. Non si osservano invece impatti sinergici.

Prima di approfondire le caratteristiche di questi impatti e di indicare in che modo possano essere mitigati dalle modalità di costruzione del Piano e dalle norme di attuazione, proviamo ad esaminare la propensione all’impatto del territorio in esame attraverso gli strumenti di analisi già disponibili nel PTC

Il riferimento metodologico per individuare le condizioni di fragilità ambientale relative al territorio adottato dal PTC della Provincia di Pisa sono le linee di indirizzo contenute nelle Istruzioni Tecniche fornite dalla Legge regionale 5/95 (D.G.R. 1541 del 1998) e le indicazioni del P.I.T. regionale.

Il quadro conoscitivo del PTC a sua volta è stato mutuato dai quattro Rapporti sullo Stato dell’Ambiente organizzati a scala di S.E.L. (Sistema Economico Locale) pubblicati dalla Provincia di Pisa per l’Area Pisana, la Valdera, la Val di Cecina e il Comprensorio del Cuoio, dallo studio a cura di IRPET dal titolo “Ambiente e sviluppo locale – Il quadro delle pressioni ambientali sui Sistemi Economici Locali della Toscana” e dal Piano Regionale di Azione Ambientale della Toscana 2004-2006. Tali studi sono stati tutti pubblicati nel corso del 2003.

La costruzione dei Rapporti si è sviluppata attraverso l’analisi della qualità e della disponibilità di risorse ambientali, dei fenomeni di inquinamento e di degrado, dei fattori dello sviluppo che maggiormente costituiscono un elemento di criticità o un’opportunità per una svolta positiva. Per produrre questo sforzo, nei Rapporti sono state utilizzate le esperienze internazionali più consolidate (tra queste quelle sviluppate dalla DGXI, da Eurostat, da OCSE, dall’Agenzia europea per l’Ambiente, dall’OMS, dalla Commissione ONU per lo Sviluppo sostenibile e il programma Habitat, dal progetto Urban Audit di DGXVI, etc.). Sono stati cioè adottati i cosiddetti indicatori ambientali: il loro scopo è quello di rappresentare e mettere in evidenza, per ogni fenomeno indagato, le tendenze nel tempo, il rapporto con obiettivi di legge o con obiettivi di sostenibilità, le relazioni causa-effetto, l’efficacia delle politiche in atto, la capacità di innovazione ambientale del sistema economico.

(20)

Utilizzando tutti i dati e le informazioni che è stato possibile acquisire, nei Rapporti sono stati messi a punto diversi indicatori, classificati secondo il modello concettuale più consolidato in letteratura (D.P.S.I.R.) ed organizzati in 12 aree tematiche. L’elenco delle aree tematiche, articolate in tre distinte sezioni, è riportato di seguito:

1. Sistemi ambientali a. Acqua b. Aria

c. Suolo e sottosuolo d. Paesaggio e natura

2. Settori di attività (driving force) e fattori antropici

a. Attività economiche (industria, agricoltura, servizi e turismo) b. Energia ed emissioni climalteranti

c. Rifiuti d. Rumore

e. Inquinamento elettromagnetico f. Mobilità e traffico

3. Ambiente, qualità della vita e salute a. Sistema socio-insediativo b. Stato di salute.

Nelle tabelle seguenti tratte dal PTC sono sintetizzati per ciascun comune i giudizi di fragilità relativi ai principali indicatori di ciascun sistema. Di particolare rilevanza ai fini degli obiettivi del PAERP è la valutazione delle condizioni di fragilità alta che è attribuita per il Sistema acqua all’indicatore Carico inquinante, per il Sistema suolo al fattore Superficie di cava, per il Sistema natura al fattore Indice di boscosità ed infine per il Sistema rifiuti al fattore Rifiuti speciali.

Fragilità

(1=bassa, 2=media, 3=alta) rispetto a:

Bientina Calcinaia Capannoli Casciana T. Castelfranco d. S. Chianni Crespina Fauglia Lajatico Lari Lorenzana Montopoli in V.A. Orciano Pisano Palaia Peccioli Ponsacco Pontedera San Miniato Santa Croce s. A. Santa Maria a M. Terricciola

RS per addetto (P)

Rifiuti speciali 3 2 2 2 3 3 2 3 1 3 1 2 1 1 3 2 3 3 3 3 2 RU pro capite (P)

Rifiuti Urbani 3 3 2 3 2 1 2 3 1 2 2 2 1 2 1 2 3 2 3 1 2

Sistema Rifiuti

% RD su RU totale (R)

Racccolta differenziata 2 1 1 3 1 3 2 2 3 2 3 1 2 3 3 1 1 1 1 1 2 Consumi elettricità 3 3 2 1 3 1 2 2 1 3 1 2 2 2 2 2 3 3 3 3 2 Sistema Energia

Consumi di metano 3 3 2 2 3 2 2 1 2 3 2 1 1 2 2 3 3 3 3 1 2

% aree protette (R) 1 2 2 2 1 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 2 Sistema Natura

Indice di boscosità 2 2 3 1 3 1 3 2 2 3 3 2 3 1 2 3 2 2 3 2 3

Consumo suolo 3 3 3 2 2 1 2 2 1 2 2 3 2 2 1 3 3 2 3 3 2

% sup. Concimata 3 3 1 1 3 1 3 2 1 2 3 2 3 2 2 2 3 2 1 2 2 Sistema Suolo

% sup. Trattata con

erbicidi e antiparassitari 2 1 1 2 3 1 3 2 1 3 2 3 3 2 2 2 3 2 2 3 2

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