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Tecnologie dei dispositivi di visualizzazione attuali ed emergenti

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Academic year: 2021

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________________________________Capitolo1

Tecnologie dei dispositivi di

visualizzazione attuali ed emergenti

1.1 Introduzione

L’esigenza da parte dell’uomo di rappresentare delle informazioni che potessero variare nel tempo, ha spinto la nascita e successivamente il continuo sviluppo dei dispositivi di visualizzazione.

Fu con l’avvento della televisione, nei primi decenni del secolo scorso, che si aprì una nuova strada nel settore della rappresentazione dell’informazione.

I primi televisori utilizzavano la tecnologia CRT, tutt’oggi presente nel mercato con ovvi miglioramenti tecnologici. Molti anni fa la visualizzazione avveniva prevalentemente per mezzo della televisione, mentre nell’era moderna esiste una vastissima varietà di applicazioni che hanno incentivato lo studio di nuove tecnologie. Grazie infatti alla diffusione su larga scala dei computer e dei dispositivi portatili come telefoni cellulari, PDAs, dispositivi multimediali e altri, alcune tecnologie come quella LCD e OLED hanno rivoluzionato i mercati dei monitor per pc (la prima) e dei display di dispositivi portatili (la seconda). Inoltre nel mercato degli schermi di grandi dimensioni la tecnologia al plasma, così come quella LCD, sta da alcuni anni soppiantando (anche se i prezzi sono ancora elevati) quella ormai ben collaudata degli schermi CRT. Non per ultimo in ordine di importanza è il ruolo che stanno assumendo i LED nella realizzazione di schermi di medie e grandi dimensioni da interno e da esterno, e non trascurabile è, inoltre, il loro impiego attuale e in prospettiva nel campo dell’illuminazione.

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Nel corso dei paragrafi successivi verranno analizzate le tecnologie più importanti attualmente utilizzate nel campo della visualizzazione e quelle emergenti, prestando particolare attenzione ai LED, che costituiranno l’elemento base dei capitoli seguenti.

1.2 CRT (Cathode Ray Tube)

Il tubo a raggi catodici (CRT) deve la sua invenzione al fisico tedesco Karl Ferdinand Braun che nel 1897 lo portò a realizzare quello venne chiamato ”cathode ray indicator tube”. La tecnologia CRT ebbe il suo grande sviluppo con l’avvento della televisione, e con il passare degli anni si è sempre più evoluta: dalla rappresentazione delle immagini televisive in bianco e nero, infatti, si è passati a quella a colori e da una trattazione completamente analogica dei segnali, a una digitale.

L’elemento base di questo tipo di dispositivi è un tubo a raggi catodici il cui catodo è costituito da un singolo cannone elettronico, nel caso di modello monocromatico, o da tre cannoni elettronici nel caso del modello a colori. Nel seguito ci si riferisce ai dispositivi a colori per i quali viene riportata in figura 1 una rappresentazione semplificata.

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La generazione di un colore avviene attraverso l’uso di tre colori primari: il rosso (R), il verde (G) e il blu (B). Grazie alla cosiddetta sintesi additiva in media spaziale (che costituisce un aspetto delle più generali leggi di Grassman) l’occhio dell’osservatore, se posto ad una sufficiente distanza, è in grado di percepire la mescolanza di questi tre colori fondamentali. Essi costituiscono la base di un sistema di riferimento colorimetrico tricromatico denominato RGB, in cui ogni colore viene rappresentato da una terna di numeri (R, G, B). Variando l’intensità dei singoli colori primari è possibile far percepire all’occhio dell’osservatore la mescolanza additiva di questi ultimi, ottenendo quindi un numero arbitrariamente grande di colori risultanti.

I tre colori primari sono ottenuti utilizzando tre fosfori, sostanze chimiche che vengono depositate sulla parte interna del tubo a vuoto, che emettono luce quando sono colpiti da un fascio di elettroni e continuano l’emissione per un certo tempo anche a fascio terminato. Riferendoci alla tecnologia costruttiva più diffusa, quella detta delta shadowmask, lo schermo è ottenuto mediante la ripetizione di una base tricromatica costituita da depositi puntiformi di fosforo rosso, verde e blu nei vertici di un triangolo microscopico. Essi sono posti molto vicini tra loro e sono disposti uniformemente per coprire tutto lo schermo secondo un reticolo di punti. La base tricromatica determina l’elemento minimo di immagine che lo schermo propone e viene detta pixel. Lo schermo è protetto da una griglia metallica (shadowmask) i cui scopi sono quelli di evitare che i fasci elettronici dei cannoni colpiscano i pixel sbagliati ed evitare interferenze luminose fra di essi per conservare una buona definizione.

Gli elettroni emessi dal catodo dei tre cannoni RGB sono governati da griglie di controllo e strutture di deflessione, in modo da ottenere tre fasci elettronici che colpiscono rispettivamente i fosfori RGB dei pixel con la necessaria energia e focalizzazione. La scansione dei pixel dello schermo si ottiene mediante opportune tensioni di controllo applicate alle strutture di deflessione. Affinché l’immagine appaia stabile agli occhi dell’osservatore è necessario un rinfresco periodico della stessa ad una frequenza non troppo bassa.

I fosfori RGB, bombardati rispettivamente dai fasci di elettroni uscenti dai tre cannoni elettronici accelerati ad energie tra 1.5 - 3 fJ, diventano tre sorgenti di luce i cui spettri di emissione sono centrati rispettivamente sul rosso, sul verde e sul blu. La

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riproduzione di una vasta gamma di colori, si ottiene mescolando in varie proporzioni la luce emessa dai tre fosfori mediante il controllo delle loro intensità luminose. Questo controllo si ottiene agendo sull’intensità dei fasci elettronici provenienti dai tre cannoni per mezzo di tre distinte tensioni di comando (denominate anch’esse RGB) derivanti dalla sorgente video. Nei dispositivi abbastanza recenti queste tensioni vengono digitalizzate. In tal caso è presente una memoria video (video RAM) nella quale vengono rappresentate in forma binaria le intensità dei tre singoli colori per ogni singolo pixel. Il numero totale di bit utilizzato per questa rappresentazione esprime la profondità di colore. In un monitor con profondità di colore di 24 bit, ad esempio, il singolo colore di un pixel è rappresentato su 8 bit. Il colore nero è rappresentato in forma decimale dalla terna (0,0,0), mentre il bianco con (255,255,255). Il numero totale di colori riproducibili dal singolo pixel è quindi facilmente ricavabile. Nell’esempio sopra mostrato esso vale 256 ³ = 16777216. A qualunque terna con uguali valori, corrisponde un livello di grigio.

I dispositivi di visualizzazione basati su CRT, che hanno monopolizzato il mercato degli schermi televisivi sin dall’avvento della televisione, dagli ultimi 4 o 5 anni stanno perdendo costantemente terreno a causa del rapido incalzare di altre tecnologie quali quella LCD e quella al plasma. La prima è utilizzata per realizzare monitor per pc e schermi di diverse dimensioni, mentre la seconda è destinata solo a display di grandi dimensioni. I dispositivi basati sul tubo catodico presentano dei vantaggi, come il basso costo, il tempo di risposta relativamente piccolo e la possibilità di cambiare risoluzione e frequenza di refresh. Tra gli svantaggi rispetto alle nuove tecnologie abbiamo consumi e generazione di calore elevati, ma soprattutto il peso e le dimensioni risultano nettamente superiori, così come le emissioni elettromagnetiche.

1.3 LCD (Liquid Crystal Display)

I display LCD, ovvero i display a cristalli liquidi, devono il loro nome ad alcuni composti organici aventi proprietà liquido-cristalline. La scoperta di queste sostanze va fatta risalire agli ultimi anni del 1800, grazie agli studi del botanico austriaco Reinitzer. Egli si rese conto, maneggiando una particolare sostanza, che essa presentava, in condizioni di fluidità tipiche dello stato liquido, anche un grado di ordine molecolare

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caratteristico dei cristalli. Negli anni successivi sono state numerose le nuove scoperte relative ai cristalli liquidi: ad esempio, si mise in evidenza che le fasi che manifestano proprietà liquido-cristalline possono essere di diversa natura a seconda del grado di ordine delle molecole. Esse vengono denominate mesofasi e ciascuna di esse possiede caratteristiche peculiari in relazione alla disposizione delle molecole nella fase stessa. Il grande interesse legato all’utilizzo dei cristalli liquidi nelle attuali applicazioni tecnologiche è dovuto al fatto che le loro proprietà macroscopiche possono essere controllate da perturbazioni esterne: ad esempio in presenza di campi elettrici o magnetici i cristalli liquidi tendono ad allinearsi. Inoltre utilizzando delle lastre di vetro opportunamente trattate è possibile indurre il cristallo liquido ad assumere un’orientazione preferenziale parallela alla lastra stessa. Un altro aspetto importante è la caratteristica di birifrangenza ovvero la luce polarizzata lungo l’asse della direttrice (cioè l’asse risultante dall’orientazione preferenziale) ha un indice di rifrazione diverso ortogonalmente alla direttrice stessa: questa particolarità è utilizzata per la colorazione dei cristalli nel display.

In commercio esistono attualmente due categorie di display a cristalli liquidi organizzati a matrice: a matrice passiva e a matrice attiva. I primi ad essere stati realizzati sono quelli a matrice passiva. La differenza sostanziale che li contraddistingue è il metodo con cui viene gestita la matrice di pixel: nei display a matrice passiva i singoli pixel vengono pilotati secondo la tecnica classica di multiplexing. Come conseguenza si ha un elevato tempo di risposta (dell’ordine di 150 ms), una riduzione del rapporto di contrasto ed un effetto di crosstalk a causa del fatto che i pixel non selezionati sono pilotati da percorsi secondari di tensione. Nei display a matrice attiva vengono invece integrati dei transistor (con la funzione di interruttore) e delle capacità nelle interconnessioni tra gli elettrodi di riga e di colonna: si riescono così a superare i limiti della tecnica classica di multiplexing, quindi non si ha nessun problema nel numero di linee da scandire e nessun effetto di crosstalk.

Il primo LCD realizzato a matrice passiva è stato il TN (Twisted Nematic), del quale si fornisce la struttura fondamentale nella figura 2.

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Figura 2 - Struttura funzionale di un TN LCD rispettivamente in assenza e in presenza di polarizzazione.

Esso è costituito da un cristallo liquido chiamato TN posto fra due lastre di vetro opportunamente trattate e sfasate tra loro di 90°. Le molecole del cristallo liquido adiacenti alla lastra tenderanno ad orientarsi parallelamente ad essa.

Di conseguenza le molecole nel cuore del cristallo liquido tenderanno ad assumere posizioni intermedie generando così una struttura elicoidale. Esternamente alle lastre di vetro sono collocati due polarizzatori orientati perpendicolarmente tra loro. Nei display riflettenti è presente anche uno specchio al di sotto del secondo polarizzatore. La luce ambientale viene polarizzata dal primo polarizzatore ed entra nella fase liquido-cristallina. La polarizzazione della luce incidente viene ruotata di 90° in virtù della struttura elicoidale del cristallo liquido riuscendo a passare attraverso il secondo polarizzatore. A questo punto nello specchio si ha una riflessione che permette alla luce di seguire il percorso inverso, facendo si che il display appaia illuminato agli occhi dell’osservatore.

Applicando un campo elettrico per mezzo di elettrodi (realizzati con ITO, Indium-Tin Oxide, miscela costituita in peso da circa il 90% di In2O3 e 10% di SnO2) le

molecole del cristallo tenderanno ad orientarsi a dispetto dell’azione dovuta alla superficie delle lastre di vetro. Di conseguenza la luce non riesce ad attraversare il secondo polarizzatore e agli occhi dell’osservatore il display appare nero.

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Il grosso vantaggio del display TN è il bassissimo consumo, visto che utilizza la luce ambientale per illuminare lo schermo. Per questo motivo trova innumerevoli applicazioni nel campo dei dispositivi portatili. Tra gli svantaggi vi è il contrasto ridotto e un angolo di visuale ristretto (circa 20°). Inoltre non emettendo luce propria, e questo vale per ogni display LCD, necessita di retroilluminazione per consentire la visione in assenza di luce ambientale.

Una prima evoluzione del TN LCD è stato l’STN LCD (Super Twisted Nematic) in cui le molecole del cristallo liquido (e di conseguenza la luce incidente) subiscono una rotazione di 270°. I vantaggi sono un maggior contrasto (circa tre volte) e un maggiore angolo di visuale.

Un’ulteriore evoluzione si è ottenuta con l’introduzione dei cosiddetti CSTN LCD (Color Super Twisted Nematic) che hanno permesso, per mezzo dell’utilizzo di filtri R-G-B, la visualizzazione a colori. Recentemente è stata sviluppata una tecnica di indirizzamento per matrice passiva chiamata HPA (High Performance Addressing) che offre il vantaggio di un minore tempo di risposta e un maggior contrasto.

Nei display a matrice attiva (AM LCD, Active Matrix LCD) vengono utilizzati tipicamente transistor realizzati con deposizione di film sottili (Thin Film Transistor, TFT). Esistono due tipi di TFT in dipendenza del materiale con cui è realizzato lo strato semiconduttore:

• a-Si (Amorphous Silicon) che viene tipicamente usato per display di grandi dimensioni.

• p-Si (Polycrystalline Silicon) che risulta costoso da produrre e di difficile realizzazione soprattutto per display di grandi dimensioni.

I display TFT hanno prestazioni assai elevate: hanno un contrasto maggiore rispetto agli STN (fino a quattro volte) e anche l’angolo di visuale risulta leggermente più ampio. Lo svantaggio principale rispetto a quelli a matrice passiva è dovuto al maggior costo a causa della maggiore complessità tecnologica. Tuttavia i prezzi sono in continua diminuzione grazie all’attuale impiego di massa di questo tipo di display nei televisori e nei monitor per pc, ma ancora alti se confrontati con quelli del CRT. Il crescente utilizzo dei display TFT rispetto al CRT, dipende molto dal fatto che il loro spessore

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risulta di pochi centrimetri, al contrario di quello dei CRT che necessitano invece di profondità del tubo elevate e proporzionali alle dimensioni dello schermo. Inoltre la tecnologia LCD in pochi anni è stata interessata da forti progressi: basti pensare che allo stato attuale si sono raggiunti dei tempi di risposta dell’ordine del millisecondo, mentre 3 o 4 anni fa gli schermi in commercio avevano un tempo di risposta tipico di 20-25 ms.

1.4 NCD (NanoChromics™ Display)

NanoChromics è una tecnologia rivoluzionaria annunciata dall’azienda irlandese NTERA Ltd. nel maggio del 2004 e mostrata in occasione della conferenza sulle nuove tecnologie “DEMO 2005”. I display NCD si basano su materiali nanostrutturati proprietari della stessa azienda: alla vista questi display appaiono come “ink on paper”, ovvero come inchiostro su carta. La tecnologia NanoChromics presenta delle ottime caratteristiche ottiche grazie al fatto di poter ottenere background bianchi come un foglio di carta oppure traslucidi, permettendo così di ottenere un contrasto anche pari a 6:1 ed una luminosità fino a 4 volte superiore rispetto all’LCD. E tutto questo mantenendo dei costi di produzione simili a quelli di quest’ultimo, grazie al fatto che il processo di produzione presenta gran parte delle fasi in comune. Da qui segue che i sistemi tradizionali per la produzione di LCD, possono essere convertiti alla produzione di NCD con costi relativamente contenuti.

Un’altra proprietà che attira particolare interesse, risiede nel fatto che tali display presentano caratteristiche bistabili: questo significa che necessitano di alimentazione solamente in seguito ad un cambiamento dello stato dell’immagine; da ciò ne consegue una drammatica riduzione dei consumi rispetto alla tecnologia LCD (fino a 10 volte), che invece ha bisogno di un costante rinfresco dell’immagine anche se quest’ultima rimane invariata. Altra proprietà caratterizzante di un NCD è la necessità di una sorgente di alimentazione estremamente bassa: infatti è sufficiente per il funzionamento una tensione continua dell’ordine di 1 V.

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Nella figura 3 1 viene riportata la struttura di un NCD. Il display contiene uno strato riflettente costituito da un film nanostrutturato di diossido di titanio, lo stesso materiale utilizzato per la fabbricazione di carta bianca; questo crea un background di colore bianco che ha le stesse proprietà, in termini di apparenza, riflessione e contrasto, di un foglio di carta bianca di alta qualità: grazie a questo si può ottenere un angolo di visuale particolarmente elevato.

Figura 3 – Struttura di un display con tecnologia NanoChromics.

L’effetto visivo dell’ink on paper viene dato da particolari molecole (viologeni) poste di fronte allo sfondo riflettente: in seguito a certi stimoli tali molecole risultano colorate o trasparenti e a seconda del tipo di molecole utilizzate le informazioni visibili nel display possono essere nere o di differenti colori.

I display NCD possono essere utilizzati in una grande varietà di applicazioni, così come avviene per i display LCD. Inoltre, per le caratteristiche peculiari di cui sono dotati, potrebbero certamente rappresentare il futuro nel settore dell’e-book.

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Immagine tratta dalle informazione rilasciate dall’azienda NTERA relativamente alla tecnologia NanoChromics.

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1.5 PDP (Plasma Display Panel)

Il primo tipo di display al plasma (PDP) che venne realizzato, venne proposto nel 1964 in seguito agli studi condotti presso l’Università dell’Illinois: esso costituiva un display di tipo AC, ovvero a corrente alternata. Successivamente, per la precisione nel 1968, Philips introdusse il PDP di tipo DC (a corrente continua) che suscitò meno interesse in attività di ricerca rispetto all’AC. Nel 1995 Fujitsu dimostrò la fattibilità della produzione di massa del PDP creando un alternativo modello di PDP, di tipo AC, da 42 pollici.

Il principio di funzionamento di un PDP si può considerare simile a quello di un CRT: come quest’ultimo, infatti, si basa sulla fluorescenza ovvero sull’emissione di luce da parte di fosfori. A differenza però dei display CRT, i PDP hanno una struttura a matrice tipica degli LCD. In pratica si tratta di una matrice di piccoli tubi fluorescenti controllati in modo abbastanza complesso.

La struttura di base di un PDP è rappresentata in figura 4: essa è costituita da una matrice di celle comprese tra due lastre di vetro. In prossimità del vetro anteriore si trovano gli elettrodi del display, in materiale trasparente, protetti da uno strato di materiale dielettrico e coperti da uno strato protettivo (tipicamente ossido di magnesio, MgO). Gli elettrodi di indirizzamento sono invece posti sopra la lastra di vetro posteriore, protetti da uno strato di dielettrico. Gli elettrodi sono disposti come una griglia.

Ogni cella (che costituisce un pixel) è formata da tre sottocelle separate mediante delle costole, perpendicolari allo schermo: le sottocelle sono coperte di fosfori dei tre colori primari: rosso, verde e blu.

Il principio di funzionamento del PDP di tipo AC è riassunto qui di seguito: un campo elettrico è applicato ad un gas (di norma una miscela di Ne e Xe) mantenuto a bassa pressione (circa 50 kPa) all'interno di ogni singola sottocella. Quando viene applicata una tensione elevata (150 - 250 V) agli elettrodi che si intersecano in corrispondenza di ogni singola cella, si ha passaggio di corrente nel gas in essa contenuto. Il gas cambia stato, viene ionizzato e diventa plasma.

Un certo numero di atomi di Xe vengono eccitati ed emettono raggi ultravioletti ad una determinata lunghezza d’onda (147 nm). I raggi ultravioletti colpiscono gli atomi di

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fosforo, provocando di conseguenza l’emissione di luce visibile del colore appropriato (rosso, verde e blu). Ciascuna delle sottocelle è pilotata in modo indipendente con impulsi, e attraverso un sistema di modulazione della durata di tali impulsi è possibile generare tipicamente 256 livelli (8 bit) per ciascuna componente e far sì che, nel complesso, la gamma di colori percepita dall'occhio sia analoga a quella dei CRT. Essendo un sistema basato sull'emissione di luce, come il CRT, il PDP non ha problemi ad assicurare un ampio angolo di visione (superiore a 160° sia in verticale che in orizzontale).

Figura 4 - Schema di principio di un PDP.

Per realizzare i display al plasma sono state proposte strutture diverse.

Nei prodotti attualmente in commercio è utilizzata la tecnologia ac-PDP. Come nel caso dei tubi a fluorescenza, occorre una tensione elevata per causare il cambio di stato del gas, ma successivamente basta una tensione più bassa per mantenere la reazione: nel caso della struttura ac-PDP ci sono due elettrodi trasparenti sulla superficie del substrato superiore in vetro, uno per inizializzare la reazione ed uno per mantenerla. L'elettrodo di indirizzamento è posto sulla lastra di vetro posteriore.

Il sistema dc-PDP utilizza solo due elettrodi per ciascuna sottocella, uno posto in prossimità del vetro anteriore l'altro di quello posteriore. Richiede una tensione

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operativa superiore rispetto alla struttura ac e quindi la vita del dispositivo è inferiore, l'angolo di visione è ridotto e si ottiene un minor contrasto.

I display PDP possiedono attualmente una buona fetta di mercato nel settore dei televisori e degli schermi di grandi dimensioni (superiori ai 40 pollici). A causa della dimensione delle singole celle, non vengono realizzati pannelli di piccole dimensioni. A parte il costo ancora elevato, uno svantaggio di questi dispositivi è l’alto consumo energetico (tipicamente 250 W o più). Per il resto gli schermi sono sottili (pochi centimetri), l’angolo di visuale può essere anche prossimo a 180°, le immagini sono nitide e brillanti e la loro visualizzazione non risente di eventuali campi magnetici come avviene invece nei CRT. Inoltre allo stato attuale si sono raggiunti dei fattori di contrasto particolarmente elevati (anche di 10000:1).

1.6 OLED (Organic Light Emitting Diode)

Il primo dispositivo OLED nacque quasi per caso nel 1985 da un esperimento del ricercatore Ching Tang, nei laboratori Kodak. Egli notò l’emissione di una luce verde da parte di un particolare materiale organico posto ad una bassa tensione. Gli OLED si basano sul fenomeno dell’elettroluminescenza, ovvero sull’emissione di radiazione luminosa provocata da un campo elettrico applicato ad un solido: essa in pratica consiste nella conversione diretta di energia elettrica in energia luminosa. In realtà questo fenomeno è stato osservato su composti organici agli inizi degli anni ’50, ma la tensione necessaria per ottenerlo era elevata (200 - 1000 V). Il funzionamento a bassa tensione è stato reso possibile solo quando la tecnologia ha permesso la preparazione di strati uniformi di composti organici con spessore di poche decine di nanometri. I dispositivi OLED sono costituiti da uno o più strati organici, dello spessore di qualche decina di nanometri, compresi tra due elettrodi metallici di cui almeno uno è trasparente. Il colore della luce emessa è caratteristico della specie chimica su cui avviene lo stadio finale di un processo relativamente complesso che si articola in una serie di eventi successivi all'applicazione di un potenziale elettrico: iniezione di cariche (lacune ed elettroni) da parte dei due elettrodi, trasporto di queste cariche fino alla loro ricombinazione, generazione di uno stato elettronicamente eccitato ed, infine, emissione di luce. Tutto ciò in tempi dell'ordine di pochi microsecondi. Al fine di ottimizzare le

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prestazioni ed ottenere emissioni di vari colori, decisiva è stata (ed è tuttora) l'attività di sintesi di nuovi materiali. A seguito delle due scoperte pressoché contemporanee dell'elettroluminescenza organica in film sottile (Tang, Van Slike, 1987 e Burroughes, Friend, 1990), si sono sviluppati due filoni paralleli: uno si rivolge a sintesi e studio di molecole a basso peso molecolare e l'altro a sintesi e studio di polimeri. Mentre i dispositivi a base polimerica hanno in genere un solo polimero come strato attivo, i dispositivi basati su molecole a basso peso molecolare sono costituiti da più composti attivi distribuiti su più strati sovrapposti.

I display realizzati con OLED rappresentano attualmente una delle più interessanti frontiere dell’elettronica e alcuni pronostici affermano che saranno in grado di generare un mercato da tre miliardi di dollari entro il 2010. Questo è dovuto al fatto che questa tecnologia è estremamente promettente. Grazie ad un tempo di risposta molto basso (anche 1000 volte inferiore rispetto ad un LCD) i display OLED risultano perfetti per applicazioni video. Possono essere pilotati sia in matrice passiva (con i quali si possono realizzare a basso costo display alfanumerici a basso contenuto informativo) che in matrice attiva (usata per applicazioni video e grafica ad alta risoluzione). Inoltre a dispetto dei tradizionali LCD i display OLED non necessitano di retroilluminazione, visto che ogni pixel emette luce propria. Di conseguenza non sono necessari la lampada ed il relativo telaio che la alloggia. Questo si traduce in una forte riduzione di peso complessivo e in un minore ingombro.

Il fatto che in un display OLED ogni singolo pixel emetta luce propria (e quindi non necessita di retroilluminazione), consente di ottenere una luminosità e un angolo di visuale superiori rispetto al caso di un display LCD. Infatti in quest’ultimo la luce della retroilluminazione deve passare attraverso il cristallo liquido prima di giungere all’occhio dell’osservatore e questo ne riduce in modo considerevole l’intensità luminosa. Altro elemento a favore dei display OLED rispetto agli LCD, è relativo al fatto che gran parte della potenza consumata da un display LCD viene spesa dalla lampada per la retroilluminazione, che invece non necessaria per un display OLED.

Aspetto importante della tecnologia OLED è la possibilità di realizzare dispositivi piccoli, molto sottili, leggeri e persino flessibili.

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Non è da trascurare inoltre il ruolo futuro che potrebbero avere gli OLED (così come i LED) come dispositivi di illuminazione in sostituzione delle attuali lampadine ad incandescenza e al neon.

Tuttavia sono necessari ulteriori progressi per quanto riguarda il decadimento dei colori e la vita del display.

1.7 LED (Light Emitting Diode)

I LED sono dei dispositivi optoelettronici allo stato solido che, se opportunamente polarizzati, sono capaci di emettere luce quasi monocromatica ad una certa lunghezza d’onda. Il primo dispositivo commerciale venne introdotto nel 1968 da HP e Monsanto. Esso consisteva in un LED a luce rossa realizzato con GaAsP che emetteva una radiazione luminosa alla lunghezza d’onda di 655 nm. Negli anni ’70 i LED vennero utilizzati per i primi display numerici e come indicatori in sostituzione delle lampadine ad incandescenza, fino ad assumere un ruolo fondamentale nella tecnologia moderna in strumentazioni, segnaletica, applicazioni video e perfino nell’illuminazione. Tutto ciò è stato possibile grazie al percorso evolutivo di questa tecnologia che ha permesso un aumento del numero di colori della luce emessa, del tempo di vita medio e dell’efficienza. Per rendersi conto della loro importanza nell’elettronica moderna, basti pensare che viene stimata una produzione di quattro miliardi di pezzi al mese. Nei paragrafi successivi vedremo in dettaglio il funzionamento e le caratteristiche di questi dispositivi.

1.7.1 Funzionamento e caratteristiche di radiazione

Un LED 2 è costituito da una giunzione PN che emette luce quando questa risulta polarizzata direttamente. Il fenomeno che lo permette è quello dell’elettroluminescenza: grazie alla polarizzazione diretta della giunzione, si ha iniezione di portatori minoritari in eccesso (lacune in zona N ed elettroni in zona P). I minoritari in eccesso tendono

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quindi a ricombinarsi e la perdita di energia si traduce nell’emissione di fotoni ad una lunghezza d’onda dipendente direttamente dal gap di energia del semiconduttore utilizzato (a gap diretto) secondo la relazione: E = hc/λ , ove E rappresenta il gap di energia del semiconduttore, c la velocità della luce (≈ 300000 km/s), λ la lunghezza d’onda della radiazione emessa. Non tutti i portatori minoritari che si ricombinano danno luogo all’emissione di fotoni. A fornire informazioni relative a questa non idealità è l’efficienza quantica: essa rappresenta, quando espressa in forma percentuale, il numero di fotoni emessi su 100 coppie elettrone-lacuna che si sono ricombinate. La parte di coppie che non danno origine a radiazione luminosa perdono la loro energia cedendola al reticolo attraverso meccanismi di urto.

I LED vengono realizzati in vari package, ma la struttura base di cui sono costituiti è all’incirca sempre la stessa. Il semiconduttore viene inserito all’interno di una cavità che ha lo scopo di riflettere la luce, connesso elettricamente ai due terminali ed il tutto è circondato da un materiale plastico. Un esempio di struttura di un LED è rappresentata in figura 5.

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La costruzione meccanica del LED influenza particolarmente il cosiddetto diagramma di radiazione. Esso fornisce l’intensità di luce, normalizzata rispetto alla direzione di massima radiazione, in funzione dell’angolo rispetto a quest’ultima. Un diagramma stretto indica che il LED è molto luminoso nella direzione di massima radiazione, ma discostandosi da essa di poco fornirà una luce di intensità molto inferiore. Invece se il diagramma è ampio la luce sarà visibile da un angolo più elevato ma l’intensità in direzione di massima radiazione sarà minore al caso precedente a parità di tutte le altre condizioni. I diagrammi tipo dei due casi sopraccitati sono riportati in figura 6.

Figura 6 - Diagrammi di radiazione per due LED con differente angolo di radiazione.

1.7.2 Considerazioni sul colore

Come già accennato, la lunghezza d’onda della luce emessa dalla giunzione PN dipende direttamente dal gap energetico del semiconduttore utilizzato. Questo significa che per produrre LED di vari colori è necessario utilizzare semiconduttori diversi. Nella tabella seguente (tab. 1) sono indicati i tipici materiali usati per ottenere diversi colori.

Materiale Colore luce emessa e lunghezza d’onda (nm)

GaP,GaAlAs,GaAsP,InGaAlP,GaAs λ: 625 - 740

InGaAlP,GaAs,GaAsP,GaP λ: 590 - 625

InGaAlP,GaAs,GaAsP,GaP λ: 565 - 590

InGaAlP,GaAs,GaP,InGaN λ: 520 - 565

InGaN λ: 435 - 520

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Nello spettro della luce visibile, compreso tra 380 e 740 nm, tra i colori tipici di luce emessa da un LED abbiamo il rosso, l’arancio, il giallo ed il verde. Recentemente sono anche in produzione LED a luce blu, bianca, rosa, turchese, viola. Attualmente è stata posta grande attenzione ai LED bianchi a causa del loro uso massiccio nel settore dell’illuminazione.

Poiché, come ben noto, il bianco non è una luce monocromatica, un LED a luce bianca potrebbe essere realizzato integrando in uno stesso package tre LED costituenti i tre colori primari verde, rosso e blu; queste sorgenti luminose dovrebbero essere poste in vicinanza, in modo tale che l’occhio umano non le distingua separatamente ma osservi una luce bianca (sintesi additiva in media spaziale). In realtà l’approccio più economico è quello dovuto a Nichia, che utilizza due soli colori primari: blu e giallo. Il LED bianco viene quindi realizzato per mezzo di un LED blu a cui è associato un fosforo: quest’ultimo, assorbendo luce blu, emette luce gialla per ottenere un colore risultante prossimo al bianco. L’effetto così ottenuto sarà un’emissione luminosa costituita da un mix di luce gialla e blu che l’occhio umano percepisce come un colore simile al bianco. Nella figura 7 vengono riportate la risposta spettrale standard dell’occhio umano (curva Vλ) e la risposta spettrale tipica di un LED bianco realizzato

con la tecnica esposta.

Figura 7 – Confronto tra la risposta spettrale tipica dell’occhio umano (curva Vλ) e quella prodotta da un LED bianco (If=20mA, Ta=+25°C) (da una application note Maxim).

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Oltre a LED che emettono luce di un solo colore, esistono in commercio LED bicolore (tipicamente rosso-verde) e tricolore (rosso-verde-blu), con i quali è possibile generare una vastissima varietà di colori.

Naturalmente esistono anche LED che emettono radiazione non visibile, tipici sono i LED all’infrarosso. Come per altre sorgenti luminose, l’intensità di luce emessa dai LED viene misurata in candele (cd). Nella figura seguente (figura 8) si riporta lo spettro di luce visibile con riferimento agli intervalli di lunghezze d’onda caratteristici dei singoli colori.

Figura 8 – Spettro di luce visibile.

1.7.3 Caratteristiche elettriche ed ottiche

Il comportamento elettrico di un LED è simile a quello degli altri diodi a semiconduttore. Un parametro che risulta molto diverso è la caduta di tensione ai capi del LED stesso in polarizzazione diretta, che è sensibilmente maggiore rispetto ad un diodo tradizionale. Inoltre tale caduta di tensione varia in funzione del materiale semiconduttore con cui è realizzato il LED, di conseguenza varia da colore a colore. Come è possibile vedere dalla figura 9 3, in generale, a parità di corrente di polarizzazione diretta, la caduta di tensione è maggiore, ad esempio, per un LED verde piuttosto che per un LED rosso. Da notare inoltre la marcata differenza della caduta di tensione dei LED blu rispetto ai LED di altri colori.

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Per quanto riguarda il comportamento ottico, è da dire che varia significativamente con la temperatura. Infatti l’intensità di luce emessa diminuisce al crescere della temperatura. Questo è dovuto al fatto che si ha un incremento di coppie elettrone-lacuna che non contribuiscono all’emissione luminosa. Inoltre a causa della variazione provocata dalla temperatura all’ampiezza del gap, si ha anche un cambiamento della lunghezza d’onda della luce emessa e di conseguenza del colore.

Figura 9 - Caratteristiche Tensione-Corrente per LED di diverso colore.

1.7.4 Tempo di vita dei LED

I LED hanno un tempo di vita medio (MTBF, Mean Time Between Failures) tipicamente nell’intervallo compreso tra 100000 e 1000000 ore, che rappresenta un tempo di vita molto elevato. Generalmente viene utilizzato dai costruttori, oltre all’MBTF, anche un altro parametro per tenere conto della bontà di un LED: viene considerato il tempo che impiega il LED a fornire una radiazione luminosa pari alla metà di quella originale. Il tempo di vita di un LED dipende da molti fattori: tipo di package, corrente di polarizzazione diretta, temperatura, umidità. L’utilizzo di un LED in condizioni gravose, come quelle di elevata temperatura e umidità o elevata corrente di polarizzazione, può accorciarne anche drasticamente il tempo di vita. Questo a causa

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del fatto che le condizioni a cui è sottoposto il LED influenzano il formarsi di difetti nel reticolo cristallino del semiconduttore. Infatti, quando scorre corrente nella giunzione, a causa delle differenze di temperatura al suo interno, si genera uno stress del reticolo che provoca delle rotture nello stesso. Questi difetti aumentano con l’uso e il processo di generazione è influenzato dalle condizioni di lavoro. L’aumentare di questi difetti causa una riduzione dell’efficienza quantica, con conseguente diminuzione della luce emessa. 1.7.5 Tecniche di pilotaggio per display LED

Il modo più semplice di pilotare un LED o un gruppo di LED è il cosiddetto pilotaggio statico: esso consiste semplicemente nell’alimentare ogni LED separatamente, utilizzando una resistenza limitatrice o un generatore di corrente. La corrente che scorre nel dispositivo risulta continuativa. Questo approccio viene utilizzato nel caso in cui i LED siano pochi, come ad esempio nel caso di due o tre display a 7 segmenti.

Se il numero di LED da gestire è elevato allora la tecnica sopraccitata risulta poco efficiente dal punto di vista del numero di uscite dello stadio pilota (una per ogni LED): si ricorre quindi alla tecnica del pilotaggio in multiplexing. Tale metodo consente appunto una riduzione del numero di uscite alimentando in sequenza un singolo LED o gruppo di LED alla volta. La commutazione viene eseguita ad una frequenza non troppo bassa (superiore a 40 Hz) per consentire all’occhio dell’osservatore di percepire una illuminazione continua. Di conseguenza è necessario pilotare i LED con correnti superiori rispetto al pilotaggio statico, per compensare l’effetto del duty cycle ridotto. Un altro vantaggio della tecnica in multiplexing sfrutta la particolare caratteristica di persistenza delle immagini nella retina dell’occhio umano; vediamo di fare un esempio per spiegare meglio questo concetto. Supponiamo di alimentare un LED con una corrente costante pari ad I; l’occhio percepirà una certa luminosità L; supponiamo di alimentare lo stesso LED accendendolo e spegnendolo ad frequenza sufficientemente elevata con un duty cycle δ. La corrente media che scorre nel LED in queste condizioni è pari a I·δ ma la luminosità percepita dall’occhio umano non è L·δ come si potrebbe pensare, ma risulta superiore (e comunque inferiore a L). Questo accade perché la luce del LED persiste nella retina dell’osservatore per un certo tempo anche dopo che il LED si è spento. Agli effetti pratici con il multiplexing si ottiene un miglioramento

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dell’intensità (fino a 1,5 volte) a parità di potenza media ceduta dalla sorgente di alimentazione.

Tipicamente nel caso di pilotaggio in multiplexing i gruppi di LED hanno la caratteristica di avere un terminale in comune, che può essere l’anodo o il catodo. Un esempio è quello riportato nella figura 10, dove viene mostrato un dispositivo commerciale costituito da una matrice di LED 8 x 8 con colonne a catodo comune.

Sia nel caso di pilotaggio statico che in multiplexing, i LED possono essere alimentati per mezzo di generatori di corrente costante, oppure attraverso un generatore di tensione con relativa resistenza limitatrice.

Il pilotaggio dei LED a corrente costante presenta alcuni vantaggi rispetto all’utilizzo dell’altro metodo; questo è dovuto principalmente al fatto che la luminosità del LED dipende direttamente dalla corrente in polarizzazione diretta che lo attraversa: con un generatore di corrente è possibile infatti eliminare la dipendenza dell’intensità luminosa nei confronti delle variazioni della tensione di alimentazione del sistema e della tensione di polarizzazione diretta del diodo (si ricordi che la caratteristica Vf-If risulta

molto dispersiva anche per LED dello stesso tipo).

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Il pilotaggio con generatore di tensione risulta generalmente più economico, ma causa differenze relative consistenti nella corrente dei vari LED. Un modo per ridurre l’effetto della dispersione della caratteristica Vf-If è quello di utilizzare una tensione di

alimentazione molto maggiore rispetto alla caduta sul diodo. Ovviamente questo non è spesso possibile, soprattutto quando l’utilizzo avviene in dispositivi portatili, e inoltre comporta una maggiore perdita di energia.

Per applicazioni nelle quali sono presenti un gran numero di LED e dove lo spazio nel circuito stampato costituisce una priorità, non è da sottovalutare neppure l’occupazione di area che comporta l’uso di un resistore per ogni LED.

L’impiego di generatori di corrente a discapito dell’uso di resistenze limitatrici si rende quasi indispensabile qualora vengano utilizzati LED bianchi (ed in generale tutti i LED costituiti da InGaN). Infatti essi, rispetto ai classici LED gialli, verdi e rossi, subiscono sensibili variazioni nel colore al variare della corrente che li attraversa. Questo è dovuto fondamentalmente al materiale di base con cui è costituito il LED blu che ne fa parte, ovvero InGaN: tale LED, infatti, cambia colore in seguito a variazioni della corrente diretta e questo a sua volta influisce sulla lunghezza d’onda della radiazione emessa dal fosforo.

1.7.6 Circuiti integrati per il pilotaggio dei LED

Dato il grande interesse per i LED, esistono in commercio moltissimi circuiti integrati appositamente studiati per il loro pilotaggio4. In generale possiamo considerare 4 categorie di driver:

• Decoder/driver per display a 7 segmenti e driver per display a matrice di punti. • Controller/driver per display a 7 segmenti o a matrice di punti.

• Driver di interfaccia con funzione di buffer di corrente. • Driver per il settore dell’illuminazione.

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Tra i decoder/driver per display a 7 segmenti ricordiamo i classici IC della famiglia 54/74 come il ’46, ’47, ’48, ’49. Essi rappresentano dei decoder BCD a 7 segmenti ad anodo comune (’46, ’47) e a catodo comune (’48, ’49) : il controllo della corrente che scorre attraverso i LED avviene per mezzo di resistenze limitatrici. Possono essere utilizzati sia per pilotaggio statico che in multiplex. Della serie 4000B possiamo citare invece l’IC 4511. Anch’esso funge sia da decoder che da pilota, ma nello stadio di uscita sono presenti dei latch per la memorizzazione degli ingressi. Sempre relativamente ai decoder/driver per display a 7 segmenti citiamo anche l’IC CA3161 che svolge funzioni simili ai dispositivi di cui sopra, con la differenza che il pilotaggio dei LED viene effettuato attraverso generatori di corrente costante. Tutti i dispositivi passati in rassegna permettono il controllo della luminosità.

Per la gestione di display multi-digit a 7 segmenti o a matrice di punti, sono presenti una grande varietà di IC. Particolarmente noti sono l’M5450 e l’M5451, che possono pilotare in corrente costante rispettivamente 34 e 35 LED e i cui dati vengono introdotti in modo seriale. Inoltre si può citare l’M5486 simile ai precedenti ma con possibilità di pilotare 33 LED ; oltre a presentare un ingresso seriale dei dati questo dispositivo dispone anche di un’uscita seriale degli stessi che dà la possibilità di operare in cascata. A questa categoria appartiene anche il driver utilizzato nel prototipo oggetto di studio: parliamo di un IC della Sgs-Thomson siglato STP16C596. Esso è costituito da uno shift register a 16 bit con ingresso seriale e uscita parallela; è compatibile con l’interfaccia SPI e dotato di segnali di latch e output enable. Inoltre permette la connessione in cascata e la regolazione della corrente d’uscita avviene attraverso un resistore esterno. Nei capitoli successivi verrà fornita una descrizione accurata della struttura interna e del suo funzionamento.

Gli IC di tipo controller/driver devono generalmente essere interfacciati con un altro controller. Dispongono di una RAM ed alcuni hanno integrato un decoder ASCII, come ad esempio l’ICM7243 della Intersil, con il quale è possibile gestire fino a 16 LED. Inoltre possiamo ricordare il MAX7219 e il MAX7221 della Maxim che possono pilotare display a 7 segmenti fino ad 8 digit con interfaccia seriale. Sempre della Maxim si possono evidenziare il MAX6952 usato per gestire fino a 4 display a matrice 5x7 con interfaccia compatibile SPI e il MAX6953 simile al precedente ma con interfaccia I²C. Altri IC di questo genere degni di nota sono della Texas Instruments: tra questi il

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TLC5921 presenta 16 uscite alimentate a corrente costante (fino ad 80 mA di corrente di sink); il TLC5920, per display a matrice 16x8, presenta 16 pin di uscita ed 8 pin per le linee a comune; il TLC5904 permette di controllare la luminosità dei singoli LED attraverso l’uso di una codifica Gray ad 8 bit e presenta anche interfaccia seriale, protezione termica e rileva eventuali disconnessioni o guasti nelle uscite.

I driver usati come buffer di solito non sono studiati appositamente per il pilotaggio dei LED ma trovano spesso applicazione in questo campo. Per fare alcuni esempi possiamo citare gli ULN2001/2/3/4, prodotti dalla ST, che costituiscono array di 7 transistor darlington con capacità di assorbire 500mA continuativi per ogni uscita; a seconda del modello possono accettare in ingresso segnali con logica TTL/CMOS/PMOS/DTL. Inoltre possono essere posti in parallelo per incrementare la corrente d’uscita. L’ULN2064 presenta 4 uscite ognuna delle quali riesce a fornire ben 1,5A. Addirittura il TD62708 della Toshiba, fornisce 8 uscite con corrente massima di 1,8A. Per ultimo possiamo citare l’UCN5891, della Allegro Microsystems che ha 8 uscite con corrente max di 500mA e che ha integrato uno shift register per ricevere i dati in ingresso in forma seriale.

Relativamente ai dispositivi studiati per il pilotaggio di LED nel settore dell’illuminazione, il mercato si trova attualmente in pieno sviluppo. Possiamo distinguere principalmente due diverse sottocategorie: quella che riguarda l’illuminazione di ambienti esterni o interni e quella che trova impiego in dispositivi di varia natura, tipicamente portatili.

Per la prima applicazione esistono circuiti integrati di vario tipo e caratteristiche. Generalmente sono costituiti da controller PWM (alcuni dei quali accettano la tensione di rete senza bisogno di trasformatori), permettono di controllare la luminosità delle stringhe di LED ad esso collegate e forniscono una corrente costante regolabile. Un esempio di questo tipo di circuiti integrati è l’HV9931 della Supertex inc. Esso è un controller PWM a frequenza fissa che permette di pilotare a corrente costante anche un singolo LED a partire da una sorgente di alimentazione alternata di 85-264 V senza necessità di un trasformatore; consente inoltre il controllo della luminosità, agendo su

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un ingresso PWM, e della corrente per mezzo di resistori esterni. A titolo di esempio in figura 11 5 ne viene illustrato lo schema tipico di funzionamento.

Appartenenti alla seconda applicazione possiamo trovare un gran numero di circuiti integrati adatti a ogni esigenza. Anch’essi sono tipicamente dei controller PWM con regolazione della corrente che possono essere caratterizzati da una topologia di tipo buck, boost o buck/boost a seconda delle necessità. Inoltre possono pilotare LED con una connessione serie o parallela. Per fare alcuni esempi possiamo citare il MAX1570, che può alimentare fino a 5 LED bianchi con una singola cella agli ioni di litio, e il MAX1561, che è un controller step-up che consente il collegamento in serie fino a 6 LED bianchi a partire da una tensione di alimentazione compresa tra 2.6 V e 5.5 V.

Figura 11 – Circuito tipico per il controller HV9931.

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1.7.7 Applicazioni attuali e future dei LED

Oltre alle tradizionali applicazioni dei LED quali indicatori nelle strumentazioni e piccoli display per visualizzazione numerica o alfanumerica, grazie al recente sviluppo di LED ad altissima efficienza e luminosità e all’introduzione di LED di vari colori, si è aperto un ampio ventaglio di applicazioni che fino a qualche anno fa risultavano impensabili. Sono disponibili LED (anche smd) di un solo colore, bi-colore e tri-colore con i quali è stato possibile realizzare insegne luminose da interno e da esterno, monocromatiche e a colori, nonché display giganti (e non) per applicazioni video, retroilluminazioni di display LCD di vari colori, ecc.

I grandi vantaggi dei LED rispetto ad alcuni sistemi tradizionali, hanno portato quindi al loro utilizzo ad esempio come insegne stradali fisse e di emergenza, insegne pubblicitarie, display full-color da interno e da esterno. Inoltre negli ultimi due o tre anni anche il settore dei mezzi di trasporto è stato rivoluzionato: si vedono sempre più spesso automobili e motocicli nei quali i LED hanno preso posto alle lampade ad incandescenza ad esempio nelle luci posteriori. Oltre ad eliminare la necessità di lenti e riflettori parabolici, il faro a LED ha una durata superiore alla vita del veicolo.

Il mercato dei dispositivi di illuminazione sarà senza dubbio il campo in cui i LED porteranno una maggiore rivoluzione, proponendosi come sostituti delle lampade ad incandescenza e al neon. Infatti nelle lampade tradizionali la maggior parte dell’energia viene spesa in calore e nell’emissione nel campo dell’infrarosso, mentre nei LED l’efficienza risulta notevolmente superiore. Inoltre, essendo la luce emessa da un LED quasi monocromatica, non c’è alcuna emissione nel campo dell’infrarosso e dell’ultravioletto. Questo aspetto ne favorisce l’impiego in tutti quegli ambienti ove l’emissione ultravioletta e/o infrarossa è particolarmente dannosa: un esempio tipico è quello dell’illuminazione di un’opera d’arte in un museo. È noto che l’azione di queste radiazioni causa un deterioramento delle opere d’arte, causando ad esempio lo scolorimento dei pigmenti di un quadro. L’adozione di lampade a LED a dispetto delle lampade ad incandescenza permette invece di preservare meglio l’opera d’arte e quindi anche di ridurne gli interventi di restauro.

La durata per i LED è in media almeno 10 - 20 volte maggiore rispetto a quella delle lampade ad incandescenza: questo consente di affrontare una minore spesa in termini di

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manutenzione. Basti pensare all’enorme vantaggio che comporta l’utilizzo di lampade semaforiche a LED in sostituzione delle lampade ad incandescenza: un consumo nettamente inferiore (anche dell’80%), una durata almeno 10 volte superiore, una minore manutenzione (non c’è bisogno di alcuna parabola, quindi non è necessaria la manutenzione su di essa), e una migliore visibilità in condizioni atmosferiche avverse.

L’illuminazione a LED risulta sicura grazie all’alimentazione in bassa tensione, facilmente regolabile in intensità (ad esempio con tecnica PWM). Altri fattori di forza del LED rispetto ad altre sorgenti di illuminazione sono la sua robustezza, e la possibilità di generare giochi di luce in ambienti interni o esterni con relativa semplicità. Nella figure 12 e 13 vengono riportati alcuni modelli commerciali di lampade LED per illuminazione di ambienti e per utilizzo nel settore dei trasporti.

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Figura

Figura 1 - Struttura semplificata di un tubo a raggi catodici.
Figura 2 - Struttura funzionale di un TN LCD rispettivamente in assenza e in presenza di polarizzazione
Figura 3 – Struttura di un display con tecnologia NanoChromics.
Figura 4 - Schema di principio di un PDP.
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