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Il collezionismo a Lucca: considerazioni generali

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Academic year: 2021

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Cap. 1 - Le quadrerie nei resoconti di viaggio e nella letteratura

guidistica locale

La conservazione degli Archivi Gentilizi e del fondo dei Pubblici Banditori ha reso possibile delineare un quadro d’insieme relativo all’esistenza di quadrerie e alla loro sistemazione all’interno dei palazzi più prestigiosi di Lucca prevalentemente in un arco di tempo tra il XVII e il XIX secolo. Nonostante la sua primaria importanza non dobbiamo considerare questi antichi documenti l’unica fonte di informazione ai fini del nostro oggetto di studio. Un apporto fondamentale proviene dai numerosi viaggiatori stranieri giunti in Italia in particolare nel Settecento allo scopo di conoscere e studiare le bellezze dei luoghi e dell’arte.

La questione è stata affrontata da Antonio Brilli che ha pubblicato alla fine del secolo scorso un libro dal titolo “Viaggiatori stranieri in terra di Lucca”, e di recente anche Maria Teresa Filieri si è occupata della questione con l’intento di delineare una panoramica delle testimonianze lasciate dai viaggiatori stranieri che hanno soggiornato a Lucca dal Cinquecento in poi. Questi ultimi ci hanno difatti lasciato dei veri e propri resoconti (diari) di viaggio dove inserivano annotazioni, curiosità e dettagliate descrizioni dei luoghi oggetto di visita.

Prima di analizzare i resoconti dei due principali viaggiatori stranieri che scelsero Lucca come una delle tappe del loro viaggio, rispettivamente il barone francese Montesquieu e il tedesco Georg Christoph Martini, ci soffermeremo brevemente sul modo in cui appariva Lucca agli occhi degli stranieri prima del secolo XVIII. Maria Teresa Filieri ha osservato che, nel Medioevo, le uniche testimonianze che ricordano la città di Lucca coincidono con “le scarne notazioni delle guide e dei libri di indulgenze utilizzati dai pellegrini di tutta Europa”, il cui interesse era quello di “segnalare i principali luoghi di culto utili a individuare le varie tappe del cammino”, tralasciando qualsiasi notizia che riguardasse il paesaggio o le caratteristiche della città.1

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Un atteggiamento che riscontriamo anche nei mercanti o nei diplomatici che venivano a Lucca per svolgere i propri affari o uffici, i quali avevano uno scarso interesse a descrivere i luoghi di passaggio o di soggiorno. Un diverso approccio, invece, è riscontrabile nei viaggiatori che dal Cinquecento in poi si muovono per la curiosità di conoscere, a cui va il merito di averci consegnato delle descrizioni dettagliate della città.2

È la città nella sua globalità che colpisce i visitatori, e se tutti sono concordi nel descrivere un centro attivo e ricco di iniziativa, non mancano notazioni su aspetti specifici riguardanti il contesto urbano.

A Lucca, nel Cinquecento, la cinta muraria subisce un significativo ampliamento, la Repubblica riorganizza i vari uffici, gli edifici pubblici, il Palazzo Pubblico in primo luogo, ma anche i magazzini, le prigioni, la Zecca. Contemporaneamente, i privati edificarono nuove residenze, trasformando Lucca in una città di palazzi. La trasformazione avviene all’insegna della salvaguardia del contesto urbano medievale, sul quale si interviene con rispetto e senza durezza: le chiese medievali vengono mantenute, poche sono quelle costruite nel Cinquecento (San Paolino e San Pier Maggiore, distrutta agli inizi dell’Ottocento).

La stessa sobrietà viene riservata anche alla residenza del governo cittadino, ed allo stesso modo i palazzi privati, sebbene edificati in gran numero, appaiono di dimensioni contenute e si impongono senza prepotenza, dal momento che nascono spesso dalla ristrutturazione di impianti preesistenti. Un esempio è il Palazzo Buonvisi, la più prestigiosa dimora privata realizzata nel Cinquecento, frutto di un intervento di accorpamento di due strutture distinte.

Oltre alla città anche il contesto suburbano e la campagna subiscono delle trasformazioni con la costruzione di ville che vanno a costituire un vero e proprio sistema, segnando il territorio attorno alle mura.3

2 Brilli 1996, p. 25. 3 Filieri 2009, pp. 143-144.

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Queste modifiche hanno apportato notevoli cambiamenti al tessuto urbano. Tuttavia non trovano grande eco nelle note dei viaggiatori, come dimostrano le memorie di viaggio dei due francesi Nicolas Audebert e Michel Eyquem de Montaigne che, nella seconda metà del Cinquecento, rispettivamente nel 1576 e nel 1581, soggiornano in città. Entrambi provano un ammirato stupore per l’imponenza delle mura che cingono l’abitato e ne potenziano la consistenza. L’identica considerazione, quasi la stessa sorpresa, si può cogliere nelle parole di Carlo V che notò: “questa città non è una piccola villa come mi era stata

disegnata ma egli è tanto forte che bisognerai molto tempo et forze quando di dentro fosse ben munita di gente e di vittuvaglie da espugnarla”.4

Audebert si sofferma a descrivere una città formata da strade belle e dritte, anche se strette e prive di portici, con una pavimentazione a larghe lastre di pietra, connotata dal rapporto con il fiume. La descrizione, veritiera, contrasta palesemente con la genericità con la quale si descrivono invece le architetture e i monumenti: i palazzi, tra i quali segnala soprattutto palazzo Buonvisi suggerendo che bisogna “assolutamente visitarlo”, secondo la sua testimonianza sarebbero rivestiti di marmo, un materiale che a Lucca non risulta essere stato impiegato a tale scopo.

Per quanto riguarda le chiese la confusione è ancora più sconcertante. Secondo Audebert accanto al Duomo sorgerebbe una chiesa dedicata alla Santa Croce dove è conservato il Volto Santo, una notazione che dimostra come non sia avvenuta una visione diretta.5

Nelle note di viaggio di Montaigne, che visita Lucca nel 1581, a prevalere sono le impressioni generali, se non generiche, sulla città rispetto alle descrizioni dei singoli aspetti.

4 Filieri 2009, p. 145. Cfr. Brilli 1996, p. 28.

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Secondo Maria Teresa Filieri si tratta di “un atteggiamento che si ritroverà un po’ in tutti i viaggiatori che seguirono le orme del filosofo, viaggiatori che diventeranno sempre più numerosi e cosmopoliti: ai francesi, si affiancheranno gli inglesi e i tedeschi e tutti contribuiranno, sia pure in toni ripetitivi, a divulgare l’immagine di una città gradevole e ben curata dove si vive piacevolmente”. 6

A dimostrazione di questo aspetto, è sufficiente scorrere il brano relativo alla città, compreso nel “Giornale del Viaggio in Italia”:

“Lucca, venti miglia. Città un terzo più piccola di Bordeaux, indipendente, tranne

che - per la sua debolezza – si è gettata sotto la protezione dell’Imperatore e di Casa d’Austria. È ben recinta e bastionata, ma con i fossati poco profondi, pieni d’erba verde, piatti e larghi al fondo, e vi scorre solo un rivoletto d’acqua. Torno torno alle mura, sul terrapieno interno, esistono due o tre filari di alberi appositamente piantati che dànno ombra, e - dicono – fascine di legna all’occorrenza; e all’esterno non appare se non un bosco che nasconde le case. Vi si mantiene sempre una guarnigione di trecento soldati stranieri. La città è assai popolata, specialmente di setaiuoli; strette le vie ma buone; grandi case e belle quasi dappertutto. Vi passa attraverso un piccolo canale derivato dal Serchio. Stanno costruendo un palazzo pubblico del valore di centotrentamila scudi che è ormai ben innanzi. Asseriscono d’aver soggette ventiseimila anime, senza la città, e hanno alcuni castelli, ma nessuna città nella loro giurisdizione. Qua, nobili e uomini d’arme sono tutti mercanti: i Buonvisi ne sono i più ricchi. Gli stranieri non possono entrare che da una porta dove si tiene un nutrito corpo di guardia. 7

6 Filieri 2009, p. 145.

7 Michel de Montaigne ha compiuto il viaggio in Italia tra il settembre 1580 e il novembre 1581, in compagnia del fratello, di tre altri gentiluomini suoi amici, e di un seguito di domestici, tra i quali doveva esserci il mai identificato segretario, a cui si deve la redazione di gran parte del Journal (forse un familiare di Montaigne, indubbiamente colto, che ha registrato fedelmente secondo le consegne ricevute). Montaigne visitò Lucca dal 5 al 7 maggio 1781 poi vi soggiornò nuovamente dal 27 luglio al 13 agosto dello stesso anno. Cfr. Montaigne (1580-1581) 1956, pp. 10-12.

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È la città sita nella miglior posizione che io abbia mai vista, è una delle più amene che abbia mai visto, circondata per due leghe da una magnifica pianura e poi da belle montagne e colline, dove i più hanno residenze estive. I vini sono mediocremente buoni; la vita [costa] venti soldi il giorno; le locande, secondo la norma del paese, abbastanza modeste. Da parecchi privati ho ricevuto un monte di cortesie, vino, frutta e offerte di danaro. Vi rimasi il venerdì e il sabato, ripartendone la domenica dopo pranzo, per gli altri, non per me che ero digiuno. I colli più vicini alla città sono assai fittamente cosparsi di gradevoli case; la più parte del tragitto si svolse per una strada bassa e abbastanza comoda fra le montagne quasi tutte molto ombrose e abitabili ovunque lungo il corso del Serchio”. 8

A Montaigne, che soggiornò per qualche tempo presso la dimora di Lodovico Penitesi, si deve una delle prime descrizioni della vita in palazzo:

“Essendo io quasi sforzato per le cortesissime offerte del Sig[nore] Ludovico

Pinitesi, presi in casa sua un appartamento terreno molto freso et assettato nobilmente, con cinque stanze, una sala, e cucina: e fui servito d’ogni sorte di mobili molto onoratamente e delicatamente, secondo l’uso Italiano, il quale in assai cose va non solamente a paragone, ma vince l’uso Francese. Sono alla verità un grandissimo ornamento alli edifici d’Italia le volte alte, belle e larghe. Rendono piacevoli ed onorate le entrate delle case, perché tutto il basso è edificato di così fatta struttura con le porte larghe et alte. Nella state i Gentiluomini Lucchesi mangiano al pubblico sotto questi aditi, alla vista di chiunque passa per strada”.9

8 Montaigne (1580-1581) 1956, pp. 224-225. 9 Ibidem, p. 272.

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Nelle note di viaggio, le mura sono sempre oggetto di ammirazione e vengono ricordate come luogo di passeggiate e non come struttura difensiva. Ne è un esempio la testimonianza del tedesco Joseph Furttenbach che, appassionato di architettura, visitando Lucca nel 1607, afferma: “In due ore si può cavalcare fino

a Lucca. Anche questa è una delle città fortificate da vedere in Italia. Essa è circondata da nuovi baluardi “alla moderna” ben progettati e ben murati e da altri bastioni che è un divertimento straordinario passeggiarci e andarci in carrozza, perché lassù è pieno di alberi come se si fosse in un bosco”.

In parallelo si intensificano le descrizioni della campagna circostante, vivace e popolata, dove si trovano le ville costruite dai più facoltosi cittadini. Un esempio è la testimonianza di François Maximilien Misson attorno al 1687: “Lucca si trova

al centro di una pianura fertile che misura dalle quindici alle venti miglia nelle varie direzioni. La pianura è delimitata da colline ricche e popolose”. Le notizie

riguardanti le chiese restano ancora scarse, accompagnate a volte da qualche considerazione ironica sulle peculiarità del culto cattolico. L’inglese Fynes Morison si limita ad apprezzare la pavimentazione in marmo della cattedrale definita «lussuosa» mentre si concentra sul fatto che la chiesa “è molto oscura,

come in genere sono le chiese cattoliche, perché i preti sostengono che il buio incrementa il senso religioso, e perché hanno così la scusa di far ardere le candele anche di giorno”. Diversa, invece, è la considerazione che viene riservata

alla cattedrale da un suo conterraneo, John Evelyn, che nel 1644 la definisce “incomparabile costruzione in marmo sia fuori che dentro e così ricca da poter

gareggiare con le più belle basiliche romane”; mostra poi di apprezzare la chiesa

di San Michele come “ottimo esempio di architettura”. Purtroppo la stessa attenzione non viene riservata agli oggetti d’arte della città che non vengono tenuti in considerazione. Un’anomalia se consideriamo la diffusione e l’importanza delle opere presenti nella città nel periodo in cui vengono realizzati questi diari di viaggio.10

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Diversa è la situazione che si presenta nel Settecento quando, grazie ai resoconti di viaggio del francese Montesquieu e del tedesco Georg Christoph Martini, si presta una particolare attenzione anche alle opere conservate in città.

Montesquieu soggiorna in Italia tra l’agosto del 1728 e il luglio 1729. Precisamente, fu a Lucca nel novembre del ‘28. Il brano che quest’ultimo dedica alla città è caratterizzato dalla presenza di notazioni sviluppate in diverse direzioni, di curiosità e acute osservazioni tipiche del viaggiatore settecentesco. Oltre le considerazioni di carattere sociale ed economico egli tratta esplicitamente di opere d’arte. La sua descrizione ci conduce all’interno dei palazzi che contengono ricche collezioni d’arte, evocate con ammirazione. Il barone francese descrive soprattutto quella di Alessandro Buonvisi della quale elenca i principali quadri: “uno di Raffaello, che rappresenta la Vergine e Gesù; uno di Annibale

Carracci, che è una Deposizione; uno del Barroccio, che è una Maddalena e il Cristo, Noli me tangere; inoltre un quadro del Guercino, Marsia scorticato, e altri”. L’altra è quella assai peculiare di Stefano Conti, uno dei più colti e avvertiti

collezionisti lucchesi, composta “tutta di pittori moderni”. Il suo interesse non si limita solamente alle collezioni private ma si volge anche agli arredi delle chiese, selezionando con notevole competenza i dipinti e le sculture più significativi del panorama artistico locale.11

Il filosofo e giurista francese ci offre un’osservazione diretta e attenta, che si differenzia dalle descrizioni generiche rilasciate dai molti dei precedenti viaggiatori. Tuttavia, il resoconto di Georg Christoph Martini noto come il “pittor Sassone” dalla sua terra d’origine, è da ritenersi il migliore in assoluto per l’analisi di tutti gli aspetti della civiltà lucchese, anche quelli artistici.

Il suo viaggio in Italia ha inizio nel 1722. Dopo varie soste nelle principali città meta del Grand Tour, arriva a Lucca nel 1727 dove rimane per quasi un ventennio trovando alloggio nel palazzo della famiglia Busdraghi. Durante il suo lungo soggiorno il Martini svolge la sua attività di pittore e dà lezioni di disegno, morendo nel 1746 dopo aver partecipato pienamente e dall’interno alla vita della città.

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Come riferisce Maria Teresa Filieri, “la cultura illuministica del Martini emerge con chiarezza dai suoi scritti, pieni d’annotazioni a vasto raggio, di scienza, economia, di politica, oltre che naturalmente di storia e di arte sempre corredati da preziosi schizzi e disegni. A lui, attento alle indicazioni de Il Forestiere informato

delle cose di Lucca che Vincenzo Marchiò aveva pubblicato pochi anni prima, si

deve una descrizione della città puntuale, sistematica, organizzata per tipologie”.12 Il suo itinerario comincia dalle mura di cui dimostra di conoscere le caratteristiche costruttive, e continua prendendo in considerazione i monumenti più importanti: in primo luogo l’anfiteatro a cui dedica un’ampia descrizione ed anche una raffigurazione; in secondo luogo le chiese di antica e di recente costruzione. Fornisce così attente e accurate descrizioni delle opere d’arte contenute al loro interno, identificando numerosi artisti stranieri che avevano lavorato a Lucca nel corso degli anni, dal Vasari a Francesco Vanni, a Pietro da Cortona, e i maggiori artisti locali, da Pietro Paolini a Giovanni Marracci. Nella descrizione della città trovano ampio spazio i palazzi che vengono analizzati nella loro tipologia. Il Martini è il primo tra i viaggiatori a ricordare le strutture medievali.

Volgendosi a considerare i palazzi lucchesi, manifesta una profonda attenzione per le peculiarità costruttive, per gli apparati decorativi, per l’arredo, per i dipinti che in essi erano conservati e per la vita che si svolge al loro interno. L’esame inizia dalla residenza degli Anziani della quale è fornita una vera e propria guida che parte dal cortile, per passare allo scalone, agli appartamenti residenziali degli Anziani e del Gonfaloniere, alla cappella descrivendo, sia pur sommariamente, arredi, decorazioni e dipinti.

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Filieri 2009, p. 148. Sull’attività del Martini a Lucca sono da ricordare la monografia di P. Betti,

Georg Christoph Martini, un artista viaggiatore nella Lucca del Settecento, Lucca 2013, pp. 1-48;

e il saggio di A. Ambrosini, Pittura tra Lucca, Pisa e Siena, in M. Gregori, R.P. Ciardi (a cura di),

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Si prosegue con le notazioni delle decorazioni parietali realizzate negli ambienti interni dei palazzi. Di Palazzo Mansi, oggi Museo Nazionale, ricorda la sala affrescata da Gian Gioseffo del Sole, un esempio pregevole di quadraturismo, e il ricco corredo di parati e arazzi fiamminghi; di palazzo Bernardini sottolinea le affinità con la residenza romana dei Farnese; del palazzo Controni la lunga fila di stanze notevoli dipinte a fresco; del palazzo Buonvisi al Giardino descrive con ammirazione le stanze affrescate dal Salimbeni.13

Tra i viaggiatori stranieri, il Martini è stato l’unico ad aver dedicato alcune pagine alla descrizione delle collezioni ospitate all’interno dei palazzi, illustrandone i criteri espositivi, e analizzandone con cura e competenza i singoli dipinti. Si susseguono infatti lunghi elenchi delle quadrerie che permettono di chiarire in parte come si fosse evoluto il mercato collezionistico di opere d’arte nella Repubblica di Lucca fino a quel periodo.

La prima collezione ad essere ricordata è quella della famiglia Buonvisi che doveva suscitare grande ammirazione sia sotto l’aspetto qualitativo che quantitativo:

“Tra le gallerie di Lucca si deve dare il primo posto a quella dei Buonvisi,

distribuita in una grande sala e quattro stanze. Nella sala vi sono grandi tele di autori diversi, la migliore delle quali è un trionfo di Galatea di Pietro Testa. Tra i diversi importanti pezzi delle altre stanze c’è Cristo nell’Orto, ovvero il così detto Noli me tangere di Federico Barocci; è il quadro di cui parla Bellori nella vita di questo pittore. I colori incomparabilmente freschi, la nobiltà dell’ideazione e l’aggraziata espressione, rendono questa pittura assai notevole. Peccato che il Barocci, in tutte le sue cose, usasse mettersi da un punto prospettico troppo alto e ravvicinato. Questo lavoro è alto circa 5 braccia e largo in proporzione.

La Madonna con Gesù Bambino è un buon originale di Raffaello. Un busto di S[an] Giovanni Battista fanciullo è un bellissimo originale del Correggio.

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Un’altra Madonna con Gesù Bambino è un piccolo lavoro di Leonardo da Vinci, le cui opere sono ormai rare, ed è dello stesso stile di quella sua Madonna che vidi a Roma in S[an] Onofrio alla Lungara. Un Cristo morto con angeli ed altre figure è di Annibale Carracci. Un S[an] Giovanni giovinetto nel deserto, che tiene una tazza per attingere l’acqua, è dipinto con forza e spontaneità da Michelangelo da Caravaggio. Seguono due piccole belle battaglie del Borgognone; Apollo che scortica Marsia ed una Samaritana sono del Guercino da Cento; un Filosofo dello Spagnoletto; una Maddalena di Guido Reni, un’ampia tela con Argo e Mercurius di Nicola Poussin. La Storia di Erminia che va dal pastore, tratta dal Tasso, è una gradevolissima opera di Giuseppe del Sole, e costa 500 Reichstaler. Due marine sono di Cornelio; Paolo che guarisce i malati, del Tintoretto. Infine nella Galleria ci sono molte altre pitture di Palma il Vecchio, di Carlo Lotti, di Pietro Testa e di altri maestri”.14

La descrizione prosegue con la collezione di palazzo Spada che il Martini ricorda essere composta da molti quadri:

“Anche il signor Giovan Battista Spada, fratello del Cardinale morto or non è

molto, possiede un bel numero di pitture, tra cui un mirabile lavoro di Guido Reni rappresentante Maria Maddalena che giace prona a terra con accanto un flagello; un quadro di Adriano Brouer, sconosciuto anche a Lazzaro Baldi che nella sua pur ricca Historica attribuisce a questo autore un solo dipinto. Vi sono pure bellissime cose del Tintoretto e di altri maestri. Ma io mi fermo specialmente in contemplazione davanti al ritratto del Cardinale Spada, da giovane, del Baciccia (che ha dipinto il soffitto della Chiesa del Gesù a Roma): lo ha rappresentato in maniera così compiuta, che a me piace più di un ritratto del Van Dyck”.

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Le dimensioni ridotte dei dipinti, invece, caratterizzano la collezione della famiglia Orsucci:

“Il Signor Orsucci, ha anch’esso riunito presso il palazzo Santini una bella

collezione, soprattutto di piccoli quadri, tra i quali sono pregevoli due storie: Mosè che conduce il popolo d’Israele attraverso il Mar Rosso, e Mosè che percuote la roccia, ambedue del francese Nicola Poussin. Il primo non è per niente inferiore ai famosi Sette Sacramenti che vidi a Roma. Adamo ed Eva, un quadro alto appena una settantina di centimetri, è una delle più belle cose che Rubens abbia dipinto. Vi si ammira anche una quantità di bei paesaggi del Poussin, di Salvator Rosa e di altri”.

Di fronte alla galleria di Scipione Lucchesini il Martini non sembra essere soddisfatto delle opere in essa contenute, ad eccezione di tre quadri del Coli: “Anche il signor Scipione Lucchesini ha una piccola galleria, ma non vi ho

trovato molto di notevole. Nella sala grande sono però appese tre grandi tele del rinomato pittore lucchese Coli, in una delle quali egli ha rappresentato con magistrale espressione e sicurezza il sacrificio di Ifigenia.

L’altra storia è quella della Sibilla Cumana che profetizza all’Imperatore Augusto la nascita di Cristo Signore da una vergine; questa appare tra le nuvole con Gesù Bambino in braccio, e la Sibilla la indica con la mano. Pure essendo evidente in questo lavoro l’anacronismo, si deve apprezzarne l’invenzione ricca di significato e la buona composizione.

La terza storia rappresenta Scipione Africano che restituisce al suo sposo la schiava prigioniera e generosamente respinge le ricchezze che gli sono offerte per il riscatto. In una stanza presso la sala sono esposto tutti gli studi o bozzetti dei più famosi lavori che questo artista eseguì a Roma ed a Venezia ed anche altri disegni originali”.

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Per quanto riguarda la collezione di Stefano Conti da una parte l’autore ricorda la premura del proprietario di farsi certificare le opere per evitare di acquistare delle opere contraffatte, mentre dall’altra fa esplicita menzione di alcuni dei dipinti che aveva trovato più interessanti:

“Il signor Stefano Conti, per il timore di essere imbrogliato con i dipinti antichi e

di vedersi propinare copie al posto degli originali, ha raccolto una notevole collezione di maestri moderni, che hanno dovuto attestare di avere eseguito quelle pitture e di aver ricevuto un determinato prezzo. La maggior parte dei lavori ad olio e ad acquerello è di artisti veneziani e lombardi, come le Rovine di Marco Ricci. Il ritratto a pastello alto 70 cm., eseguito con mano sicura dalla famosa Rosalba, costa 23 zecchini, cioè 70 talleri; le vedute veneziane, dipinte in modo inimitabile con l’uso della Camera Optica, sono di un giovane artista di nome Canal. Di Cassana è una serie di animali dipinti con non comune tenerezza, e acquistati a caro prezzo, perché questo artista, recentemente deceduto a Venezia, si faceva spesso pagare 200 talleri anche i quadri di modeste proporzioni. Nel salone si vedono grandi storie dipinte dal Pelluzzi, dal Palestra e da altri. Tra le figure, si notano pezzi molto spiritosi del veneto Marchesini”.

Per le collezioni di Alessandro Guinigi e di Nicolao Mansi si ricorda in maniera generica la presenza di quadri di notevole importanza:

“Il signor Alessandro Guinigi, cavaliere molto erudito e qualificato, possiede

anch’egli alcune buone pitture tra cui un grande quadro: la Sacra Famiglia, di Andrea del Sarto, ed ha riunito una bella collezione di disegni originali. Anche il signor Nicolao Mansi, mio buon protettore, ha messo insieme una collezione di dipinti: alcuni di Rubens, di Paolini e di altri sono quadri assai notevoli. Insomma, in quasi tutte le case dei cavalieri lucchesi si trova qualche buona pittura”.15

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Nel corso del Settecento, i resoconti di altri grand-tourists come quello di Johann Caspar Goethe (1740), il padre di Wolfang, di Edward Gibbon (1764), e di William Beckford (1781), presenti a Lucca in periodi differenti, appaiono meno esaustivi rispetto a quello del Martini. Le loro testimonianze si limitano a confermare l’immagine di Lucca come una città godibile e vivibile.16

L’astronomo francese Joseph Jérôme Lalande, in viaggio in Italia nel 1767, fece una tappa a Lucca. Poté così descrivere la storia, il territorio, soffermandosi sulla forma di governo della città. Passa poi a descrivere i più importanti monumenti, valorizzando la presenza delle ville disseminate nella campagna circostante. Per quanto riguarda i dipinti sistemati all’interno dei palazzi accenna brevemente “on

peut voir des tableaux précieux chez plusieurs nobles de Lucques, mais surtout dans les maisons de messieurs Stefano Conti, Giovanni Conti, Bonvisi, Garzoni, Mansi, Parrensi, Montecatini, Bottini, Tegrini, & c”.17

Una prassi consuetudinaria è ormai quella di segnalare i monumenti e le opere d’arte della città. L’anfiteatro occupa un posto centrale tra i luoghi di richiamo, anche se specie nei disegni si preferisce conferire risalto agli angoli pittoreschi e suggestivi che caratterizzano ad esempio le vedute della città e della campagna, caratterizzata dalla presenza di ville, descritte come luogo di delizie e divertimento.

Nell’Ottocento, tra i viaggiatori che giungono a Lucca, predomina il gusto per la rappresentazione romantica e pittoresca. Questa caratterizzazione si pone in netto contrasto rispetto al quadro che traspare dalle guide a stampa elaborate dagli eruditi locali che descrivono in maniera minuziosa ed oggettiva la realtà cittadina. Nessun riferimento a questo genere di descrizione appare negli scritti di John Ruskin, che soggiorna per la prima volta a Lucca nel 1840, poi successivamente nel 1845, un anno dopo nel 1846, e per ultimo nel 1872.

16 Filieri 2009, p. 152. Cfr. Brilli 1996, pp. 101-108, 113-115. 17 Lalande 1769, p. 438. Cfr. Brilli 1996, pp. 109-110.

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Il critico d’arte, artista e saggista inglese, protagonista della riscoperta dell’arte gotica e della pittura dei primitivi in Italia, in linea con il suo pensiero tende a proporre Lucca come città quasi esclusivamente medievale, un aspetto che diviene predominante nei decenni successivi.18

Il XIX secolo rappresenta il periodo in cui si diffondono le prime guide ad opera di eruditi locali. Si tratta di testi a stampa comprendenti utili informazioni di carattere storico-artistico sulla città e sui territori circostanti messe a disposizione dei visitatori che giungevano da ogni parte d’Europa. In ordine cronologico, la prima è quella pubblicata da Tommaso Trenta nel 1820, Guida del Forestiere per

la città e il contado di Lucca, mentre nel 1843 esce la Guida di Lucca e dei luoghi più importanti del Ducato a cura di Antonio Mazzarosa.

Entrambe cominciano da un resoconto di carattere storico sulle origini di Lucca per arrivare alla descrizione dei luoghi significativi presenti sia all’interno che all’esterno delle mura cittadine. Né l’una né l’altra menzionano le quadrerie sistemate all’interno dei palazzi signorili, fattore alquanto insolito se consideriamo che le guide servivano d’ausilio ai visitatori per conoscere le bellezze artistiche della città (ma evidentemente i palazzi non erano facilmente accessibili agli stranieri).

Bisogna attendere il 1877 quando l’erudito locale Enrico Ridolfi pubblica la

Guida di Lucca nella quale fa menzione delle più importanti collezioni di quadri.

L’opera fu stampata in occasione dell’Esposizione Provinciale dell’Arte Antica, un evento, come indica il Ridolfi, «che avrebbe chiamato nelle nostre mura molti

visitatori italiani e stranieri».

Nell’introduzione al lettore, l’autore dichiara che i mutamenti successivi di una città assieme alle modificazioni che son richieste dalle vicende delle istituzioni e dei monumenti sono i fattori che rendono necessario aggiornare le guide di tempo in tempo. Quelle del Trenta (1820) e del Mazzarosa (1843), ambedue pregevolissime per i tempi in cui furono pubblicate, dovevano dunque essere aggiornate.

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La necessità di colmare questo vuoto cronologico, spinse l’autore a preparare una guida senza dimenticare l’importanza dettata dall’evento: “mi parve doveroso il

dar mano ad una nuova [guida] la quale potesse giovare i molti visitatori che converrebbero in Lucca in tale occasione, dando loro notizia dei vari istituti d’ogni genere di che si pregia, e di tutte le sue cose d’arte e di antichità”.19

La guida, seguita da una seconda edizione datata 1899, dopo un rapido accenno alle vicende storiche di Lucca, inizia con la descrizione del Duomo. Prosegue descrivendo i più importanti edifici religiosi, i monumenti storici, i palazzi pubblici e privati, le piazze, fino ad arrivare alla conclusione costituita dalla descrizione del passeggio sulle mura.

Il più ampio risalto è assicurato ai monumenti dell’età di mezzo, che sorgono numerosi in Lucca: “e quindi sui più importanti di essi mi trattenni assai

lungamente discorrendone l’istoria, e per appagare l’osservatore erudito, e per offrir modo ai nostri giovinetti, che si danno all’arte di intenderli compiutamente; aiutandomi delle più recenti indagini da altri fatte, e di quelle da me stesso condotte negli archivi; per le quali anche fui talvolta costretto a dissentire da egregi uomini che mi precedettero, lodando però le fatiche di tutti, giacché è sempre meritevole di molto encomio chi fa prova di rintracciare a traverso il buio de[i] secoli le memorie della veneranda antichità”.20

Riguardo alle collezioni, la Guida del Ridolfi risulta un documento utile e prezioso, che ci offre un panorama ad ampio raggio sulla presenza di dipinti all’interno dei palazzi signorili. Se pur la descrizione si presenta con un fare sintetico e conciso, giustificato dalla funzionalità del testo, riusciamo ad ogni modo ad avere sentore della notevole diffusione che dovevano avere le raccolte sia sotto l’aspetto quantitativo (è registrato un numero considerevole di dipinti), che qualitativo.

19 Ridolfi 1877, pp. 1-2. 20 Ridolfi 1899, pp. 5, 10.

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Considerando le descrizioni delle collezioni emergono i nomi di alcuni degli artisti italiani e stranieri più importanti tra quelli attivi tra Sei e Settecento, con una spiccata predilezione per i veneti e i fiamminghi. In poche occasioni si fa esplicita menzione della presenza di opere di artisti locali. Fatta eccezione per gli artisti lucchesi che ebbero modo di compiere un periodo di formazione a Roma come Pietro Paolini, Pietro Testa, Pompeo Batoni e Stefano Tofanelli. Al contrario, gli altri rappresentanti della scuola pittorica lucchese risultano sottaciuti.

Se si pongono in sequenza le porzioni di testo dedicate alle collezioni si ricava questo prospetto. Il primo palazzo in cui vengono menzionate delle opere pittoriche è PALAZZO DI POGGIO:21 “antichissima famiglia già signore del poggio e castello di Porcari. Il palazzo è di soda architettura de[i] primi del secolo XVI ed era tutto ornato di dipinti a chiaroscuro, di cui ora avanzano pochi vestigi, per opera di Agostino Ghirlanda. Sono nelle sue sale parecchi quadri fra [i] quali alcuni assai distinti, e specialmente un martirio di S[an] Lorenzo, bell’opera del Guercino”.22

Si prosegue con l’attuale museo nazionale di PALAZZO MANSI:23 “famiglia proveniente da Magonza, e qui fra le nobili già dal 1068, di cui Bernardo, Enrico e Sassello capi di essa famiglia nel 1182, cedettero alla Repubblica il privilegio di fare i coni della moneta, che tenevano da Federigo I imperatore. Il palazzo restaurato nel secolo XVII, è meritevolissimo di essere visitato per una rara collezione di dipinti, ed è poi di molto pregio il quartiere stesso che li contiene, conservato scrupolosamente con gli arazzi e le ricche mobilie di che fu decorato nel secolo decorso, in occasione delle nozze Mansi-Santini. La camera da letto in ispecie, è di un effetto sorprendente; con un’alcova di arditissimo intaglio a figure e sfogliami, tutto messo a oro come il rimanente delle mobilie, e parata essa ed il magnifico letto di un drappo giallo a ricami in sete colorate.

21 Il palazzo della famiglia Poggio è situato in via della Rosa nella contrada di San Matteo. Cfr. Mansi 2006, p. 203.

22 Ridolfi 1877, p. 34.

23 Il palazzo Mansi, appartenuto al ramo di famiglia dei Mansi di San Pellegrino, è ubicato in via Galli Tassi nella contrada di San Pellegrino. Cfr. Mansi 2006, pp. 95-96.

(18)

22

I dipinti di questa numerosa collezione sono tutti di merito, ed assai ve ne ha di merito distintissimo per la bellezza loro e la rarità; più che due terzi appartengono alla scuola fiamminga.

Non potendo nominarli, ci limiteremo ai seguenti:

- Snayders, cacciagione e frutta – Paolini, un filosofo e un concerto – Bassano, percotimento della roccia – Martis, Cristo portato al sepolcro – Babeur, Cristo che disputa co’ dottori – F. Boll, sacrifizio di Abramo – Hygtemburg, quattro battaglie – Rubens e Snayders, venditori di commestibili – Pinaker, paese con figure – Cigoli, S. Francesco – Testa, storie di Prometeo, e d’Issione – Withoos, parco d’un castello – De Witte, moltissimi quadri di frutta e vasellami – Molenaer, scene d’osteria – Reni Guido, bozzo – Verelst, fiori – A. Smith, fiori – B.H. Boll, marina – I. Venix, lepre, uccellami e paesaggio – Tardin, paese con animali – Hondekoetter, battaglia di gallo e tacchino – Lingelbach, porto di mare – Verelst, due ritratti – Francia, la Vergine col Bambino – Velasquez, ritratto virile – Breughel, villaggio in tempo di neve – Mnalvou, mercato con venditrice – Ruisdael, paese – Rembrandt, paese – Albano, due amori e sacra Famiglia – Giordano Luca, adorazione de’ pastori – Poussin, scene monumentali – Vandyk, sacra Famiglia – Temburg, due ritratti – Rubens, donna con suonatore di clarino – Domenichino, martirio di S[anta] Agata”.24

La descrizione continua con il PALAZZO CITTADELLA: 25 “che pertenne già alla

famiglia degli Orsetti, ed è vasta fabbrica di ricco disegno del secolo XVII. Fra i numerosi dipinti che ne decorano le sale noteremo come più pregevoli, una Sacra Famiglia di Lorenzo di Credi, lo sposalizio di S[anta] Caterina di Giovanni Bellini, un soggetto biblico di Andrea Mantegna. Nella contrada di Sant’Andrea è

situato il PALAZZO SARDI,26 nel quale unitamente ad altri dipinti di merito si

vede una gentile Madonna di Francesco Francia, pervenutavi da casa dei Fatinelli”.27

24 Ridolfi 1877, pp. 61-62.

25 Il Palazzo, anticamente Orsetti, oggi Mazzarosa, si trova in via Burlamacchi nella contrada di San Lorenzo in Poggio. Cfr. Mansi 2006, pp. 87-89.

26 Il Palazzo Sardi, anticamente Fatinelli, è collocato in via Fatinelli, nella contrada di Sant’ Andrea. Cfr. Ibidem, p. 167.

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23

Nel PALAZZO BERNARDINI,28 “al piano nobile, oltre un appartamento di

ricchissimo addobbo del principiar del secolo XVIII, sono molti dipinti di pregio, fra i quali un tondo con la Natività eseguito da Fra Bartolomeo nel tempo della seconda società con l’Albertinelli (1509-1512) e venduto ducati 20 a Giovanni Bernardini.” 29

Nella contrada di Santa Maria Forisportam si ricordano due collezioni con pregevoli pitture: “il PALAZZO MAZZAROSA 30 è edificio ricco di decorazioni in pietrame con porta d’ordine rustico sormontata da terrazzo ma d’architettura alquanto pesante che già accenna il seicento. Il Marchese Antonio cittadino illustre e lodato scrittore di storie e d’arti, che mancò il 1861, raccolse in elegante quartiere di questo suo palazzo una pregevole collezione di dipinti, fra i quali noteremo come di maggior merito di due tavole di Domenico Ghirlandaio

(Filippino Lippi nell’edizione del 1899) rappresentanti S[an] Biagio e santa

Lucia, belle oltre ogni dire – un tondo del Botticelli - una Vergine di Pompeo Batoni - vari quadretti con giovani contadine del Bassano - un ritratto proprio di Andrea del Sarto – altro ritratto virile di Scuola Fiamminga – una adorazione dei Magi, tavola a tre scomparti egualmente di scuola fiamminga del secolo XV – l’Adorazione del nome di Cristo, di Jacopo Ligozzi.31

Sulla piazza medesima [di Santa Maria Forisportam] prospetta PALAZZO MANSI32 altro ramo della famiglia già nominata. La fabbrica è de[i] tempi non felici per purezza di stile, ma ricercatori e maestri del grande; e di fatto è grandioso il suo aspetto e bella ed ampia la scala rallegrata dalla vista di ameno giardino.

28 Il palazzo Bernardini è situato nell’omonima piazza nella contrada di San Lorenzo in Poggio. Cfr. Mansi 2006, pp. 174-175.

29

Ridolfi 1877, pp. 82-83. 30

Il palazzo, ubicato in via Santa Croce nella contrada di Santa Maria Forisportam, fu venduto dalla famiglia Minutoli ad Alessandro di Francesco Mazzarosa il 2 aprile 1597. Cfr. Mansi 2006, p. 220.

31 Ridolfi 1877, p. 89. 32

Il palazzo, situato in piazza Santa Maria Bianca nella contrada di Santa Maria Forisportam, era di proprietà della famiglia Sirti e successivamente fu venduto ai Mansi di Santa Maria Bianca, altro ramo di questa famiglia che prende il nome da questa contrada. In seguito fu ceduto alla famiglia Tommasi. Cfr. Mansi 2006, pp. 213-214.

(20)

24

Vedesi nelle sue sale una numerosa collezione di pregevoli dipinti fra i quali ci sembrano più degni d’esser notati i seguenti: Giovanni Bellini, Sacra famiglia – Perin del Vaga, la Madonna e il Bambino – Fra Bartolomeo, il Redentore – Luca di Leida, Santa Maria Maddalena – Domenico Ghirlandaio, la Vergine e Santi – Stefano Tofanelli, ritratto virile in piede - Sorri, nascita della Vergine – Vignali, Mosè presentato alla figlia di Faraone– Paolini, giovine che suona la mandola – Vandyk, sposalizio di Santa Caterina – Agostino Carracci, ritratto di sé stesso – Bassano, Gesù nell’orto – Tintoretto, Cristo che scaccia i profanatori dal Tempio – Gherardo dalle notti, giovine col lume in mano – Giuliano Bugiardini, santa Famiglia – Tiziano, la Maddalena ai piedi del Salvatore”.33

Spostandoci verso Piazza San Pietro Somaldi troviamo PALAZZO SPADA,34 “famiglia delle [più] antiche della città in cui venne fino dal 1230; possiede una

quadreria numerosa, che contiene parecchi dipinti di merito; e fra questi una piccola tavola con la Vergine ed il bambino, ritenuta opera del Sanzio, un interno di una capanna di Teniers, ed una pendana di fiori di scuola fiamminga di finissima esecuzione”.

Lungo Via Fillungo, incontriamo tre importanti palazzi. Il primo è PALAZZO

GUINIGI MAGRINI 35 «che fu già dei Micheli, di quella semplice architettura del

secolo XVI, di cui già dicemmo, fornito di elegante cortile, e di bel giardino ed in cui non mancano dipinti pregevoli. Noteremo fra questi il ritratto di Castruccio Antelminelli dipinto dal Bronzino, e l’unico che si conosca di Matteo Civitali, opera di Giovanni Sirani. Un bellissimo piatto istoriato della fabbrica d’Urbino, il cui disegno della scuola di Raffaello, rappresenta l’ultima cena.36

33

Ridolfi 1877, p. 93.

34 Il palazzo Spada, poi venduto alla famiglia Del Prete, è situato in Piazza San Pietro Somaldi, nella contrada di San Pietro Somaldi. Cfr. Mansi 2006, p. 386.

35 Il palazzo che si trova in via Fillungo, nella contrada del Borgo di San Frediano, ha visto il succedersi di diverse proprietà. Il primo proprietario fu Bernardino Antelminelli. Nel tardo Settecento il palazzo fu acquistato dai Micheli. In seguito divenne l’ultima dimora di Arturo e Rita Guinigi Magrini. Cfr. Ibidem, p. 372.

(21)

25

Il secondo, PALAZZO BRANCOLI BUSDRAGHI 37 “elegante porta marmorea d’ordine dorico del secolo XVI, i cui possessori conservano, insieme con vari altri quadri fiamminghi di molto merito un ritratto di gentiluomo eseguito da Vandick in figura intera, bellissimo”.38 Segue, PALAZZO BUONVISI,39 “famiglia delle

antiche e principalissime che discende da un Bonviso consigliere di Ottone III imperatore, qua fermatosi nel 900. I commerci ed i banchi, che teneva ne’ principali centri d’Europa la fecero doviziosissima, e splendida; e molti personaggi di essa coprirono insigni cariche. Il palazzo fu rinnovato dal cardinale Buonviso, ed è dell’architettura ricca ed ornata della fine del secolo XVI. Lo abbellivano tuttavia nel principiar del presente, oltre i preziosi addobbi, una copiosa biblioteca ed una quadreria ricca di ben 216 dipinti dei migliori pennelli; l’una e l’altra ora purtroppo disperse”.40

L’itinerario delle collezioni prosegue con la descrizione del PALAZZO SARDINI41

“avente carattere di fortilizio, restaurato il 1795 aggiungendo all’antica altre

case, da Giacomo Sardini perito nell’architettura, e grande amatore d’arte; il quale oltre a molti quadri di pregio raccolse anche una ricca collezione di disegni originali di molti maestri”.42

Nelle immediate vicinanze è situato il PALAZZO MEURON 43 “già degli Ottolini,

nelle cui sale vedonsi pregevoli dipinti, fra i quali noteremo due quadri del Batoni di soggetto mitologico, leggiadri per gentilezza di maniera e vaghezza di colorito; vari bei ritratti di scuola fiamminga; uno del Caravaggio di gentiluomo in arme, e un grazioso paese del Zuccarelli”.44

37

Il palazzo Brancoli Busdraghi è collocato in via Fillungo, nella contrada del Borgo di San Frediano, cfr. Mansi 2006, pp. 376-377.

38 Ridolfi 1877, p. 105.

39 Il palazzo di cui parla il Ridolfi è la più antica dimora della famiglia Buonvisi, il cosiddetto

Palazzo d’Inverno. Esso è situato in via Fillungo, nella contrada del Borgo di San Frediano. Cfr.

Mansi 2006, pp. 363-365. 40 Ridolfi 1877, p. 106. 41

Il Palazzo Sardini, ubicato in via Cesare Battisti nella contrada di San Salvatore in Mustiolo, è sorto sulle case e torri della potente famiglia degli Onesti finita nei Narducci. Alla fine del Settecento l’edificio passò di proprietà ai conti Minutoli Tegrimi. Cfr. Mansi 2006, pp. 324-325. 42 Ridolfi 1877, p. 130.

43 Il Palazzo Meuron si trova in via San Giorgio, nel braccio Cincino ed, anticamente, fu la casa grande di Giuseppe Francesco Busdraghi. Alla metà del ‘600, con il consenso del Consiglio, fu venduto a Lelio di Paolino Ottolini. Nei primi decenni del XIX secolo gli Ottolini lo cedettero ai Meuron che si imparentarono in seguito con la famiglia Poschi. Cfr. Mansi 2006, pp. 113-114. 44 Ridolfi 1877, p. 135.

(22)

26

Nella piazza di San Matteo, che prende il nome dall’omonima chiesa, predomina alla sua estremità, “il PALAZZO che fui dei PARENZI 45, fornito già di bella

quadreria, di cui la parte migliore è unita ora a quella del marchese Mansi a S[an] Pellegrino; e seguendo la via a destra, trovasi su quel lato l’altro Palazzo che fu dei Malpigli, poi dei Montecatini,46 famiglie, ora estinte, di cui la prima risale al 1100, l’altra al 1200. Anche in questo esisteva nel principiar del secolo presente una copiosa e distinta quadreria, che fu dispersa con l’estinguersi dalla famiglia Montecatini”.

Di fronte a questo palazzo troviamo “il PALAZZO ORSETTI,47 ove già furono le

case dei Rolandinghi, poi dei Saggina, e dei Diodati nel tempo in cui fu decorato come si vede. Il palazzo è abbellito di stupendi arazzi e di pregevolissimi dipinti, fra cui notansi due tele del Canaletto, un paese di Ruysdael, una Madonna con Bambino di Mariotto Albertinelli, una santa Famiglia di Giovanni Bellini, un ritratto virile, bellissima opera di scuola fiamminga, e della stessa quattro paesaggi; la Vergine col Bambino e angeli di scuola tedesca, e della medesima scuola una tavola a tre compartimenti figurante l’Adorazione dei Magi”.

Proseguendo la via, che sbocca sulla piazza del Salvatore, sull’angolo a sinistra si eleva “il PALAZZO MINUTOLI,48 famiglia trapiantata a Lucca da Firenze nel

1300, ed ora di nuovo tornata a stabilirsi colà. L’adornavano fino a pochi anni addietro una raccolta di ottimi dipinti, ed una pregevolissima biblioteca, ove erano splendidi codici con finissime miniature, altre della scuola italiana, altre della francese”.49

45 Il palazzo Parenzi, situato in piazza San Matteo, nella contrada che prende il nome dall’omonima piazza, anticamente apparteneva alla famiglia Dati, cfr. Mansi 2006, pp. 108-109. 46

Il palazzo in via Santa Giustina nella contrada San Matteo, già Malpigli, è rimasto di proprietà della famiglia dei Montecatini. Cfr. Ibidem, p. 116.

47 Il palazzo Orsetti si trova anch’esso in via Santa Giustina, nella contrada di Santa Maria Corteorlandini. Cfr. Ibidem, p. 122.

48

Il palazzo, ubicato in piazza San Salvatore, nella contrada di Santa Maria Corteorlandini, apparteneva alla famiglia Tegrimi. Alla fine del Settecento entrò a far parte della proprietà degli Orsetti e, successivamente, dei Serantoni. Cfr. Ibidem, p. 130.

(23)

27

Nella contrada di San Pier Cigoli è ubicato il PALAZZO NOBILI,50 “fabbricato sul muro della prima cinta, e sui fondamenti della posterula di S[an] Pier-Cigoli o malestaffe; il qual palazzo ha l’ingresso e il prospetto principale dal lato opposto, sulla piazza del Carmine. È di buona architettura del 1500, con una porta elegantemente ornata, e nelle sue sale, di bello addobbo, sono da ammirare solo parecchi quadri di vaglia. Citeremo fra di essi varie tele conservatissime del Guercino, vari ritratti fiamminghi, ed una tavola con la Vergine e il divin pargolo, che recata di fresco in Lucca, da una villa di proprietà dei medesimi signori dove trovavasi, viene pei caratteri del disegno e per la bellezza sua, ritenuta opera dell’ultima maniera di Raffaelli”. 51

L’ultima dimora che viene ricordata dal Ridolfi è il PALAZZO FATINELLI,52

“vasta e sontuosa fabbrica, che rimane senza produrre effetto per l’angustia della

contrada in cui è situata. Ha una collezione assai numerosa di dipinti di varie scuole, fra i quali ne sono dei molto belli; e di singolarissimo merito è un quadro di piccole figure rappresentante la Circoncisione, del Mazzolino da Ferrara, e bello assai un disegno figurante Giuditta di scuola Leonardesca”.53

Dalla seconda edizione del Ridolfi arriviamo fino ai giorni nostri e precisamente al 1970 con la seconda edizione interamente rielaborata della Guida di Lucca pubblicata da Isa Belli Barsali nel 1953, la quale seguendo l’esempio del suo predecessore mantiene lo stesso criterio espositivo. Per quanto riguarda la descrizione delle quadrerie se da un lato sono presenti alcune integrazioni, come ci si può aspettare considerando l’arco di tempo trascorso dall’ultima edizione del Ridolfi, dall’altro i palazzi menzionati risultano di numero inferiore.

50 Il palazzo Nobili è situato in via Mordini, nella contrada di San Pier Cigoli. Cfr. Mansi 2006, p. 400.

51 Ridolfi 1877, p. 141.

52 Il palazzo Fatinelli si trova in via Fontana, nel braccio Fontana. Cfr. Ibidem, p. 352. 53 Ridolfi 1877, p. 145.

(24)

28

Una simile differenza può essere dovuta principalmente da due motivi. Anzitutto come risulta evidente dalla descrizione del Ridolfi, nel corso dell’Ottocento molte collezioni furono vendute o frazionate, a seguito delle divisioni ereditarie o dell’estinzione del ramo di alcune famiglie gentilizie. Non va peraltro dimenticata la tradizionale ritrosia delle famiglie a pubblicizzare le opere d’arte in loro possesso.

Nella sua Guida di Lucca si ricordano solamente due palazzi dotati di collezioni al loro interno. Il primo è Palazzo Mansi, oggi Museo Nazionale:

“Una delle maggiori gallerie di quadri esistente nella città di Lucca era quella di

PALAZZO MANSI, detto a San Pellegrino dalla chiesa omonima di fronte ad esso, ricordata nel 1078 e restaurata nel sec. XIX. Il palazzo fu costruito dai Mansi tra la fine del sec. XVI e i primi del sec. XVII, forse in due fasi di lavori: nel 1684 compare un disegno nelle forme attuali.

L’interno ebbe una decorazione pittorica nelle volte e in parte nelle pareti degli anni 1660. Alcune sale, adibite a galleria, contenevano pregevoli dipinti italiani e fiamminghi, oggi dispersi ad eccezione del Sacrificio di Isacco del Bol. Ricordiamo: Sacra Famiglia attribuita a Francesco Albani (1578-1660); Madonna con Bambino di scuola di Francesco Francia; ritratti di una Gentildonna Wandiemen e di un Gentiluomo Wandiemen di Gerard Terborch; ritratto di Carlo M. Altogradi attribuito a D. R. Velasquez (1559-1660); Natura morta con selvaggina di Jan Weenix (1640-1719); Pastore e una donna con attributi dell’Abbondanza attribuito a P. Paolo Rubens (1557-1640); Sacra Famiglia attribuita a Antonio van Dick (1599-1641); Mercato con venditrice di ciliegie firmato da Matteo Nalven e datato 1669; Festa sul ghiaccio attribuita a Giovanni Brueghel (1568-1625); Martirio di S[anta] Agata del Domenichino (1581-1641); Prometeo di P. Testa; alcune tele del lucchese P. Paolini” 54

(25)

29

L’altro è PALAZZO MAZZAROSA, “del sec. XVII (si osservino al portone i

battenti in ferro con testa d’angelo, dello stesso secolo). Vi si conserva la più cospicua collezione privata della città, raccolta in gran parte da Antonio Mazzarosa (m. 1861), uomo politico di vasta cultura umanistica, scrittore di storia, d’arte e d’economia, di tendenza liberale conservatrice.

Una collezione di notevole pregio sistemata in due ambienti: nel cortile esterno con una raccolta di sculture etrusche, romane, romaniche e gotiche ed all’interno del palazzo, al primo piano, con la presenza di ceramiche, sculture in terracotta, arazzi, e dipinti.

Fra i dipinti, oltre un gruppo di autore straniero (tra cui notevoli due attribuiti al Rubens, uno siglato del Dürer, un trittico attribuito a Luca van Leyden), appare un importante gruppo di pittori italiani.

Fra questi ricordiamo:

- “Maestro del tondo Lathrop”, due tavole laterali di trittico (ciascuna 1,17x0,41) con le figure di San Biagio, S[anta] Lucia e due devoti;

- Scuola fiorentina del sec. XV, Madonna con Bambino fra Elena, S[anta] Barbara e due angeli, segnato A.M.F A.F.;

- Scuola toscana del sec. XV, predella con i S[anti] Giovanni, Stefano e Bartolomeo, il Cristo, la Madonna e una Pietà;

- Domenico Puligo (1472-1527), Madonna con Bambino e S. Giovannino; - Scuola fiorentina del sec. XVI, Madonna con Bambino fra due angeli; - Guadenzio Ferrari (1484-1550), Adorazione dei Pastori;

- Andrea del Sarto, Autoritratto;

- Jacopo da Ponte detto il Bassano, quattro tele con Cuciniera, e una con Sposalizio di S[anta] Caterina;

- Scuola del Parmigianino (sec. XVI), Sacra Famiglia;

- Iacopo Tintoretto, Pietà, e bozzetto per Crocifissione (siglato I.R.F.); - Federico Fiori detto il Barocci, Noli me Tangere;

- Annibale Carracci (1560-1609), Pietà, S[an] Pietro, Madonna con Bambino e un angelo; - Lodovico Carracci (1555-1602), Cristo e la Samaritana;

- Agostino Carracci (1557-1602), S[an] Gerolamo;

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30

- Ventura Salimbeni, Sacra Famiglia;

- Jacopo Ligozzi, Nome di Gesù, firmato e datato 1605, da identificare con il quadro già nella chiesa di Sant’Anastasio, descritto da Tommaso Trenta;

- Guido Reni, San Benedetto nel deserto (bozzetto del perduto affresco di San Michele in Bosco a Bologna);

- Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino (?), Madonna con Bambino, su rame;

- Francesco Albani, Riposo in Egitto (siglato e datato 1648);

- Bernardo Strozzi detto il prete Genovese (1581-1644), San Pietro che rinnega Cristo;

- Carlo Dolci (1616-1686), Madonna Addolorata, e Madonna dell’Umiltà; - Giovanni Francesco Romanelli, S[anta] Agnese;

- Giacinto Gemignani, Abigail che offre il pane alle truppe di Mardocheo; - Salvator Rosa, Autoritratto;

- Pietro Paolini (1603-1681), Uomo che scrive illuminato dalla lucerna, Cena di Emmaus, Le tre età della vita, e Uccelli e vegetazione;

- Pietro Testa, Morfeo (tela di soffitto);

- Simone del Tintore, tre nature morte con frutta;

- Giovanni Marracci, Madonna con Bambino benedicente, S[an] Francesco e il B[eato] Angelo Orsucci (da un lato è rappresentata la villa Mazzarosa a Segromigno alto);

- Elisabetta Sirani (1638-1665), David;

- Giovanni Domenico Lombardi, Ritratti di un Anziano e di un Gonfaloniere della Repubblica di Lucca, Ritratto di gentildonna, Due composizioni fantastiche; - Pompeo Girolamo Batoni (1708-1787), Allegoria della Sapienza, Allegoria della Giustizia e della Pace (i due dipinti sono repliche di quelli della collezione Merenda a Forlì), S[an] Giuseppe, Madonna del libro, Morte di Lucrezia;

- Francesco Antonio Cecchi, Ritratto di Francesco Mazzarosa giovinetto, Ritratto di Francesco Maria Mazzarosa;

- Gaetano Vetturali, varie tele con Paesaggi”.55

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