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La natura giuridica della custodia e la figura del custode giudiziario - Judicium

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M

ASSIMILIANA

B

ATTAGLIESE

La natura giuridica della custodia e la figura del custode giudiziario

Sommario- Premessa. -Inquadramento della custodia. La natura giuridica della custodia giudiziale del bene immobile. – Il contenuto della custodia giudiziale. –La custodia beni immobili. –L’ordine di liberazione. –La natura pubblicistica del custode. –Conclusioni.

Bibliografia: Mario Talamanca, “Custodia (diritto romano)”, in Enc. Dir., 11° Vol., MI 1962, p. 562 ss.; Giuseppe Luzzatto, “Custodia. Diritto romano”, in Noviss. Dig. It., 5° Vol. TO 1960, p. 93 ss.; Sergio Costa, “Custodia di beni sequestrati o pignorati”, in Enc. Dir., 11° Vol., MI 1962, p. 564 ss.; Stefano Riccio, “Custodia delle cose pignorate o sequestrate (violazione della), in Noviss. Dig. It., 5° Vol. TO 1960, p. 95 ss.; Giuseppe Franchi, “Consulente tecnico, custode e altri ausiliari del giudice”, in Commentario del codice di procedura civile,diretto da Enrico Allorio, 1° Vol., To 1973, p. 723 ss.; A. Bucci-A.M.Soldi, “Le nuove riforme del processo civile” , Cedam, 2006; Giampiero Barrasso, in “Il nuovo processo civile dopo le riforme del 2005 e del 2006” a cura di Giorgio Grasselli, Collana diretta da Paolo Cendon, Giuffrè, 2006, p. 205 ss.

PREMESSA

Il minimo comune denominatore di tutte le attività aventi ad oggetto la custodia, sia nel campo privatistico, sia in quello pubblicistico, è il contenuto di “una gestione di affari nell’interesse altrui con obbligo di rendiconto (tipico del mandato) e di riconsegna della cosa custodita (tipico del deposito)”.

Il detto contenuto emerge anche alla luce della riforma del codice di rito( L.2005 N. 80; L.2005 N.

63; L.2006 N. 52 ; L.2006 N.54 ) che ha tipizzato l’attività custodiale con espresso riferimento al custode dei beni immobili pignorati nelle procedure esecutive.

La figura giuridica della custodia è stata individuata in una elaborazione teorica relativa al soggetto che la esercita; elaborazione che ha risentito dell’influenza privatistica, in particolare, della dottrina degli anni trenta (Carnelutti, Ascarelli), che traeva argomentazioni sistematiche dall’esame del sequestro convenzionale, com’era inizialmente previsto nel codice del 1865 e dalla figura del sequestratario, collocato concettualmente ora come depositario ora come mandatario.

Il confronto sul piano dei due istituti derivava da un percorso quasi obbligato, segnato dall’art. 1800 c.c. sul sequestro convenzionale, poiché tale negozio giuridico richiama l’applicazione di entrambe le normative dettate con riferimento ai due istituti.

Infatti, il 1° co. dell’art. 1800 c.c. prevede che il sequestratario”per la custodia delle cose affidategli è soggetto alle norme del deposito” e il 3°co. della stessa norma precisa “quando la natura delle cose lo richiedono ha pure l’obbligo di amministrarle. In questo caso si applicano le norme del mandato”

Il sequestro convenzionale, descritto nell’art. 1798 c.c. è il contratto col quale due o più persone affidano a un terzo la cosa su cui vi è controversia perché la restituisca a chi spetterà al termine della controversia (su cosa mobile o immobile).

In realtà è l’ipotesi del sequestro giudiziario, peraltro largamente preferito nella pratica giuridica, dal quale si distingue per la fonte contrattuale

Successivamente, a partire dagli anni sessanta, si è andata affermando una concezione pubblicistica del rapporto di custodia, questa volta prendendo spunto dalla collocazione del custode fra gli organi giudiziari nella categoria degli ausiliari di giustizia.

Il soggetto custode, infatti, è descritto nella legge processuale.

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E’ nel codice di procedura civile che si individua la figura del custode dove negli artt. 65, 66 e 67 si rinviene il contenuto dei relativi doveri, diritti e responsabilità. E’ la dottrina processualcivilistica, e la giurisprudenza di merito e di legittimità che si è formata su tali norme, che hanno elaborato il soggetto custode nella sua configurazione giuridica.

Negli artt. 559 e 560 c.p.c. si rinviene l’ulteriore contenuto della custodia quando ha per oggetto beni immobili, con una tipizzazione della funzione del custode.

INQUADRAMENTO DELLA CUSTODIA

Non vi è una norma nell’ordinamento giuridico che ci descrive la custodia.

Infatti essa non è un rapporto giuridico autonomo, riconosciuto nell’ordinamento e schematizzato in una autonoma figura contrattuale, salva la tipizzazione nel campo pubblicistico, in particolare alla luce della l.80/2005 e successive modifiche, dell’attività del custode giudiziario.

Sotto questo profilo, la custodia è rimasta inalterata dal diritto romano, poichè non è dato trovare un rapporto obbligatorio dove si risponda soltanto di “custodia” ma essa costituisce un effetto tipico di alcune fattispecie obbligatorie.

In particolare nelle fonti romane era solo un criterio, prima soggettivo poi addirittura oggettivo (il debitore rispondeva anche in caso di furto), di determinazione della responsabilità del debitore per l’inadempimento dell’obbligazione; si ha poi la trasformazione dalla custodia alla diligentia in custodiendo come passaggio dalla responsabilità assoluta a una graduazione di responsabilità soggettive.

Cosi permane nell’ordinamento giuridico vigente: la custodia è l’effetto naturale di taluni negozi giuridici, tipici, espressamente disciplinati dalla normativa che regola il singolo negozio.

Così è prevista nell’usufrutto (art. 1004 c.c.) come onere insieme alle spese, all’amministrazione e manutenzione ordinaria della cosa, a carico dell’usufruttuario; nel comodato (art. 1804 c.c.) in cui il comodatario è tenuto a custodire e conservare la cosa con la diligenza del buon padre di famiglia;

nel servizio bancario delle cassette di sicurezza (art. 1839 c.c.) dove la banca risponde per l’idoneità e la custodia dei locali (e per l’integrità della cassetta, salvo il caso fortuito); nel pegno (art. 2790 c.c.) il creditore è tenuto a custodire la cosa ricevuta in pegno e risponde, secondo le regole generali, della perdita e del deterioramento; nell’immobile ipotecato (art. 2861 c.c.) per le ipotesi di rilascio dei beni ipotecati acquistati dal terzo acquirente, il quale se non decide di pagare i creditori iscritti può rilasciare i beni mediante una dichiarazione alla cancelleria (in questo caso il Tribunale provvede alla nomina di un “amministratore” ma è il terzo che è responsabile della custodia fino alla consegna all’amministratore).

Nel rapporto obbligatorio è previsto che l’obbligazione di consegnare una cosa determinata include per il debitore quella di custodirla fino alla consegna (art. 1177 c.c).

E’ poi contemplata nelle due figure giuridiche che hanno costituito il parametro concettuale di riferimento ai fini della collocazione sistematica del custode, se qualificabile come soggetto depositario o mandatario.

Infatti, nel deposito dove emerge l’obbligo di custodia come contenuto tipico del contratto (art.

1766 c.c. “il deposito è il contratto col quale una parte riceve dall’altra una cosa mobile con l’obbligo di custodirla e di restituirla in natura”) sono dettati gli obblighi che incombono sul depositario-custode, il quale non può servirsi della cosa depositata né darla in deposito ad altri, senza il consenso del depositante. Se circostanze urgenti lo richiedono può esercitare la custodia in modo diverso da quanto convenuto dandone avviso al depositante appena è possibile (art. 1770c.c.).

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Il depositario deve restituire la cosa appena il depositante la richiede, salvo che sia stato pattuito un termine in favore del depositario e può chiedere in qualunque tempo che il depositante riprenda la cosa, salvo il termine in favore del depositante (art.1771 c.c.).

Poi, nel mandato (art.1718 c.c.), il mandatario deve provvedere alla custodia delle cose che gli sono state spedite per conto del mandante e tutelare i diritti di quest’ultimo di fronte al vettore, se le cose presentano segni di deterioramento o sono giunte con ritardo. Se vi è urgenza può procedere alla vendita delle cose a norma dell’art. 1515 c.c.

Si deve osservare che la custodia si assume in sostanza come un obbligo connesso alla relazione di fatto che si instaura con la cosa, infatti l’ultimo comma dell’art. 1718 c.c.. prevede che le disposizioni si applicano anche se il mandatario non accetta l’incarico, sempre che l’incarico rientri nell’attività professionale del mandatario.

Infine, la custodia è un obbligo connesso alla consegna della cosa al sequestratario, nel sequestro convenzionale. Ivi, emerge la duplicità delle posizioni obbligatorie per effetto del richiamo specifico agli istituti del deposito e del mandato. Così, l’art. 1800 c.c. dispone che il sequestratario per la custodia delle cose affidategli è soggetto alle norme del deposito. Ma quando la natura delle cose lo richiedono ha pure l’obbligo di amministrarle. In questo caso si applicano le norme del mandato. La norma detta altresì le ipotesi che ricalcano gli adempimenti del custode giudiziario: se vi è imminente pericolo di perdita o di grave deterioramento delle cose mobili affidategli, il sequestratario può alienarle, dandone pronta notizia agli interessati; è prevista la possibilità per il sequestratario di dare in locazione il bene, contemplata come autorizzazione legale rispetto alla durata. Infatti, è disposto solo il divieto di locazioni per durata superiore a quella stabilita per le locazioni a tempo indeterminato.

L’ipotesi avente ad oggetto l’attività di gestione comprendente la locazione del bene è contemplata in senso contrario nel caso di custodia giudiziale di bene immobile.

Infatti, nell’art. 560 c.p.c. è fatto divieto di dare in locazione il bene senza autorizzazione del giudice dell’esecuzione.

LA NATURA GIURIDICA DELLA CUSTODIA GIUDIZIALE DEL BENE IMMOBILE

Orbene, nella custodia giudiziale si combinano gli effetti tipici di negozi giuridici diversi. In particolare l’effetto tipico del deposito , che è proprio la custodia in senso stretto, e l’effetto tipico del mandato, che è invece l’attività di gestione.

A) Come effetto del deposito, il contenuto dell’obbligazione tipica del custode-depositario, il custodire per restituire, si configura anche con riguardo a un bene di tipo diverso quale il bene immobile, quindi la funzione tipica prevista normativamente per il bene mobile si produce anche sul bene immobile.

L’obbligo di “conservazione”, inerente alla custodia, è espressamente indicato nell’art. 65 c.p.c., dettato con riferimento al custode giudiziario.

Il detto obbligo comporta il “mantenimento” del bene perché non venga sottratto, e nel caso di immobili alla sottrazione può essere equiparata la abusiva occupazione che può dar luogo allo spossessamento se l’occupazione è successiva, ad es. da un soggetto sine titulo. A tale ipotesi deve essere equiparata quella del soggetto che ha occupato l’immobile in virtù di un contratto stipulato successivamente al pignoramento, direttamente dal debitore senza autorizzazione.

B) Come effetto del mandato emerge l’attività di gestione.

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L’obbligo di “amministrazione”, in cui si estrinseca la gestione, è indicato nello stesso articolo 65 c.p.c.

Si pone, sotto questo profilo l’attività propria del mandatario: la gestione. Gestione conservativa e incrementativa del contenuto economico, diretta dunque, quest’ultima, alla fruttuosità del bene, affinché i frutti vengano restituiti alla consegna.

Deve essere precisato che l’attività in questione deve avere per oggetto atti di ordinaria amministrazione, che è poi il contenuto tipico del mandato: art.1708, 2° co.” Il mandato generale non comprende gli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione, se non sono indicati espressamente”-

L’atto che compie il custode nello svolgimento dell’attività gestoria deve, dunque, essere contenuto nei limiti dell’ordinaria amministrazione.

Invero, deve essere segnalato in particolare che il compimento dell’atto , se di ordinaria o di straordinaria amministrazione in assenza di autorizzazione – e salva l’eventuale ratifica- costituisce il discrimen tra il corretto operato del custode e l’operato non corretto.

Tuttavia, l’atto di straordinaria amministrazione non è invalido ma inopponibile a chi risultera’

proprietario del bene pignorato (Cass.1983 n.1175); inoltre può essere ratificato dal giudice quando ha caratteri di urgenza (Cass. 1967 n. 3026).

Dunque rientra tra i doveri propri del custode, in base ai quali può e deve agire anche senza autorizzazione, l’attività diretta ad assicurare la non distruzione; ad esempio a fronte del rischio di crollo il custode è tenuto a porre in essere le immediate attività di riparazione.

Del resto il principio che il presupposto dell’urgenza giustifica il compimento dell’atto su iniziativa del custode, anche senza preventiva autorizzazione del Giudice, emerge nell’ordinamento, per espressa previsione nelle norme sul deposito: art. 1170 “se circostanze urgenti lo richiedono può esercitare la custodia in modo diverso da quello convenuto, dandone notizia al depositante appena possibile”; e delle norme sul mandato: art. 1718 “il mandatario deve provvedere alla custodia delle cose che gli sono state spedite per conto del mandante e tutelare i diritti di quest’ultimo di fronte al vettore, se le cose presentano segni di deterioramento o sono giunte con ritardo”. Se vi è urgenza può procedere alla vendita delle cose a norma dell’art. 1515 c.c.

Guardando all’attività gestoria della custodia, il comportamento secondo le regole del mandato, impongono talora un’attività d’iniziativa.

Invero, l’art. 1708 c.c., espressamente indica che “il mandato comprende non solo gli atti per i quali è stato conferito, ma anche quelli che sono necessari al loro compimento”.

Nell’attività custodiale è espressamente imposto l’obbligo di rendiconto (art. 560 c.p.c.) che per il mandatario è espressamente previsto nell’art. 1713 c.c.

L’obbligo di rendiconto, previsto per l’amministrazione giudiziaria dall’art. 593, ha carattere generale, essendo connesso in ogni caso alla gestione del bene pignorato. Il custode, dunque, deve presentare il conto periodico della gestione e deve depositare le rendite nei modi stabiliti dal giudice ed infine depositare il conto finale.

In definitiva non si può negare che si combinano gli effetti del deposito- conservazione e riconsegna- e del mandato – gestione e rendiconto

Si deve affermare che la custodia giudiziaria è un negozio giuridico di natura processuale che si compone di elementi del deposito, seppure esteso all’immobile, ed elementi del mandato per l’attività di gestione.

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Un negozio giuridico di natura processuale avente il contenuto tipico dell’obbligazione del deposito e del mandato.

Il soggetto che esercita detta custodia, il custode giudiziario trova la fonte di legittimazione in un atto processuale e non nel contratto; l’atto di nomina è la fonte dell’investitura ed il soggetto nei cui confronti rende il conto della gestione è colui che l’ha nominato: il Giudice.

Il legislatore, in sostanza, ha descritto il negozio giuridico processuale della custodia non con riferimento agli elementi descrittivi e costitutivi del contratto ma , come ha fatto in alcuni casi, con riferimento ad una parte negoziale, descrivendo i compiti e le funzioni del custode, come ha fatto per la fideiussione in cui non è descritta la fideiussione come fattispecie ma una figura soggettiva, il fideiussore, avendo riguardo agli obblighi e ai diritti dello stesso fideiussore.

Nel capo XXII del libro quarto dedicato alle obbligazioni, il legislatore, pur dedicando il detto capo

“della fideiussione”, tuttavia non la qualifica ma all’art. 1936 c.c. ci dice “è fideiussore colui che, obbligandosi personalmente verso il creditore, garantisce l’adempimento di un’obbligazione altrui”.

IL CONTENUTO DELLA CUSTODIA GIUDIZIALE

Il contenuto del negozio giuridico custodiale è descritto negli articoli 65, 66 e 67 del codice di rito, come ambito generale dei diritti, doveri e responsabilità tipiche del custode giudiziario nonché negli articoli 559 e 560 dello stesso codice come ambito specifico dell’attività del custode immobiliare.

ART. 65, 1° co. c.p.c.

La conservazione e l’amministrazione dei beni pignorati (520, 521, 559,560 c.p.c.) o sequestrati (676 c.p.c.) sono affidati a un custode quando la legge non dispone altrimenti (e si deve intendere il riferimento ai titoli di credito, denaro e oggetti preziosi ex art. 520 c.p.c.: il denaro deve essere depositato nelle forme del deposito giudiziario dal cancelliere a cui è consegnato il denaro dall’ufficiale giudiziario; i titoli di credito e gli oggetti preziosi nei modi che il giudice dell’esecuzione determina; per gli altri beni mobili l’ufficiale giudiziario le affida a un custode diverso).

Il nuovo art. 559 c.p.c. ci dice quando il giudice dell’esecuzione immobiliare e’ tenuto a nominare un custode (v. infra).

L’attività che deve svolgere il custode in ottemperanza alla prescrizione normativa di conservazione e amministrazione si è già sopra vista.

Al riguardo si deve osservare che, rispetto al compimento di detta attività, il custode giudiziario si e’ affrancato da una qualificazione giuridica soggettiva di diritto privato per entrare nella sfera giuridica del soggetto che esercita un ufficio pubblico.

Si parla, infatti, in giurisprudenza di custode rappresentante di ufficio di patrimonio separato, costituente centro di imputazione di rapporti giuridici attivi e passivi (Cass. 2002 n. 10252) e quindi legittimato a stare in giudizio rispetto alle azioni relative alla funzione che svolge; di soggetto legittimato a stare in giudizio quando sorge controversia sulla conservazione a amministrazione dei beni, con esclusione delle controversie riguardanti il bene in sé, quali quelle che attengono alla proprietà o altri diritti reali o alla risoluzione del contratto di locazione per inadempimento (Cass.

2000 n. 7147).

Si è affermata la carenza di legittimazione ad agire in ordine alla opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi riguardanti provvedimenti emessi nella procedura in cui è stato nominato poiché egli è solo tenuto ad uniformarsi ai criteri e alle direttive fissate dal giudice per la conservazione e amministrazione dei beni (CASS 1974 n 381).

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. ART. 65 2 co. c.p.c.

IL compenso del custode è stabilito, con decreto, dal giudice dell’esecuzione , nel caso di nomina fatta dall’ufficiale giudiziario e in ogni altro caso dal Giudice che l’ha nominato.

Con riferimento al compenso del custode, vi è da considerare che detto diritto, costituisce l’unico diritto configurato in capo al custode, unitamente alla sostituzione, opportunamente fondata sui giusti motivi richiesti dall’art. 66, 2° c. c.p.c.

Fuori da queste due ipotesi il custode è soggetto destinatario solo di situazioni soggettive passive di obblighi e di soggezione.

Con riguardo al provvedimento di liquidazione, la Suprema Corte ha dichiarato che il provvedimento del compenso del custode emesso dopo l’entrata in vigore del D.P.R. 30.5.02 n. 115 (T.U. in materia di spese di giustizia) non può essere soggetto a ricorso per Cassazione, mancando il requisito della definitività del provvedimento (Cass. 2004 n. 7465) ed ha affermato, in base agli articoli 168 e 170 del detto T.U., che identificano il magistrato che provvede alla liquidazione con quello titolare del procedimento in cui le spese sono affrontate, la stessa corrispondenza in riferimento all’Ufficio competente a decidere sulle relative opposizioni, che ha qualificato aventi natura di vere e proprie impugnazioni incidentali.

Si deve evidenziare che i provvedimenti di liquidazione del compenso ai custodi, di cui all’art. 168 T.U., a differenza che dei provvedimenti di liquidazione previsti nei casi di ammissione al gratuito patrocinio,costituisce titolo esecutivo, rientrando altresì tra i provvedimenti che liquidano i compensi, di cui all’art. 53 disp. Att. C.p.c.

L’art. 21 della L. 52/2006 prevede che entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della legge, il Ministro di Giustizia con decreto provvederà a definire i compensi spettanti ai custodi dei beni pignorati nominati in sostituzione del debitore.

ART.66 Sostituzione del custode

Il Giudice, d’ufficio o su istanza di parte, può disporre in ogni tempo la sostituzione del custode.

Il custode che non ha diritto a compenso può chiedere in ogni tempo di essere sostituito;

altrimenti può chiederlo soltanto per giusti motivi.

Il provvedimento di sostituzione è dato, con ordinanza non impugnabile, dal giudice di cui all’art.

65, secondo comma.

Si configura, una volta accettato l’incarico, l’obbligo del custode di proseguirlo.

Con riferimento ai giusti motivi che possono fondare il diritto di sostituzione del custode, si deve ritenere che in detta ipotesi rientra la mancata corresponsione delle spese da parte del creditore procedente. Infatti, si deve affermare che la detta mancata corresponsione delle somme occorrenti per lo svolgimento dell’attività custodiale non possa mai giustificare la mancanza dell’operato posto a carico del custode. Si è, infatti, affermato che ove le spese non siano state anticipate dal creditore su provvedimento del giudice dell’esecuzione, o nell’ipotesi in cui il provvedimento non sia stato emesso, il custode che non si dimetta dovrà erogare in proprio le somme occorrenti e potrà chiederne il rimborso in sede di liquidazione ovvero potrà provvedervi con i redditi ricavati dal bene pignorato, previa autorizzazione del giudice (Cass. 1976 n. 2875)

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In effetti le spese di custodia ed il compenso al custode rientrano fra quelle concernenti gli atti necessari del processo, in quanto l’attività del custode è svolta nell’interesse superiore della giustizia e di quello comune delle parti. Pertanto, si tratta delle spese che, a norma dell’art. 90 c.p.c., devono essere anticipate dalla parte a carico della quale sono poste dalla legge o dal giudice

Per quanto concerne l’ordinanza di sostituzione del custode è priva di carattere decisorio e di efficacia definitiva essendo sempre suscettibile di revoca o modifica e pertanto non è impugnabile con ricorso in cassazione ex art.111 cost. (Cass 1992 n. 9968).

Si è, tuttavia precisato, che, sebbene il provvedimento di surroga del custode è sottratto ad ogni impugnazione, è fatto salvo il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi, tuttavia non per contestare l’opportunità del provvedimento ma solo il potere del giudice di emetterlo (Cass. 1982 n.

6154). Il problema si e’ posto in connessione al rapporto tra il custode dell’azione individuale e il curatore del fallimento e, nella sentenza appena citata, il giudice di legittimità ha sostenuto che permanendo le funzioni di custode in capo al curatore, questi non può essere sostituito dal giudice dell’esecuzione, perchè non diviene suo ausiliario.

Si tratta della fattispecie che viene in gioco quando nel fallimento vi è il creditore fondiario e viene iniziata o proseguita l’esecuzione individuale.

Successivamente, però, la Corte ha affermato che il potere di nominare e sostituire il custode dei beni pignorati spetta non al giudice delegato al fallimento ma al giudice dell’esecuzione immobiliare, il quale non è tenuto a conferire l’incarico al curatore poiché la legge prevede la possibilità della coesistenza delle due procedure e dunque l’esecuzione individuale è regolata dal codice di rito, con la conseguenza che resta fermo il provvedimento di nomina del custode, il quale, pur non impugnabile né revocabile, è suscettibile di modifiche per fatti sopravvenuti nel corso dell’esecuzione (Cass. 1994 n. 5352).

ART. 67 Responsabilità del custode

Ferme le disposizioni del codice penale, il custode che non esegue l’incarico assunto può essere condannato dal giudice a una pena pecuniaria non superiore a E 10

Egli è tenuto al risarcimento dei danni cagionati alle parti, se non esercita la custodia da buon padre di famiglia

Le ipotesi di responsabilità penale che interessano prevalentemente il custode si rinvengono negli artt. 334 e 335 c.p. -che si applicano anche per il soggetto che esercita la custodia su beni pignorati- ed hanno ad oggetto, rispettivamente, la “sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministrativa“ e la

“violazione colposa di doveri inerenti alla custodia di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale o dall’autorità amministrativa” .

Rileva, in particolare, anche il reato di cui all’art. 388 c.p. per la “mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice”, ove è espressamente previsto il comportamento del custode di una cosa sottoposta a pignoramento o a sequestro giudiziario o conservativo che indebitamente rifiuta, omette o ritarda un atto dell’ufficio.

Sotto il profilo della responsabilità civile, è stato affermato che si tratta di una responsabilità autonoma, diretta nei confronti delle parti, ove manchi ai sui doveri di conservazione della cosa. Il custode non è considerato dipendente di un terzo perché opera esclusivamente per conto del giudice al cui controllo è sottoposto (Cass. 1984 n. 6115).

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Risponde secondo i principi comuni anche verso i terzi per i danni, per aver male adempiuto alle sue funzioni o per aver ecceduto dalla sfere dei poteri a lui conferiti (Cass. 1963 n. 1958)

E’ stato anche affermato che il divieto di comprare stabilito nell’art. 1471 c.c. si applica acnhe per il custode. Infatti tale divieto colpisce tutti coloro che nell’esercizio della pubblica funzione prendono parte alla procedura espropriativa e quindi anche il custode perché, sebbene non espressamente menzionato è inquadrabile nella più ampia categoria descritta del n.2 della detta norma, essendo un soggetto al quale viene affidato l’esercizio di una funzione pubblica da svolgere quale longa manus del giudice.

L’ultimo comma dell’art. 67 c.p.c. individua la responsabilità risarcitoria del custode secondo la diligenza del buon padre di famiglia.

La diligenza del buon padre di famiglia, come richiesto per il debitore nell’adempimento dell’obbligazione in generale (art. 1176), è richiesta anche per il depositario (art. 1768 c.c.) e per il mandatario (art. 1710) ma, per tali soggetti, se l’incarico è gratuito la responsabilità per colpa è valutata con minor rigore.

La legge richiede per il custode giudiziario la diligenza del buon padre di famiglia, posto anche l’espresso diritto a compenso del custode terzo, che non sia il debitore esecutato (art. 599 c.p.c.).

La previsione del criterio di valutazione della responsabilità secondo la diligenza del buon padre di famiglia non deve ritenersi priva di risvolti giuridici.

Infatti, nell’adempimento dell’obbligazione il principio è la diligenza del buon padre di famiglia ma se si tratta di obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercita (art. 1176 c.c.).

Il professionista, come ha precisato anche la giurisprudenza, risponde anche di colpa lieve. Il professionista nell’adempimento della sua obbligazione deve osservare l’obbligo di diligenza che deve adeguarsi alla natura dell’attività esercitata ma, nelle ipotesi di prestazioni professionali di speciale difficoltà, il professionista risponde solo di colpa grave oltre che di dolo.

Orbene, è significativo che il custode, sotto tale profilo, dalla norma che ne descrive la responsabilità, non è equiparato al professionista ma espressamente è tenuto al risarcimento del danno secondo la responsabilità generale nell’adempimento, rispondendo con la diligenza del buon padre di famiglia, che è l’agire secondo la normale prevedibilità dell’uomo medio o, secondo altra giurisprudenza, addirittura del cittadino modello (Cass. 1951 n. 49).

Ciò in realtà deve far pensare che il legislatore non ha mai configurato il custode come professionista autonomo e ne risulta riconfermato il ruolo pubblicistico, in cui, sebbene non vincolato da rapporto di dipendenza, tuttavia è collocato nell’ambito di un rapporto gestorio nell’interesse altrui ed in una posizione di soggezione ad una parte del rapporto che e’ il giudice che l’ha nominato.

La diligenza del buon padre di famiglia richiamata per il custode significa che per tale soggetto non dovrebbe venire in considerazione un’ipotesi di attenuazione della responsabilità prevista per il prestatore d’opera nell’art. 2236 che risponde, nei casi di prestazione che implichi soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, solo per dolo o colpa grave. Vale a dire la colpa che si valuta come mancanza di livello minimo di cultura e di esperienza per l’esercizio della professione (come nel caso dell’errore grossolano). Ciò significa che, per le questioni di speciale difficoltà, se sono rispettate tali regole minime non si risponde per il danno arrecato: perciò si dice “colpa grave”, grave perché mancante del minimo richiesto per l’attività che si deve svolgere.

E’ invece lieve la colpa che richiede la normale diligenza, cioè attenzione; prudenza, cioè il non agire dove le regole cautelari lo sconsigliano; perizia, osservando le leges artis.

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LA CUSTODIA DEI BENI IMMOBILI

Negli articoli 559 e 560 c.p.c. si specifica l’ulteriore contenuto della custodia quando ha per oggetto beni immobili, con una tipizzazione della figura e della funzione del custode

ART. 559 custodia dei beni pignorati

Col pignoramento il debitore è costituito custode dei beni pignorati e di tutti gli accessori comprese le pertinenze e i frutti senza diritto a compenso.

Su istanza del creditore pignorante o di un creditore intervenuto il giudice dell’esecuzione, sentito il debitore, può nominare custode una persona diversa dallo stesso debitore.

Il legislatore delle esecuzioni immobiliari ci ha detto quando il giudice dell’esecuzione deve nominare il custode giudiziario, come ipotesi che non lasciano margine alla discrezionalità del magistrato:

A)- quando l’immobile non è occupato dal debitore;

B)- in caso di inosservanza degli obblighi incombenti sul custode, che con riguardo al debitore sono: 1) l’autorizzazione ad abitare l’immobile (espressamente prevista come obbligo del debitore nella vecchie formulazione dell’art. 560, non riproposta ma indirettamente si evince dalla previsione secondo cui il giudice dell’esecuzione dispone l’ordine di liberazione se non ritiene di autorizzare il debitore ad abitare l’immobile), 2) il mancato deposito del rendiconto di cui all’art. 593 c.p.c., 3) si deve ritenere che causa di sostituzione del debitore o di altro custode sia anche la locazione dell’immobile in assenza di autorizzazione del giudice dell’esecuzione;

C)- in ogni caso in cui pronuncia l’ordinanza di vendita o di delega alla vendita, quando in quel momento custode è ancora il debitore salvo che in rapporto alla particolare natura del bene ritenga che la sostituzione non abbia utilità.

La mancanza di utilità della custodia giudiziale si deve ravvisare in fattispecie in cui il bene pignorato non pone alcun vantaggio di gestione per la procedura esecutiva e nessuna esigenza di conservazione del bene. Si pensi all’ipotesi in cui è pignorata la metà della nuda proprietà; un decimo dell’usufrutto e così via.

ART. 560 modo della custodia

Il debitore e il terzo nominato custode debbono rendere il conto a norma dell’art. 593.

Si è già sopra detto del contenuto dell’obbligo del rendiconto.

Ad essi è fatto divieto di dare in locazione l’immobile pignorato se non sono autorizzati dal giudice dell’esecuzione.

Deve ritenersi che l’inottemperanza rientri tra le ipotesi che l’art 559 contempla a presupposto della sostituzione del custode, ex lege, il debitore, o giudiziario, per inosservanza degli obblighi su di lui incombenti.

Il giudice dell’esecuzione dispone, con provvedimento non impugnabile, la liberazione dell’immobile pignorato quando non ritiene di autorizzare il debitore a continuare ad abitare lo stesso, o parte dello stesso, ovvero quando revoca la detta autorizzazione se concessa in precedenza, ovvero quando provvede all’aggiudicazione o all’assegnazione dell’immobile

Il provvedimento costituisce titolo esecutivo per il rilascio ed è eseguito a cura del custode anche successivamente alla pronuncia del decreto di trasferimento nell’interesse dell’aggiudicatario o dell’assegnatario se questi non lo esentano

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Il giudice con l’ordinanza di cui al terzo comma dell’art. 569 (di vendita) stabilisce le modalità con cui il custode deve adoperarsi affinché gli interessati a presentare offerta di acquisto esaminino i beni in vendita. Il custode provvede in ogni caso, previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione, all’amministrazione e alla gestione dell’immobile pignorato ed esercita le azioni prevista dalla legge occorrenti a conseguirne la disponibilità

Emergono, dunque, i compiti tipici del custode ed il contenuto tipizzato della custodia dei beni sottoposti a esecuzione immobiliare

- a- l’attività di locazione previa autorizzazione

-b- in generale la conservazione e amministrazione, previa autorizzazione (che non esclude l’attività d’urgenza connessa alla conservazione soggetta a ratifica)

-c- la liberazione dell’immobile in esecuzione dell’ordine di liberazione -d- il conseguimento della disponibilità con tutte le occorrenti azioni -e- la visita dell’immobile con gli offerenti

L’ORDINE DI LIBERAZIONE

L’ordine di liberazione è previsto nel nuovo art. 560 c.p.c., introdotto dalla L. 80/2005 e successive modifiche ed integrazioni.

Si deve affermare che il giudice dell’esecuzione vi debba ricorrere nelle ipotesi espressamente indicate dal legislatore, vale a dire quando egli non autorizzi il debitore ad abitare l’immobile o revochi il provvedimento autorizzativo in precedenza concesso, ovvero in ogni caso di avvenuta aggiudicazione.

Tuttavia, a tale strumento il giudice dell’esecuzione deve poter ricorrere quando sia necessario per rendere agevole la consegna del bene al custode, nelle ipotesi di impossibilità ad accedere nell’immobile, quando, come accade nella pratica giudiziaria, nonostante la comunicazione che indica il giorno dell’accesso, con il relativo preavviso in cui si precisa che in caso di inottemperanza si provvederà a richiedere al giudice l’ordine di liberazione, e nonostante il custode si sia recato sul luogo, non abbia potuto accedere.

Allorché emerga che non sussistano cause di inopponibilità alla procedura della detenzione del terzo, l’ordine di liberazione potrebbe essere emesso per consentire il rilascio nei confronti del debitore o anche dell’occupante sine titulo.

Invero, in quest’ultimo caso, il provvedimento avrebbe sempre come destinatario il debitore e si produrrebbe in ogni caso nella sfera giuridica di quest’ultimo, con effetti nei confronti del terzo, in guisa che non appaiono tematiche di illegittimità del provvedimento che venga utilizzato nei confronti del terzo estraneo alla procedura.

Le cause di inopponibilità della detenzione e che impediscono il ricorso all’ordine di liberazione si devono ravvisare quando l’immobile è abitato da soggetti aventi diritto alla occupazione, quali:

1) i conduttori in forza di regolare contratto di locazione, anteriore al pignoramento e non scaduto successivamente alla trascrizione dell’atto di pignoramento, ovvero se scaduto ne sia stata autorizzata espressamente la rinnovazione da parte del giudice dell’esecuzione (secondo l’orientamento prevalente in giurisprudenza di legittimità e seguito dalla giurisprudenza di merito);

2) i titolari di diritti reali di godimento, ad esempio gli usufruttuari, quando il titolo costitutivo è stato trascritto prima del pignoramento;

3) il coniuge separato cui sia stata assegnata la casa coniugale per sentenza o provvedimento emesso in data anteriore alla l. 8 febbraio 2006 n. 54 nei limiti di nove anni dal provvedimento se non trascritto e oltre se trascritto;

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4) il coniuge separato cui sia stata assegnata la casa coniugale per sentenza o provvedimento in data successiva alla detta legge nella sola ipotesi in cui il relativo provvedimento sia stato trascritto in data anteriore alla trascrizione del pignoramento.

Se, dunque, può ammettersi il ricorso all’ordine di liberazione per consentire l’acquisizione del bene detenuto illegittimamente da un terzo, tuttavia non è opportuno che un tale ordine sia emesso e precostituito in favore del custode anche quando l’immobile è libero, utilizzando il detto provvedimento quale titolo giudiziale che legittimi la presa in consegna in capo alla custodia.

Infatti, si deve ritenere che, sotto tale profilo l’ordine deve rappresentare uno strumento residuale, da utilizzare, pertanto, per soddisfare l’esigenza di assumere il possesso anche materiale del bene, nei confronti di terzi non aventi titolo, pur in mancanza di una espressa previsione in tal senso, ma non si può ritenere che possa validamente essere emesso per superare la difficoltà materiale della consegna al custode.

Ciò si deve affermare per due ordini di ragioni.

In primo luogo perché l’immobile vuoto priva l’ordine del suo contenuto che ha per oggetto la liberazione, presupposto, ovviamente mancante se l’immobile è già libero.

In secondo luogo tale impedimento emerge anche dalla lettura sistematica della norma. Infatti, l’ultimo comma dell’art. 560 c.p.c. stabilisce che il custode esercita le azioni previste dalla legge e occorrenti per conseguirne la disponibilità.

E’ a questa norma, dunque, che risale il potere generale del custode all’apprensione del bene senza aver bisogno di ricorrere ad una specifica autorizzazione del giudice e tanto meno senza che il giudice debba emettere uno specifico ordine in relazione alla consegna del bene, potendo e dovendo il custode esercitare tutte le facoltà connesse al suo incarico per ottenerne la disponibilità.

LA NATURA PUBBLICISTICA DEL CUSTODE

Si e’ più sopra detto che a partire dagli anni sessanta in particolare si è andata affermando una concezione pubblicistica del rapporto di custodia, questa volta prendendo spunto dalla collocazione del custode fra gli organi giudiziari nella categoria degli ausiliari di giustizia., negli articoli 65, 66 e 67 del codice di rito.

E’ poi nel codice penale che si trae la collocazione del custode, se nell’ambito del pubblico ufficiale, art. 357 c.p., o nell’ambito dell’incaricato di pubblico servizio, art. 358 c.p.

L’articolo. 357 c.p. precisa che sono pubblici ufficiali, agli effetti della legge penale, coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. La norma poi ci dice quando la funzione amministrativa è pubblica, per distinguerla dal servizio pubblico, descritto nel successivo art. 358 c.p., precisando che è pubblica la funzione disciplinata da norme di diritto pubblico e da atti autoritativi e sottolinea il carattere della manifestazione della volontà della P.A.

per mezzo di poteri autoritativi o certificativi.

Già nella definizione della norma emerge che il custode debba poter essere inquadrato nella categoria del pubblico ufficiale e ciò sia in rapporto all’esercizio della funzione giudiziaria rispetto a cui si innesta il loro operare, sia se si qualifica l’attività come “amministrativa” per la indubbia espressione di poteri, nell’esercizio della custodia, autoritativi – si pensi alla diffida di consegna dell’immobile al debitore esecutato- e certificativi - si pensi al verbale di accesso e di sopralluogo, senz’altro per il loro valore probatorio che i detti documenti/atti assumono sia nel giudizio civile sia nel giudizio penale, al pari dei verbali ispettivi, ad es. degli ispettori della Banca d’Italia.

Il custode, dunque, è pubblico ufficiale

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- Lo è innanzi tutto perché tale riconoscimento in generale deriva dalla legge penale , dall’art. 357 c.p. per tutti i soggetti che concorrono a esercitare, e indipendentemente da formali investiture, poteri autoritativi e certificativi; senz’altro sono poteri autoritativi –tra cui rientrano i coercitivi- quelli esercitati dal custode, perché tali sono quei poteri che sono esplicazione di un potere pubblico nei confronti di un soggetto che viene a trovarsi su un piano non paritetico –di diritto privato- rispetto all’autorità che esercita tale potere (SS.UU. 1992).

Inoltre è pubblico ufficiale perché tale riconoscimento è stato dato dalla giurisprudenza di legittimità che ha esaminato il custode sotto diversi profili, nel sequestro o nelle esecuzioni. Così si è affermato che il custode esercita una “pubblica funzione” in quanto ausiliario del Giudice ed è tenuto a giustificare al giudice la sua funzione (Cass. 1974 n. 381) e che il custode è “pubblico ufficiale” non legato da alcun vincolo di dipendenza verso le parti ed assume in proprio gli obblighi e la responsabilità della giusitizia, della quale è un ausiliario (Cass. 1961 n.1318).

Emerge subito che la giurisprudenza inferisce la natura di pubblico ufficiale dal carattere primario di ausiliario del giudice. Completa è la descrizione del soggetto custode in Cass. 1963 n. 1958 secondo cui il custode più che rappresentante delle parti – la massima si cala bene al custode in generale anche se elaborata con riferimento al sequestro giudiziario- deve ritenersi un gestore autonomo, un ausiliario del giudice, dal quale direttamente ripete l’investitura e i poteri-doveri che attengono alla custodia: egli opera sotto la direzione ed il controllo del giudice ed è tenuto alla retta amministrazione tanto verso le parti o i terzi quanto rispetto all’autorità giudiziaria che gli ha conferito tale munus publicum.

La natura di pubblico ufficiale è stata ravvisata anche con riferimento al divieto di comprare di cui all’art. 1471 c.c.., essendo stato ricondotto il custode tra i soggetti di cui al numero 2) perché, sebbene non espressamente menzionato, è soggetto al quale viene affidato l’esercizio di una funzione pubblica da svolgere quale longa manus del giudice (Cass. 1985 già citata).

CONCLUSIONI

Si può concludere affermando che la configurazione dei poteri esercitati dal custode ne individua la qualifica e la qualifica consente di evincere il contenuto dei poteri ma sul piano degli obblighi e delle responsabilità vengono in applicazione i principi civilistici.

Ne risulta riconfermata anche la natura giuridica della custodia come di negozio giuridico processuale caratterizzato da un contenuto tipico con riguardo alle attività da compiersi in esecuzione del negozio, avente ad oggetto un’attività gestoria nell’interesse altrui, con parte negoziale nel giudice, quale soggetto che compie l’atto di nomina.

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