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L’evoluzione del dibattito sulla non contestazione - Judicium

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Costanzo M. Cea

L’evoluzione del dibattito sulla non contestazione

Sommario: 1 – Premessa – 2 – Il fondamento della non contestazione – 3 – Non contestazione ed allegazioni negative – 4 - Non contestazione e onere di prendere posizione – 5 – Non contestazione e fatti secondari – 6 – Non contestazione e contumacia.

1 - Se al legislatore della riforma processuale del 2009 va attribuito il merito di aver ancorato il principio della non contestazione a solidi riscontri positivi, di certo non gli si può riconoscere anche quello di aver fatto ricorso ad una tecnica normativa impeccabile, giacché la stringata riformulazione dell’art. 115 c.p.c. lascia in ombra la maggior parte delle questioni che l’applicazione del nostro principio aveva suscitato.

E se è pur vero che allo stato la giurisprudenza non sembra essersi discostata di molto dai percorsi suggeriti dall’ormai famosa S.U. 761/20021, è altresì incontestabile che, all’indomani della promulgazione della l. 69/2009, il dibattito dottrinario sul tema della non contestazione ha avuto una vistosa impennata2. Mi sembra opportuno, pertanto, senza la pretesa di un riesame funditus

1 In Foro it., 2002, I, 2019, con nota di CEA, id., 2003, I, 604, con nota di PROTO PISANI.

2 Senza pretesa di completezza, v. BALENA, La nuova pseudo-riforma della giustizia civile (un primo commento della l. 18 giugno 2009, n. 69), in Giusto proc. civ., 2009, 776 ss.; ID., in BALENA-CAPONI-CHIZZINI-MENCHINI, La riforma della giustizia civile, Torino, 2009, p. 31 ss.; BATTAGLIA, Sull’onere del convenuto di << prendere posizione>> in ordine ai fatti posti a fondamento della domanda (riflessioni sull’onere della prova), in Riv. dir. proc., 2009, 1512; BOVE, in BOVE-SANTI, Il nuovo processo civile tra modifiche attuate e riforme in atto, Macerata, 2009, 44; ID., Il principio della ragionevole durata del processo nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, Napoli, 2010, 87-91; BUCCI-SOLDI, Le nuove riforme del processo civile, Padova, 2009, p. 82 ss.; BRIGUGLIO, Le novità sul processo ordinario di cognizione nell’ultima ennesima riforma in materia di giustizia civile, in Giust. civ., 2009, II, 263 s.; CARRATTA A., «Principio della non contestazione» e limiti di applicazione nei processi su diritti indisponibili, in Famiglia e dir., 2010, 572; CEA, La modifica dell’art. 115 c.p.c. e le nuove frontiere del principio della non contestazione, Foro it., 2009, V, 268 ss.; ID., Commento all’art. 115 c.p.c., in Le nuove leggi civ. comm., 2010, 792;

COMOGLIO, Le prove civili, 3^ ed., Torino, 2010, 107-129; CONSOLO, Il processo di primo grado e le impugnazioni della sentenza, Padova, 2009, p. 188 ss.; DEL CORE, Il principio di non contestazione è diventato legge: prime riflessioni su alcuni punti ancora controversi, in Giust. civ., 2009, II, 273 ss.; DEL TORTO G., Il principio della non contestazione alla luce della l. 18 giugno 2009 n. 69: un punto di svolta ,in Giur. merito, 2010, 983; DEMARCHI, Il nuovo processo civile, Milano, 2009, p. 54 ss.; DE VITA, Non contestazione (principio di), in Dig. disc. priv, sez. civ., Aggiornamento*****, Torino, 2010; DI PAOLA, Guida commentata alla riforma del codice di procedura civile, Santargangelo di Romagna-Maggioli, 2009, p. 54 ss.; M. FABIANI, Il nuovo volto della trattazione e dell’istruttoria, in Corr. giur., 2009, 1169 ss.; FORNACIARI, Il contraddittorio a seguito di un rilievo ufficioso e la non contestazione (nel più generale contesto della problematica concernente allegazione, rilievo e prova), www.judicium.it., 2010; FRUS, Osservazioni su due casi di inutile invocazione del principio di non contestazione da parte dell’attore nei confronti del convenuto contumace, per sopperire alle proprie carenze probatorie, in Giur. it., 2010, 1384; ID., Sul rispetto dell’onere di contestazione anche in caso di incolpevole ignoranza e sugli effetti della mancata contestazione, in Giur.

it., 2010, 1668; IANNIRUBERTO G., Il principio di non contestazione dopo la riforma dell’art. 115 c.p.c., in Giust.

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della vexata quaestio, spendere alcune parole per individuare quelli che sono i punti di maggiore contrasto tra gli interpreti dopo la modifica dell’art. 115 c.p.c.

2 – Una delle dispute più vivaci è tra chi ritiene che la non contestazione operi sul piano delle allegazioni e chi, invece, la configura solo come regola probatoria. La discussione non è solo teorica, giacché il propendere per l’uno o l’altro corno dell’alternativa ha diverse ricadute applicative. Infatti, la prima tesi finisce per ricollegare alla tecnica della non contestazione conseguenze applicative molto gravose, l’altra la trasforma in un semplice criterio di valutazione probatoria destinato ad operare con gli altri ai fini del convincimento del giudice.

A mio avviso nessuna delle su accennate tesi può essere condivisa nella sua assolutezza.

La prima, nella misura in cui consente l’esercizio dell’onere di non contestazione nei limiti delle preclusioni previste per le allegazioni e tende a configurare la non contestazione come fenomeno irreversibile, senza che sia reso possibile alla parte che originariamente non aveva contestato un fatto di provare che lo stesso non è vero, finisce per trasformare la tecnica della non contestazione in uno strumento definitivo di fissazione formale dei fatti3, pregiudicando il fondamentale valore del giusto processo ravvisabile nell’esigenza della decisione giusta in quanto frutto della veritiera ricostruzione dei fatti dedotti in giudizio. Non a caso, tra i sostenitori di questa teoria, c’è chi è arrivato a sostenere che la parte che non ha contestato un fatto non possa provarne la falsità

civ., 2010, II, 309; MAERO, Il principio di non contestazione prima e dopo la riforma, in Giusto processo civ., 2010, 455; MANDRIOLI, in MANDRIOLI-CARRATTA, Come cambia il processo civile, Torino 2009, p. 33 s.; MINARDI, Onere di contestazione: le conseguenze della mancata o tardiva contestazione dei fatti nel processo decisionale del giudice, in Il Civilista, 2010, fasc. 2, 26; PACILLI, Osservazioni sul principio di non contestazione, Riv. trim. dir. proc.

civ., 2011, 299 ss.; PAGNI, La “riforma” del processo civile, la dialettica tra il giudice e le parti (e i loro difensori) nel nuovo processo di primo grado, in Corr. giur., 2009, 1312 ss.; PROTO PISANI, Appunti sull’ultima riforma, in Giusto proc. civ., 2010, sub 7; RASCIO, La non contestazione come principio e la rimessione nel termine per impugnare: due innesti nel processo, benvenuti quanto scarni e perciò da rinfoltire, in Corriere giur., 2010, 1243; ROTA, in CARPI- TARUFFO (a cura di), in Commentario breve al codice di procedura civile6

, Padova 2009, p. 429 ss.; ID, I fatti non contestati e il nuovo art. 115, in Il processo civile riformato (a cura di TARUFFO), Bologna, 2010, 183 ss.;

SANTANGELI, La non contestazione come prova liberamente valutabile, www.judicium.it., 2010; SASSANI, L’onere della contestazione, in Giusto proc. civ., 2010, 401 ss..; TARUFFO (CARRATTA), Poteri del giudice, sub art. 115, in Commentario del codice di procedura civile (a cura di CHIARLONI), Bologna, 2011, 483 ss.; TEDOLDI, La non contestazione nel nuovo art. 115 c.p.c., in Riv.dir. proc., 2011, 76; ZUFFI, in CONSOLO, Codice di procedura civile commentato. La riforma del 2009, Milano, 2009, p. 71 ss.

Per ulteriori informazioni bibliografiche sullo stato del dibattito dottrinario e giurisprudenziale prima della riforma del 2009, rinvio ai miei due scritti citati in questa nota.

3 E’ opportuno che provi a spiegare meglio il concetto espresso nel testo. L’utilizzo della tecnica della non contestazione si traduce inevitabilmente in un modo di fissazione formale dei fatti, perché il fatto non contestato non è un fatto provato (tale è il fatto accertato nel processo), ma è un fatto che il giudice deve porre a fondamento della decisione come se fosse provato, in forza di una presunzione secondo cui normalmente sono veri i fatti non contestati.

Se si parte da tale presupposto, è evidente la pericolosità delle tesi che tendono ad attribuire alla non contestazione il crisma di una irreversibilità assoluta e non tendenziale, intesa (anche) come perdita della chance di provare l’inesistenza del fatto che non si è contestato. Così concepita, la non contestazione, a mio avviso, comporta un vulnus di uno dei principi fondanti del giusto processo, quello della decisione giusta, in quanto fondata sull’accertamento veritiero dei fatti. Sul tema della verità nel processo civile, da ultimo, TARFUFFO, La semplice verità, Bari, 2009.

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deferendo all’avversario giuramento decisorio4 (che, come è noto, è sottratto al consueto regime delle preclusioni probatorie).

Neppure l’altra tesi, però,5 appare immune da censure. Infatti, oltre a non essere realistica (in quanto si pone in marcato contrasto con l’orientamento ormai dominante inaugurato dalla famosa pronuncia delle S.U. 761/2002), finisce per attribuire alla recente modifica dell’art. 115 c.p.c. una portata recessiva, giacché essa imporrebbe che, anche a fronte della non contestazione di un fatto, non verrebbe meno né l’onere di provare tale fatto6, né il dovere del giudice di considerare rilevanti le prove dirette a provare il fatto non contestato; non senza trascurare, infine, che, in questa prospettiva, la modifica dell’art. 115 c.p.c. diverrebbe addirittura inutile, posto che la valutazione dei comportamenti processuali a fini probatori è già prevista dal sistema (art. 116, 2° comma, c.p.c.).

Ciò detto, considerato che la collocazione topografica della nuova norma è equivoca (e potrebbe essere invocata a sostegno dell’una o dell’altra tesi), a me sembra che sia possibile intraprendere un diverso percorso interpretativo che eviti i rischi connessi all’estremizzazione delle due teorie innanzi indicate.

Sono fermamente convinto, come ho sostenuto in altre occasioni7, che la non contestazione sia una tecnica semplificatoria diretta a perseguire il fine del’economia processuale e, come tale, sia anche dotata di copertura costituzionale ex art. 111 Cost, nella parte in cui si prevede, tra i valori del giusto processo, anche quello della ragionevole durata del processo. L’uso di tale tecnica, però, non può essere spinto sino al punto di compromettere un altro dei valori fondanti del giusto processo, cioè, quello delle parti di aver diritto ad una decisione giusta perché fondata sull’accertamento veritiero dei fatti coinvolti nel processo. Il che significa che, in un’ottica costituzionalmente orientata, occorre trovare un compromesso tra valori di pari intensità (perché entrambi dotati di copertura costituzionale). Equilibrio che è possibile soltanto se si accetta che una presunzione di verità (quella che accompagna il fatto non contestato) debba cedere il passo alla verità effettiva tutte le volte che le prove acquisite nel processo abbiano consentito di accertarla. Ciò comporta che la tecnica di non contestazione deve operare come strumento di selezione del thema probandum, da un

4 Anche il giuramento decisorio è un modo di fissazione formale dei fatti coinvolti; però, nel conflitto tra strumenti di fissazione formale dei fatti, va data la prevalenza a quello (appunto il giuramento) che, per la sacralità che lo investe e per la consistenza delle conseguenze penali e civili che comporta, offre, rispetto all’obbiettivo del raggiungimento della verità, maggiori garanzie.

5 Quella secondo cui la non contestazione opera sul piano probatorio.

6 Come apparirà chiaro da quello che dirò nella nota 8, quello che viene meno, a seguito della non contestazione, non è (tanto) l’onere di formulare le richieste istruttorie, quanto (piuttosto) quello di procedere all’assunzione delle prove sui fatti non contestati.

7 I miei scritti sulla non contestazione sono oggi raccolti nel volume Trattazione e istruzione nel processo civile, Napoli, 2010, 85-178.

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lato, esonerando dal relativo onere della prova la parte che ha allegato il fatto non contestato,8 dall’altro, imponendo al giudice di considerare irrilevanti le prove richieste con riferimento ai fatti non contestati. Ed ancora, dalla combinazione dei principi di autoresponsabilità e di preclusione (nella specie con riferimento alla fissazione definitiva del thema probandum) ricaverei che la non contestazione è un fenomeno tendenzialmente irreversibile, anche se non comporta la perdita definitiva della chance di provare la falsità del fatto originariamente non contestato. Ciò non comporta la reviviscenza dell’originaria facoltà di rendere il fatto controverso e, come tale, bisognoso di prova (facoltà irreversibilmente persa con la fissazione definitiva del thema probandum); ma solo la possibilità di provare che quel fatto non è vero. Possibilità che però va esercitata nel rispetto del sistema di preclusioni concretamente adottato dal legislatore per ogni grado di giudizio. Il che significa che in primo grado tale possibilità probatoria è legata a quella della rimessione i termini ex art. 153, 2° comma, c.p.c., salvo ovviamente che non si sia in presenza di prove sottratte all’ordinario regime delle preclusioni (si pensi proprio al giuramento decisorio), mentre in appello tale chance probatoria deve declinarsi con le forme dell’art. 345, 3° comma, per il rito ordinario, 437, 2° comma, per il rito del lavoro, 702 quater per il rito sommario ed è invece totale ed incondizionata nei casi di rimedi impugnatori latu sensu assimilabili all’appello (alludo al reclamo cautelare ed a quello camerale).

3 - L’altro problema di cui si discute è quello dell’utilizzabilità della tecnica della non contestazione con riferimento alle allegazioni negative. In particolare, partendo dal presupposto che gli effetti della non contestazione debbano investire soltanto i fatti per i quali sussiste l’onere della prova, si sostiene che, ove l’attore abbia allegato l’inesistenza di fatti estintivi, impeditivi o modificativi, il convenuto, benché abbia taciuto sugli stessi, non per questo deve ritenersi decaduto dalla facoltà di provarli.9

Cosi impostato il problema, non è difficile convenire sul fatto che in tal caso il convenuto non sia onerato dal prendere posizione sull’allegazione negativa dell’avversario, di tal che, nei limiti delle preclusioni previste, potrà allegare e provare i fatti estintivi, impeditivi o modificativi.

8 L’esonero deve intendersi dall’assunzione della prova, ma non dalla relativa richiesta, posto che può avvenire che la controparte contesti il fatto in limine preclusionis con il terzo termine ex art. 183, 6° comma, c.p.c. In altre parole, voglio dire che la non contestazione come strumento di selezione del thema probandum deve operare soltanto quando è avvenuta la fissazione definitiva dello stesso (cioè, con il maturare delle relative preclusioni), per cui essa (cioè la non contestazione) evita l’assunzione delle prove, ma non esonera la parte dall’onere di richiederle.

9 L’esempio che solitamente si fa è quello dell’attore che, dopo aver affermato l’esistenza dei fatti costituivi del proprio diritto di credito, sostiene di non essere stato pagato (quindi, deduce l’insussistenza del fatto estintivo consistente nel pagamento).

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La vera questione, a mio avviso, è un’altra e consiste nella possibilità di verificare se l’allegazione negativa dell’attore possa essere assimilata ad una preventiva non contestazione, tale da rendere controverso (e, quindi, bisognoso di prova) il fatto estintivo, impeditivo o modificativo successivamente allegato dal convenuto. In altre parole, posto che la non contestazione vale per tutti i fatti riversati nel processo e di essa possono giovarsi tutte le parti, è possibile che nell’ipotesi prospettata l’affermazione negativa dell’attore, ancorché precedente quella positiva del convenuto, possa rendere il fatto allegato controverso e, quindi, impedire al convenuto di avvalersi degli effetti della non contestazione (espunzione del fatto dal thema probandum)?

A mio avviso, non esiste una risposta bonne a tout faire, in quanto la soluzione più corretta dipende dal grado di specificità dell’allegazione positiva del convenuto successiva a quella negativa dell’attore. Provo a spiegarmi meglio. Se dopo che l’attore, affermando di essere creditore di una somma di denaro, ha anche precisato di non essere stato pagato, il convenuto si limiti, per contro, ad allegare genericamente il pagamento del credito, mi sembra che in tal caso l’allegazione negativa dell’attore, benché precedente quella positiva dell’avversario, sia sufficiente ad essere considerata contestazione del fatto estintivo e, quindi, a rendere lo stesso controverso (con conseguente onere della prova del convenuto): e ciò perché si è in presenza di due allegazioni di segno opposto ma perfettamente omologhe e speculari. Se, invece, dopo l’allegazione negativa (ma generica) dell’attore, il convenuto non si limita a dedurre genericamente il pagamento, ma ne specifica le modalità,10 è evidente che, in tale ipotesi, non si è in presenza di allegazioni omologhe di segno contrario, giacché l’una (quella positiva del convenuto) è dotata di un grado di specificità non ravvisabile nell’altra (quella negativa dell’attore). In tal caso, pertanto, considerato che ai sensi dell’art. 115 c.p.c. la contestazione deve essere specifica, mi sembra che il fatto estintivo allegato dal convenuto debba considerasi non contestato, con conseguente espunzione dello stesso dal thema probandum11.

Appare chiaro, quindi, che, nella mia impostazione, il problema dell’operatività della non contestazione nei casi di allegazioni negative dell’attore non riguarda tanto la possibilità per il convenuto di provare il fatto (estintivo, impeditivo, o modificativo) affermato come inesistente dalla controparte, quanto piuttosto di verificare se quel fatto possa ritenersi controverso solo perché l’allegazione dello stesso da parte del convenuto è stata preceduta da un’affermazione di inesistenza dell’attore. E la risposta, come già si è detto in precedenza, dipende dalla possibilità di considerare

10 Affermando, per esempio, che il pagamento è avvenuto un dato giorno mediante bonifico bancario effettuato presso un determinato istituto di credito.

11 Ovviamente, sempre che, dopo la contestazione preventiva, l’attore taccia sulla successiva specifica allegazione da parte del convenuto del fatto estintivo, impeditivo o modificativo.

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specifica la contestazione preventiva di quel fatto (che tale è l’allegazione negativa dello stesso);

evento che, come si è visto, è condizionato dalla possibilità di ritenere l’allegazione negativa omologa a quella positiva successiva.

4 – Nel procedere nella ricerca dei limiti in cui deve essere confinato l’onere di contestazione, appare opportuno innanzitutto individuare il contenuto essenziale dell’onere di prendere posizione12 che caratterizza la situazione del convenuto che si costituisce nel giudizio (arg. ex artt. 167, 416, 702 bis, 4° comma, c.p.c.)13. Mi sembra ragionevole ritenere che si prenda posizione in un giudizio nei seguenti modi: a) contestando i fatti allegati dall’avversario; b) ammettendoli (anche implicitamente) o non contestandoli; c) dichiarando di non conoscerli.

E’ evidente che i diversi comportamenti processuali di cui sopra presuppongono a monte una distinzione dei fatti riversati nel processo e, cioè, la distinzione tra fatti che sono propri delle parti e fatti che invece fuoriescono dal dominio o dalla sfera di conoscenza delle stesse. Appare chiaro, pertanto, che l’onere di prendere posizione nelle forme indicate sub a) e b) si riferisce ai fatti che sono propri delle parti, mentre il comportamento indicato sub c) va riferito ai fatti che fuoriescono dal dominio o dalla sfera di conoscenza delle parti.

Ciò precisato, è estremamente agevole ricondurre l’onere di contestazione ai fatti che sono propri delle parti. Più complesso è il problema con i fatti che fuoriescono dal dominio o dalla sfera di conoscenza delle parti. A fronte di tale fatti la parte dovrà considerarsi gravata dell’onere di contestazione e, quindi, ove la contestazione non intervenga, gli stessi potranno ritenersi espunti dal thema probandum?

A mio avviso, se si ritiene che l’onere di prendere posizione comprenda anche il comportamento che si sostanzia nella dichiarazione di non conoscenza dei fatti14, la risposta non può che essere positiva15. Non credo, infatti, che in tali ipotesi si verifichi un’inammissibile aggravio della parte contro cui i fatti sono allegati, giacché la stessa è in grado di difendersi, rendendo i fatti in questione controversi con la semplice dichiarazione di non conoscenza degli stessi. Forse un esempio riesce

12 Su cui, per tutti, v. CARRATTA, Il principio della non contestazione nel processo civile, Milano, 1995, 284 ss.;

FRUS, Note sull’onere del convenuto di << prendere posizione>> nel processo del lavoro, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1991, 63 ss.; BATTAGLIA, Sull’onere del convenuto di << prendere posizione>>, cit.

13 E appena il caso di precisare che tale onere investe anche l’attore tutte le volte che il convenuto allarghi la base fattuale del giudizio sia tramite la proposizione di una domanda riconvenzionale, sia tramite l’allegazione di fatti estintivi, modificativi o impeditivi. Fermo restando che tale onere investe contemporaneamente l’attore ed il convenuto tutte le volte che l’allargamento della base fattuale del processo consegua all’iniziativa del terzo che interviene nel giudizio ponendo una domanda nei confronti di entrambe queste parti.

14 A riguardo un riscontro positivo potrebbe essere rappresentato dagli artt. 214, 2° comma e 215, 1° comma, n. 2, c.p.c.

15 Rettifico, in tal modo, quanto da me sostenuto in La modifica dell’art. 115 c.p.c. e le nuove frontiere del principio della non contestazione, cit., sub III.1.

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meglio a chiarire il concetto espresso. Si pensi al caso in cui l’attore, qualificandosi come erede del defunto creditore, faccia valere il credito nei confronti del convenuto e quest’ultimo resti silenzioso sul fatto costitutivo dell’eredità16 spiegando le sue difese in tutt’altra direzione. A me non sembra che in tali ipotesi il giudice possa rigettare la domanda solo perché non provata la qualità di erede, né tanto meno che il convenuto, che abbia visto naufragare tutte le sue difese, possa con i suoi scritti difensivi ex art. 190 c.p.c. invocare per la prima volta il mancato assolvimento dell’onere della prova da parte dell’avversario su tale fatto costitutivo. Quel che rileva, a mio avviso, non è tanto che il fatto fuoriesca dalla sfera di dominio o conoscenza della parte contro cui è allegato, quanto piuttosto che quest’ultima sia in grado di difendersi: difesa che, nel caso in esame, si sostanzia nella possibilità di rendere il fatto controverso, evento sufficiente per attivare l’onere probatorio di chi allega il fatto. Orbene, poiché tale facoltà è agevolmente esercitabile con la semplice dichiarazione di non conoscenza del fatto, mi sembra che, ove tale comportamento non intervenga, lo stesso fatto dovrà considerarsi non contestato con gli effetti che ne conseguono.

5 – Altra questione che si pone nella verifica dei limiti di operatività della tecnica della non contestazione sorge con riferimento ai c.d. fatti secondari.

Nonostante l’autorevole precedente negativo rappresentato da Cass. S.U. 761/2002, credo che ormai ci sia accordo unanime nel ritenere che l’onere di contestazione si riferisca a tutti i fatti introdotti nel processo, compresi quelli secondari.

Ciò precisato, resta ora da capire se tutti i fatti secondari riversati nel processo, se non contestati, debbano ritenersi espunti dal thema probandum. A tal riguardo credo sia doveroso distinguere tra fatti secondari introdotti dalle parti (tramite i loro scritti difensivi o mediante i documenti prodotti) e quelli riversati nel processo da soggetti diversi dalle stesse parti.

Nel primo caso, mi sembra che il discrimine passi attraverso la verifica del se i fatti in questione concorrano alla produzione dell’effetto giuridico invocato dalle parti. In caso affermativo, credo che non possa dubitarsi del fatto che gli stessi debbano essere investiti dall’onere di contestazione, in quanto la possibilità che essi possano essere determinanti ai fini dell’effetto giuridico invocato è condizione sufficiente per la configurazione dell’onere di contestazione.

Analogamente, a mio avviso deve argomentarsi per i fatti secondari introdotti nel processo da soggetti diversi dalle parti (i testimoni o il ctu). Anche n questo caso non credo sia decisivo il fatto ch essi siano riversati nel giudizio da terzi, quanto piuttosto il fatto che essi possano concorrere alla produzione di un effetto giuridico che è stato invocato dalle parti. In tale ipotesi, infatti, proprio

16 Ovviamente ci si riferisce ad ipotesi in cui il convenuto è del tutto estraneo alla vicenda ereditaria.

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perché i fatti in questione possono essere utilizzati per determinare un effetto giuridico già invocato dalle parti non rende necessario il preventivo esperimento del contraddittorio da parte del giudice, giacché le parti, una volta che tali fatti siano entrati nel processo, sono in grado di comprenderne la portata e, quindi, di spiegare le loro difese sul punto, proprio perché gli stessi sono potenzialmente utili alla determinazione di un effetto giuridico che le stesse parti hanno invocato.

Diversamente deve opinarsi allorché i fatti secondari, sia che siano stati riversati nel processo dalle parti, sia da terzi, si prestino alla produzione di un diverso effetto giuridico, cioè, di un effetto giuridico sino ad allora rimasto estraneo al dibattito processuale. In tal caso, infatti, il rispetto di valori costituzionalmente garantiti impone che su gli stessi il giudice, prima di prenderli in considerazione, debba attivare il contraddittorio per verificare se realmente gli stessi siano non contestati.

Allo stesso modo, infine, dovrebbe ragionarsi allorché intervenga una diversa qualificazione giuridica della fattispecie da parte del giudice, che porti ad una valorizzazione di fatti secondari introdotti nel processo, ma che siano rimasti silenti17 perché non utili alla produzione dell’effetto giuridico invocato dalle parti.

6 – L’ultima questione di cui è opportuno occuparsi riguarda il problema del rapporto tra non contestazione e contumacia.

Nel codificare il principio della non contestazione, il legislatore del 2009 ne ha limitato l’applicazione soltanto ai casi di costituzione delle parti. Possono avanzarsi riserve sulla bontà di tale scelta e può persino adombrarsi il dubbio che sia stata in parte provocata dalla decisione con cui la Consulta18 ha espunto dall’ambito dell’ormai defunto processo societario la norma che valorizzava la non contestazione anche nel caso di contumacia della parte (recte: tardiva notifica della comparsa di costituzione). Di certo, la nettezza della scelta legislativa non lascia adito a dubbi ermeneutici di alcun genere. Non è di ciò, pertanto, che voglio occuparmi, ma di un’altra e più insidiosa questione, che di tanto in tanto affiora tra coloro che non amano l’applicazione della tecnica della non contestazione e, di conseguenza, tentano di limitarne, in via interpretativa, i margini di applicazione.

Quando si contrasta il carattere della (tendenziale) irreversibilità della non contestazione per ammettere la possibilità di una contestazione tardiva, talvolta si fa riferimento ad una presunta sperequazione tra la parte costituita (che ha l’onere di contestare tempestivamente) e quella

17 Sulle problematiche connesse ai c.d fatti avventizi, per tutti, v. BUONCRISTIANI, L’allegazione dei fatti nel processo civile, Torino, 2001, spec. 212 ss.

18 Corte cost. 340/2007, Foro it., 2008, I, 721, con note di VENTURA e BRIGUGLIO.

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contumace, che tale onere non ha, giacché – si è soliti dire – essa, costituendosi, ben potrebbe contestare i fatti.

Il ragionamento, benché suggestivo, è, a mio avviso, male impostato.

Se non si dimentica che la contumacia è evento neutro che non comporta dispensa dall’onere della prova, ci si accorgerà che la tardiva costituzione della parte, inizialmente contumace, è una circostanza insignificante, giacché, stante l’irrilevanza probatoria della contumacia, la parte costituita19 che allega i fatti ha l’onere di provarli, pena la soccombenza in forza della regola di giudizio ex art. 2697, 1° comma, c.c. Il che vuol dire che non ha alcun senso parlare di facoltà, del contumace che si costituisce tardivamente, di contestare i fatti, giacché a quel punto l’altra parte avrà già attivato le sue iniziative istruttorie. Caso mai di rilevanza della non contestazione potrà parlarsi soltanto rispetto a quei fatti, allegati dall’attore, ma non provati, ove gli stessi non siano contestati dal convenuto che si costituisca dopo essere rimasto contumace.

Se le cose stanno così, non capisco quale sia il senso del ragionamento che si critica, non sembrandomi possibile ravvisare alcuna sperequazione tra parte costituita e parte contumace, a meno che non si voglia ritenere che la contumacia di per è sola costituisca un privilegio.20

E’ sufficiente essere abituali frequentatori delle aule di giustizia per vedere come solitamente finiscano i processi contumaciali.21 Né credo che, nei casi di contumacia del convenuto, l’attore si dolga molto della perdita della chance di non poter usufruire degli effetti della non contestazione dell’avversario, parendogli già un incommensurabile beneficio il fatto che l’altra parte, restando contumace, abbia rinunciato ad influire sull’esito del processo.

19 Volutamente parlo genericamente di parte, giacché, almeno nei processi che iniziano con citazione, può verificarsi anche l’ipotesi di contumacia dell’attore (ed ovviamente il problema della non contestazione si porrebbe in tutti quei casi in cui il convenuto abbia allargato l’ambito fattuale del giudizio, proponendo una domanda riconvenzionale o introducendo fatti estintivi, impeditivi o modificativi). Ipotesi analoga potrebbe configurarsi allorché l’allargamento della base fattuale del processo sia dipesa dall’iniziativa del terzo intervenuto, che, però, abbia indirizzato le sue domande e/o eccezioni soltanto nei confronti della parte (attore o convenuto) rimasta contumace.

20 E ciò perché non consentirebbe all’altra parte di usufruire dei benefici della non contestazione.

21 Non ho dati statistici da invocare, ma, ad occhio, direi che in tali casi il giudizio normalmente si conclude con l’accoglimento della domanda.

Riferimenti

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