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IL CONCORDATO PREVENTIVO DI GRUPPO: IL CASO BAGLIETTO

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in

CONSULENZA PROFESSIONALE ALLE AZIENDE

TESI DI LAUREA

Il concordato preventivo di gruppo:

il caso Baglietto

Candidato:

Giulia Ciregia

Relatore:

Prof. Roberto Marrani

Controrelatore:

Prof. Roberto Verona

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1

Thoughts become things. If you see it in your mind, you will hold it in

your hand.”

~ Bob Proctor ~

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2

Indice

Introduzione ………... pag. 4

CAPITOLO 1. IL CONCORDATO PREVENTIVO

1. Riforme ed evoluzione storica del concordato preventivo ………..…. pag. 8

2. Il procedimento di ammissione al concordato preventivo ………..………» 25

2.1 Il presupposto soggettivo ed oggettivo ………..…..» 25

2.2 L’oggetto: il piano, la proposta e la domanda ………..…………» 28

3. Organi della procedura ………..………...…» 44

4. Effetti del concordato preventivo ………..….» 51

4.1 Effetti nei confronti dei debitori ………» 51

4.2 Effetti nei confronti dei creditori ………..…» 53

4.3 Effetti sugli atti pregiudizievoli ai creditori ………..…» 57

4.4 Effetti sui rapporti giuridici preesistenti ………....» 60

5. Approvazione della proposta, adunanza e voto ………» 64

6. Il giudizio di omologazione, la sua impugnazione ed esecuzione ………….» 70

6.1 Il giudizio di omologazione, la sua impugnazione ed esecuzione …….» 69

6.2 L’impugnazione del decreto di omologa ………» 76

6.3 Gli effetti del concordato e l’esecuzione ………» 80

7. La risoluzione e l’annullamento ………..………» 84

8. Il concordato preventivo nel nuovo “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza” ………...… » 92

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3

CAPITOLO 2. IL CONCETTO DI “GRUPPO DI IMPRESA”

1. Rilevanza giuridica ………. pag. 98 2. La nozione di controllo, direzione e coordinamento ……….……» 100 3. L’unità dell’impresa di gruppo: unità soltanto economica? ………» 112 4. Vantaggi e rischi dell’esercizio dell’attività di impresa in forma di “gruppo” ………..……...» 119

CAPITOLO 3. IL CONCORDATO PREVENTIVO DI GRUPPO

1. Aspetti preliminari ……….. pag. 123 2. Trattamento del fenomeno da parte della giurisprudenza ……….…» 137 2.1 Sentenze favorevoli ………..……….…» 137 2.2 Sentenze contrarie ……….….» 161 3. D.L. 27 giugno 2015, n° 83: previsioni della Commissione Rordorf ....» 167

CAPITOLO 4. IL CASO BAGLIETTO

1. Commento alla sentenza n.20559 del 13 ottobre 2015……….…….. pag. 173 Conclusioni ……….…..……» 181 Bibliografia e sitografia……….………...…» 183 Indice cronologico dei provvedimenti giurisprudenziali ………...….» 187

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Introduzione

Oggetto del presente elaborato è il concordato preventivo di gruppo, fattispecie non direttamente disciplinata dal legislatore, il quale richiede preliminarmente di soffermarsi ad analizzare due aspetti: l’istituto del concordato preventivo ed il concetto di gruppo d’impresa.

Il primo è uno strumento di governo della crisi disciplinato dagli artt. 160 ss. della legge fallimentare, adottata con regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, il quale ha subito modifiche nel corso degli anni, trasformandosi da un istituto cui il debitore ricorreva per evitare la dichiarazione di fallimento, ad uno strumento attraverso il quale lo stesso vuole regolare la propria crisi, che potrebbe anche non coincidere con lo stato di insolvenza; ciò è supportato dal cambiamento radicale che è avvenuto nella procedura fallimentare, relativamente alla figura dell’imprenditore in crisi, non esistendo più l’alternativa «meritevolezza nel concordato» / «sanzione nel fallimento».

Per quanto concerne il secondo aspetto, il gruppo viene definito, dal punto di vista economico-aziendale, come un insieme di imprese che hanno un unico soggetto economico ed una pluralità di soggetti giuridici quante sono le imprese che lo costituiscono, ma a differenza del primo, non è regolato dal punto di vista giuridico e ciò porta con sé conseguenze non più trascurabili allo stato attuale. Quando il gruppo entra in una fase patologica si perde la connotazione di unitarietà nella gestione, che lo caratterizza nelle fasi fisiologiche e per tale motivo sorgono problemi di diversa natura, cui si cerca di dare risposta

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5

nell’elaborato seguente: il gruppo deve essere considerato, dal punto di vista della procedura concorsuale, come un’entità unica oppure si rende necessaria l’apertura di più procedimenti separati in virtù della tutela dei diritti dei creditori delle diverse società che ne fanno parte? Il “gruppo di imprese” costituisce terreno di sfida per il sistema del diritto societario ed un elemento di costante criticità per il legislatore, impegnato a gestire la complessità propria delle diverse forme espressive dell’iniziativa imprenditoriale. Il “gruppo” infatti, da un lato “sovverte” il sistema di regole con cui è disciplinato l’esercizio dell’attività imprenditoriale in forma associata; dall’altro, costituisce la forma organizzativa tipica soprattutto della grande impresa ed è dunque elemento caratteristico dell’economia contemporanea 1.

Suddetta analisi, di seguito approfondita, è necessaria per comprendere le problematiche sottese l’applicazione del concordato preventivo, alla fattispecie del gruppo di impresa e allo stesso tempo valutarne gli aspetti positivi, alla luce delle diverse posizioni prese in materia dalla giurisprudenza. È doveroso anticipare che in occasione della riforma della legge fallimentare molte critiche ha ricevuto la scelta, omissiva, di non prevedere in alcun modo una disciplina dell’insolvenza di un gruppo di imprese 2, lasciando che di tale fattispecie si

occupi, in misura marginale con regole per la maggior parte di coordinamento, l’amministrazione straordinaria e la l.c.a. di società fiduciarie e di revisione. Il legislatore, in passato, ha preferito non toccare l’argomento e la giurisprudenza

1 LUDOVICO G. ROSSI, Il ruolo della controllata e la tutela del socio esterno nella nuova

disciplina dei gruppi, in Giur. comm., 2014, 979

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di legittimità con fermezza continua a ribadire che il fenomeno del gruppo di imprese rileva sul piano economico e di riflesso sul piano giuridico, e tuttavia lo stato d’insolvenza dell’impresa appartenente al gruppo deve essere valutato autonomamente 3.

Per sopperire a questa rigidità si è sempre cercata una risposta nel coordinamento fra le più procedure aperte 4; si è cercato di designare i medesimi

organi della procedura e di attrarre davanti al medesimo tribunale tutte le procedure del gruppo le quante volte sia stato possibile dimostrare che la sede principale di tutte le società doveva coincidere con la sede della capogruppo e ciò sulla scorta di quel criterio di radicamento della competenza che pone in prima linea il profilo dell’individuazione del luogo ove vengono assunte le decisioni di governo dell’impresa 5.

Non è revocabile in dubbio che la realtà economica del gruppo di imprese sia fortemente unitaria; i creditori delle singole entità, spesso si sentono e si comportano come creditori del gruppo, soprattutto i rapporti aventi natura finanziaria tendono a evaporare nella frammentazione del gruppo per ricomporsi unitariamente nella capogruppo 6, quando, invece, la realtà industriale e

commerciale può essere funzionalmente articolata in più imprese. Per il momento si può, però, anticipare che certe rigidità dell’interpretazione giurisprudenziale sono lentamente entrate in fase recessiva, tali da ammettere che in un gruppo di imprese, ciascuna società può fare riferimento ad un piano

3 Cass., 18 novembre 2010, n. 23344, in Fall., 2011, 565 4 Trib. di Messina, 30 novembre 1998, in Foro it., 2000, I, 1327 5 Trib. di Roma, 14 novembre 2012, in Fall., 2013, 73

6 Basti pensare al fenomeno del c.d. cash pooling, ossia all’ accentramento nella capogruppo della

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unitario e ad una proposta unitaria rivolta a tutti i creditori delle più società, salva poi la separazione di ciascuna massa e l’approvazione separata da parte dei creditori di ciascuna società 7.

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8

Capitolo 1

IL CONCORDARO PREVENTIVO

Premessa

Al fine di esaminare il funzionamento del concordato preventivo di gruppo, si rende necessario effettuare, preliminarmente, un’analisi generale di quello che è l’istituto del concordato preventivo, al di fuori del contesto “gruppo di imprese”, rendendo in tal modo più semplice la comprensione dell’istituto suddetto.

1. Riforme ed evoluzione del concordato preventivo

L’istituto della moratoria. ¾ L’antecedente storico del concordato preventivo è l’istituto della moratoria che ha fatto ingresso per la prima volta nella legislazione italiana nel codice di commercio del 1882; codice che è andato a sostituire quello del 1865. L’istituto della moratoria, artt. 819-829 del Codice di Commercio, era stato concepito quale strumento atto a far fronte a crisi d’impresa reversibili e ritenendosi il dissesto un difetto essenzialmente funzionale, ossia uno squilibrio momentaneo fra attività liquide e passività scadute, il codice accordava al debitore di richiedere ai propri creditori una dilazione, tramite la quale la somma di passivo potesse venire convertita dalla breve alla lunga scadenza. La moratoria, si risolveva dunque in una dilazione di favore, concessa al debitore commerciante dall’ autorità giudiziaria in seguito al voto emesso dai creditori 8. Era questo un istituto desunto dai codici olandese e

8 L. BATTISTON, L'evoluzione della normativa sul Concordato Preventivo e funzioni delle figure

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9

belga dell’epoca; il codice di commercio distingueva tra moratoria conseguente e antecedente alla sentenza dichiarativa di fallimento 9.

Nel primo caso, il Presidente del tribunale ordinava una convocazione dei creditori per discutere dell’ammissibilità o meno della richiesta di moratoria, su istanza del fallito nei tre giorni successivi alla pubblicazione della sentenza di fallimento, corredata da valide prove circa l’eccedenza attiva del patrimonio del debitore e che l’avvenuto inadempimento era causato da eventi straordinari, imprevisti o scusabili. Nel secondo caso, il Presidente del tribunale ordinava la convocazione dei creditori per discutere dell’ammissibilità o meno della richiesta di moratoria quando l’istanza del commerciante in bonis fosse sufficientemente giustificata e provata10.

Vigeva, inoltre, il divieto di intraprendere contro il debitore qualsiasi atto esecutivo o azione da parte dei creditori a partire dalla sentenza di concessione della moratoria. Il debitore era privo di ogni tutela durante il periodo che intercedeva dalla domanda alla concessione della moratoria: tale situazione era dovuta all’ inammissibilità dell’effetto retroattivo della moratoria.

La sentenza che concedeva la moratoria aveva carattere attributivo e non semplicemente dichiarativo: essa dunque costituiva in capo al debitore la condizione giuridica per la quale nessun creditore potesse iniziare o proseguire

9 M. BERGAMASCHI, Crisi d’impresa e tecnica legislativa: l’istituto giuridico della moratoria 1010 AVV. MOISE’ VITALEVI, La moratoria nel nuovo codice di commercio italiano in

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azioni o esecuzioni nei confronti del soggetto “moratoriato”. La moratoria, però, non aveva effetto sui crediti dello Stato a causa di tributi, né sui diritti dei creditori aventi ipoteca, pegno o altro privilegio.

Legge 24 maggio 1903 n. 197 ¾ Il meccanismo della moratoria era apparso insufficiente in quanto, da un lato eccessivamente sbilanciato dalla parte del giudice, il quale poteva concederla senza condizionamenti formali, e dall’altro lato eccessivamente sbilanciato dalla parte dei creditori perché questo strumento poteva funzionare solo se assistito da un accordo amichevole, ma ciò era eretto attorno alla regola dell’unanimità del consenso; con la legge 24 maggio 1903 n. 197 entrò in vigore la normativa sul concordato preventivo e la procedura di moratoria venne abrogata. L’idea originaria del legislatore era quella di istituire il concordato preventivo in modo tale da renderla una procedura mite, utile a premiare il debitore corretto ma sfortunato, idonea a salvaguardare le posizioni dei creditori e a sollevarli da responsabilità nella causazione del dissesto, funzionale a consentire il miglior svolgimento del traffico e delle relazioni commerciali, coerentemente con l’interesse pubblico insito nell’impedire i concordati amichevoli, espressione di comportamenti illeciti e nell’evitare costose e inefficienti procedure di fallimento.

Il nuovo istituto veniva congegnato come una possibilità data al debitore, commerciante o società commerciale legalmente costituita, per fronteggiare la crisi momentanea della sua impresa, il quale ritenendo di poterla superare con un “armistizio giudiziario (moratoria)” e con la riduzione dei debiti sprovvisti di

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diritti di prelazione, poteva chiedere al Tribunale, nella cui giurisdizione ha la sede principale dell’impresa, di convocare tutti i suoi creditori per tentare un accordo conciliativo, una sistemazione amichevole, con le loro maggioranze di numero e di somma.

Si pose fin da subito l’interrogativo sulla natura del concordato, definito come un «contratto di carattere eminentemente giudiziale 11», posto che veniva ritenuto

giovare anche all’interesse pubblico, favorendo la permanenza dell’imprenditore nel mercato. Tuttavia, emerse un limite normativo costituito dal monopolio decisionale circa l’accesso al concordato, affidato al solo debitore; scelta che apparve irrazionale in quanto non consentiva ai creditori di assumere l’iniziativa e per tale motivo si affermò che la domanda di concordato era l’esplicazione di un diritto soggettivo 12 rivolto a risolvere il dissesto con un accordo collettivo

piuttosto che con la liquidazione fallimentare. Lungo il corso della vigenza della legge del 1903, risultava dominante la teoria contrattualistica secondo la quale i contraenti erano da un lato il debitore e dall’altro la comunità dei creditori 13.

La spiegazione della produzione degli effetti nei confronti di terzi veniva prelevata dal diritto civile là dove il contratto, pur avendo forza di legge tra le parti ha, in taluni casi, valore anche rispetto ai terzi ed il concordato sarebbe rientrato in uno di questi casi. Secondo la tesi contrattualistica l’aspetto preminente del concordato era l’accordo, mentre il provvedimento di

11 BUTERA, Moratoria 12 SATTA, Diritto Fallimentare 13 ROCCO; Il concordato nel fallimento

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omologazione avrebbe svolto gli effetti di una condicio iuris disposta a garanzia di coloro che non erano stati consenzienti al concordato o che non vi avevano neppure partecipato 14.

La giurisprudenza, che in un primo tempo si era manifestata favorevole alla tesi contrattualistica del concordato definendolo «un regolamento amichevole di dissesto commerciale del debitore» oppure «un contratto che intercorreva tra l’assemblea dei creditori e il fallito», successivamente si pronunciò a favore della tesi pubblicistica/istituzionale, in quanto la concezione contrattualistica poteva essere in contrasto con il fatto che il tribunale, investito del relativo giudizio di omologazione, esercitasse un controllo non solo di legittimità, ma anche di merito. Ulteriori critiche riguardarono l’efficacia obbligatoria, inesplicata, sia nei confronti dei creditori dissenzienti, sia di coloro rimasti estranei all’accordo e fu ritenuta inaccettabile la tesi secondo cui il legislatore avrebbe devoluto ad una certa organizzazione il potere di decidere sulla proposta, introducendo il principio di maggioranza.

I fautori della tesi pubblicistica ritenevano che il concordato preventivo fosse da identificare in un processo giurisdizionale, nel senso che l’effetto del giudizio di omologazione era dato dall’espropriazione del diritto dei creditori a vantaggio della collettività, cosicché il giudizio di omologazione serviva a dirimere il conflitto di interessi tra debitore concordatario inadempiente e la pretese dei

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creditori ad essere soddisfatti delle loro obbligazioni 15. In realtà, se si poteva

condividere l’opinione che tale istituto si traducesse in un’espropriazione del diritto dei creditori a vantaggio della collettività, non si poteva altrettanto condividere il fatto che fosse il giudizio di omologazione a determinare tale effetto, in quanto con essa non si operava alcuna espropriazione, piuttosto si omologava l’accordo, rendendo efficace l’accordo compiuto tra debitore e creditori.

Vi fu un’altra corrente di pensiero, la quale, rifacendosi alla tesi pubblicistica, riteneva che il decreto di ammissione alla procedura avesse natura cautelare, vale a dire in grado di impedire, in vista del risanamento dell’azienda, la disgregazione del patrimonio del debitore e a rendere possibili gli effetti tipici del giudizio di omologazione, destinato ad attuare l’espropriazione dei diritti dei creditori ed il risanamento dell’impresa. Ciò però non spiegava, nel caso in cui non si fosse pervenuti ad un giudizio di omologazione per effetto del sopravvenuto fallimento, l’esistenza di un nesso strumentale tra provvedimento cautelare, quale il decreto di ammissione, e provvedimento principale, quale il decreto di omologazione.

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Il fallimento avrebbe reso quel provvedimento cautelare definitivo, ma non nel senso di risanare l’azienda in favore del debitore, ma di liquidarla in favore dei creditori; si sarebbe pervenuti ad una diversa soluzione rispetto a quella prospettata 16.

Va subito evidenziato come a seguito della riforma del 2005-2007 e di quelle del 2012-2013, anche il concordato preventivo abbia subito un processo di privatizzazione, con l’attribuzione di maggiore autonomia alle parti nella gestione della situazione di crisi e la sensibile riduzione degli spazi di intervento riconosciuti agli organi della procedura. Si è assistito, in altri termini, ad un’accentuata contrattualizzazione del concordato che trova riscontro, in particolare, nelle norme che disciplinano l’accesso alla procedura, il contenuto del piano, l’estensione del giudizio di omologazione e, infine, la legittimazione a richiedere la risoluzione del concordato. Nel complesso, può dirsi che con la riforma il concordato preventivo ha assunto i connotati di una forma di organizzazione e regolamentazione dell’accordo tra debitore e creditori e si presenta come un istituto sui generis, avente natura giuridica ibrida, ossia pubblico-privata 17.

La disciplina del 1942. ¾ È opportuno accennare alle premesse che diedero luogo alla disciplina legislativa del 1942 per regolare l’insolvenza, tenuto conto della differente valutazione che si intese fare della figura dell’imprenditore commerciale rispetto a quello non commerciale, al piccolo imprenditore ed

16 U. AZZOLINA, Il fallimento

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all’insolvente civile. Tra i concetti ispiratori dai quali il legislatore del 1942 trasse il fondamento giuridico della disciplina dei procedimenti concorsuali, emerse che «a seguito della constatata insufficienza del fallimento a regolare una diversa situazione a cui la crisi dell’impresa potesse dar luogo, si intese compiere non soltanto una riunione formale di istituti tra loro connessi, ma anche dare un’impronta sostanzialmente unitaria della disciplina della crisi economica dell’impresa in relazione ai superiori interessi dell’economia generale». In tale prospettiva, si constatò che la situazione economica dell’azienda non sempre aveva reso necessaria la dichiarazione di fallimento, vista quale procedimento esecutivo liquidatorio di estrema intensità. Infatti con tale strumento si doveva far fronte alla posizione deficitaria dell’imprenditore commerciale, rappresentata in forma irrimediabile ed irreversibile nella quale, da un lato, occorreva far trionfare le regole della par condicio creditorum e della piena conservazione del patrimonio del debitore e, dall’altro, appariva necessario perseguire l’interesse pubblico della tutela del credito e dell’eliminazione delle imprese malsane, oltre che svolgere una penetrante azione preventiva e repressiva sugli imprenditori incompetenti, inoculati e disonesti.

Si riconobbe che talvolta il fallimento aveva assunto il contenuto di un provvedimento estremamente grave e, soprattutto, inidoneo al perseguimento degli interessi pubblicistici ai quali era pur sempre ricollegabile l’apertura del procedimento. In tali ipotesi si ritenne giusto prevedere altri rimedi giurisdizionali destinati, secondo la stessa previsione fattane nella Relazione al

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Re della legge di riforma del 1942, a perseguire differenti finalità 18. Pertanto,

mediante il concordato preventivo, regolato dagli artt. 160-186 della Legge Fallimentare, si intese, ancora una volta, «offrire al debitore onesto, ma sfortunato, il mezzo per evitare l’inesorabile distruzione della sua impresa, per sé stessa vitale, con danno per la pubblica economia» provvedendo, al contempo, all’eliminazione dell’insolvenza ed al soddisfacimento delle ragioni creditorie, sia pure in percentuale.

Le procedure concorsuali tradizionali, tuttavia, non furono impiegate nella prospettiva di tutelare il credito commerciale e di far fronte, nell’interesse dell’economia nazionale, al dissesto delle aziende mediante la loro eliminazione. L’interesse dei creditori fu, in definitiva, relegato in una posizione di minor privilegio per dar sfogo ad una maggiore tutela dell’organizzazione aziendale e degli interessi dei lavoratori 19. Il concordato preventivo venne inizialmente

attuato soltanto in vista della necessità di salvare l’impresa a vantaggio di altri soggetti: i lavoratori, i fornitori, gli altri imprenditori e la stessa collettività. La principale novità si racchiuse nella previsione della cessione dei beni quale strumento di soddisfazione del ceto creditorio; la stessa era infatti divenuta un modo usale per dare esecuzione al concordato ed il legislatore ritenne, a quel punto, preferibile legalizzare la prassi.

18 G. LO CASCIO, Il concordato preventivo

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Tale istituto assunse natura di procedimento destinato a conservare l’unità delle componenti aziendali, per permettere all’impresa di essere riavviata nel mercato produttivo con l’intervento di nuovi capitali.

Nacque il fenomeno della consecuzione o conversione dei procedimenti concorsuali, ossia il susseguirsi di procedure attuate in forma progressiva, in conseguenza di esigenze economiche imprenditoriali che determinarono un intervento sempre più penetrante di tali rimedi. Si sostenne che la consecuzione di un procedimento nell’altro non poteva essere considerata in senso meramente cronologico e temporale, ma costituiva l’evolversi di una medesima fase, in relazione alla quale si operava l’esperimento del mezzo meno drastico in vista dell’unica e comune finalità dell’eliminazione dell’insolvenza e della conservazione dell’impresa. Da tale concezione derivò che gli effetti conseguenti all’instaurazione dei vari procedimenti concorsuali furono considerati, a ritroso, dal sorgere del primo che avesse dato luogo al tentativo di risanamento dell’azienda e di eliminazione della sua insolvenza.

Si riconobbe la salvezza degli atti legittimamente compiuti durante il concordato nel successivo ed eventuale fallimento.

Nonostante i molteplici interventi messi in atto dal legislatore, le normative furono, per lo più, poste in essere sotto la spinta di situazioni d’emergenza, senza l’osservanza di un programma di risanamento delle imprese organico e ben delineato e, soprattutto, al di la di quella che avrebbe dovuto essere una giusta tutela degli interessi economici e sociali.

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Si ebbe una produzione di discipline legislative non coordinate, qualche volta contraddittorie, quasi sempre dirette a risolvere problemi contingenti. Il risultato fu perciò negativo, con la conseguenza che anche successivamente si riproposero le stesse incertezze e si delineò il più assoluto disordine. L’esigenza di apportare modifiche al sistema normativo si manifestò più volte anche a causa della necessità di armonizzare le regole del nostro paese con quelle degli altri paesi della Comunità Europea.

D.L. 14 marzo 2005 n. 35, convertito in legge 14 maggio 2005 n.80 ¾ Una progressiva metamorfosi della procedura di concordato preventivo ha avuto luogo a partire dalle riforme alla legge fallimentare intervenute dal 2005, delineando lo stesso come uno strumento a disposizione dell’imprenditore, anche soltanto in crisi, per trovare un nuovo equilibrio economico-finanziario ristrutturando i debiti, grazie alle soluzioni più diversificate e beneficiando degli effetti protettivi del patrimonio connessi alla presentazione al Tribunale della domanda di ammissione alla procedura, primo fra tutti quello dell’inibizione delle procedure esecutive individuali ex art. 168 l. fall.

Fino a questo momento, non vi era alcun dubbio sulla valenza sanzionatoria del fallimento, procedura connotata dall’esigenza di espellere dal mercato l’impresa «infetta» e dall’esigenza di dare la massima tutela possibile ai creditori, anche a discapito dei diritti e capacità del fallito. In questa cornice era indubitabile che il debitore scegliesse la via del concordato per evitare la sanzione del fallimento, seppur nel rispetto delle specifiche condizioni richieste dall’art. 160 l.fall.

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Con il D.L. 35/2005 il concordato non è più uno strumento posto a disposizione dell’imprenditore onesto ma sfortunato ed accordato dalla legge solo a chi lo merita 20.

Tra i principi della delega legislativa e la loro attuazione troviamo:

• la semplificazione della disciplina fallimentare, mediante non soltanto l’estensione dei soggetti esonerati, ma anche l’accelerazione delle procedure applicabili alle controversie in materia. Sulla base dell’art. 2221 c.c. si è stabilito che sono assoggettabili alle disposizioni dettate per il fallimento ed il concordato preventivo gli imprenditori che esercitano un’attività commerciale, esclusi gli enti pubblici ed i piccoli imprenditori. Con riferimento a quest’ultima categoria di imprenditori, non si è impiegata la stessa formula positiva dell’art. 2083 c.c., ma si è indicati in negativo coloro che non sono piccoli imprenditori: non erano considerati piccoli imprenditori coloro che avessero effettuato investimenti in azienda per un ammontare superiore a trecentomila euro oppure, alternativamente, avessero realizzato ricavi, calcolati sulla media degli ultimi tre anni, per un ammontare complessivo superiore a duecentomila euro. Fu ritenuto che il limite quantitativo posto dalla riforma avesse eccessivamente alzato il livello di esonero dal fallimento, lasciando in ogni altra situazione senza tutela i creditori.

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• la rettifica più importante ha riguardato i presupposti per l’ammissione alla procedura concorsuale, eliminando ogni riferimento a requisiti soggettivi 21 e modificando quelli oggettivi, prevedendo sufficiente il

mero stato di crisi affinché l’imprenditore potesse accedere alla procedura, non essendo più necessaria l’insolvenza 22. È stato così

chiarito come per stato di crisi dovesse intendersi sia la fase precedente all’insolvenza, il che equivale a dire il suo iniziale manifestarsi, sia l’insolvenza conclamata, consentendo di accedere alla procedura anche ad un debitore in situazione di “temporanea difficoltà ad adempiere”. • è stata attribuita la facoltà, al debitore concordatario, di suddividere i

propri creditori in classi “secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei” ai sensi dell’art. 160, comma I, lett. c) l. fall. e di prevedere, conseguentemente, “trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a

21 Con il D.L. n. 35/2005 si è riscritto completamente il testo dell’art. 160, l. fall. Il testo originario

prevedeva che l’imprenditore in stato di insolvenza potesse accedere al concordato purché: “1) fosse iscritto nel registro delle imprese da almeno un biennio o almeno dall’inizio dell’impresa, se questa ha avuto una minore durata, ed ha tenuto una regolare contabilità per la stessa durata; 2) nei cinque anni precedenti non fosse stato dichiarato fallito o non fosse stato ammesso a una procedura di concordato preventivo; 3) non fosse stato condannato per bancarotta o per delitto contro il patrimonio, la fede pubblica, l’economia pubblica, l’industria o il commercio”.

22 Infatti in base alla legge del ’42 lo stato di insolvenza veniva ad essere il requisito oggettivo per

entrambe le procedure, fallimentare e concordataria, pur avendo, le stesse, finalità oltremodo diverse. Tuttavia, per l’impostazione data dal Legislatore si capisce bene che il concordato finiva per essere semplicemente un modo, per il debitore meritevole, di adempiere alle proprie obbligazioni, almeno nella misura minimale del quaranta percento dei crediti chirografari, mantenendo l’amministrazione della propria impresa e garantendo la soddisfazione dei creditori in tempi notevolmente più contenuti rispetto alla liquidazione fallimentare.

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classi diverse” ex art. 160, comma I, lett. d) l. fall. derogando, in tal modo, al principio della par condicio creditorum 23 formale.

Nell’affermarsi della nuova interpretazione del concordato, si è fatta breccia la tesi per cui lo stesso dovrebbe essere guardato con molta attenzione e criticità in quanto potrebbe essere utilizzato per perseguire fini fraudolenti 24, i quali è

necessario mitigare con lo strumento dell’abuso del diritto. Il tema dell’abuso fu invocato per cercare di restituire ai giudici un tipo di controllo di merito sulla proposta che le regole formali in qualche modo escludevano.

D.L. 22 giugno 2012 n. 83, Decreto sviluppo ¾ Con questo intervento sono state introdotte le figure del concordato preventivo con riserva e quello con continuità aziendale, rispettivamente agli articoli 161, comma VI, e 186-bis l. fall. • Per quanto riguarda il primo istituto, il legislatore ha previsto la possibilità per il debitore di depositare il ricorso contenente la domanda di concordato, unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, e di riservarsi di presentare proposta e piano successivamente, entro il termine fissato dal giudice, e comunque compreso tra i sessanta e i centoventi giorni prorogabili di ulteriori sessanta giorni. Questa soluzione

23 “Il potere di derogare al principio della par condicio deve comunque essere bilanciato dalla

necessità che quando questo accada, tale potere, venga esercitato in modo conforme alla legge, secondo quanto disposto dall’ art 160, comma 1, lett. c) l. fall., e su tale potere si esercita in sede di ammissione il sindacato del giudice ex art 160 e 163 l. fall. Questo implica che la suddivisione in classi non possa tendere al perseguimento di interessi solipsistici del debitore, ma al contrario rispecchiare, le diverse caratteristiche economiche e giuridiche della classe creditoria.” D. GALLETTI, La formazione di classi nel concordato preventivo: ipotesi applicative”, in www.ilcaso.it

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risulta essere vantaggiosa per diversi motivi, tra cui l’anticipazione degli effetti della domanda di concordato, primo fra tutti il blocco delle azioni esecutive e cautelari dei singoli creditori, con il semplice deposito del ricorso. Inoltre il debitore decotto mantiene la gestione dell’azienda con la possibilità di compiere gli atti di ordinaria amministrazione, mentre per quelli di straordinaria amministrazione è necessaria l’autorizzazione da parte del Tribunale.

Questa nuova ed ulteriore configurazione di concordato si prestò a non pochi abusi, soprattutto da parte di soggetti “immeritevoli”, tali da richiamare l’attenzione del legislatore, il quale con il decreto 21 giugno 2013, n. 69 modificò i commi VI, VII e VIII dell’art. 161, l. fall., prevedendo un aumento dell’elenco dei documenti necessari per accedere alla procedura, ed un conseguente ampliamento degli obblighi informativi successivi al deposito del ricorso. Inoltre, maggiori poteri di intervento sono stati assegnati al tribunale: come la possibilità di nominare un commissario giudiziale, con il compito di vigilare, nelle more del termine fissato giudizialmente, sul comportamento del debitore al fine di segnalare al giudice possibili abusi o anche di ridurre, di ufficio, il termine precedentemente concesso all’imprenditore, quando “risulta che l’attività compiuta dal debitore è manifestamente inidonea alla predisposizione della proposta e del piano”.

(24)

23

• Relativamente al concordato con continuità aziendale, il legislatore ha previsto la possibilità di continuare direttamente o indirettamente l’attività d’impresa, connessa alla previsione di una serie di norme di favore atte ad incentivare la presentazione di concordati in continuità, tra le quali, la moratoria fino ad un anno dall’omologazione per il pagamento dei creditori privilegiati, nel caso di liquidazione dei beni o diritti sui quali insiste la prelazione; la prosecuzione dei contratti in corso di esecuzione, compresi quelli pubblici, che non si risolvono, neppure in presenza di clausole contrattuali di senso contrario; e infine la possibilità per il debitore di partecipare a procedure di assegnazione di contratti pubblici, fermo quanto richiesto ai sensi del comma IV dell’art. 186- bis l. fall. D.L. n. 83/2015 convertito in legge n. 132 del 6 agosto 2015 ¾ Con questo provvedimento si è arrivati ad una configurazione di concordato definibile come “procedimento competitivo”, in quanto viene data la possibilità ai creditori, se interessati, di presentare una proposta concorrente rispetto a quella presentata dal debitore al verificarsi di due condizioni: la titolarità di almeno il 10% dei crediti relativi alla situazione patrimoniale dell'imprenditore e l'incapacità della proposta del debitore di pagare almeno il 40% dei crediti chirografari o il 30% a fronte di un concordato in continuità aziendale.

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Inoltre, se il debitore ipotizza di regolare la sua crisi con un concordato liquidatorio, cioè con cessione dei beni, dovrà assicurare ai creditori chirografari il pagamento del 20%; nel caso in cui la percentuale minima del 20% non possa essere offerta, il concordato non può neppure essere proposto.

Al di là dell’introduzione di tale possibilità per i creditori, anche con questo intervento si è persa occasione di definire una volta per tutte il tipo di sistema in esame, ossia se debtor o creditor oriented 25.

Di seguito sono riportate altre modifiche intervenute nel 2015:

• la disciplina dei contratti pendenti ha visto una nuova formulazione dell’art. 169-bis l.fall. e si ritiene che faccia riferimento ai soli contratti ineseguiti o non compiutamente eseguiti da entrambe le parti, prevedendo per questi la possibilità di sospensione o scioglimento ad opera del debitore e previa autorizzazione del tribunale;

• la possibilità per il tribunale di autorizzare, già in fase c.d. prenotativa, la contrazione di finanziamenti prededucibili e l’introduzione dei finanziamenti necessari e urgenti per l’esercizio dell’impresa.

25 M. FABIANI, L’ipertrofica legislazione concorsuale fra nostalgie e incerte contaminazioni

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2. Il procedimento di ammissione al concordato preventivo

2.1 Il presupposto soggettivo ed oggettivo

PRESUPPOSTO SOGGETTIVO ¾ L’art. 2221 c.c. individua coloro che, in caso di insolvenza, sono assoggettati alle procedure del fallimento e del concordato preventivo, ossia l’imprenditore commerciale ex art. 1 l.fall., esclusi gli enti pubblici ed i piccoli imprenditori, salvo le disposizioni delle leggi speciali. Sembrerebbe esservi perfetta corrispondenza fra l’assoggettabilità al fallimento e l’accesso al concordato, come se l’imprenditore che non può essere assoggettato al fallimento non possa fruire delle opportunità del concordato. In realtà questa corrispondenza non è assoluta, in quanto vi sono casi in cui soggetti infallibili possono comunque presentare domanda di concordato, come avviene per l’imprenditore agricolo, posto che a quest’ultimo è consentito stipulare con i propri creditori un accordo di ristrutturazione ai sensi dell’art 182-bis l.fall. Se gli accordi di ristrutturazione dovessero essere definiti una variante minore del concordato non sarebbe eterodosso assumere che potrebbero anche accedere al concordato preventivo quale variante maggiore 26.

Altro caso di non corrispondenza tra le due procedure si ha con riferimento al requisito formale di accesso, vigente fino al 2005, relativo al fatto che

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26

l’imprenditore dovesse essere iscritto nel registro delle imprese e dovesse aver tenuto una regolare contabilità; in sostanza il concordato era inibito a tutte le entità imprenditoriali di fatto 27. Ora che questi requisiti sono venuti meno,

possono presentare domanda di concordato sia gli imprenditori individuali che quelli collettivi, senza che sia necessariamente verificato se si tratti di imprenditori regolari e iscritti nel registro delle imprese, posto che non è più un requisito di accesso né la tenuta regolare della contabilità, né l’iscrizione nel registro delle imprese.

Sono altresì assoggettabili le imprese soggette alla liquidazione coatta amministrativa, anche se escluse dal fallimento ai sensi dell’art.195 R.D., le società assoggettabili all’amministrazione straordinaria, le società commerciali, a prescindere dall’effettivo esercizio di un’attività commerciale, le società in liquidazione, gli imprenditori che non abbiano cessato l’esercizio dell’impresa da oltre un anno, se l’insolvenza si sia manifestata anteriormente o entro l’anno successivo o che non siano risultati cancellati dal registro delle imprese da oltre un anno, salva la facoltà per il creditore ed il PM di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attività da cui decorre il termine suddetto 28.

PRESUPPOSTO OGGETTIVO ¾ L’ art.160, comma I, l.fall. prevede che la domanda di concordato sia proposta dal debitore che si trova in stato di crisi. Con riferimento a quest’ultimo l’art. 160 l.fall. stabilisce che debba intendersi anche lo stato di insolvenza. Poiché l’insolvenza è una nozione propria del

27 S. PACCHI, Il concordato preventivo

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27

fallimento, è opportuno soffermarsi sulla nozione di crisi, propria, invece, del concordato.

Della nozione di crisi, manca dal punto di vista economico una definizione, ma è possibile comunque individuare diversi fattori a cui associarla. Se si guarda al versante del soggetto, posto che l’insolvenza riguarda il soggetto, quindi il debitore, la crisi può essere associata all’attività, ossia l’impressa 29.

Questa si configura come una situazione di difficoltà dell’impresa che corrisponde ad una circostanza più ampia della nozione di insolvenza, sì che quando c’è crisi non è detto che ci sia insolvenza, mentre è indubbiamente vero il contrario. È importante individuare ciò che è qualificabile come crisi per evitare un abuso dello strumento concordatario da parte di quell’imprenditore che chiede sacrifici ai creditori, pur potendo superare una situazione di difficoltà anche solo mediante una riorganizzazione dell’impresa. Le scienze aziendalistiche, se pur utili nella definizione del concetto di crisi, non appaiono risolutive: una situazione di sbilancio patrimoniale continuo, supportato però dai soci attraverso l’immissione di nuove risorse, non è qualificabile come manifestazione di crisi ai fini dell’applicazione dell’art. 169 l.fall.; così come il decadimento strutturale, la presenza di competitors più aggressivi, l’eccesso di indebitamento, la perdita di quote di mercato assumono un valore più che altro

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28

descrittivo. Il concetto di crisi, quindi, va tendenzialmente associato a quello di probabilità di rischio di insolvenza 30.

2.2 L’oggetto: il piano, la proposta e la domanda di concordato

OGGETTO ¾ Ai sensi dell’art. 160, comma I, l. fall. “L’imprenditore che si trova in stato di crisi può proporre ai creditori un concordato preventivo sulla base di un piano che può prevedere: a) la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie; ivi compresa l’attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito; b)l’attribuzione delle attività delle imprese interessate dalla proposta di concordato ad un assuntore; possono costituirsi come assuntori anche i creditori o società da questi partecipate o da costituire nel corso della procedura, le azioni delle quali siano destinate ad essere attribuite ai creditori per effetto del concordato; c) la suddivisione in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei; d) trattamenti differenziati tra i creditori appartenenti a classi diverse.”

Secondo il D.L. 35/2005, convertito in legge 80/2005, il procedimento di ammissione al concordato preventivo ha inizio con la presentazione di una formale istanza al debitore. Accogliendo la tesi contrattualistica circa la natura

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del concordato preventivo, quest’ultimo è qualificabile come il frutto di un accordo fra il debitore ed i suoi creditori, formalizzato all’interno di una proposta, la c.d. proposta concordataria, ciò che il debitore offre ai creditori. Essendo la causa del concordato preventivo la regolazione della crisi tramite il soddisfacimento dei creditori, è inevitabile che la proposta contenga un’offerta idonea a procurare loro soddisfacimento. È doveroso chiarire le differenze che intercorrono tra piano, proposta e domanda.

La proposta è la proposta negoziale che il debitore formula ai suoi creditori e con la quale egli assume un impegno verso gli stessi, seppur vincolante solo dopo l’omologazione del concordato. Il debitore prevede, inoltre, anche le obbligazioni ex latere creditoris, in quanto i creditori non hanno un’organizzazione che consente loro di negoziare con il debitore, bensì sono chiamati ad accettare o rifiutare la proposta.

La proposta si fonda su un piano: questo rappresenta lo strumento operativo e organizzativo per formulare la proposta, una sorta di pianificazione economica, patrimoniale e finanziaria per far sì che la proposta appaia credibile ai creditori

31. È il programma delle operazioni che il debitore intende porre in essere.

È evidente l’interconnessione fra piano e proposta, ma ciò non esclude che fra i due vi sia anche autonomia. In questo senso, basti pensare all’ipotesi in cui venga presentato un piano realizzabile, ma all’interno del quale la proposta

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30

venga ritenuta insoddisfacente. La proposta può essere rifiutata anche se fondata su un piano convincente ovvero può essere accettata anche se il piano non convince, ma i creditori confidano comunque nell’impegno del debitore. Posto che l’accordo produce effetti soltanto se omologato dal Tribunale è chiaro che il piano e la proposta da soli non sono sufficienti, in quanto è necessario che il debitore formuli una domanda giudiziale con la quale chiede che la proposta, una volta approvata dai creditori, sia anche omologata. Il debitore, attraverso la domanda, chiede al giudice di accertare e legittimare la pretesa.

Piano di concordato

Su questo, a differenza della proposta che può essere modificata sino all’adunanza dei creditori, nulla è precisato in ordine alla sua modifica. Se è vero che i creditori votano la proposta e non il piano, tuttavia la valutazione sulla proposta si regge sulla praticabilità ed attendibilità del piano che, dunque, non dovrebbe poter essere modificato dopo l’adunanza. Pertanto il piano può essere modificato sino a quando è modificabile la domanda.

Dopo la riforma apportata all’art. 161 l.fall. con il Decreto sviluppo, si è stabilito che il piano debba contenere le modalità e i tempi di adempimento della proposta, al fine di fornire ai creditori maggiori informazioni per esprimere un voto ancora più consapevole. In particolare, viene in tal modo separato il contenuto “formale” della domanda di ammissione, dal contenuto “sostanziale”

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31

del piano sottostante alla proposta contenuta nella domanda di ammissione alla procedura, che sarà assoggettata alla valutazione da parte dei creditori.

L'elemento fondamentale che informa il piano, il quale costituisce “l'ossatura” della proposta formulata alle diverse categorie di creditori e che costituisce la traduzione della proposta in termini di programmazione economico-aziendale e giuridica, è o la prospettiva della conservazione e della prosecuzione dell'attività economica dell'impresa oppure la sua progressiva liquidazione. Il piano conseguentemente sarà o un piano di risanamento o un piano di liquidazione.

Nel primo caso, il piano è un piano industriale, vero e proprio business plan, che dà evidenza delle mutue relazioni tra dimensione patrimoniale, dimensione economica e dimensione finanziaria della gestione aziendale.

Nel secondo caso, il piano di liquidazione appare assimilabile al programma di liquidazione di cui all’art. 104-ter l. fall., secondo cui “il programma di liquidazione costituisce l'atto di pianificazione e di indirizzo in ordine alle modalità e ai termini previsti per la realizzazione dell'attivo” e di estinzione del passivo.

Il piano dovrà dunque prevedere:

• le modalità di ristrutturazione dei debiti e le richieste di dilazione conseguenti, per esempio il pagamento integrale delle spese di procedura, dei crediti privilegiati senza riconoscimento di interessi, dei

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32

creditori chirografari nelle presumibili percentuali attribuite per effetto della segmentazione in classi;

• gli strumenti attraverso i quali procedere alla ristrutturazione dei debiti, quali cessione dei beni ai creditori, nuova finanza, recupero di efficienza e redditività, operazioni di finanzia straordinaria;

• la tempistica entro cui ragionevolmente, sulla base dell'informazioni disponibili, si prevede si realizzeranno i singoli interventi finalizzati alla soluzione negoziale della crisi dell'impresa o alla liquidazione della stessa. Il piano ha quindi una duplice funzione:

una funzione interna, nel senso che fornisce all'impresa gli strumenti gestionali per il risanamento, definendo i ruoli, le mansioni, le responsabilità, gli interventi e gli obiettivi che man mano dovranno essere raggiunti;

una funzione esterna, intesa come capacità di dimostrare ai terzi le effettive possibilità di risanare l'impresa, e in questo senso assume una funzione anche giuridica divenendo lo strumento di prova nei confronti del tribunale e degli altri organi delle procedure 32.

Il debitore può, inoltre, prevedere la formazione di classi di creditori ai quali riservare un trattamento differenziato in ragione della non omogeneità delle posizioni economiche.

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33 La proposta di concordato

La proposta contiene l’impegno del debitore di soddisfare i creditori secondo le più varie modalità, quali, per esempio, il pagamento di somme di denaro, il trasferimento di beni, l’assegnazione di titoli di partecipazione. Tutto ciò presuppone che vi sia un vero e proprio nuovo impegno da parte del debitore perché è sugli obblighi che il debitore si assume che i creditori sono chiamati ad esprimere il proprio consenso. Seppur piano e proposta siano caratterizzati da una vasta flessibilità organizzativa, il debitore incontra dei limiti scaturenti dalla necessità di osservare i vincoli da graduazione, i limiti al soddisfacimento dei creditori privilegiati ed i vincoli da rispetto della par condicio. La proposta mira a regolare la crisi, prima ancora che a soddisfare i creditori, sebbene la soddisfazione di questi sia il messo ordinario per regolare la crisi. È possibile individuare due tipologie di contenuti della proposta:

¨ contenuto necessario: attiene alla “ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma”, per esempio, è possibile proporre riduzioni di debiti, dilazioni di pagamento ovvero operazioni straordinarie, aumenti di capitale sottoscritti dai creditori mediante compensazione, con conseguente conversione del credito in quote di partecipazione, emissione di titoli di debito e di strumenti finanziari partecipativi da attribuire ai creditori. La proposta dovrà poi, necessariamente, indicare il soggetto che assume le obbligazioni scaturenti dal concordato che non coincide necessariamente con il debitore;

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34

¨ contenuto eventuale: la disciplina concordataria prevede la possibilità di cessione dell’attività ad un assuntore, che può essere un terzo, uno o più creditori, una società già esistente partecipata dai creditori o, infine, una newco le cui azioni siano da attribuire ai creditori secondo quando stabilito dalle clausole concordatarie. In tale figura di concordato, è l’assuntore ad accollarsi le obbligazioni concordatarie: l’accollo può essere cumulativo, nel qual caso il debitore continua ad essere obbligato insieme all’assuntore, oppure liberatorio. Il trasferimento della titolarità dei beni all’assuntore avviene a seguito del decreto di omologazione, con il quale si chiude la procedura e momento che segna anche la nascita in capo all’assuntore stesso delle obbligazioni concordatarie.

È inoltre consentita la presentazione di una proposta con contenuti

alternativi, come il pagamento dei chirografari al 30% in un anno, oppure

al 50% in tre anni. In tal caso i creditori saranno chiamati ad esprimere una preferenza tra le varie alternative proposte ed il debitore dovrà anche indicare l’alternativa principale, quella cioè che si ritiene accettata nell’ipotesi in cui il creditore si sia limitato a prestare genericamente il suo assenso alla proposta, oppure non abbia votato. Sempre tra i contenuti alternativi è possibile prevedere la suddivisione dei creditori in classi con trattamento differenziato, nel qual caso il tribunale è chiamato a valutare esclusivamente la “correttezza dei criteri di formazione delle diverse classi” e non anche la ragionevolezza del trattamento diseguale, la quale è rimessa ai creditori chiamati ad accattare la proposta.

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Infine, la proposta può prevedere il soddisfacimento non integrale dei creditori privilegiati, “purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione indicato nella relazione giurata di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 77, comma II, lett d)”.

Il concordato può avere ad oggetto anche una mera cessione di beni del debitore ai creditori; in tal caso l’esecuzione del concordato consiste nella liquidazione dei beni, e nella successiva ripartizione del ricavato secondo quanto stabilito nelle clausole concordatarie, liquidazione che è affidata, salvo disposizioni contrarie, ad un liquidatore nominato dal tribunale nel decreto di omologazione.

Tra le novità più importanti recate dal d.l.83/2012 va annoverata l’introduzione del c.d. concordato con continuità aziendale, la cui disciplina è contenuta nell’art. 186-bis, il quale delinea una fattispecie di concordato il cui piano prevede la “prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore, la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione”, salva comunque la possibilità di “liquidazione di beni non funzionali all’esercizio dell’impresa”. Con riguardo alla possibilità di attuarlo mediante cessione o conferimento dell’azienda è sorto il dubbio se sia sufficiente il trasferimento o il conferimento di un ramo

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36

dell’azienda dell’impresa in crisi. La risposta è senz’altro positiva, il ramo d’azienda, infatti, si caratterizza per il fatto di essere un insieme di beni tra loro collegati funzionalmente e dotato di un’autonoma capacità reddituale, pertanto, anche in caso di trasferimento dello stesso, prosegue, seppur soltanto parzialmente, l’attività economica prima esercitata dal debitore, con salvaguardia dei complessi produttivi e mantenimento dei livelli occupazionali.

È importante precisare che qualora l’attività economica venga proseguita dal cessionario o conferitario, per aversi concordato con continuità aziendale, non sembra sufficiente che il piano preveda la cessione dei complessi produttivi a terzi verso un corrispettivo in denaro da distribuire ai creditori concorrenti, perché il tal caso si sarebbe in presenza, a ben vedere, di un mero concordato liquidatorio; è necessario, altresì, che la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del cessionario si ponga quale tramite necessario per la realizzazione del piano. Detto in altri termini, là dove non vi sia prosecuzione dell’attività di impresa o questa non sia rilevante ai fini del soddisfacimento dei creditori, non può parlarsi di concordato con continuità aziendale.

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37 La domanda di concordato

La domanda è lo strumento processuale tramite il quale l’imprenditore attiva un articolato procedimento destinato alla raccolta del consenso dei creditori e alla verifica che sia correttamente esercitato il potere del debitore di regolare la crisi secondo le regole del concorso concordatario, verifica che compete al tribunale. Lo scopo è quello di ottenere dal giudice il rilascio del decreto di omologazione necessario a rendere efficace l’accordo tra debitore e creditori, finalizzato alla risoluzione della crisi. Il deposito della domanda produce sia effetti sostanziali immediati, come la sospensione del decorso degli interessi sui crediti chirografari ex art.169 l. fall., sia effetti dal momento della pubblicazione della stessa sul registro delle imprese, come il blocco delle azioni esecutive ex art. 168 l. fall.

La legittimazione ad accedere al concordato preventivo è propria solo del debitore, a differenza del concordato fallimentare dove è possibile che la domanda sia presentata anche da terzi. È necessario che la domanda venga sottoscritta dal debitore; quando la domanda è presentata da un imprenditore individuale è sufficiente la sottoscrizione, mentre quando è imputabile ad una società o ente collettivo, è necessaria la delibera di chi rappresenta la società.

Competenza, ricorso e comunicazione al P.M. — La domanda va presentata, presso il tribunale nel cui circondario è ubicata la sede principale dell’impresa. Tuttavia, se nell’ultimo anno antecedente il deposito della stessa l’impresa ha trasferito la sua sede, questo trasferimento non rileva ai fini della competenza.

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38

La domanda si propone con ricorso ex art. 125 c.p.c., quindi l’atto deve contenere le generalità del debitore, l’indicazione del tribunale, le ragioni della domanda e la richiesta che si formula al giudice. Entro il giorno successivo dal suo deposito in cancelleria, il ricorso verrà pubblicato nel registro delle imprese con decorrenza di ulteriori effetti.

Il ricorso è altresì comunicato alla cancelleria del pubblico ministero e questa esigenza deriva dalla valutazione di opportunità che la crisi d’impresa possa essere sorvegliata, sebbene in maniera non pervasiva, anche dall’esterno e dalla conseguente opportunità che nel caso di insuccesso del concordato, vi possa essere un’iniziativa per la dichiarazione di fallimento.

La domanda deve essere, poi, corredata da una serie di documenti che consentono al tribunale di verificare che l’impresa sia in stato di crisi e di giudicare sulla conformità della suddivisione dei creditori in classi quando ciò sia previsto; i documenti informativi servono anche ai creditori per valutare la fondatezza e l’attendibilità della proposta e del piano. In particolare, con il ricorso debbono essere presentati:

• una relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa, la quale deve essere il più possibile aggiornata e dunque risalire ad un periodo prossimo alla presentazione della domanda;

• un elenco analitico ed estimativo delle attività e delle passività, nonché l’elenco nominativo dei creditori con indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione;

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39

• un elenco dei titolari di diritti reali o personali sui beni di proprietà o in possesso del debitore. Questo è necessario per circoscrivere il patrimonio di effettiva titolarità del debitore e sul quale potrebbe realizzarsi la garanzia per i creditori;

• un piano contenente la descrizione analitica delle modalità e tempi di adempimento della proposta;

L’attestazione — I documenti sopra menzionati devono essere vagliati per permettere al giudice di esprimere un giudizio assai più approfondito, ossia il debitore deve fornire una relazione con la quale un professionista indipendente attesta la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano. L’esistenza di tale relazione costituisce condizione di ammissibilità della domanda e, dunque, in caso di sua assenza o di sua sottoscrizione da parte di un soggetto che non sia in possesso dei requisiti previsti, il ricorso dovrà essere dichiarato inammissibile. La relazione ha lo scopo di sostituire, almeno in parte, l’attività istruttoria del tribunale, quanto meno di semplificarla.

L’attestatore viene designato dal debitore e deve essere in possesso dei requisiti descritti dall’ art. 67 comma 3 lett.d l. fall.:

§ deve essere in possesso dei requisiti richiesti dall’art. 28, lett. a) e b), l. fall. per la nomina a curatore;

§ deve essere iscritto nel registro dei revisori legali;

§ deve essere effettivamente indipendente dal debitore, ossia non deve essere legato all’impresa e a coloro che hanno interesse all’operazione da

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40

rapporti di natura personale o professionale tali da comprometterne l’indipendenza di giudizio;

§ deve essere in possesso dei requisiti previsti dall’art. 2399 c.c.;

§ non deve, neanche per il tramite di soggetti con i quali è unito in associazione professionale, avere prestato negli ultimi cinque anni attività di lavoro autonomo in favore del debitore ovvero partecipato agli organi di amministrazione o di controllo.

Poiché i requisiti di indipendenza sono divenuti assai stringenti, quando espone informazioni false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti, incorre in reati penalmente rilevanti ai sensi dell’art 236-bis l.fall.

La domanda prenotativa o in bianco/con riserva — A seguito delle riforme del 2005, gli imprenditori hanno avuto a loro disposizioni maggiori changes di accesso al concordato preventivo, tuttavia il meccanismo di formazione della domanda di concordato presupponeva un lavoro preparatorio piuttosto lungo che impediva all’impresa di conseguire immediatamente gli effetti protettivi previsti negli art.167-169 l. fall. ; ciò ha indotto il legislatore a prevedere, nell’art. 161 comma 6 l. fall., un meccanismo che accelerasse tali effetti, producendoli con il deposito di una semplice domanda nella quale il debitore chiedesse al tribunale la concessione di un termine per la presentazione del piano, della proposta concordataria e l'attestazione sulla veridicità dei dati aziendali e sulla fattibilità del piano nonché tutta la ulteriore documentazione prescritta secondo

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l'art. 161 l.fall 33. Quindi, al fine di proteggere il patrimonio del debitore da

eventuali aggressioni da parte dei creditori, gli effetti protettivi si producono dal momento della pubblicazione/presentazione del ricorso nel registro delle imprese. Questa possibilità è stata prevista anche con l’obiettivo di fungere da stimolo per il debitore a far emergere la crisi in anticipo; in realtà, la maggior parte delle esperienze hanno consegnato uno scenario diverso, in quanto si è palesato come uno strumento tattico nelle mani del debitore per ritardare un confronto con i creditori e l’eventuale dichiarazione di fallimento.

La domanda c.d. in bianco o con riserva dovrà, necessariamente, avere un contenuto minimo:

1) i bilanci degli ultimi tre esercizi e l'elenco nominativo dei creditori con l'indicazione dei rispettivi crediti;

2) una situazione patrimoniale aggiornata per consentire al giudice di verificare l'esistenza dello stato di crisi;

3) una visura del registro delle imprese per verificare la competenza del tribunale.

Il debitore può arricchire la domanda di ulteriori elementi quali, per esempio, una rappresentazione più articolata della storia dell’impresa e di ciò che ha concorso a determinare la crisi.

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Per effetto della presentazione della domanda di concordato il debitore accede automaticamente alle protezioni di cui all'art. 168 l. fall.; inoltre, si sterilizzano, ai fini del concordato, le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni anteriori alla pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese, rispetto ai creditori anteriori al concordato. La ratio di tale norma è quella di evitare la “corsa” dei creditori anteriori 34 alla costituzione di un titolo di prelazione nel momento

immediatamente precedente la formalizzazione della crisi, quando però già ne esistano dei sintomi rivelatori. Si è inteso evitare che qualche creditore, solo nell’imminenza della regolazione concorsuale della crisi, si avvantaggiasse rispetto agli altri, perché magari munito di informazioni privilegiate.

L’effetto protettivo è escluso in due sole ipotesi: nel caso in cui l'imprenditore abbia già presentato una domanda cui non abbia fatto seguito l'ammissione al concordato ovvero l'omologazione dell'accordo di ristrutturazione del debito nei due anni precedenti e nel caso in cui la domanda non sia corredata dai bilanci degli ultimi tre esercizi o dall'elenco dei creditori.

L’incertezza sullo scenario futuro, circa l’evolversi della crisi, ha indotto il legislatore a rendere il percorso preparatorio ancora più flessibile, visto che da una domanda prenotativa di concordato si può uscire con un accordo di ristrutturazione così come da un pre-accordo di ristrutturazione si può uscire con un concordato preventivo.

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Questa è la ratio degli artt. 182-bis e 161 l. fall.: il primo consente al debitore, una volta avviato il pre-accordo di ristrutturazione, di depositare nel termine di sessanta giorni successivi all’accordo, una domanda di concordato preventivo; il secondo consente, una volta depositata il ricorso per concordato con riserva, nel termine concesso dal tribunale, di depositare anziché il piano e la proposta concordataria, un accordo di ristrutturazione.

In questo modo il legislatore ha creato una sorta di duplice passerella rimessa alla discrezionalità dell’imprenditore, con il vantaggio di conservare gli effetti conseguiti con la prima domanda.

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44

3. Organi della procedura

Il decreto di ammissione alla procedura è un provvedimento che unisce ad una componente giurisdizionale, quale l’apertura della procedura e, dunque, del concorso concordatario, una componente di natura amministrativa. Il tribunale nomina gli organi della procedura: giudice delegato e commissario giudiziale, quest’ultimo scelto secondo gli stessi criteri utilizzati per la designazione del curatore. Dopodiché, fissa l’adunanza dei creditori, che dovrebbe tenersi nel termine di trenta giorni, ed i termini per gli adempimenti ad essa connessi, fra i quali il termine per la comunicazione ai creditori. Quando la proposta di concordato preventivo contiene la previsione di cessione dei beni, il tribunale provvede alla nomina di uno o più liquidatori giudiziali ed un comitato dei creditori composto da tre a cinque membri.

Il tribunale — La competenza spetta al tribunale del luogo in cui l’impresa ha la propria “sede principale”, intesa come il centro direttivo ed amministrativo dei suoi affari, ed il trasferimento della sede intervenuto nell’anno antecedente al deposito del ricorso non rileva ai fini dell’individuazione della competenza 35.

Il tribunale apre la procedura, la sorveglia e ne stabilizza gli effetti con l’omologazione. Allo stesso sono poi demandati i compiti di decidere sui reclami contro i decreti del giudice delegato, nonché quello di liquidare il compenso al commissario giudiziale.

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