CANZONETTE ANTICHE
ALLA LIBRERIA DANTE
INFIRENZE
MDCCCT.XXXIV,
Num.
IO.rmsÉ.
;i-7^'Vrir'•^!.
DUKE
UNIVERSITY LIBRARY
"
THE LIBRARY OF
PROFESSOR GUIDO MAZZONI
1859-1943
CANZONETTE ANTICHE
G23
^^^^^^^^^^^^^^^^
Nella letteratura popolare di Toscana, che più di ogni altra ebbe studiosi forse per cagiondella lingua e forseper l'abbondanza deidocumenti che ne rima- sero, si nota
uno
strano caratterediratfazzonamento.Quella letteratura,
almeno
nei suoi primordi,manca
di originalità;
non ha
canti,novellechepossano dirsi veramentesuoi;e quelliche ha, altrove ebbero quasi tatti origine, in altre lingueo in"altri dialettivennero composti:ma
qui trasportatividurarono per secoli,e con lepiù varie trasformazioni riuscirono apenetrare nellatradizionetoscanaeadiventarneuna
parte quasi essenziale.Le
fole che la novellala raccontanelleve- glie,irispetti degliinnamorati,le laudi cheipenitenti cantanonelleprocessioninon
sonodiToscana: hanno una
loro storia propria,come
i cantari dei paladini,come
le novelle del Boccaccio.Donde
vennero, chi prima li portò in paese?O
purec«me mal
quipote- rono rimanere,se diverseerano lecredenze,sediversi eranogiiusi deipopoli?Senon
si intendevalalingua in che prima furono composti?I più antichi di queicanti, deiqualicirestò
memo-
ria,sonosiciliani.
E
vene sono alcuni, che per prova—
4—
indubitata della loro origine, ritengonoancorail
nome
dell'isola o meglio del regno che ebbe
due
re poeti.Ad
alcune canzoni laforma
delia strofe assicurò ilnome
di ciciliane. Inun
codice che al Trucchi(i^e al Carducci(2)diede molti componimenti,visonque-
sti
due
(3).De" perchè
m"
ài traditome
lasso sventurato?Tu
aifacto peccato, e senzamia
cagione.Cierto
non
ay ragione.Non
saròmai
contento, patirmi
fai stento peruno
traditore vile.Se fu
msi
'mentitore, ^ d' altruimal
dicitore, costui netien lo stile reo falso e bugiardoII resto
manca.
Intero è l'altro che segue:D"
un
piacente sorridereamor
purmi
balestra, e 1/0mio
cor a dio ringratia.Piacciati
d'amor
credere d'està legiadra e destra, e ferendo il cor satia.(i) Poesie di
dugento
autori. Prato 184Ó.(2) Cantilene e ballate. Pisa 1871.
(3)
Sono
nelcod. magliabechiano 1040CI. VIIdella Biblioteca Nazionale di Firenze,ilprimo
ae.48redilsecondo a e. bo'^.
Chon
tuoi risguardi anciditni, lassù dalla finestra,sicché'1 morir
m
este gratia.Per
tutta la Ciecilia si spande la tua fighura,,
sicché gran luminaria.
Infra ben ciento milia
t'ò elletta per
mia
signiora:non
m'essere contraria.Se'l tuo chor
non
s'aumilia,chiamo
lamorte
ancora, chem'
este necessaria.Questaorigine
non mancarono
dinotare,peralcuni, anche glistorici della poesia popolare di Toscana, ilRubieri e il D'Ancona. Nel lamento di Lisabetta da Messina (più avanti se ne pubblicano tre testi) parve
al professor
D'Ancona
di riscontrareun
ordito lette- rario soprauna
primitivatrama
popolare;ma non
credo chesipossanoammettere
idue
raffazzonamenti de' quali egli parla,tuttidifferentinellastrutturadelle strofe e nella misura deiversi (i).La
canzone venne inToscana
cosìcome primamente
fu fatta.E
se ilraffronto
non
erra,non può
dirsi che fraquei testi siabbia
una
vera e propria diversità: perchè laforma
della strofa è
sempre
la stessa, benché i trascrittori abbianocercatodiridurla a versi misurati, e qualche volta le rimesisiano perduteperlamutata
desinenza della parola.Così il contrastoiVwora tu
pur
vo'di'Vsia parveal Rubieri di origine napoletana (2}. Egli credette di
(i)
La
poesi.i popolare. Livorno 1878, pag. 19.{2)
È
nelcoJ. 3SPI.XLII
della Bibl. Laurenziana.trovarvialcunetraccedi queldialetto,
ma argomentò
specialmente da una parolanon
letta bene (i).Un'altra canzone molto antica e molto strana fu pubblicata dal Vigo (2); al quale
sembrò
messinese, per essere nel codice trascrittadopo
quella di Lisa- betta:ma
il Rubìeri fu per crederechefosse dipro- venienza calabrese(3).Che
venga dall'isola sono in- dizioivocabolicheiltrascrittorenon
sepperiprodurre, e che venga da Messina è indizio il verso in cui sinomina
il Faro.Ma non
tuttelevocichevi sonousatesipossonodire,
come
il Vigodisse, affatto insulari(4).Il Carducci
buon
giudice di storia letteraria nota:«
Mo
trovatoneltrecento lo strambotto siciliano,cioè(i) Storia della poesia popolare. Firenze 1879, pag. i5o.
La
parolanon ben
letta èmarittimo,permio ma-
rito,secondoilRubieriche aggiunse:«
La
erroneitàdi questa parolamarittimo
invece di maritemo, nel di- mostrare la imperizia del traduttore, svela la tradu- zione, chesembra
toscana.»Ma
per certo il codiceha marittamo,
alla toscana,come mogìiama
emo-
gliata.(2)
Nuove
Effemeridi ^iciìiane.Palermo
1879,pa- gine i3o-i34.(3) Storia delia poesia popolare. Pag. i5r.
(4) Alcuni si
odono
ancor oggi in Calabria,come
piijii, marvi:^^7i, ri:^:^o, caniglia: anzi, mentre nei diecivocabolarisiciliani,
manca
lavocejiidiuo giiidiu,icalabresi
adoperano
tuttorajiiden,neldoppiosenso.La
copia della canzone che servi alVigo
per lastampa
è piena di errori, dimodo
checadono
molte interpretazioni che egli propose.laserie di quattro o più coppie discordi senza finale concorde, e l'ho trovato siciliano veramente di allu- sioni e di lingua:
ho
trovatoquelchechiamavano
ri- spettoiquattrocentisti, cioèl'ottava el'ho trovatocon la intitolazione, ne' codici, di napoìetana(i). »Di canzonette francesi o tedesche si
hanno
pur tracce in Toscana, particolarmente nel 400. Per le tedesche è dubbio se più tosto solo i primi versi ne siano rimasti,benché
stranamente contraffatti, solo per lamemoria
dei canto, perchè sulle arie di essi venivan cantate le laudi: e le portaronoqueimaestri cantatorichesi facevan venir d'oltralpe per lechiese.Ma
delle francesi è certo che molte vennero più omeno
liberamente tradotte: alcune altre che si can- tarono ne'versi originali,furonoornon
èmolto stam- pate dal Meyer.Giù per
la villa lungapuò
essereuna
lezione della canzon francesediJeanRenaud
(2);ma
se è, certamentenon
toscana sarebbe la prima traduzione. Di grande interesseper questo riguardoè l'alba che il Ferrari inseriva nella suaraccolta(3).Ultimi per tempo, in questa raccolta, sono i canti veneziani, con i quali finisce il 400; perchè anche la letteraturapopolare
mostra
dirientrareinquei periodi ne'quali si divide tutta la storia d'Italia.Nel risorgi-mento
della nazione, primi quei di Sicilia ediPuglia possono avereun
regnoche raffermi le libertà deicomuni
j e di là con i cavalieri checombattono
per Federico e per Manfredi,vengono
su perRomagna
eli) Studiletterari. Livorno 1874 pag.418.
(21
La
poesiapopolare, pag. 434.(3) Biblioteca di letteratura popolare. Voi. 1°Fi- renze 1882, pag. 357.
2
per
Toscana
gliartistiedipoeti. Poiquando
aitroppo piccoli principi lombardimanca
la signoria, iVene-
ziani pare che si preparino al conquisto d"Italia. Gli effettidi questapreponderanza, di questa culturave- neta si risentono
dovunque. Ed
inToscana,inmezzo
alle noie petrarchesche, il Giuslinian è per diventare
il poeta popolare: le sue canzonette graziose, i suoi strambottieleganti, sindal principio del secolo,si tro-
vano
trascrittiinpiùcodici,nelle più strane guise raf- fazzonati.E
ilpoeta dell'amornuovo:
ed aluiilpopolo attribuisce anche canzoni chenon
sonodilui,come
la frottoladel BoccaccioVenite pul^ellette ebelledonne.Non
bastachedue
successive edizioniglirestituiscano la lingua nativa: i toscani persistono a crederlouno
dei loro, e forse sol per l'ariadella
musica
si dà iinome
di vinitiana a qualcuna delie sue canzonette.Fra
isuoni edicanticherallegranoilrisorgimento,una forma nuova
di poesia appare in Toscana.La
imitazione dei grandi poeti, da'quali ciascuno deve dipendere, ritarda ogni
movimento: un
sonetto,una
canzonenon pjò
essereimmaginata
senon
con le immagini che da loro furono usate, e pare cheun
versonon
suonisenon
è fattocon loro frasi,conloro parole. Il Sacchettinon ha
migliori imitatori delPe-
trarca.
Ma
intantoilsentimentodelveccliio madrigalehi perde: solo qualche
amator
solitariocommove.
L'antica ballata si adattaalle
nuove
usanza,elaagi- tano liberamentegli stimoli d'amore.Una
raccoltadi questi canti cheallora si cominciarono adudire (per- chè proprio furonotrascrittiamemoria)
fupubblicata dal Ferrari: un'altra fu indicata dal Casini(i). Dalla(i)
Un
repertoriogiullarescodel secoloXIV. Xn-
cona 1SS2.campagna,
con le ghirlandecìjllerose di maggio, en- trano in città.E
nelle feste pubbliche, negli stravizi del carnevale trionfano lenuove
canzoni a ballo, icanticarnascialeschi. In questo tempo,per
uno
strano contrasto, risorgono anche le laudi;ma
l'antico fer- vore è morto,esonocostrette a prendere le arie dei canti profani.'Sono due
modi,due
forme d'arte chenon ammettono
diversi poeti: diLorenzo
de'Medici troppo si conoscono gli uni e le altre.La
tardastampa
che si fece diqueste canzoni a ballo fu causa diun
errore curioso. Perchègli editori deli533, nel titolo del libro disseroche furonocom-
poste dalmagnifico Lorenzo,sicredette
comunemente
che a lui in gran parte si dovessero attribuire, o al Poliziano o ad altri suoi amici eseguaci. Questo er- rore si ripetè dal Crescimbeni inpoi(i): equando
in questi ultimi annilaletteratura diventòpolitica,senz'al- tro si fece colpa aLorenzo
di averecon
quei cantipromosso
lacorruzionedelpopolo, per poter meglio ridurlo aservitù.Poverastoria letteraria! Quelle can- zoni oscene, luridamente oscene,assaiprim.avennero fatte (2).Due
fra le altreNon
c'èdonne
il pili bel giocoedEl
prete delpopolo mio, si trovanoinma
•noscriltidi datacosìcertache
non
vi èmodo
didubi- tare della loro età;ma
quinon
è lecito di portarne esempi,perchèlebibliotechediFirenze nesonopiene.Del resto sono, in generale, così rozze,così sgraziate che
male convengono
alla eleganza medicea: troppo grande ne è la diversitàperchèdebbano
confondersi,(i)
Commentari
alla Istoria della volgarpoesia.Roma
1702.Voi. 1°pag. 209.(2J Biblioteca di letteratura popolare, pag. 333.
e se
non
visioppone
la decenza, vi sioppone
l'arte.I canti carnascialeschi di
Lorenzo
e de'suoi amici, piuttostocheinquella raccolta,hanno
illoro riscontro nell'altra che fece il Lasca, nel iSSg.Ilfervorreligiosoeramorto,e
male
sipotevapredicar l'umiltàadun
pQpolo che viveva in tante grandezze.A
Firenze, nella bottegadi V'espasianodaBisticci,fra quei libri e quegli eruditi, san Bernardino da Siena sente a'suoi sillogismimancare
la forza. Il Poliziano' burlaifrati chenon
capisconolecommedie
diPlauto.E
pili tardi sotto il pulpito del Savonarola si vedrà ridere Niccolò Machiavelli.Perchèle chiesenon
siano abbandonate,lecerimoniesifannoconnuove pompe;
e Santo Spirito e
San Lorenzo
sicostruisconocome
teatri, ne'qualimeglioappariscala beltà delledonne.
Ad Or San
Michele, a Santa Maria Novellavanno
ancorailaudesi;ma
lelaudiche quei poveri artigiani cantano, risentonodellalieta vitadifuori, sono un'eco delle maggiolate e dei canti carnascialeschi.Né
solo l'ariadellamusicasiimita,sicontrafannoleparole(i).Se ne
odano
alcune.La
ballata diFranco
Sacchetti,O vaghe montanine
pastorelle, è riilotta in questomodo:
O vaghe
diGesù
o virginelledove
n'andate sì leggiadre e belle?Dov'è '1vostro lesuecc.
(i) I codici che contengono il maggior
numero
di rifacimentisacrisono il palatino 169 e queldiSS.An-
nunziata 1545della Biblioteca NazionalediFirenzeedil n. 577della Biblioteca Chigi di
Roma.
La
canzonetta Psoìì quella villanella è così con- trafatta dal Castellani:l'son quella pecorella
che'1 pastor
d'amore
infiamma.Son
Jesu la persadramma
ecc.L'altra
Son
stato ne l'inferno tanto tantoFeo
Bei- cari così converte:Son
stato in paradiso tanto tanto che pianger deverei la notte e'1 die.L'O
canzonettamia
diLeonardo
Giustinian di- venta:Dolce preghiera
mia
con sospir lachrimosavanne
a Maria pietosache siede in ciel sopr'ogni gelarchia.
E quando
giungerà inToscana
la villanella diOlimpo
da Sassoferrato, diventerà:La
vergin santa si leva pertempo
adorna di virtute e gentilezza et di chiarezzacon gran vaghézza
la se ne va con gran prestezza.
a chasa Zacharia etLisabetta.
Ancora
più ridicoli sono i raffazzonamentideicanti carnascialeschi.La
laude del Muzi:Deh!
sappiatevi guardare da cattivecompagnie
—
12—
è fatta sopra quel che comincia:
De' sappiatevi guardare, o garzon di
non
tor nioglie.E
l'altroQjiest'èdonne un
arborgrande
diventa:Questa è quella croce grande la qual tutto el
mondo
honora, perchè Dio su vi dimora e'1 suo sangue per no'spande.Questi rifacimenti sono tutti propri! diFirenzeedi
Toscana?
Del i5i2abbiamo una
edizione veneziana dilaudi che almodo
delle canzoni si cantavano;ma
è
una
semplice ristampadella fiorentina,o purequel- l'uso di Firenze era passato altrove?I.
Per le canzonette che Dioneo
rammenta,
fra le ri- satedelledonne,sul fine dellaquinta giornatadelDe-
cameron, i deputati posero questa annotazione: «Le
canzonette qui tocche da Dioneo son di quelle che a quei tempi si cantavano in su le festee alle veglie a ballo,
come
anchor hoggi s'usa per sollazzo.Et se ne ritroverebbe forse qualchuna;ma non
vale il pregio ridurle in vita. Basti che sottosopra tutte, quale più copertamente,equale alla scoperta,motteggiavanole donne;e diquiè,chelareinanefatantoromore
»(i).Se i deputati, se il Borghini al qualein grari parte
sidevelacorrezionedeliSyG,
non
avesseroavuto que- sto ritegno, forse quasi tutte quelle canzonette fino a noisarebberopervenute.Alcunegiàne avevaraccolto.Nelle sue carte c'è per interoquelladel nicchio: edi quella di
Monna Simona
imbotta imbotta egli cono- sceva il seguito,come
appare dalla annotazione che dice: « Credonsi alcuni queste parole esser parte e seguitare allacanzonettaMonna Simona, onde
anchehanno
scrittoEt
non è delmese
d'ottobre;ma
siin(i) Annota:;!oni dei deputati al
Decameron.
Fi- renze iSyo. Annot. n" 86.-* '4
—
gannano, che altre eran le parole che seguivano, et altra fine haveano, etquesta è nota de' nostri vecchi che era già et è ancora per avventura qui in alcun libro».
Ma come
egli poteva ricercarle e pubblicarle,quando un
suocontemporaneo
assaimeno
scrupoloso di lui le aveva trascurate? Il Doni nellaZucca
(i)narra di
Zanobi Fabene
contadino pisano, il quale aveva«una
moglie tantoperversache eglifecequella canzone che cominciaMonna Lapa
imbotta imbotta,Se
tu vuoi cento malannila qual finisce
dopo una
lunga filastroccola di di- spiaceriChi non
sa quel che son doglie proviun
tratto lamia
moglie.»Fra
le paure dell'indicee del sant'officio, il fonda- tore della libreria riccardiana, RiccardoRomolo
Ric- cardi,non
sa trattenerelasuacuriosità,esulleguardie diuno qualunque
de' suoi codici, delmeno
curioso, trascrivedue
delle canzonette: inuna
pagina, quella del nicchio,come
la trova inun
manoscrittodi Pier Vettori suo maestro,enell'altra,L'acqua
corre alla borrana,come
l'ode cantare a Varlungo.Poi nel ritornodegli studj,per i quali divien neces- saria la
stampa
delDecameron
secondo l'apografo(i) Passerotti, n" 121 dell'ed. i532 e n'^ ii3 del-
l'ed. i565.
(2)
Decameron.
Firenze 1761.Le
bozze di questastampa
si conservano ancora inun
codice della Bi- blioteca Marucelliana di Firenze, C. iSy.del Mannelli(2}, ricominciano lericerchedegli eruditi.
Già il
Lami,
annotando Tannale comunicatogli dal Foggini,dove
sono gli strani versi:In
nomine
patriset filiiet spiritiis sancii.Nella Telia in ripa de
mari
sedebat.Telia dixit-
Segemus.
Neliadixit-SecessemusMale
de oculisfamuli
marisavea detto:
«Io
di questo ne so quanto ne sapeva prima, senon
chemi
fa ricordare del principio di un'antica canzonettausata dal Boccaccio:L'onda
delmare mi fa
sìgran male
)> (i).Queste ricerche deivecchi eruditi,del Magliabechi, del Salvini, del
Lami,
delMehus rimangono
scono- sciute ai nuovi;ma non
senza minore alacrità se ne fanno altre. Il Fanfani trova la canzone di Lisabetta da Messina(2); ed il Bongi l'altra delladama
del vergili(3). Il Cappelli scopreun
testonuovo
delnic- chio(4), il DelLungo
pubblica la copia magliabe- chiana(5);mentre ilBilancionineavevagiàrinvenuta un'altra antica inun
codice riccardiano(6).(i) Novelle letterarie, Firenze 1747.
Tom.
viii, pag. 3.(2)
Decameron.
Firenze 1857.Tom.
i, pag. 349.(3)
La donna
del veritiere.Lucca
1S61.(4J Lettere di Loren:joil Magnifico.
Modena
i863, pag. 85.(5) // tesoro di
Lorenzo
Braccesi. Bologna 1864, pag. i5.(6) Cantilene e ballale. Pisa 1871,pag.62.
Per cura del prof.Carducci furono acquistate dalla Biblioteca
comunale
diBologna
tutte le schede del Bilancioni.3
I/I
Legione
del codice n"2^^2
delLi Biblioteca Rie-cardicina di Firenze.
Canzonettasitrovain
un
antichissimolibro inpenna
dreto aun
libro vulgare diM.P.V. dellaqualepone
ilBoccaccio il
primo
verso.Questo
mio
nichio s'io noi pichio, l'animomio non mi
lascia stare.Questo
mio
nichio vorrebbe uno, molto si guarda dal digiuno, per lo star diventapruno
:iolo 'ntendo adoperare.
Questo
mio
nichio eli è sì fatto, chenon
è sì folle o matto, che chi v'entra e vuol far fattoil
pegno
vi dee lasciare.Questo
mio
nichio eli èritroso, tucto intorno egli è peloso,par il diavol
quando
è cruccioso. *Madre
mia,non
indugiare.Delle
minore
ciha
di noi,ch'hanno
marito,hanno
figlio), * et io lassa guardo i buoj.Che
si possin scorticare!1/2
Lefione
del cod. n°1118
della Biblioteca Ricca?'- diana, af.g2
^.Questo
mio
necchio s'io noi picchio, l'animomio non mi
lassa stare.Questo mio
nichio vorrebe uno, et molto si guarda dal digiuno, et per lo istar doventabruno
:io lo intendo adoperare.
Questo mio
niecchio egli è sì fatto, enon
è sì folle o matto che chi v'entra e voi far patto, che'1pegno
vi dea lassare.Questo mio
nichio elgli è ritroso, intorno intorno ilgli è piloso, pare il diavolquando
è crucioso.Madre
mia,non
induggiare.De
leminor
ci è di noi chehanno
marito et figlioj, etio trista guardo i buoi, che si possin scorticare!Questo
mio
nieccho s'io noi picchio, l'animomio non mi
lassa stare.1/3
Legione del cod.
HH.
IH. 113 dclLx BibliotecaReale
diPanna.
Qaesto
mio
nicchio, s'ionon
j?je'l picchio l'animomio non mi
lassa stare.Questo
mio
nicchio vorrebbesi uno, molto si turba per lo digiuno, e per lo stare doventabruno:
vorrebbesi adoperare.
Questo
mio
nicchio si è boscoso, intorno intorno egli è piloso;pare
un
diaul/^quand'è coruccioso;con il cotal si>vorrè azzufFare.
—
Figlia mia, ora ti da pace.Questo tuo nicchio
non
è verace:quando
fiatempo
di darvi pace,un
bel mazzapicchio ti vuo'comprare.— Madre
mea, che hai tu detto?Guata
cornomi
cresce il petto.Questo mio
nicchio pareun
pennecchio.Quanto
diaule vuoi tu indugiare' Assaivi sono dellemie
minori,chi
ha
marito e chi Ita figlioi:e io
meschina guardo
i buoi cheoggi
si possano scorticare!2/1
Legione
del cod. »°2^^^
^^^''^ Biblioteca Riccar-diana.
Canzonettaa ballosecondo che si canta ancoroggi etsiballa aVarlungho,etnefa
menzione
ilBoccaccio.L'acqua
corre alla borrana, e l'uva è della vigna.E mia madre mi
vuol gran bene, e datemi està pigna.Questo ballo
non
è sta bene, e certo iomen'avegho.
E non
èhuon
che sia sì bene chenon
possa staremegho.
E
tu N.compagno
mio, pont'allato al tuo desio,e qui sta fermo.
Danzi chi danza, che fai
una
bella danzae danzalatu N.che l'ai la tua speranza.
Per
amor
facciun
salto, per gentilezzaun
altro, conuna
riverenzae
una
continenza, e torna alla tua stanza.2/2
Legione
del cod. Biscioni voi. 2^. della BibliotecaReale
di Lucca.Canzona
dellaqualefamenzione
Giovanni Boccaccio nella novella della Belcolore; la quale si canta bal- lando e scambiandosi del ballo tondo daun
luogo all'altro, secondo il desio,andando
appresso a chi più gli piace.L'acqua
corre alla borrana e l'uva è già vermiglia;e'1
mio amore mi
vuol gran bene, e datemi quella figlia.Questo
ballo none sta bene e potrebbe stare"meglio.E
tu N.compagno
mio,vanno
a lato al tuo desio e quivi ti sta fermo.N.
B. Si confronti la nota del i552 che fu pub- blicata dal Mussatia nelPropugnatore,
Bologna i8')8 voi. 1°pag. 232.IL
È
la canzonerammentata
dal Boccaccio nella no- vella di Lisabetta daMessina. Narrato che i fratelli diLisabettaletolseroilvasodel bassilico in cuiaveva seppellito il capo dell'amante daloro ucciso,eglidice chemorta
lasventuratagiovanepiangendo edoman- dando
il suo vaso, «poi a certotempo
fu alcunochecompuose
quellacanzone,laqualeancoraoggisicanta, cioèQuale
essofu
lomal
cristiano chemi furò
la grasta.»Cito l'apografo del Mannelli (Cod. laurenziano i, PI. XLII) ([), poiché negli altri
que'due
versi sono svariatissimi. I cod. laurenz. 284 (cheha
la data del 24 agosto 1458) e 5 dello stesso PI.XLII, i cod.gad diani io5 e 106primo PI. XLII, ed il cod. magliabe- chiano 16. CI.VI
riferiscono ilprimo
versocome
è nell'apografo;ma
nel secondo quasi tutti agrasta
od a grestasostituiscono testache piùsiaccostaalla voce che significa in toscano il vaso dei fiori. Degli altri codici il più antico per data, il magliab. i5.CI.VII(del25luglio iSgó),
come
l'altromagliabech.i5 della stessa CI., leggeChe mi furò
il basilico. Il(i)
Decameron.
Giorn. iv,Nou.
v, Firenze 1761.quale terzo verso è pur dato dal cod. gaddiano io5 PI.90 sup. e dal cod. magliab. 140 CI.VI.
Onde
ap- pareun
indiziodellapopolarità edelle trasformazioni della ballata;di che più avanti si avràmiglioreocca sione di discorrere.Questa canzone,
dopo
che nel presente codice fuprima
trovata dal Fanfani (i) diede materia a più studi, particolarmente del Vigo(2); il quale, facendo notare i caratteri cheha
di essere siciliana, cercò di restituire alla primitiva forma i vocaboli scorretti e dirifarneanche la strutturadelle strofe.IlVigo, forse ingannatodallalezionedelleCannoni
aballo,credette che in originetutti i versi fossero endecasillabi, e al- lungò amodo
suo gli ottonari che suppose monchi.Ma
assai meglio di lui, la metrica fu presa anorma
dal prof. Carducci(3); il qualeben
notò essere « la stanzadi sette versi, de'qualiilsecondo, ilquarto edilsestoottonarii,endecasillabi, glialtririmati ab, ab, ab, fino al settimo che
ha
ilrimalme^zo
e la cui ultima parola è base alle rime della st. seguente.»Le
rimeconvengono
così regolarmente, chenon
sipuò
dubitare che questaforma non
sia laprima
chela ballataebbe,
quando
fucomposta.E
se,come
giàil Boccaccio avvertì,
sembra
indicareun
rifacimento letterario,questo per certo dovettecompiersiin Sicilia,non
inToscana. Q.ui conservò l'antica forma,benché
i trascrittori cambiassero le primitive desinenze delle
(i)
Decameron.
Firenze iSSy.Tom.
i, pag. 349.(2)
Nuove
Effemeridi Siciliane.Palermo
1870.pag. 14-19.
(3) Cantilene e ballate. Pisa 1871, pag. 48-52.
parole e ne mutassero anche qualcuna che
non
inten- devano, onde furono alle volte le rime alterate.'
Poche
note occorronodopo
quelle del prof. Car- ducci. Si è detto dei codici delDecameron
che rife- riscono il 1° versocome
è nell'apografo. 11 lauren- ziano 6PI.XLII
con la data del 5maggio
1462 ha:Qitello
fu
lo ecc. ed il magliabechiano 140 Col. VI Qitestofu
il.Al V. 2. il ms.ela edizione delle Can:{onia ballo del i568
hanno
resta,voce chemanca
in toscanonel- l'uso di testo o vaso da fiori. In generale i cod. delDecameron hanno
testa,meno
il laurenz. 5 PI.XLIf
cheha grastacome
I'apografoedil gaddiano 106.1"PI.
XC
sup. cheha
gresta. Tutte edue
questevoci sono siciliane;ma
ilVigo notò che grasta valevaso e gresta coccio. Il verso che deve essere ottonario é mancante,ma
è così in tutti i ms. II Carducci cor- resse: // qual mi.Alv.3.icodici migliori o nelprincipiodellaballata nella novella
hanno
salernitano,come
i laurenz.1e46PI.
XLII
edilgaddiano 106.i"PI.XC,
Deglialtri il magi. i5 CI.VI ha
salamontano, il laurenz. 2 PI.XLII
salamentano,ilmagi.16CI.VI
salomentano,ilgad. io5 PI.
XC
sup.seramontano
ed ilmagi. 140 CI.VI
sermontano. I deputativideroun
altro codice che aveva basilicobeneventano, « forse perchè questo (dissero) era stato lodatoinqueitempi da Pietro Crc- scenzi».Legione
del cod. n°38, PI XLII
della BibliotecaLaurenpana.
E
questo fu lomalo
cristiano chemi
furò larestadel bassilico
mio
selemontano.Cresciut'era in gran podestà
5 ed io lo
mi
chiantaj chollamia mano
:fu lo giorno della festa.
Chi guasta
—
i'altru'chose è villania.Chi guasta l'altrui chose è villania, et grandissimo il peccato.
IO
Ed
io la meschinella eh'i'm' aviauna
resta seminata!tant'era bella, all'ombra
mi
dormìa, dallagente invidiata.Fummi
furata—
e davanti alla porta.i5
Fummi
furata edavanti alla porta.Dolorosa ne fu assai:
ed io la meschinella or fosseio morta, che ssi chara l'acchattai!
E
pur l'altr'ieri ch'i'n'ebbimala
scorta 20 dal messer chui tanto amai.Tucto
lo 'ntorniai—
dimaggiorana Tucto
lo 'ntorniai dimaggiorana
fu di
magio
lo belmese
tre volte lo'naffiai la settimana.
Sir idio
chome
ben s'apreseIOr
è in palese—
chemi
fufurato
raputoOr
è in palese chemi
fu raputo,'io nollo posso più celare;
sed io davanti l'avessi saputo che
mmi
dovesse incontrare, davanti all'usciomi
sare'dormita perlamia
resta guardare35
Potrebbemene
an/tare—
l'alto iddio.Potrebbemene
aiutare l'alto iddio, se fusse suo piacimentodell'uomo che
m'è
stato tanto rio:messo m'
à inpene e'n tormento, 40 chem'
à furato il bassilico mio,ch'era pieno di tanto ulimento:
su'aulimento
—
e tuttami
sanava Su'alimento e tuttami
sanavatant'avea freschi gli olori 4.0 e la mattina
quando
lo'naffiavaalla levata del sole,
tutta la gente si maravigliava:
onde vien chotanto aulore?
Ed
io per lo suoamor — morrò
di doglia.5o
Ed
io per lo suoamor morrò
di doglia, peramor
della resta mia.Fosse chi Ila
mi
rinsegnar di voglia volentiermi
ritorria la raccatria.Cento once d'oro ch'i'ò nella fonda, 55 volontier gli le doneria,
e doneriegli un bascio in disianza.
2.
I codicidel
Decameron
citati di sopramostrano
che fino allametà
del400lacanzone diLisabetta daMes-
sinaconservò la suaprima strofe, cosìcome
la udì cantare il Boccaccio;ma
èben
certo che nell'altrametà
del secolola perdette. Anzi inun
testo delDe- cameron,
veduto dai deputati, al principio dato dal- l'autore venne sostituito questo:Chi guasta
l'altrui cosefa
villania;onde
i deputati credetterochefosseil principio di un'altra ballata(ij.
La
lezione chedi questolamentoviendata nel pre- sente codice, è molto diversa;ma non
cosìcome
cre-dette il prof. D'Ancona. Il quale asserì essere «ben sicuro che il lamento smozzicato dei sei primi versi e allungato di altric^uattroin fondo, etutto differente nellastrutturapropria e nella misuradei versi,durava tuttavia nel i533
quando
siponeva
astampa
la rac- colta delleCannoni
a ballo fiorentine» (2).Questa raccolta del 1533,
come
l'altra del i56S,ri-producein generale la lezione presente,
meno
in al- cuni punti che indicherò;ma
se i versi ottonari vi si posson veder alterati e ridotti quasi alla misura degli endecasillabi,la strutturadellestrofeèlastessa,benché
nelle edizioni i versi siano stati dispostidue
per due. Del resto quella tendenza a fare tuttiiversi(i)
Annotazioni
dei deputati cit.(2)
La
poesia popolare italiana. Livorno 1878, pag. 19.—
27—
misuratiche é propriadellapoesiatoscana
può dimo-
strare
un
rifacimento popolare.Così la canzone, perduta la prima strofe,
durò
inToscana
per tuttoilsecolo,tantoche
almodo
diessa anche le laudi venivano cantate. Oltre chenelledue
edizioni delle laudi del 1480 e del i5io, ne èriferitoil
nuovo
principionelcod. riccardiano i5o2 e neicod.magliabechiani 3o, Sóy e774CI.VII.
Ma
sinoti chela laude diFeo
Belcari, che proprio fucomposta
su.questa ballata,
come
più sotto si dirà,conserva l'an- tica misura di ottonari ed endecasillabi.Lejioue
del cod. 11"161
gciddicino della BibliotecaLaurenpana, a
f.jj
e g4.Chi guasta l'altrui cose fa villania e grandissimo peccato.
Et
io la meschinella che iom'
aviauna
testa seminata!5
Tanto
era bella ch'a l'ombra ci stasia tutto lo giorno indisiata.Fummi
furata—
davanti alla porta.v. I.
E
così dato anche in tutti i Cantasicome
delle laudi. Il Vigo corresse anteponendo cose ad altrui.
—
V.2.Così è anche nel codice magliabechia-no
n.°744CI. VII.La
edizionedelle Can:^otiiabailo del i5ó8 alterandone la misura,leggeEt fa
grandis- simo peccato.—
v. 3.La
ed.Od
io la meschinella ch'iom'avia Una
restaben seminato.—
v. 5.Anche
l'ed. cit. ha: vi si stasia. Questa, meglio dell'altra lezione,riproduce la formasiciliana,da stacire osta- gire per stare. Il Vigo ne addusse varii esempi.
—
v. 6. Il ms. ha in disian:^a,
ma
la correzionesembra
necessaria.La
ed.Et
tuttoilgiornoch'io la visitai.—
28—
Fummi
furata davanti alla porta.Dolorosa ne fili asai:
IO e
pur
l'altr'ier ch'i'n'ebbi lamal
scorta dal signor ch'io tanto amai.Ora
volesse Iddio eh' io fussimorta
l'ora e'1 giorch'io la piantai!Tucta
la'ntornai di maiorana.i5
Tucta
la'ntornai di maiorana.Fu
dimaggio
quel bel mese, tre volte la innafiai la sectimana che son dozi volte elmese
conaqua
chiara di viva fontana.20 Signor, quanto
ben
s'aprese!Ora
è palese—
chime
l'à raputa.Ora
è palese chime
l'à raputa,non
la possoritrovare.Tre
giorni innanzi Tavess'io saputa 25 cheme
dovi'a incontrare,V. 9.Nelms.E...ch'ione. Neil'ed.
Et
dolorosaeh'io nefussi.—
V.io.Ilms.ierimala
scorta.L'ed.del1533una
inaiascorta, e quella del i5(3S:una
mascorta.—
V. ii.Nell'cd.
Dal mio
signor.—
v. i2-i3.Mancano
nelle Can:^onia ballo.
—
v. 14.La
detta ed.Tutta
Vattorniai.—
v. 16. Nel ms.E
fu... diquelcome
nell'ed.
—
v. 17. Nel ms. inaffiavacome
neil'cd.—
V. 18-19.
Mancano
nel testo maggiore. Il Carducci, togliendoli dall'ed. cheha
pur dodicicome
il ms.so- stituì do^i.—
Nello stesso vers. 19 in vece diCon
la ed.ha
D'un.E
nel vers. seg.. il ms.e laed.hanno O
signor mio.
—
v. 21. Nell'ed.Or
è in paese.—
V. 23. Nel
ms. E
non la, e nell'ed.E
non lo.—
v. 25.11ms. Qiielloche
me
nedoi'ia e l'ed.me
doveva.—
29—
davanti alla porta sarei giaciuta per la
mia
testa guardare.Potrebbemene
atare—
l'alto iddio.Potrebbemene
atare 1'alto iddio, 3o se gli fusse in piacimento,dell'omo che
m'
è suto tanto rio,m'
amesso
in penae
'n tormento, chem'
à furato el basilicomio
che era pieno d' olimento;35 e'1 suo olimento
—
tuctomi
sanava El suo olimento tuctomi
sanava,tanto avea frescho el colore.
E
la mattinaquando
lo innaffiava, sulla levata del sole,40 tuctala gente si maravigliava
donde
venia tanto odore.Ond'io
per lo suoamor — moro
di doglia.V. 26. Nel ms.
Davanti
alla mia.E
nell'ed.Da
vanti ch'uscio
mi
saria iacinto.—
v. 27. Nel ms.Sol per.
—
V. 28. Il ms. aiutare.E
l'ed. ataresol l'altoDio.—
V. 3o. L'ed.Se
eglifiissi.—
v. 3i. Ilms. cotanto.
E
l'ed. Dell'huomo
chem'
è statotantorio.
—
V. 32. Nel ms.Che mi fa
stare inpena
et in tormento.E
nell'ed.Che mi ha
messo. Questo egli altri versi*delms. e dell'ed. indicanola tendenzache ebbero i trascrittori della ballata di convertiregli ot- tonari in endecasillabi.—
v. 34. Ilms.d'ogni.E
l'ed.El
qual pieno era d'ogni ulimento.—
v. 35.Nell'ed.Et
suo alimentotuttoilcormi
sanava.—
v. 3j.Man-
ca nell'ed.—
v. Sg. Il ms. In sulla.E
l'ed.Era
in sulla.—
v. 41, Il ms.Donde
veniva cotanto.E
l'ed.Donde
venir potessi tanto.—
v. 42. Nel ms.amore
come
nell'ed.—
.->o—
Ond'
io per lo suoamor moro
di doglia, pr'amor
della testa mia.4?)
E
chime
la rendesse di sua voglia, farebbe gran cortesia:Cento
once d'oro eh'ò inuna
fonda volentier gliele donria,5o _ e donerègli un bacio in disianza.
E
donerègliun
bacio in disianza, forse gliene gioverìa:sempre
alla vita sarei su'amanza
pr'
amor
della testa mia.Chi euasta 1'altrui cose fa villania.
V. 44. Nel ms.
E
solper l'amore, e nella ed.Sol per amore.—
v. 45. L'ed.me
la insegnassi.—
V. 46. L'ed.
grande
honoreet cortesia.—
v. 47. Nel ms. inima mia
fonda.E
nell'ed.Tre
once d'oro iho nelle miefoglie.
—
v: 48. Il ms. Volentieri gliele doneria.E
l'ed.Che
forseforse gliene doneria.—
V. 5i. Il verso
manca
hell'ed.—
v. 52. Nel ms.E
sempre
alla mia, e nelTed.Et sempre
alla sua.—
V.53.Il ms. Solperlo
amore,
e l'ed.Solperamore.^
Si èdettodisopra che ideputatiallacorrezione del
Decameron
furono per credere che la ballataChi guasta
l'altrui cosenon
fosse proprio quellaram-
mentata dalBoccaccio.Come
avvenissequestoerrore, narra a lungo il Borghini inuna
sua lettera,laquale merita diesserriportata,anche perchè vi è dentroun
altro testo della canzone.
E un
saggio delmodo come
gli eruditi del 5oo in- tendevano la ricostruzione degli antichi testi. Il Bor- ghininon
dice qualedelledue
edizioni delleCannoni a
ballo, pubblicatesi a'suoidì,gliservisse perquesto lavoro;ma
i riscontri pare che dimostrino che egli ebbe davanti quella del i533. Nella ballata, primardi tutto, notò r usodellarimaalmezzo
:necorressequal- che parola, e due versi che vimancavano
rintracciò felicemente nella laude diFeo
BelcariChi
non serveGesù
conmente
pia:non
si curò delle forme delle strofe e del metro: volle piuttosto argutamente spie- gare perchè i suoi vecchicomponessero
le laudi sule canzonie di questecontraffacessero leparole« per
amor
del canto. »In questa
nuova
lezione, anchepiù che nell'altra, sipuò
osservare latendenzachei trascrittori ebbero di ridurre la ballata a versi misurati.Estratto dalcodice n" della Biblioteca
Naponale
di Firenze.
Questo luogho
come
si legge nel 27 così è ne'mi-
gliori testi. In altri si legge altrimenti et in più d'
un modo,
che non accadedi tuttifarnementione, cheuno
ve n'è moltodiverso dagli altriet inquestaparte solo che leggeChi guasta
raltrui cosefa
villania.La
qual canzonetta si truova anchora fra certe Ballate chevanno
atornosotto ilnome
diLorenzo
de'Medici et del Politianoet d'altri.Ma
senzadubio èpiù antica che le poesie di costorocome
per molti segni si co- nosce, sebene ella è stampata molto lacera et scor- retta etmancante
di alcuni versi né è disposta nel suo debito ordine.Noi crediamo che qualcuno veduto convenirsi in questa canzonetta, checomune
allora era moltoin bocca, ilmedesimo
o vero simile caso,chome
ciaschunopuò
vedere, credessi che ella fusse quella o perun
riscontro o altrosuocapricciolano- tasse, scrivessi così inmarginedel suolibro,onde
poi ella passasse per vera lectione in questo libro.Ma comunque
sia ci è parato bene darne notiliaa'lettori.BALLATA
Chi guasta l'altrui cose fa villania et fa grandissimo peccato.
Ed
io meschinella hor'eh' io m' haviauna mia
grasta ben seminatoTanto
bella che all'ombra
vi stasiaconsolato
*
E
'1mio
cuor tribolato esso conforta (i).;:}
Rima
inmezzo
il verso all'uso antico et prò venzale.*
E
'1mio
cuor tribolato esso contorta,* tutti li giorni eh'io'1 visitai
Fumnii
furata davanti alia porta, et dolorosa ne fui assaiEt
pur raltr*er n'ebbiuna mala
scorta delmio
signor che tantoamai
Tutta l'attorniai di maiorana.Tutta rattorniai di
maiorana
et fu di
maggio
di quel belmese Tre
volte l'innafiSai la settimana,che son xii volte il mese, d'un'
aqqua
chiara di viva fontana.O
signormio, quantoben
s'appreseNon
è'n paese chime
1'ha
raputa.Non
è in paese chime
Tha raputa etnon
la posso ritrovare.Tre
giorni innanzi 1'havessi saputa quel ne dovi'a incontrare!Davanti all'uscio
mi
sarei iaciuta sol per lamia
resta guardare.Potrcbbemene
hor'alar'sol l'alto Dio.Potrebbemene hor
atar sol 1'alto Dio, sed egli fosse inpiacimento, dell'huomo chem'
è stato tanto rioche
m' ha messo
in pena e tormento,Che m'ha
furato ilbasilicomio
il quale era pieno d'ogni aulimento
Il suo aulimento tutto il cor sanava.
Il suo aulimento tuttoil cor sanava
—
-M—
Et la mattina
quanJo
io Vinalfiava, era in su la levata del sole, Tutta la gente si maravigliavaonde venir potessi tanto odore
Onde
io per lo tuoamore morrò
di dogla.Ond'io
per lo tuoamore moro
di doglia, sol peramor
della grastamia
Et chi
me
la'nsegnasse hor di sua voglia farebbe grandissima cortesiaTre
once d'oro ioho
nelle mia foglia che forse forse gli donen'aEt donen'a*
un
bacio in disianzaEt
donen'aun
bacio in disianzaEt
sempre
alla sua vita sarei suaamanza
sol per
amore
della grasta mia.Chi guasta 1'altrui cose fa villania.
Tre
Trersi di sopra ***ho
rimessi et dirovvicome.
Un Feo
Belcari giàatempo
de'nostri avolicompose
laude spiritali, in su tutte, lecanzoni di questa sorte, (che son quelle che allora sicantavano da'Laudesi, et ancor hoggi si segue inalcunechiese,ma
all'hora quasi in tutte quelle chehaveano
polso: et iome
lo ricordo in S.-J-, et di S. M.''novella diceil Boccaccio, et inHor
S. Michele dura ancora) etandava
quanto poteva imitandoetcontrafacendole parole: etquesto peramor
del canto chevisiaccomodasse
meglio,et più ritenesse quell' arie.Hor
da questa che cominciaChi non
serve Giesìi con niente pia— È
del cuore accecatoho
rintracciato questi ecc.^
III.
Fra
lepochenovelle delDecameron
ridotte in versi,
questaè
una
dellepiù curioseche si conoscano.E
lemoltevariantichefraquestote^.toed i duedelleBal- latette e delle
Cannoni a
ballo si riscontrano,non
vi
ha
dubbio chenon
dimostrino tutta la popolarità del lavoro.lìfabliaupubblicato dal
Barbazan
(i)può
dirsiuna
traduzione esattadelraccontoiS" diPietro Alfonso(2);ma
la canzonenon
ha alcuna attinenza con questi, né con quello dei SetteSavi
diRoma
(3),oppure
viene direttamente dalDecameron? La
cosameritadi essere studiata; perchè se la canzonettaavesselasua origine dalfabliau, ci sarebbe un'altraprova che in Italia, nel 3oo e nel 400, eranobenconosciute,anche dal popolo, le fonti del Boccaccio.Il principio delfabliau
può
sembrare alquanto di- verso:La dame
soloitchascun jorQuant
issuz estoit son seignor,(i)
Fabliaux
et Contes. Paris 1808.Tom.n,
p. 99.(2) Disciplina Clericalis, ed. Schmidt. Berlin 1827.
(3) Libro de'Sette Savi. di
Roma,
ed. Roediger. Fi- renze iS83.A
la fenestre reposerEt
les trespassanz regarder.Uns
jor i vintuns damoiseax
ecc.ma, come
il racconto procede, le conformità appari- scono subito:Et
quant ladame
retorna Vint à l'us, ferme le trova Eie requisì à son seignor Qu'il ovrist Tus por Dieu amor.E
più avanti ancora:Vers le puis s"en vait sanz targier.
Por
savoir s'il li puet aidierLa feme
pas ne s'oubliaEntra
dedenz_, l'usreferma:A
la fenestre s'apoia,Son
seignor par iluec gaiia ecc.Le
altre narrazioni chevengono
dopo, sono assaipoco
importanti;perchè laforma
popolarevimanca
quasi del tutto,meno
chenell'ultima,di cuiil codice fa autoreGiovan
Matteo.La
imitazione della betfa plebeavi èben
riuscita;e forse fuanchecantata.Ma
tu, o
mio buon
Ferrari,ne pubblichi delle piùbelle.Legione del cod. n°
i6i gctdduno
della BibliotecaLaurenpana,
af. ^i''.Ogni
mal
veraciementc ogni inghanno aromper
fede dalle femine procede, voim'
udirete al presente5
d'una
ch'era vagheggiata:rende cenni a 1'
amadore,
dice eh'era aparechiata diservirlo a tutte 1'ore.E'Ila richiese d'amore, IO dicendo
chom
chiara cera— Ed
e tornaci stasera, quand'a llecto fia lagente.El giovane fu ardito: ruscio gli picchiò pian piano, i5 e la
donna
l'ebbe udito,corse aprire a quel christiano:
poi lo prese per la
meno,
della
pancha
ne fé lecto; et di lui prese dilecto, 2o lui di lei similemente.V.I. veracemente.Ball,eCanz.
—
v.2.e.Le
stesse.V.4.
Come
udirete.—
v.5. innamorata.—
v. 6.Rende
7 cenno.
—
v. 9.La
lo richiese. Ball.E
la.Canz.—
V. IO.Ella a lui con lieta cera. Ball, e Canz.
—
V. II. Disse.
Le
st.—
v. 1420.Mancano
nel irs.—
v. 17. la. Canz.
—
38—
El gieloso si fa desto: cerchandosi pur da llato, la
donna non
trovò, presto giù dal lecto fu gittate, 25 alla finestra ne fu andato:giù sentiva
pur
biibigliare, et ruscio corse a serrare.Ritornò
immantanente
il gieloso alla finestra, 3o e r
amador non
5/ partiva:•
La donna chome
maestra quel/o gharzonmandava
via.Al marito si diceva
— Tu
stama
se tu impazzato, 35che
tum'
ai 1'uscio serrato,che dirà di te la gente?
Era
buio come'n gola, che run
1'altronon
si vedca.La donna
inchamice
sola fo Per dio aprimi,—
diceva.El marito rispondeva:
V. 21.
El
marito. Ball, e Canz.—
v. 22.Et
si si cercòdallato.Le
st.—
v. 23.Non
trovòlamoglie.—
V. 24.
fuor
del. Ball,si/ugettato.Canz.—
v. 25.Allefinestre
fu
andato. Ball, e Canz.—
v. 26.Et
sentì giù bisbigliare.Le
st.—
v. 28. Questofu
certana- mente.—
v- 28-36.Mancano
nelle Ball, e Canz.—
V. 37-38.
Mancano
nel ms.^
v. 39.E
ladonna
in camicia fora. Ball.La. Canz.—
v. 40.Aprimi
l'uscio ellapur
dicea. Ball,l'uscio dicea.C&nz.—
v.41.^//rispondeva. Ball.
—
J9—
— Dò
indugia a domattina,sì che ogni tua vicina sappi il tuo chomvenente.
45
—
Poichénon mi
vói aprire, rispondevachom
singhozo, ghuardi difarmi morire:getterommi in questo pozzo,
el capo ti sarà
mozzo
:5o dirassi che
m'
habbia annegata.— Hor
vi fustu dentro entrata, disse"1 marito prestamente.Il pozzoera nella via dirimpetto alla
sua magione
55—
Pi-egha per 1'anima
mia, diceva ella a quel gharzone.Dentro vi gittò
un
chantone, ed allato se magnia.El marito si credeva 60 eh' ellafusse veramente.
V. 42. Stavi insino a domattina. Ball, e Canz.
—
V. 43.
Aciò
ch'ognituo. Ball. tua. Canz.—
v. 45.Po'
chetu nonmi
vogli aprire.Ball. Poi...vuoi.Canz.—
V. 46. Disse la
donna
con. Ball,eCanz.—
v. 47.Tu mi
viio^pur
far.Le
st.—
v. 4952.Mancano
nel ms.V. 5o. 5/ dirà m'habbi. Canz.
—
v. 5i.Hor
vifussi drento. Canz.—
v.5b. Disse ladonna
a. Ball, eCanz.V. 58. Po' dallato ella si
mede. Le
st.—
v. Sg.El
marito si credette. Ball. sei. Canz.—
v. 60.chiara- mente. Ball, e Canz.—
40—
Colla secchiaal pozzo chorse dicendo
—
Appicchati a questo.*
E
ladonna
se n'achorse, saltò in chasa molto presto, 65 e l'uscio gli serrò in testa.Suso
ne giva gridando,le sue vicine chiamando,
si che
ognuno
la sejjte.Le
vicine preson a dire 70— Nò
fate sìgram remore
IE
ladonna
con ardire— Egli
èmaritamo
traditore, che va inebriandofore, facend'ogM/ captiva usanza, 75 e po' desta la vicinanza,come
ciaschedun lo sente.Dicendogli villania, traditore e ladroncello, questo tutta via dicìa:
80
— Manderò
pelmie
fratello.Questo
savio garzoncello fu richiesto per sensale.v. 61.
Con
le secchie.Le
st.—
v. 62. atacchati a questa. -=- v. 64. Corse'n casa molto presta.—
V. 65.
Manca
nel ms.—
v. 66. Alla finestran'andò
gridando.Ball,eCanz.—
v. 67.E
levicine.Le
st.—
V. 68. ciascuna.
—
v. 69-92.Mancano
nel ms.—
v. 69.
Preson
le vicinea
dire. Canz.—
v. 72. Gli è ilmio
marito.Le
st.—
v. 74.facendo
cattiva.—
V. 75.
Desta
poi.—
v. 80.pe 7
tuo.—
41—
Come
rhebbe
aperte 1'ale, pace fu compiutamente.85 Ballatina
mie
da bene, fa chenon mi
arrechi noia se vedessi chiaro ebenela tuo
donna
stai*in gioia:se
non
vuo'eh'ellasi muoia, oó fa vistanon
te «'avedere:con
un'altra ti dà piacere, eh'ella sia più advenente.V. gì.
Con
altra.—
v. 92.La
qual sie.Legione
delCod. 1040
Ci.VII
della BibliotecaNajionale
diFirenze
a e.s^J-Messer Palamides
diBellendote Due
kavalier cortesi e d'un paraggioamavan
d'un cuoruna donna
valente, e ciascun l'ama tanto in suo coraggio k'avanzarlid'amore
sarieniente, L'uno
è cortese et insegnatoe saggiolargo in donar et in tutto avenente, l'altro prode e di gran vassellaggio fero ed ardito e dottato dalla gente.
Qual
d'esti due è più dengnio d'avere dalla suadonna
ciò chenne
desia?Or me
ne conta tutto il suo volere.Fra
quel ch'àd'arme
tanta valentia, o quel ch'à in se cortesia e savere,s'i'fosse donna,so ben qual vorria.
RlSP0ST.\
Poi chevipiace che io deggia contare
il