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Gli svizzeri in Italia

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Academic year: 2021

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Gli svizzeri in Italia

Parlando dello stabilimento Crastan, della vita del suo fondatore e dei suoi discendenti, che lo hanno guidato fin dal 1870, è opportuno fare un breve accenno ai più noti tra gli imprenditori svizzeri che sono emigrati in Italia, in cerca di fortuna o per sviluppare attività già avviate in patria, stringendo tra i due paesi un’amicizia molto profonda, non soltanto per ragioni economiche.

La vicinanza della Svizzera all’Italia aveva da sempre favorito spostamenti tra i due paesi1. Questi scambi si fecero più intensi con l’inizio dell’800, e soprattutto con i primi sviluppi della grande industria e l’ampliamento di relazioni commerciali ormai secolari2. Già nel XVII - XVIII sec. si erano formate alcune piccole colonie di svizzeri nell’Italia settentrionale, costituite principalmente da artisti e artigiani occupati nel settore vetrario, in quello tessile e nel campo delle costruzioni.

Numerosissimi pittori, scultori, scrittori e filosofi svizzeri, stabilitisi in Italia in quel periodo, hanno dato il loro contributo all’arte e alla

cultura italiana, ed europea, diventandone protagonisti, come

Borromini o Maderno, Rousseau o Burkhardt.

Un settore particolare, che avrebbe riscosso molto successo anche nei secoli successivi, era quello alimentare, legato alla produzione pasticcera.

All’inizio del XVII sec., molti di questi pasticceri svizzeri si trovavano a Venezia, dove ottenevano il permesso di soggiorno e

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M. De Lucia, Economia e società della Svizzera nell’età dell’industrializzazione, Edizioni Scientifiche Italiane- Napoli 1983.

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l’autorizzazione per esercitare la professione solo se accettavano di aggiungersi ai rematori della flotta di guerra della Repubblica Veneta in caso di necessità.

Tra questi, tanti erano i Grigionesi, provenienti dall’omonimo cantone svizzero, patria anche di Luzio Crastan, che si occupavano anche della vendita di acquavite, e avevano il monopolio del mercato del ghiaccio da tavola. Pasticceri Grigionesi erano attivi anche a Genova3.

Quando, durante l’impero napoleonico, fu proclamato il regno d’Italia molti furono gli elvetici che giunsero a Milano, a servizio del viceré Eugenio di Beauharnais, alcuni anche con cariche di prestigio. Un ruolo particolare per l’incremento dell’emigrazione dalla Svizzera verso l’Italia, lo ebbe il cantiniere di Sua Altezza Imperiale, Jean Guerìn, che aveva l’abitudine di trovare lavoro nella città lombarda a molti giovani compatrioti4.

Una volta caduto l’impero napoleonico, la Lombardia tornò sotto il dominio dell’Austria e molti svizzeri, che rimasero nella regione che li aveva accolti, condivisero con il popolo italiano le gioie e i dolori del Risorgimento.

Tra l’Italia e la Svizzera si era creato un forte legame, tanto che molti patrioti italiani trovarono asilo oltralpe.

Indiscutibile simbolo di questo rapporto è la “Tipografia Elvetica” che si trovava nel piccolo villaggio di Capolago, nel distretto di Mendrisio, non lontano da Como, in cui venivano stampati fogli e opuscoli da introdurre di contrabbando in Italia. Il governo di Vienna chiese al governo svizzero la chiusura della tipografia e l’espulsione dei rifugiati italiani. Dalla semplice richiesta passò presto alla

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mobilitazione e alle minacce di invasione del paese5. Nel 1851 le Autorità federali emanarono una circolare federale in cui si revocava il diritto d’asilo ai rifugiati politici, e la tipografia fu chiusa nel 1853. La tensione politica e l’espulsione di molti ticinesi dalla Lombardia spinse molti svizzeri a spostarsi dalle valli meridionali verso l’Italia. Ulteriore esempio della complicità tra i due paesi è il fatto che truppe svizzere furono arruolate da Daniele Manin in difesa della neonata Repubblica di San Marco quando, nel 1848, fu attaccata dagli austriaci.

Dopo numerose lotte e battaglie, finalmente l’Italia, ormai

indipendente dagli austriaci e riunita sotto uno stesso re, poté proclamare il tanto atteso Regno d’Italia.

L’entusiasmo dell’unificazione e il desiderio di rinnovamento si fecero sentire nella vita sociale e finanziaria, ma la ripresa economica non fu così rapida come si sperava. L’Italia rimase ancora piuttosto distante dal processo di industrializzazione che ormai aveva investito tutta l’Europa. Gli italiani avevano ancora un’economia basata

prevalentemente sull’agricoltura, che non riusciva ad aprirsi

completamente all’industria.

Con l’annessione del Veneto, 1866, e di Roma, nel 1870, l’unità della

nazione era completata. Lo sviluppo economico beneficiò

dell’abolizione dei confini interni al regno, possibile causa di problemi politici dannosi per l’economia..

Con l’unità d’Italia si intensificò la presenza di imprenditori stranieri, qui stabilitisi già dall’inizio del XIX sec., sempre più decisi a

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espandere i loro affari nel nuovo regno, anche approfittando dell’arretratezza tecnica e organizzativa dei concorrenti italiani.

Gli emigranti svizzeri, insieme ai tedeschi e ai francesi, giunsero in Italia con l’intenzione di impiantarvi l’industria che mancava.

I primi consolati svizzeri si stabilirono, non a caso, nei maggiori porti, dove i commerci e gli affari trovavano ambiente ideale: Genova (1799), Trieste (1803), Livorno (1809), Napoli (1812).

Il commercio era il motore principale della migrazione svizzera, tanto

che il console era chiamato “Commissario per le relazioni

commerciali”6.

L’industria tessile era stata la prima a svilupparsi, nei primi anni dell’800, grazie alla lunga tradizione e al legame con l’agricoltura, ma erano pochi gli italiani che rischiavano con grossi investimenti nel settore.

Numerosi imprenditori, giunti dall’Europa settentrionale, sfruttarono la situazione e concentrarono i loro capitali e le loro energie sul mercato italiano, facendo opera di pionieri.

Un elemento di forza degli opifici svizzeri in Italia era costituito dalla disponibilità che avevano, rispetto alle manifatture locali, di forti capitali, grazie ai quali superarono indenni i periodi di crisi.

I maggiori investimenti furono fatti nel nord, soprattutto in

Lombardia, dove industriali svizzeri svilupparono il commercio dei tessuti e la lavorazione della seta, anche grazie alla protezione doganale che favoriva l’industria tessile. Le tariffe del 1878 e del 1887 fecero calare le importazioni e aumentare vertiginosamente le esportazioni.

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Nel 1880, Milano era il massimo centro europeo per il commercio delle sete gregge e ritorte, ed è in questo periodo che giunsero in Italia la maggior parte dei tessitori, degli imprenditori, e commercianti svizzeri, con l’intenzione di sviluppare le aziende che avevano in patria o costruirne di nuove7.

L’introduzione dell’energia elettrica dette un’ulteriore spinta all’industria, e a tutta la vita economica. Nel 1883 Milano poteva vantare la prima centrale elettrica d’Europa per la distribuzione di energia ai privati.

Gli investimenti elvetici non si limitarono soltanto alle zone del nord Italia, ma raggiunsero anche il meridione, avviando una prosperosa industria cotoniera.

La proprietà e la gestione dei numerosi stabilimenti tessili del sud Italia rimasero in mano ai fondatori e ai loro eredi fino all’inizio del XX sec.

Nel secondo decennio del ‘900 alcune di queste società si fusero con altre italiane, di Napoli, dando vita alle “Manifatture Cotoniere Meridionali”, mentre gli stabilimenti svizzeri rimanenti formarono nel 1916 una società anonima con il nome “Cotonifici riuniti di Salerno”. Nel 1918 tutte le azioni di quest’ultima società andarono in mano alla Banca Italiana di Sconto, che riunì tutti gli stabilimenti tessili

meridionali in una unica società, “Manifatture Cotoniere

Meridionali”, prendendo il nome dall’altro gruppo inglobato.

Con la nazionalizzazione delle aziende, i dirigenti e gli impiegati svizzeri abbandonarono il loro lavoro, lasciando il posto ai nuovi assunti italiani.

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Senza dubbio l’ottocento fu il secolo della grande migrazione: moltissimi svizzeri lasciarono la loro patria per raggiungere l’Italia. Insieme agli imprenditori e agli operai giunsero anche numerosi commercianti.

Molti furono, inoltre, coloro che dettero vita a una proficua attività bancaria, necessaria allo sviluppo dell’industria e degli scambi commerciali.

Fu di uno svizzero, L. Maraini, il primo tentativo di sviluppare in Italia l’industria saccarifera (1886), che si sarebbe rivelata una produzione di grande successo. Già Cavour, nel 1863, ne aveva parlato ad alcuni banchieri svizzeri, sapendo di poter contare sui loro capitali, ma nessuno aveva tentato l’investimento.

Alcuni imprenditori svizzeri si rivolsero anche al settore meccanico: l’Elvetia, lo stabilimento più grande e più antico della Lombardia, produceva macchine agricole e idrauliche, caldaie da locomotiva e macchine ferroviarie.

La presenza elvetica si intensificò anche a Firenze, dove molti giungevano per ampliare le loro aziende che lavoravano la paglia, con ottimi risultati anche in patria.

Sempre a Firenze si trovava A. Carisch, che fondò la prima fabbrica di esplosivi in Italia.

Parlando della Toscana, è utile per la nostra ricerca accennare alla colonia di Livorno, in cui ebbe un ruolo da protagonista Luzio Crastan, fondatore della omonima ditta pontederese.

Agli inizi del XIX sec. il porto toscano era il più importante del Tirreno, per i suoi traffici commerciali con il vicino Oriente, l’Olanda

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totale del commercio dei prodotti coloniali, per questo nel corso dell’800 si svilupparono, in tutta la Toscana, numerose drogherie e pasticcerie gestite da svizzeri, che, come consuetudine, cercavano i loro dipendenti nella madrepatria.

Sono numerosi gli svizzeri che hanno dato una forte spinta all’economia toscana. Alcuni di questi hanno lasciato ricordo di sé, come S. A. Richard, che impiantò a Torino una fabbrica di maioliche e che nel 1876 fuse la sua azienda con la Manifattura dei Marchesi Ginori di Firenze, andando incontro ad un enorme successo con la Richard-Ginori. Possiamo ricordare anche R. A. Bruggisser che fu uno dei fondatori della “Banca di Piccolo Credito Toscano”, oggi “Banca Toscana”.

Importante per l’espansione dell’economia elvetica fu, senza dubbio, il grande progresso industriale che si verificò in Svizzera nella seconda metà dell’800, e il balzo della nazione in una posizione di avanguardia rispetto agli altri paesi europei. Ci furono miglioramenti in tutti i settori, dalla tessitura alla lavorazione del cuoio, fino alla trasformazione dei prodotti agricoli, base per l’industria alimentare. Questo sviluppo economico fu sicuramente sostenuto dalle nuove conoscenze tecnologiche, ampiamente sfruttate, tanto che la Svizzera

poteva vantare un’indipendenza totale dall’importazione di

macchinari, grazie alla fiorente industria meccanica in continuo perfezionamento, legata soprattutto alla costruzione di macchinari industriali8.

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Con la fine del XIX sec. nelle comunità svizzere aumentò la presenza di commercianti e impiegati, che sostituirono gli artisti, gli industriali, i manovali e gli artigiani, i primi a emigrare in Italia.

Dopo la crisi economica della fine dell’800, aggravata dalla rottura dei rapporti commerciali con la Francia, causa di una maggior apertura verso i mercati tedeschi, svizzeri e austriaci, e la successiva ripresa delle relazioni economiche, l’Italia visse un periodo di massima espansione economica, che durò fino all’inizio della prima guerra mondiale.

Crebbero le industrie meccaniche e siderurgiche, quella cotoniera e serica, l’industria della gomma, gli zuccherifici e le fabbriche di concimi chimici, mentre l’elettricità si diffondeva per tutto il paese azionando macchinari sempre più moderni.

In questa fase di incremento dei commerci con l’estero, molti svizzeri trovarono impiego anche nelle aziende italiane, nelle quali in genere si occupavano del settore estero e delle esportazioni, favoriti dalle loro conoscenze linguistiche.

I sempre più numerosi traffici commerciali con i paesi d’oltralpe determinarono anche un maggior spostamento delle persone: molti erano gli svizzeri che si stabilivano in Italia, ma altrettanti erano gli italiani che emigravano verso la Svizzera.

Fondamentale per gli scambi tra i due paesi fu l’apertura della nuova via di comunicazione attraverso il Sempione nel 1906.

Con l’inizio della I guerra mondiale la vicinanza tra italiani e svizzeri si fece ancora più forte, e nel dopoguerra molti furono quelli che tornarono o vennero in Italia spinti dalla ripresa economica

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Nel 1919 fu costituita la Camera di Commercio Svizzera in Italia, a cui presero parte non solo imprenditori svizzeri, ma anche Italiani, interessati ai fiorenti scambi tra le due nazioni.9

Come abbiamo visto la presenza di questi imprenditori è stata molto importante per lo sviluppo dell’economia e dell’industrializzazione italiana. La loro presenza attiva in Italia gli ha permesso di integrarsi profondamente nella società che li ha ospitati e che ha beneficiato della loro attività.

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