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Una nuova prospettiva per il processo contumaciale - Judicium

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Academic year: 2022

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EDUARDO CAMPESE -ANTONIO SCARPA - FULVIO TRONCONE

Una nuova prospettiva per il processo contumaciale

Le Sezioni unite della Suprema Corte, con la sentenza n. 585 depositata il 14 gennaio 2014, hanno composto il contrasto insorto in seno alla giurisprudenza di legittimità in ordine alla riconoscibilità in capo alla parte rimasta contumace della legittimazione a richiedere ed ottenere l’equa riparazione per durata non ragionevole del processo.

Il supremo giudice di nomofilachia ha inteso dare ragione all’orientamento che, partendo dal riconoscimento al contumace della qualità di parte del giudizio, giungeva alla conclusione per cui il solo fatto di aver esercitato legittimamente la scelta di non costituirsi per un determinato periodo non fosse ragione sufficiente per negargli il diritto alla riparazione con riguardo a quel periodo.

Tanto più che, in tale lettura, la contumacia del convenuto non appare di per sé costituire comportamento idoneo a produrre un ritardo nella definizione del processo, oltretutto pari a tutto il tempo in cui la stessa si è protratta.1

L’orientamento opposto, peraltro coevo a quello sopra esposto, era nel senso che non potesse essere, invece, attribuita la qualità di parte a chi ha scelto, consapevolmente, di non costituirsi nel giudizio e, quindi, sostanzialmente, di disinteressarsi dello stesso, dimostrandosi, in linea potenziale, incurante degli effetti di una possibile decisione negativa nei suoi confronti (ed insensibile ai tempi di svolgimento del processo, che, peraltro, non di rado, pur rimanendo posizionato solo "alla finestra", auspica che si protraggano oltre quella che dovrebbe essere la loro fisiologica durata)2. In particolare, a sostegno della tesi della non risarcibilità si ponevano affermazioni secondo cui chi scegliesse di non partecipare al giudizio necessariamente non subirebbe quel patema d'animo determinata dal protrarsi irragionevole dei tempi del giudizio.

Il contumace, cioè, veniva descritto come un soggetto indifferente al contenuto della decisione e a cui, anzi, il prolungamento dei tempi del processo avrebbe finito per giovare.

Le Sezioni Unite, come anticipato, hanno, invece, concluso che la contumacia, quale legittimo comportamento processuale, non integri di per sé motivo per escludere senz’altro il diritto all’equa

1 Cass. 14 dicembre 2012, n. 23153; Cass. 10 luglio 2009, n. 16284; Cass. 10 novembre 2011, n. 27091; Cass., ord., 12 ottobre 2007, n. 21508. Cass. 21 febbraio 2013, n. 4387, ha ribadito in via di principio che la parte contumace ha interesse alla definizione del giudizio in tempi ragionevoli ed è quindi, legittimata ad avanzare domanda di equa riparazione; quel che è invece ostativo alla corresponsione del danno non patrimoniale è la mancata conoscenza della pendenza del giudizio (nella specie, per un vizio della notifica dell'atto introduttivo), poiché il presupposto dei patimenti correlati alla durata non ragionevole di qualsiasi giudizio deve dirsi costituito appunto dalla conoscenza della sua pendenza”.

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riparazione per la violazione del principio della ragionevole durata, potendo bensì influire sul relativo quantum. D’altro canto, si è, in ultima analisi, sostenuto che negare al contumace il diritto all’equa riparazione per irragionevole durata del giudizio significa escludere che esso sia sottoposto all’egida del comb. disp. artt. 6, 13 Cedu, 111 secondo comma Cost., ossia contestare in radice che egli sia titolare del diritto al giusto processo.

Vero è che, così opinando, le Sezioni Unite sono andate di contrario avviso rispetto a quanto espresso dalla Corte Edu 18 giugno 2013, pronunciata in relazione alla domanda presentata iure proprio da eredi dell’originaria parte costituita, ma a loro volta non costituitisi nel medesimo giudizio, secondo cui la qualità di erede di una parte in un procedimento civile non conferisce automaticamente il diritto a considerarsi vittima della durata eccessiva del medesimo. In particolare, per quanto qui interessa, la Corte Edu osserva che l’interesse dell’erede alla conclusione rapida e favorevole di un procedimento si concilia difficilmente con la mancata costituzione nel medesimo, soprattutto quando, come nel caso di specie, gli eredi erano a conoscenza del procedimento e ne avevano in parte seguito gli sviluppi. Di modo che, solo attraverso l’intervento nel procedimento, l’avente diritto ha l’opportunità di partecipare pienamente e di influire, mediante la sua attività di parte del procedimento, sull’esito dello stesso.

Sotto diversa visuale, le considerazioni svolte dalla Corte regolatrice costituiscono, però, un ulteriore stimolo, in una prospettiva de iure condendo, ad un radicale ripensamento del processo contumaciale.

Oggi, infatti, l’interesse pubblico ad una celere definizione del processo riguarda non solo la parte costituita, ma anche quella rimasta contumace.

Ed è, allora, da ponderare se, in virtù della pacifica operatività nel diritto processuale vigente e vivente dei principi di autoresponsabilità della condotta processuale, di non contestazione, e di divieto di abuso degli strumenti processuali, non sussistano gli estremi per ricalibrare la disciplina vigente sul processo contumaciale al mutato assetto culturale e normativo.

Invero, il nostro ordinamento processualcivilistico, sin dalla codificazione del 1865, non riconnette tradizionalmente alla mancata costituzione in giudizio alcuna incidenza negativa sul diritto sostanziale .

In linea generale, di per sé, la qualità di parte nel processo civile, tutelata dai principi

costituzionali del contraddittorio e delle parità di condizioni, di cui all’art. 111, comma

secondo, Cost., si acquisisce, invero, mediante la sola proposizione della domanda o la

notifica nei propri confronti della avversa citazione, rimanendo ogni scelta attinente alla

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rispettiva difesa, ivi compresa quella di restare contumace e non difendersi, nel campo del principio dispositivo, il quale accorda ad ogni persona il diritto di autodeterminarsi.

Pertanto, della contumacia non potrebbe discutersi in termini di illiceità, né come fattore di perdita di potenzialità, in quanto, pur incidendo sullo svolgimento del giudizio, essa non ne pregiudica il raggiungimento dello scopo essenziale .

Un rilievo emblematico assume in argomento Corte cost. 12 ottobre 2007 n. 340, la quale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, con riferimento all’art. 76 Cost., l'art. 13, secondo comma, del d.lgs. 17 gennaio 2003 n. 5, nella parte in cui si stabiliva "in quest'ultimo caso i fatti affermati dall' attore, anche quando il convenuto abbia tardivamente notificato la comparsa di costituzione, si intendono non contestati e il tribunale decide sulla domanda in base alla concludenza di questa"3. Osservava la Corte che, mentre la legge di delegazione (art. 12, legge 3 ottobre 2001, n. 366) era finalizzata all'emanazione di norme che, senza modifiche della competenza per territorio o per materia, fossero dirette ad assicurare una più rapida ed efficace definizione di procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria nonché in materia bancaria e creditizia, in particolare prevedendo "la concentrazione del procedimento e la riduzione dei termini processuali", la disposizione censurata aveva dettato “una regola del processo contumaciale in contrasto con la tradizione del diritto processuale italiano, nel quale alla mancata o tardiva costituzione mai è stato attribuito il valore di confessione implicita, in tal modo risultando estranea alla riduzione dei termini processuali senza neanche essere conforme alla direttiva della concentrazione del procedimento, dovendosi escludere che la considerazione della "più rapida ed efficace definizione dei procedimenti", indicata come finalità della delega, la quale pure costituisce un utile criterio d'interpretazione sia della legge di delegazione, sia delle disposizioni delegate, possa sostituirsi alla valutazione dei principi e criteri direttivi, così come determinati dalla legge di delegazione”.

Concentricamente, dapprima la giurisprudenza della Suprema corte4, poi, lo stesso legislatore (con la legge 18 giugno 2009, n. 69), all’interno dell’art. 115 c.p.c., hanno escluso l’operatività del principio di non contestazione nei confronti delle parti contumaci.

3 Sentenza sulla quale cfr. B. Sassani e F. Auletta, L’illegittimità costituzionale per «contrasto con la tradizione»: in morte di una (buona) «regola del processo», in Riv. dir. proc., 2008, 519; degli stessi Aa. si v. anche Ansia da incostituzionalità e processo societario: ancora una discutibile applicazione di giustizia costituzionale, in Riv. dir.

proc., 2009, 203 (in nota a Corte cost., 28 marzo 2008, n. 71).

4 Cass., Sez. un, 23 gennaio 2002, n. 761; in precedenza, Cass. 16 ottobre 1984, n. 5210 (Rv. 436956); Cass. 6 febbraio

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In verità, la lettura abituale ravvisava nella contumacia volontaria una condotta di inattività unilaterale, insuscettibile di essere elevata a fonte di convincimento del giudice, ed anzi funzionante come “ficta litiscontestatio”, ovvero contestazione fittizia delle allegazioni dell’avversario.

La contumacia, si dice, costituisce un “comportamento asignificativo”. Ne deriva che rimangono immutati gli oneri probatori, come al solito ripartiti fra fatti costitutivi della pretesa attorea a carico dell’istante e fatti impeditivi od estintivi della medesima pretesa, che, invece, incombono sul convenuto; del pari è perfettamente applicabile la regola di giudizio dettata dall’art. 2697 c.c.;

ancora inalterate sono le scansioni processuali e le incombenze istruttorie che ricadono sulla parte costituita, come cennato normalmente l’attore, per comprovare il proprio assunto; ed infine non vi è alcuna agevolazione circa l’iter motivatorio che il giudicante deve seguire in sede di stesura del provvedimento finale, né vi sono novità riguardo ai modi della sua impugnabilità.

Per altro verso, può accadere anche che la contumacia non denoti, di per sé, la manifestazione di un disinteresse nei confronti del processo, ma può rivelarsi estrinsecazione di una vera e propria strategia difensiva. Può essere, ad esempio, che il convenuto, perfettamente consapevole della fondatezza della pretesa dell’attore, non volendo tuttavia adempiere, sfrutti i vantaggi della posizione di contumace per attendere il più lungamente possibile la conclusione del giudizio e l’emanazione della sentenza. Evitando di costituirsi, e perciò di adempiere all’onere di contestazione completa e tempestiva sui fatti di causa allegati dall’attore, mediante affermazioni difensive specifiche e non generiche, come vogliono gli artt. 167, comma primo, e 416, comma terzo, c.p.c., il convenuto contumace si sottrae alla necessità di collaborare, fin dalle prime battute, a circoscrivere la materia controversa, e così certamente non semplifica il thema probandum spettante all’avversario.

Ciò porta anche a sostenere che la contumacia non rappresenti, ex se, una mera inattività o un comportamento neutro, potendosi rivelare condotta processuale difensiva talvolta ancora più efficace della costituzione in giudizio e capace di incidere sul merito della controversia, alla luce dei diversi privilegi riservati al contumace rispetto alla parte costituita [si pensi alla decorrenza dei termini per il regolamento di competenza, alla inapplicabilità all’appellato contumace della presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c., alla disciplina in tema di disconoscimento di scritture di cui all’ultimo comma dell’art. 293 c.p.c., all’inoperatività dell’art. 257-bis c.p.c. sulla testimonianza scritta, che postula l’accordo delle parti, alla rigida applicabilità di tutte le scansioni procedimentali ex artt. 180 e 183 c.p.c., non potendosi, ad esempio, privare il convenuto non costituito delle attività difensive concesse nel comma 6° dell’art. 183 c.p.c., in quanto solo le facoltà indicate dal secondo e

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dal terzo comma dell’art. 167 c.p.c. suppongono la comparsa di risposta depositata nel termine di cui all’art. 166 c.p.c.5].

La dottrina6 ha, pertanto, da ultimo, preso a sottolineare come la contumacia, in quanto condotta violatrice dell’obbligo di collaborazione allo svolgimento della controversia imputabile alla parte, sia tale da riflettere possibili ricadute negative sul terreno della durata del processo, di cui in qualche modo si deve tener conto . La nuova visione “responsabilizzante” del contumace ha trovato talvolta credito anche in giurisprudenza: secondo Cass. 20 febbraio 2006, n. 3601, ad esempio, nel rito del lavoro, come in quello ordinario, se la contumacia del convenuto non equivale ad ammissione dell'esistenza dei fatti dedotti dall'attore a fondamento della propria domanda, e se a tal fine è ugualmente irrilevante la mancata comparizione personale della parte all'udienza fissata per l'interrogatorio libero, tuttavia tale condotta processuale costituisce elemento liberamente apprezzabile dallo stesso giudice ai fini della decisione.

Rappresenta un’isolata eccezione7 alla normale neutralità della contumacia il procedimento per convalida nel quale l’accertamento compiuto dal giudice adito è, in ogni caso, di carattere sommario;

dove la sommarietà non deriva dalla superficialità della cognizione (come nel caso dei procedimenti cautelari) o dall’eventualità del contraddittorio (come accade nel procedimento per ingiunzione), bensì dall’acquiescenza della controparte intimata che non compare o non si oppone8.

In tal caso, infatti, la mancata costituzione in giudizio di colui che sia stato regolarmente intimato assurge a rilievo di comportamento significativo, di sostanziale ammissione dell’assunto attoreo. In altri termini, si ritiene che l’acquiescenza della parte intimata, sia nella forma della mancata comparizione - che in quella della mancata opposizione - , vincoli il giudice a considerare come ammessi i soli fatti esposti nella citazione per convalida, pur rimanendo il medesimo, in base al principio iura novit curia libero di valutare le norme giuridiche da applicare alla fattispecie concreta

5 Si vedano peraltro Cass. 24 maggio 2000, n. 6808; Cass. 29 ottobre 2001, n. 13414 (Rv. 549917); in dottrina, A.

DIDONE, C’era una volta la contumacia: la Cassazione e la concessione del termine ex art. 180 c.p.c. al convenuto contumace; A. SALETTI, Contumacia e prima udienza di trattazione: ovvero del diritto alla lentezza del processo, entrambi in Giur. it., 2001, 7188 ss..

6 G. VIDIRI, La ragionevole durata del processo e la giurisprudenza delle sezioni unite: la circolarità tra oneri di allegazione, di contestazione e di prova, in Giust. civ., 2006, I, 345.

7 Al di là del nuovo testo dell’art. 548, primo comma, c.p.c., che, siccome novellato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, in vigore dal 1° gennaio 2013, così recita: “se il pignoramento riguarda i crediti di cui all'articolo 545, terzo e quarto comma, quando il terzo non compare all'udienza stabilita, il credito pignorato, nei termini indicati dal creditore, si considera non contestato ai fini del procedimento in corso e dell'esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione, e il giudice provvede a norma degli articoli 552 o 553”.

8 Così configurato il procedimento, la disciplina degli artt. 657 e ss. c.p.c., giustificata dalla specialità della materia e dalla peculiarità degli interessi da tutelare, e già passata indenne, nel suo complesso, al vaglio della Corte Costituzionale, segnatamente con riferimento ai parametri degli artt. 3 e 24, co. 2, Cost. (a parte l’ampliamento della sfera di operatività dell’art. 668 c.p.c. e la progressiva estensione all’ordinanza ex art. 663 c.p.c. dei mezzi di impugnazione previsti per le sentenze), appare compatibile, soprattutto dopo le modifiche apportate all’art. 660 c.p.c. dalla L. 534/95, anche con il

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sottoposta al suo esame. Si è al riguardo fatto cenno ad un’ammissione legale dei fatti affermati dall’intimante, il quale non è, quindi, tenuto a fornire alcuna prova, neanche per ciò che concerne la stessa esistenza del rapporto locativo dedotto in giudizio.

Ma tale eccezione non si limita al significato della condotta tenuta, bensì si estende anche alla forza sostanziale e processuale del provvedimento di convalida, così pronunciato. In particolare, l’ordinanza ex art. 663 c.p.c., una volta preclusa l’opposizione tardiva di cui all’art. 668 c.p.c., fa stato tra le parti (nonché fra i loro eredi ed aventi causa ex art. 2909 c.c.), con efficacia di cosa giudicata sostanziale, in ordine all’esistenza del rapporto locativo , alla qualità di locatore e di conduttore dei contendenti ed alla data di cessazione o risoluzione del rapporto locativo.

La disciplina della convalida di licenza o di sfratto appare, oggi, come un ingiustificato privilegio processuale concesso al locatore e si è, pertanto, diffusa l’opinione che essa possa essere, sia pure cum grano salis, generalizzata.

Non è superfluo qui richiamare quanto argutamente scriveva Chiovenda9, il quale segnalava come gli antichi processi10 fossero funzionali alla pacificazione sociale11 e che questa funzione non poteva compiersi se non colla presenza delle parti fra cui vi è discordia, ragion per cui in questi processi erano previste misure coercitive contro il convenuto contumace, quali immissione dell’attore nei suoi beni, bando, scomunica. L’Autore, pur prendendo atto che nei tempi moderni si è considerato possibile il processo unilaterale, ossia senza il concorso attivo del convenuto, al tempo stesso evidenzia come il diritto moderno possa permettere che, in contumacia d’una parte, sia abbiano per ammessi i fatti esposti dall’avversario, salvo ad assumerli o no come fondamento della condanna o dell’assoluzione. Lo Stato, infatti, osserva il Chiovenda, deve tendere alla definizione della lite per la via più rapida e col minimo possibile impiego di attività processuale, di modo che è ben possibile che quando la parte non fa uso del suo diritto di difesa, i fatti dichiarati dall’attore siano senz’altro considerati come ammessi, anziché affrontare la serie di attività necessarie per la loro prova.

E ciò, opina il Chiovenda, con una lucida preveggenza in relazione alla richiamata sentenza delle Sezioni Unite, non per punire il contumace, ma col solo scopo di liberare nel modo più sollecito sé stesso e la società dalla lite pendente.

9 G. CHIOVENDA, Principii di Diritto Processuale Civile, Napoli, 1965, 740 ss.

10 Il diritto romano, nel processo per formulas, equiparava la contumacia alla rinuncia alla difesa, per cui il convenuto contumace era condannato per la sua assenza.

11 Il processo era funzionale a che ne cives ad arma veniant, per cui il civis, che non collaborava al buon esito del processo cui era chiamato a partecipare, si assumeva le coerenti conseguenze alla violazione di siffatto dovere di partecipazione, espressione del necessario rispetto per le istituzioni statuali.

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Per tale ragione il Maestro condivide appieno il disposto di cui al secondo comma dell’art. 218 del codice di procedura civile del 1865, secondo cui, qualora la parte interrogata formalmente non comparisca o ricusi di rispondere, si hanno come ammessi i fatti dedotti, salvo che giustifichi un impedimento legittimo.

Tali insegnamenti si presentano oggi quanto mai attuali.

Sembra, infatti, un superato ossequio alla tradizione giuridica la ferma convinzione di non dare nessun rilievo alla condotta contumaciale, lasciando il processo in contumacia in tutto e per tutto assoggettato alla medesima disciplina che regola quello in cui tutte le parti si siano costituite.

Occorre allora procedere con la giusta prudenza, onde trovare un ragionevole punto di equilibrio fra le esigenze di tutela del principio di difesa e del contraddittorio e quelle di celerità del giudizio.

Si tratta, in altri termini, di abbandonare il criterio tradizionale- ereditato dalla tradizione francese - della contumacia come ficta litis-contestatio e ad accogliere l’inverso principio, proprio del processo tedesco ed austriaco, della contumacia come ficta confessio. Infatti, se una parte manifesta la propria indifferenza per l’esito del processo o, comunque, tiene una condotta in ogni caso non collaborativa per una più veloce definizione della controversia, venendo comunque tutelato dalla normativa in tema di durata irragionevole del processo, non vi è, oggi, nessuna assolutamente convincente ragione di costringere l’altra parte a sostenere un’istruttoria, che costa denaro ed allunga i tempi di quello specifico processo e di quelli che contemporaneamente pendono sul ruolo del magistrato.

All’uopo spunti interessanti possono essere tratti dal modello tedesco di processo contumaciale12. Ai sensi del § 330 ZPO, nel caso di mancata presentazione dell’attore all’udienza per la trattazione orale, il giudice, su istanza del convenuto, deve puramente e semplicemente rigettare la domanda.

Nel caso di mancata presentazione del convenuto il giudice, su istanza dell’attore, deve ritenere come riconosciuti dal convenuto i fatti oggetto della narrativa dell’atto di citazione. Se tanto basta all’accoglimento della domanda e non si pongono questioni rilevabili d’ufficio, il giudice deve accogliere quest’ultima (cfr. § 331 ZPO).

La relativa sentenza non dovrà contenere, di regola, né la narrazione dei fatti e lo svolgimento del processo (Tatbestand), né i motivi della decisione (Entscheidungsgründe): § 313b, primo comma, ZPO. I principi testé delineati valgono però solo per il procedimento orale, che, ai sensi del § 128 ZPO, costituisce la regola: esso appare incentrato sulla trattazione orale (mündliche Verhandlung) all’udienza fissata dal giudice; proprio in relazione a quest’ultima va valutata la comparizione o

12 G. OBERTO, I procedimenti semplificati ed accelerati nell’esperienza tedesca ed in quella inglese, in Corriere

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meno delle parti, con conseguente eventuale contumacia. Il Versäumnisurte non è invece ammissibile qualora il processo sia scritto. Ciò si verifica allorquando entrambe le parti concordano nel derogare alla regola dell’oralità, ovvero se il giudice lo ritiene opportuno, per cause di valore modesto (cfr. § 128 ZPO).

La sentenza contumaciale è, nel sistema tedesco, una pronunzia dotata, come tutte le altre, di provvisoria esecutorietà. Essa non è attaccabile né con appello, né con alcun mezzo di impugnazione straordinaria (§§ 513, primo comma, 566 ZPO). Esiste però uno speciale mezzo di gravame, denominato Einspruch (opposizione: cfr. §§ 338 ss. ZPO), che, per il fatto di investire il medesimo giudice che ha pronunziato la sentenza in contumacia, è privo di effetto devolutivo e non viene pertanto considerato un mezzo di impugnazione (si tratta piuttosto di un mezzo di gravame).

Se dichiarato ammissibile, esso determina la regressione del processo alla fase iniziale, precedente alla contumacia (§ 342 ZPO), con la conseguenza che, per esempio, un riconoscimento contenuto in un eventuale scritto anteriore all’udienza (perché depositato in un’eventuale fase preprocessuale denominata schriftliches Vorverfahren: cfr. § 272 cpv. ZPO) conserva efficacia. Quanto sopra vale solo per la sentenza contumaciale propria (echtes Versäumnisurteil), dal momento che, nel caso di sentenza contumaciale impropria (unechtes Versäumnisurteil), i rimedi sono quelli ordinari13. Inutile sottolineare sul punto la differenza rispetto al nostro sistema14, nel quale, come sopra esaminato, non solo la contumacia, ma neppure la mancata presentazione a rendere l’interrogatorio formale ritualmente deferito al contumace possono costituire motivo per ritenere provati i fatti dedotti dalla parte costituita, nonostante, come detto, la sua evidente volontà di disinteressarsi dell’esito del processo.

Ed appunto, possibili ipotesi di semplificazione del processo contumaciale potrebbero incentrarsi sulla seguente opzione normativa: nel caso di mancata costituzione, tale condotta processuale, unitamente alla mancata presentazione da parte del contumace a rendere l’interrogatorio formale dedotto nei suoi confronti (cui va parificato il caso, in

13 G. MUTARELLI, Sulle cause della irragionevole durata del processo civile e possibili misure di reductio a

“ragionevolezza”, in www. judicium.it, ricordano come anche in Inghilterra e in Galles – con un modello analogo a quello tedesco – nel caso di contumacia del convenuto, l’attore può ottenere una sentenza in proprio favore salvo la possibilità di revoca della sentenza contumaciale su richiesta del convenuto. Simile – tranne che su alcune materie – è la soluzione accolta anche in Scozia; così pure in Irlanda e Austria ove la disciplina processuale ricorda quella inglese. In Grecia, “la mancata comparizione del convenuto equivale a un sostanziale riconoscimento della pretesa, risolvendosi nell’emissione di una pronuncia a favore dell’attore, sempre che vi siano i presupposti processuali e sussista un titolo idoneo”, con limitata possibilità di riapertura del processo contumaciale nelle sole ipotesi di mancata regolare notificazione o forza maggiore.

14 Per i profili del processo contumaciale francese e tedesco si rinvia a D. D’ADAMO, Contributo allo studio della contumacia nel processo civile, Milano, 2012, 281 ss.

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cui il medesimo, compaia, ma si rifiuti di rispondere), comporta – necessariamente, come, peraltro, prevedeva l’art. 218 del c.p.c. 1865 – l’ammissione della veridicità dell’assunto attoreo (ad eccezione, ovviamente, che si versi in ipotesi di diritti indisponibili).

Sotto tale profilo, può sposarsi il modello tedesco per così dire cum judicio15, in quanto l’effetto della ficta confessio può essere ricollegato non già alla mera mancata costituzione a seguito di regolare notifica dell’atto introduttivo, ma anche alla mancata presentazione della parte a rispondere all’interrogatorio formale. In tal senso sarà possibile evitare una gestione strumentale e capziosa della tempistica di introduzione della lite da parte dell’attore, salvaguardando nei limiti ragionevoli la posizione del convenuto, la cui ficta confessio – si ribadisce - sarà tratta dalla condotta omissiva perseverata nel corso del processo, finanche dopo la notifica dell’ordinanza con cui è disposto l’interrogatorio formale.

Ovviamente, nel caso di processo soggettivamente complesso e, segnatamente, in ipotesi di litisconsorzio necessario, la mancata costituzione della parte e la mancata presenza in sede di interrogatorio formale non può ridondare in danno del litisconsorte costituito, il quale non può subire effetti pregiudizievoli dovute alle scelte processuali del proprio consorte in lite.

Diverso è il caso di litisconsorzio facoltativo, che, verosimilmente, attiene a rapporti scindibili, in cui la perseverante condotta contumaciale non necessariamente danneggia le altre parti in lite, di modo che non si ravvedono decisivi elementi contrari all’adozione del qui proposto corso processuale, previa separazione dei relativi rapporti processuali.

Allo stesso modo è a ritenersi che la contumacia costituisca elemento idoneo per non dare rilevanza alla obiettiva non conoscibilità delle circostanze oggetto di interrogatorio formale da parte del legale rappresentante dell’ente, persona o soggetto giuridico non costituitosi in giudizio.

Il quadro potrebbe trovare poi logica coerenza, laddove si attribuisca, in caso di procedimento contumaciale, il potere-dovere al giudice di disporre, anche d’ufficio e sin dalla prima udienza, l’interrogatorio formale del convenuto contumace ed, indi, in caso di sua mancata presentazione all’udienza all’uopo fissata per tale incombente processuale, il potere –dovere sempre del giudice di decidere la causa oralmente in udienza, anche se si tratti di causa rimessa alla competenza collegiale, col modello dell’art. 281 sexies c.p.c., prevedendo espressamente una motivazione assolutamente concisa, semmai strutturata sul modello francese del cd. attendu.

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Sarebbe, quindi, ingiustificata in relazione alla disciplina, già oggi prevista, per l’ordinanza per convalida di licenza o di sfratto, prevedere una qualche forma di impugnazione del provvedimento così redatto, il quale deve cadere more solito in cosa giudicata.

Unica forma di impugnazione immaginabile può essere, sempre sulla scorta del procedimento per convalida, quella dell’opposizione tardiva, da introdursi, innanzi al medesimo ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha pronunziato la sentenza contumaciale, entro un termine perentorio, ragionevolmente breve, decorrente dal primo atto di esecuzione instaurato a seguito della sentenza contumaciale o dal precetto, se a questo anteriore e, comunque, notificato non ex art. 143 c.p.c., con cui il contumace debba provare di non aver avuto tempestiva conoscenza del procedimento per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore.

Una differente opzione potrebbe essere quella di prevedere l’obbligo per il giudice - qualora il convenuto non si sia costituito malgrado la regolarità della notificazione, nei suoi confronti, dell’atto introduttivo del giudizio - di prosecuzione del processo nelle forme di cui all’art. 702 bis c.p.c.: in altri termini, un passaggio inverso (ma obbligato, e non meramente rimesso alla valutazione del giudice adito) a quello attualmente disciplinato dall’art. 702 ter, terzo comma, c.p.

c.. Ciò probabilmente consentirebbe, anche nelle ipotesi di processi consortili, uno sviluppo dell’iter procedimentale più snello e facilmente malleabile da parte del giudice stesso, il quale potrebbe procedere nel modo più opportuno agli atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto, altresì provvedendo, con ordinanza alla decisione della causa. Ad un siffatto provvedimento, poi, andrebbero ricollegati gli effetti di cui all’art. 2909 c. c. ove non impugnato, in un termine ragionevolmente contenuto, provando di non aver avuto tempestiva conoscenza del procedimento per irregolarità della notificazione del suo atto introduttivo o per caso fortuito o forza maggiore, ovvero di non essersi potuto costituire nel giudizio di primo grado per analoghe ragioni, pur avendo avuto rituale e tempestiva conoscenza del predetto suo atto introduttivo.

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