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Assegnista di ricerca in Diritto Privato nell’Università di Siena

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RESPONSABILITÀ SOCIALE DELLA RETE : UN’IPOTESI APPLICATIVA

Massimo D’Auria

Assegnista di ricerca in Diritto Privato nell’Università di Siena

Sommario

1. Introduzione

2. Rete di imprese e CSR: le definizioni legali 3. Reti di impresa: precisazioni

4. Il Green public procurement

5. Le perplessità della dottrina in materia di CSR 6. Le variabili della CSR

7. I problemi giuridici: i beneficiari e gli strumenti

8. Il ruolo della Pubblica Amministrazione quale beneficiario 9. Il problema della selezione degli interessi in conflitto

10. Dal conflitto alla solidarietà nel contratto di rete: il profilo della produzione di valore

11. Il profilo della responsabilità sociale nella rete: alcune possibili categorie giuridiche utilizzabili.

The study aims at exploring the possibility to define the concept of corporate social responsibility using the concept of network of companies. The aim is to isolate the figure of the <<network social responsibility>>. Such investigation shall be conducted analyzing the most recent trend shared by the Public Procurement Law at the Community level.

In the first part, the author takes into account the concept of corporate social responsibility and network shared by the economists. In this field, these concepts are employed as two analytic categories. They resumes two theories available for explaining the production of value in the mid and long term.

In the second part, the author examines the legal definitions of CSR and network of companies. The author propose to overcome two doubts concerning the effectiveness of the CSR shared by juridical scholarship: the selection of the juridical relevant interests (stakeholder vs shareholders view); the remedies.

The proposal is to consider the corporate social responsibility as part of the program of a network.

For a possible application of this proposal, the author looks at the “Green public procurement law”. In this context the ecological needs coming from the P.A. stimulate the small and medium companies to develop some interactions just for meeting the ecological standards required. This clarify the role of the P.A. in promoting a competition among companies based on quality.

The exam ends with some remarks about juridical remedies which can be suggested to overcome the dogmatic problem of the <<privity of contract>>.

This dogma represents the most relevant hindrance to implement the network social responsibility.

(2)

Il saggio intende esplorare la possibilità di definire il concetto di responsabilità sociale di impresa utilizzando quello di rete di imprese. Si ritiene possibile isolare la figura della <<responsabilità sociale di rete>>.

Questa tesi viene sviluppata osservando la tendenza più recente che si delinea, specialmente a livello di legislazione comunitaria, nell’ambito della disciplina sugli appalti pubblici.

Nella prima parte, l’autore prende in considerazione il concetto di CSR e di rete così come utilizzati dagli economisti. Entrambi si presentano come categorie analitiche destinate a fornire una teoria della produzione dei valore nel medio – lungo periodo.

Nella seconda parte, l’autore esamina le definizioni legali di CSR e di rete di imprese. Egli propone di superare due dubbi che ostacolano la riflessione giuridica condotta sull’effettività del concetto di CSR: la selezione dell’interesse giuridico rilevante; i rimedi.

A tale scopo, l’autore propone di considerare la responsabilità sociale dell’impresa come parte di un programma di rete.

Una possibile applicazione di questa proposta si delinea nell’ambito della partecipazione delle imprese in rete ai c.d. “appalti verdi della pubblica amministrazione”. In tale contesto il bisogno della P.A. di rifornirsi di beni e servizi ecologici può stimolare le piccole e medie imprese a sviluppare sinergie proprio per soddisfare le esigenze di approvvigionamento ecologico della pubblica amministrazione, stimolando le imprese a competere secondo logiche qualitative.

L’esame termina con alcune osservazioni sui rimedi giuridici che, nel superare il problema dell’efficacia relativa del contratto quale rilevante ostacolo alla realizzazione di una responsabilità sociale di rete.

(3)

1. Introduzione

Le interazioni tra struttura reticolare delle imprese e responsabilità sociale di ciascuna impresa (d’ora innanzi CSR) è stata posta in evidenza anche nel Libro Verde della Commissione Europea, Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale ( 1 ).

Questa riflessione non giunge fino al punto da delineare una responsabilità sociale della rete di imprese (c.d. network social responsibility), ma individua nella rete di imprese un possibile contesto istituzionale idoneo a favorire l’allineamento delle strategie delle singole imprese a forme di agire economico socialmente responsabile ( 2 ).

Nel quadro di tale Comunicazione, la Commissione riprende la maggior parte delle definizioni di CSR. Questa è da intendersi come «l'integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nel rapporto con le parti interessate, tramite iniziative volontarie che vedono la partecipazione di tutti gli stakeholder (…)» (punto 20).

Scorrendo il testo, si legge al punto seguente che (…) essere socialmente responsabili significa non solo soddisfare pienamente gli obblighi giuridici applicabili, ma anche andare al di là investendo di più nel capitale umano, nell'ambiente e nei rapporti con le parti interessate (punto 21).

Nel tracciare gli assi di tale fenomeno economico, sia nella dimensione interna (gestione delle risorse umane, salute e sicurezza nel lavoro, adattamento alle trasformazioni, gestione degli effetti sull’ambiente e delle risorse naturali) sia nella dimensione esterna (comunità locali, partnership commerciali,

(1) Comunicazione (2001) 366 definitivo, c.d. Libro verde “Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese” documento definitivo, Bruxelles, 18.7.2001, è scaricabile dall’indirizzo URL http://www.csspd.it/download/ALLEGATI_CONTENUTI/csrgreenpaper_it.pdf

(2) Un tale possibile sviluppo è, invece, teorizzato nel quadro del Rapporto di ricerca “La responsabilità sociale d’impresa nel quadro delle “linee guida OCSE destinate alle imprese multinazionali”. Un focus sulle piccole e medie imprese” a cura di CAIROLI –TANTALO, con il patrocinio di Ipi e del Ministero dello Sviluppo Economico, 2010 che prosegue in un percorso di ricerca dal titolo “Le reti d’imprese come strumento di diffusione di una Sostenibilità di sistema”.

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fornitori e consumatori), la Comunicazione evidenzia un secondo dato.

Si legge, infatti, come «L’azione dei pubblici poteri è inoltre essenziale per incoraggiare le imprese a prendere ulteriormente coscienza delle loro responsabilità sul piano sociale e per creare un quadro che consenta di garantire che le imprese integrino gli aspetti ambientali e sociali nelle loro attività (…)» (punto 15).

La riflessione che propone intende verificare se, nell’ambito di una relazione triadica, che coinvolge i concetti di responsabilità sociale di impresa e di reti di impresa con l’azione dei pubblici poteri, e segnatamente nel contesto del c.d. green public procurement, sia possibile nell’ordine:

1) precisare il significato del concetto di responsabilità sociale di impresa;

2) verificare la congruenza del fenomeno reticolare quale possibile contesto istituzionale in cui disciplinare la CRS;

3) verificare in che modo l’azione dei pubblici poteri possa favorire, nel contesto della rete, l’allineamento delle imprese verso strategie di sviluppo socialmente responsabili.

2. Rete di imprese e CSR: le definizioni legali

Per il giurista che intende proporre un discorso fondato sul diritto positivo, la riflessione intorno ad una possibile interazione - giuridicamente rilevante ( 3 ) - tra CSR e reti di impresa pare suggerita dall’incrocio di due indici normativi:

(3) Questa precisazione può forse apparire artificiosa. Ma essa è dovuta alla constatazione che in talune sintesi del pensiero della Commissione si assume, forse in maniera non del tutto accurata, che la responsabilità sociale si fondi su norme sociali ovvero si presenti quale fenomeno posto “al di là delle prescrizioni legali e degli obblighi contrattuali”. Con ciò si fa leva sul termine integrazione “volontaria”, che invece compare in qualunque definizione, interpretandola nel senso di attuazione “spontanea”. Il tema è complesso ed affonda addirittura nel concetto di giuridicità su cui evidentemente non intendiamo avviare alcun discorso. Tuttavia, nel contesto della riflessione che intendiamo proporre, assumiamo che l’integrazione giuridica delle preoccupazioni sociali ed ecologiche avviene su base volontaria anche quando le imprese volontariamente appunto imprese concordano un codice di regole di condotta aventi natura contrattuale, sul presupposto che l’adempimento dell’obbligazione si fonda comunque su un atto di libera scelta dell’impresa.

(5)

a) l’art. 2, comma 1, par. f) del d.lgs 81/2008 (Testo Unico sicurezza sul lavoro): «responsabilità sociale delle imprese:

integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle aziende e organizzazioni nelle loro attività commerciali e nei loro rapporti con le parti interessat»e.

b) l’art. 3, comma 4 ter, l. 9 aprile 2009, n. 33 «Con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato» ( 4 ).

Incrociando tali dati è possibile affermare, ad un livello che deve appunto essere compiutamente indagato, che il contratto di rete di imprese è la forma volontaria attraverso cui le imprese, al fine di sfruttare le opportunità di crescita derivanti da un progetto avente dimensione ecologica (e sociale), possono obbligarsi «sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi infor- mazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa» ( 5 ).

In questa prospettiva, vorremmo chiederci se ed in che modo il contratto di rete di impresa possa fungere da strumento esegetico e regolativo dello stesso “fare impresa” in senso socialmente responsabile. Posto che lo strumento contrattuale può contribuire a costituire un contesto giuridico istituzionale incentivante l’adozione di prassi socialmente sostenibili, la domanda è a quali condizioni il contratto di rete legalmente disciplinato è idoneo ad attribuire rilevanza giuridica alla CSR, tanto nel contesto delle relazioni tra le imprese appartenenti alla rete, quanto nei confronti dei terzi c.d. beneficiari.

(4) Con d.l. 31 maggio 2010, n. 78, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, la definizione è stata novellata. La precedente definizione era: «con il contratto di rete due o più imprese si obbligano ad esercitare in comune una o più attività economiche rientranti nei rispettivi oggetti sociali allo scopo di accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato». Non pare che la modifica della definizione normativa abbia prodotto conseguenze rilevanti almeno dal punto di vista degli esiti della nostra riflessione.

(5) Così nella nuova definizione risultante dall’art. 42 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78 che ha appunto riscritto l’art. 3, comma 4 ter della L. 9 aprile 2009, n. 33.

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3. Reti di impresa: precisazioni

E’ stato rilevato che l’innovazione legislativa non ha disciplinato compiutamente il fenomeno delle reti di imprese, e nemmeno quello delle reti c.d. contrattuali ( 6 ), appare opportuno fornire qualche precisazione preliminare sul concetto di rete di imprese che la dottrina ha usato incidentalmente al tema della CSR.

La letteratura economica analizza separatamente reti di imprese e responsabilità sociale delle imprese quali possibili categorie analitiche idonee a spiegare il fenomeno della produzione di economie di scala e vantaggi competitivi nel medio - lungo periodo di attività delle imprese.

Con riguardo alle reti, scorrendo le opinioni presenti nella letteratura giuridica, emerge qualche difficoltà nel definire quale sia il loro ubi consistam dal punto di vista giuridico. Non è dunque solo un problema d’identificare gli strumenti effettivamente idonei a vincolare le imprese aderenti a comportamenti eticamente sensibili in maniera giuridicamente rilevante. e’ ancora prima un problema definitorio.

A parte la letteratura che nega a tale “ibrido”, posto tra mercato e gerarchia, la capacità di accreditarsi quale legal concept ( 7 ), anche tra coloro che al contrario propendono per dare alla rete di imprese una dignità concettuale almeno socialmente tipica, si registra qualche ambivalenza nella capacità di questa di favorire la produzione di capitale sociale ( 8 ).

A tale riguardo, la dottrina ha altresì evidenziato i rischi della rete proprio in termini di de – responsabilizzazione delle imprese aderenti verso i terzi in relazione alla produzione di esternalità

(6) Il rilievo, comune, peraltro viene espresso da CAFAGGI, Il contratto di rete e il diritto dei contratti, in Contratti, 10, 2009, 915. Per una descrizione della fattispecie contrattuale delineata dal legislatore si veda CUFFARO, Contratti di impresa e contratti tra imprese, in I contratti di rete, a cura di CUFFARO, Corriere del Merito, fasc. 1/2010, 5 ss., GENTILI, Una prospettiva analitica su reti di imprese e contratti di rete, in Obbl. e contr., 2010, 87 ss.

(7) BUXBAUM, Is «Network» a Legal Concept? 149 Journal of Institutional and Theoretical Economics, 698 (1994).

(8) CAFAGGI-IAMICELI, Responsabilità sociale e reti di imprese, in Sacconi, Guida critica alla responsabilità sociale e al governo d’impresa, Bancaria ed., 2005, 159.

(7)

negative ( 9 ); oltre alla tendenza alla produzione di beni di club e dunque in funzione anticoncorrenziale ( 10 ).

Il trade – off negativo per la CSR aumenta sensibilmente anche in conseguenza della natura meta – distrettuale della rete.

Tale caratteristica produce una conseguenza notevole sul piano della CSR poiché si diluisce il vincolo reputazionale con il

“territorio”, ossia proprio quel c.d. controllo sociale diretto ( 11 ) che stimola le imprese a tenere un comportamento socialmente responsabile nei processi di apprensione e sfruttamento delle comuni risorse infrastrutturali o nella gestione dei rapporti industriali di una particolare comunità di lavoratori.

4. Il Green public procurement

Nel contesto di tale riflessione manca il soggetto evocato dalla Commissione Europea: la Pubblica Amministrazione.

L’ipotesi di coniugare la CSR con la rete di imprese può compiutamente svolgersi a partire da una possibilità applicativa assiologicamente orientata alla promozione di prassi di acquisto sul mercato eco – compatibili nel settore degli appalti pubblici della P.A.

La preferenza recentemente accordata ai c.d. “appalti verdi”

della P.A. suggerisce che tale settore è in grado di enucleare alcuni principi su ciò che deve intendersi con CSR e sul modo in cui le imprese in rete possano sfruttare il potenziale di opportunità d’innovazione proveniente dalla leva pubblica.

A tale riguardo, si segnala, anzitutto, che il settore degli appalti pubblici è attraversato da una tensione particolarmente favorevole alla promozione di interdipendenza tra PMI.

Assecondando le recenti tendenze osservabili nel c.d. public procurement law, si registra infatti, da un lato, la propensione alla suddivisione degli appalti pubblici in lotti, definiti sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo, al fine specifico di

(9) TEUBNER, «And if I by Beelzebub cast out Devils …» : An Essay on the Diabolics of Network Failure, dall’indirizzo URL http://www.germanlaw journal.com/pdfs/FullIssues/Vol_10_No_04.pdf

(10) BOSI, Modelli di autoregolamentazione nelle reti di imprese, in CAFAGGI, Reti di imprese tra regolazione e norme sociali, Mulino, 2004, 238

(11) PANOZZO, La responsabilità sociale d’impresa tra strumentazioni formali e radicamento locale, in PERULLI (a cura di), L’impresa responsabile.

Diritto sociali e corporate social responsibility, Halley ed., 73 ss.

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aumentare le possibilità delle PMI di partecipare ai bandi di gara, mediante un’opportuna valorizzazione delle specializzazioni reciproche. Dall’altro, si delinea un percorso volto alla semplificazione degli oneri burocratici ed amministrativi in capo alle medesime imprese ( 12 ).

Ad ulteriore conferma del favorevole contesto normativo indicato, tra i criteri condizionanti l’aggiudicazione dei bandi di gara di appalti pubblici viene indicato proprio l’acquisizione di risorse eco- compatibili. E’, dunque, opportuno precisare cosa s’intende con green public procurement.

Recependo le indicazioni, già peraltro provenienti dalla Corte di Giustizia ( 13 ), il legislatore italiano con il d.lgs., n. 163/2006 Codice degli appalti pubblici (segnatamente agli artt. 2, 40,41,44,68, 69,83) ha qualificato il green purchasing quale modus operandi nel settore della spesa pubblica ( 14 ), ossia quale processo mediante cui le PA cercano di ottenere beni, servizi e opere con un impatto ridotto per l’intero ciclo di vita rispetto a beni.

In particolare è stata espressamente riconosciuta alle entità appaltanti la possibilità di prendere in considerazione fattori di ordine extra-economico in ciascuna delle diverse fasi della procedura di gara, a partire dalla determinazione dell'oggetto dell'appalto fino alla definizione delle condizioni di esecuzione.

In questa fase, l'amministrazione aggiudicatrice potrà, infatti, stabilire condizioni di esecuzione dell'appalto rispondenti a particolari criteri ecologici, purché compatibili con il diritto comunitario (in particolare con il principio di non discriminazione), precisate nel relativo capitolato d'oneri, nel bando di gara o nell'avviso con cui si indice la gara.

(12) Si veda il Codice europeo di best practices per facilitare l’accesso della PMI agli appalti pubblici - Documento di lavoro dei servizi della Commissione, 2008.

(13) CGE, 20 settembre 1998, causa C – 31/87, Gebroeders Beentjes BV, in Racc., 1998, 4635; e con specifico riferimento ai criteri ambientali CGE, 17 settembre 2002, causa C – 513/99, Concordia Bus Finland, in Racc., 2002, 7213) che poi la legislazione europea ha recepito con le Direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE.

(14) Su cui si veda SPAGNUOLO, Il green public procurement e la minimizzazione dell’impatto ambientale nelle politiche di acquisto della Pubblica amministrazione, in Riv. It. dir. pubbl. Comunitario, 2006, 2, 397.

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5. Le perplessità della dottrina in materia di CSR

La letteratura giuridica accoglie con pessimismo le aperture della dottrina economica in tema di CSR.

La CSR viene raffigurata come una moderna riedizione della utopia socialista : l’impresa che incorpora il valore dell’utilità sociale come limite interno alla sua attività è una mera aspirazione ideale a fronte di più accreditate letture dell’art. 41, comma 2, Cost. che considerano quella come un limite sì ma esterno ( 15 ).

L’assenza di indicazioni eteronome si traduce nella promulgazione di codici etici vaghi e difficilmente azionabili, in un simulacro di funzionalizzazione o socializzazione degli interessi degli operatori direttamente coinvolti nella gestione e dei soggetti investiti della sua attività, in cui manca il proprium del giuridico: la coazione.

Le difficoltà che la dottrina giuridica incontra nel concettualizzare la c.d. responsabilità sociale di impresa, consistono nella individuazione dei beneficiari e degli strumenti giuridici di tutela ( 16 ).

Da un lato, i meccanismi di reazione alla mancata produzione di quel benessere, o peggio ancora la sua mistificazione e lesione, paiono sanzionabili solo attraverso il mercato, oppure - in un’ottica squisitamente giuridica - attraverso la responsabilità aquiliana, di cui è peraltro nota la problematica torsione in funzione punitiva / preventiva proprio nel danno ambientale.

Alla carenza di strumenti giuridici adeguati, si aggiunge la vaghezza degli interessi sociali a cui l’attività di impresa deve essere orientata. E’ il problema dell’individuazione dei beneficiari : non è cioè isolabile una sfera di interessi giuridici omogenea né si riesce tra questi interessi ad instaurare una plausibile gerarchia.

15 MARIUCCI, La responsabilità sociale delle imprese tra utopia e inganno, 31 ss, in Perulli (a cura di), L’impresa responsabile. Diritto sociali e corporate social responsibility, cit.

16 CAFAGGI, La complementarietà tra responsabilità sociale e responsabilità giuridica d’impresa, in SACCONI (a cura di), Guida critica alla responsabilità sociale di impresa, 2005, Roma, 219.

(10)

6. Le variabili della CSR

E’ utile allora verificare quali sono le variabili che intervengono nella dimensione economica che consentono agli economisti di valorizzare l’agire socialmente responsabile dell’impresa.

Secondo la tesi tradizionale, la c.d. shareholder value theory, il diritto societario appare come un complesso di istituti, modelli di governance, disposizioni, sanzioni a tutela dell’interesse dei proprietari della società (massimizzazione del profitto).

Tale opinione non esclude che vi debbano essere strumenti giuridici (diritto del lavoro, diritto fallimentare per i creditori, diritto contrattuale per i consumatori, diritto ambientale per i cittadini) che tutelino nuclei omogenei d’interessi (il benessere dei lavoratori, la sicurezza dei creditori, la salvaguardia ambientale). Soltanto si precisa che si tratta di interessi “terzi”

rispetto a quelli che la società deve perseguire, terzi nel senso di strutturalmente confliggenti con l’interesse proprio ed esclusivo dell’impresa alla massimizzazione del profitto. A tutto volere concedere, in tale prospettiva, le discipline giuridiche - collaterali rispetto a quelle societarie - impongono altrettanti vincoli che, distinti per interessi omogenei, sono comunque esterni all’attività d’impresa.

La tesi minoritaria, la c.d. stakeholders value theory 17 assume invece che l’intervento normativo deve imporre il perseguimento di finalità che tutelino interessi diversi da quelli dei proprietari. Ciò sul presupposto che i medesimi interessi non devono necessariamente essere configurati come strutturalmente confliggenti rispetto all’interesse alla massimizzazione del profitto. Essi non sono davvero terzi. Ciò perché, nel medio - lungo periodo, lo svolgimento dell’attività d’impresa secondo parametri etici incontrerebbe l’interesse degli stessi proprietari perché consente loro di stabilizzare le performance di crescita ( 18 ).

Pare di capire che ciò che conta è la variabile temporale nell’ambito delle prospettive di crescita. Vi è poi una seconda

(17) DRIVER-THOMPSON, Corporate governance and democracy: the stakeholder debate revisited, in Journal of management and governance, 2002, n. 6, 111 – 130.

(18) CNR

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dimensione attinente alla legittimità di altri soggetti a partecipare alla gestione strategica dell’attività d’impresa.

Una visione sostanziale delle crisi di impresa rimprovera alla tesi procedurale il fatto d’isolare la sfera dei creditori e quella del debitore escludendo l’esistenza ed il coinvolgimento ogni altro possibile centro di interessi. Ma in definitiva, si tratta d’individuare un meccanismo idoneo a riallocare i poteri decisionali mano a mano che i fattori di crisi dell’impresa aumentano in capo ai soggetti che producono investimenti specifici (è il caso dei lavoratori e fornitori) o che subiscono esternalità negative (è il caso del danno ambientale).

Un contesto disciplinare nel quale a nostro avviso è stato fornito un modello argomentativo che individua in maniera precisa il conflitto di interessi sussistente in materia di CSR è offerto dal diritto fallimentare. Secondo una visione procedurale, è possibile affermare che tanto più un’impresa è in crisi, tanto più i creditori divengono finanziatori inconsapevoli della società.

Ciò giustifica un intervento normativo volto a riallocare il potere decisionale dai proprietari ai creditori sul presupposto che i primi non sono in grado di gestire il coordinamento di tali interessi ( 19 ). Sul piano analitico, si afferma, nulla si oppone ad una normativa che predichi un eguale coinvolgimento nei poteri decisionali di altri soggetti che non siano i creditori ( 20 ).

7. I problemi giuridici: i beneficiari e gli strumenti

E’ utile richiamare la figura del green purchasing della P.A.

perché consente grado di sciogliere alcune incongruenze che si registrano nel dibattito in corso sulla CSR quando dall’ambito economico si passa alla riflessione giuridica.

Anzitutto, tale meccanismo evidenzia alcuni limiti euristici che incontra la perifrasi “responsabilità sociale di impresa”,

(19) STANGHELLINI, Le crisi di impresa fra diritto ed economia – Le procedure di insolvenza, Bologna, 2007, 52

(20) GALLETTI, Le esternalità dell’insolvenza correlate alla struttura di rete ed il fondamento del trattamento concorsuale, inCAFAGGI-GALLETTI, (a cura di), La crisi di impresa nelle reti e nei gruppi, Padova, 2005, 29.

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primo fra tutti l’accento posto sul termine “responsabilità”

accostandolo all’attività d’impresa ( 21 ).

Tale perifrasi coglie solo la parte patologica del fenomeno ed occulta le opportunità dell’iniziativa imprenditoriale rispettosa di valori altri rispetto alla massimizzazione del profitto. In altri termini, la CSR identifica non solo un modo di agire dell’impresa eticamente responsabile, ma anche un’opportunità di sviluppo per le imprese che si ispirino a determinati valori.

Il discorso evidenzia un secondo limite della perifrasi

“responsabilità sociale d’impresa” giacché essa non lascia trasparire che l’azione etica dell’impresa postula consumatori e committenti eticamente responsabili. Insomma, è piuttosto il consumo, e dunque l’attività dei destinatari, che deve essere responsabile, non l’impresa da cui piuttosto ci si aspetta sempre che agisca assecondando l’interesse alla massimizzazione del profitto.

Ebbene, nel caso del GPP, la Pubblica Amministrazione è appunto il soggetto che rivolgendosi al mercato per reperire risorse interessato a promuovere una cultura ecologica (e sociale) del fare impresa reperendo risorse per il proprio fabbisogno a patto che queste siano prodotte e possano essere utilizzate in maniera ecologicamente sostenibile.

Tale azione non solo mobilizza una parte rilevante del mercato rendendolo contendibile, ma – a patto che la pubblica amministrazione non si riservi i diritti di utilizzazione delle innovazioni tecnologiche – apre nuovi mercati e dunque possibilità alle PMI.

A ben vedere, è questo il ruolo che in una economia sociale di mercato il settore pubblico deve svolgere : fare da apripista a pratiche economiche socialmente sensibili sul presupposto che queste possano stare sul mercato. In particolare, la richiesta di acquisti ecologici implica l’esigenza di un rinnovamento tecnologico che propone un profilo di particolare interesse : ossia l’impatto trasversale e intersettoriale sotteso alla richiesta di fabbisogno ecologico della P.A.

(21) Con specifico riferimento alle tematiche ambientali ma in ottica generale sul concetto di responsabilità sociale, si vedano GRASSI-TADDEI, Responsabilità sociale dell’impresa e tutela dell’ambiente, in CONTE (a cura di), La responsabilità sociale dell’impresa,Roma, 2008, 122 ss.; LIBERTINI, La responsabilità d’impresa e l’ambiente, in La responsabilità dell’impresa, Quaderni di Giurisprudenza commerciale, , Milano, 2006, 199.

(13)

Di contro, l’analisi proposta dalla shareholder view pecca di paternalismo nella misura in cui predica un intervento eteronomo per imporre, anche nell’interesse dei proprietari, i parametri etici a cui l’attività dell’impresa deve attualmente conformarsi.

8. Il ruolo della Pubblica Amministrazione quale beneficiario

Fatte queste precisazioni, si deve però porre attenzione al potenziale di criticità che la CSR determina sulla struttura giuridica del conflitto di interessi tra protagonisti della produzione e del consumo. Tale struttura si fonda sul generale misconoscimento della dimensione temporale dello sviluppo economico determinato da prassi socialmente virtuose.

La tesi minoritaria evidenzia l’esistenza di un confitto d’interesse attuale tra terzi beneficiari e proprietari destinato a sanarsi nel medio - lungo periodo. Vi è, dunque, l’introduzione di una variabile temporale che ridimensiona l’esistenza di un conflitto endemico di interessi (che è il campo proprio del diritto privato, salvo accedere a forme di legislazione promozionale).

Si tratta allora di non trascurare la variabile temporale per tradurre giuridicamente l’esigenza di posizionare lungo una linea diacronica i beneficiari distinguendo tra beneficiari immediati (lavoratori, consumatori, cittadini) e posticipati (nel medio lungo periodo: i “proprietari” dell’impresa).

Sfruttando le sollecitazioni provenienti dal diritto fallimentare sopra riportato, ma di cui è possibile osservare le implicazioni a livello di CSR, è possibile affermare che quanto più aumenta il rischio di lesione d’interessi afferenti alla sfera giuridica soggettiva altrui, (classicamente : esternalità negative ambientali), tanto più è legittimo il coinvolgimento nei processi decisionali e controllo di coloro che sono titolari e rappresentanti di tali sfere di interesse.

Tuttavia, il legislatore non è in grado d’imporre tale ordine di

preoccupazione alle imprese, ma è possibile formulare una teoria

che considera la solidarietà d’interessi che si sviluppa nell’ottica

dell’attività di impresa. A questo livello è possibile verificare la

relazione strategica che la CSR intrattiene con il contratto di rete

di imprese ed ancora una volta la prospettiva del green public

procurement consente di dare una rappresentazione efficace del

discorso finora affrontato a livello teorico.

(14)

9. Il problema della selezione degli interessi in conflitto

L’ipotesi applicativa del green purchasing individua una prospettiva giuridicamente rilevante - il punto di rilevanza ermeneutica – del contratto di rete di imprese in una possibile

“coincidenza” d’interessi: l’interesse del legislatore di affidare alle imprese uno strumento per la “crescita”, il contratto di rete appunto; l’interesse delle imprese a coniugare tale crescita in termini “eco-sostenibili”.

Anzitutto, la relazione tra appalti pubblici e contratto di rete di imprese appare evidente perché la legge istitutiva del contratto di rete consente di attivare dei processi volti all’interdipendenza delle attività economiche senza vincoli di tipo settoriale o territoriali.

Ciascuna impresa finalizza una o più attività economiche rientranti nel proprio oggetto sociale, oppure in un ambito della propria attività, ponendolo a servizio della realizzazione di un progetto comune. Ciascuna impresa, perciò, mantiene la propria autonomia gestionale ed operativa rispetto alla propria attività.

D’altra parte, il contratto di rete non ostacola la propensione all’unità, consentendo alle imprese aderenti d’incaricare l’organo comune a rappresentarle quale unico referente nelle procedure di programmazione negoziata con la Pubblica Amministrazione, con conseguente semplificazione delle procedure amministrative ed oneri burocratici.

Per quanto riguarda più specificamente il GPP, l’enfasi posta nell’attivare un processo di reperimento delle risorse eco- compatibile spinge le imprese a sviluppare sinergie ed interdipendenze per competere nell’offerta di beni e servizi ad alto contenuto tecnologico affinché il committente pubblico ottenga, tramite bassi impatti ambientali, risparmi di spesa anche considerevoli.

La filosofia di fondo è che “spendere ecologico” non significa necessariamente spendere di più perché occorre considerare i costi del ciclo di vita del prodotto o servizio nonché il fatto che in tale modo si evitano sprechi di risorse che il committee, pubblico o privato deve considerare.

E’ appunto il fattore tempo che entra in gioco e rende visibile

come l’obiettivo delle imprese in rete di offrire servizi e prodotti

a basso impatto ambientale è sintonico nel lungo periodo con

quello del committente.

(15)

D’altra parte, prendere sul serio questa dimensione temporale significa affermare l’esigenza di riallocare il processo decisionale d’impresa nel quadro di una più ampia solidarietà tra soggetti che condividono obiettivi compatibili. La prospettiva del GPP evidenzia proprio una P.A. che compie investimenti specifici con riferimento al ciclo di vita del prodotto quale criterio ecologico di aggiudicazione dell’appalto. Tra rete di imprese e P.A. si sviluppa perciò una solidarietà di intenti nel lungo periodo. Da qui la funzione che il contratto di rete può essere deputato a svolgere : tradurre giuridicamente questa solidarietà o comunione di interessi tra proponente e acquirente sul mercato.

10. Dal conflitto alla solidarietà nel contratto di rete: il profilo della produzione di valore

Occorre notare che la letteratura sopra citata in materia di reti di impresa si è concentrata sulle reti non formalizzate. La tipizzazione legale del contratto di rete di imprese fa compiere un salto di qualità al discorso perché il contratto rappresenta comunque un vincolo giuridico idoneo a formalizzare un contesto giuridico di interdipendenza strategica tra imprese.

Il punto è in che modo il contratto possa stabilizzare la c.d.

“responsabilità sociale” in ciascuna impresa aderente alla rete contrattuale. A tale riguardo, il contratto di rete presenta un primo profilo interessante.

Il medium contrattuale consente anzitutto di sfuggire dall’accusa di paternalismo che abbiamo mosso alla tesi minoritaria.

La meritevolezza della rete, anche quale strumento che si accredita nei confronti dei terzi – segnatamente la P.A. - è funzione dell’autonomia privata e non più di una valutazione di tipo eteronomo.

Un secondo profilo consiste nell’indice di valutazione di tale

meritevolezza che è funzione di un progetto di rete. Ai sensi della

disposizione legislativa, il contratto di rete si fonda su un progetto

di rete che, nell’interrelare le singole attività economiche delle

imprese aderenti, presenta una serie di enunciative volte, ai sensi

dell’art. 3, comma 4 ter, lett. b), ad evidenziare gli «obiettivi

strategici e (del)le attività comuni poste a base della rete, che

dimostrino il miglioramento della capacità innovativa e della

competitività sul mercato, ovvero nel nuovo testo licenziato di cui

alla medesima lett. b) (…) gli obiettivi strategici di innovazione e

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di innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti e le modalità concordate tra gli stessi per misurare l’avanzamento verso tali obiettivi».

Dunque, il contratto di rete non solo deve evidenziare l’esistenza di una rete qualsiasi di imprese, ma che quella rete si qualifica per il fatto che i contraenti abbiano dimostrato l’esistenza di un nesso causale tra interdipendenza delle attività economiche poste in comune e capacità di produrre valore .

Proprio nella prospettiva accennata, il modello di relazione reticolare si candida quale veicolo per accrescere l’attitudine delle imprese alla condivisione di risorse critiche per la loro crescita. In tale contesto, la rete può includere quei valori che orientano le scelte imprenditoriali verso obiettivi di crescita di rilievo sociale, non solo economico.

La rete si coagula attorno ad un progetto destinato a soddisfare un bisogno presente sul mercato. Questo non consiste nel concorrere ad un appalto, come avviene per le ATI, ma nell’incrociare esperienze differenti e tecnologie al fine di sviluppare un prodotto o servizio che, nel caso del GPP presenta un basso impatto ambientale – alto contenuto tecnologico.

Sotto questo profilo, il contratto di rete permette, a nostro avviso, di introdurre – nell’ambito dei rispettivi oggetti sociali di ogni impresa aderente ed in vista del raggiungimento e mantenimento di economie di scala nel lungo periodo da parte del committente pubblico – quella variabile temporale che una visione atomistica rende in qualche modo irrilevante agli occhi della Pubblica Amministrazione, ma che l’evidenziazione in rete può invece rendere meritevole di considerazione.

Questo è in definitiva l’humus in cui sorge l’esigenza di fare rete ( 22 ). Nella prospettiva individuata, il contratto di rete di imprese rappresenta l’altra faccia della medaglia di un protagonismo del settore pubblico che orienta l’azione delle imprese in modo da sfuggire al vincolo degli aiuti di stato ( 23 ).

(22) Sul punto si veda la Comunicazione della Commissione 14.12.2007 in tema di Pre commercial procurement: Driving innovation to ensure substainable high quality public service in Europe.

(23) Con riferimento alla sospensione d'imposta prevista per gli utili rein- vestiti da parte delle imprese aderenti ai contratti di rete, l'agevolazione dovrà essere autorizzata da Bruxelles ai sensi dell'articolo 108 del TFUE, poiché trat- tasi di una forma di aiuto da parte dello stato attribuita in maniera non genera- lizzata (singoli settori, specifiche aree geografiche o singole tipologie di contri-

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Il contratto di rete, dal canto suo, è funzionalmente destinato a stabilizzare una struttura che, nel disciplinare l’interdipendenza dei fattori produttivi propri e specifici di ciascuna impresa, non regola solo i profili produttivi o distributivi a valle, ma soprattutto quelli cognitivi. Sono questi i profili in grado di attivare la componente di innovazione, c.d. ricerca e sviluppo, attraverso la formula del learning by experience, così superando la costosa ricerca di base che appunto le PMI non sono singolarmente in grado di attivare.

Concludendo una rete di imprese contrattuale può mettere a reddito un progetto volto a soddisfare il segmento di mercato; il prodotto a basso impatto ambientale può avere dei costi per investimenti specifici meno alti se affrontati in rete; una volta allocato il servizio, anche al di fuori delle esigenza del settore pubblico, la rete può sciogliersi e ciascuna impresa può monetizzare l’investimento.

In sostanza, il GPP rappresenta per il committente pubblico la possibilità di realizzare economie di scala, per le PMI l’ulteriore occasione di competere sul piano qualitativo, e non solo sulla base del criterio economicamente (asettico ma non neutrale) del maggior ribasso, attivando la componente innovazione e ricerca per ottenere vantaggi competitivi nei confronti di imprese meno dinamiche.

11. Il profilo della responsabilità sociale nella rete: alcune possibili categorie giuridiche utilizzabili

Dal punto di vista della CSR, il contratto di rete, quale contratto normativo ( 24 ), può essere considerato come lo strumento per rafforzare sul piano giuridico la vincolatività di impegni di responsabilità sociale all’interno delle imprese.

Tale vincolo riguarda la selezione dei partner commerciali dell’impresa, l’esecuzione delle singole prestazioni. Il rispetto del codice di condotta adottato può essere condizione di conservazione del rapporto contrattuale, o per quanto riguarda la definizione del contenuto dei contatti, talune norme possono

buenti), che come tale necessita del via libera dell'Ue prima di essere resa ope- rativa

(24) GITTI, Contratti regolamentari e normativi, Padova, 1994, passim.

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essere incluse come clausole inerenti la responsabilità sociale di ciascuna impresa partecipante.

Con ciò si vuole dire che la CSR può assumere specifico rilievo causale del contratto di rete. L’attribuzione di una funzione causale alla CSR nel programma di rete può consentire di superare lo stretto ossequio al principio di relatività degli effetti del contratto, che rappresenta il vero limite giuridico alla rilevanza esterna del contratto di rete. E’ evidente che, laddove il progetto di rete si propone esattamente di soddisfare il green purchasing ambientale della P.A, la causa deve coniugarsi con l’interesse del destinatario del prodotto o servizio di rete non già in termini di contrapposizione ma di solidarietà o comunione di interessi.

Questo riconoscimento consente di guardare con più fiducia agli strumenti idonei a definire i profili interni ed esterni di responsabilità di ciascuna impresa appartenente ad un rete così congeniata. Si noti che il legislatore affida integralmente all’autonomia privata la definizione di tali strumenti. Oltre al progetto di rete, il contratto deve contenere il programma di rete, ossia l’enunciazione non solo «dei diritti degli obblighi assunti da ciascuna impresa partecipante» ma anche «le modalità di realizzazione dello scopo comuni: in una parola, il kit giuridico che consente di fondare l’affidamento dei terzi sulla possibilità di realizzazione del progetto.

Nel quadro di una rete che intende accreditarsi presso la P.A.

per l’aggiudicazione ed esecuzione di un GPP, questa parte del programma di rete appare fondamentale. Si potranno prevedere i meccanismi idonei ad orientare ciascuna impresa a realizzare il progetto di rete (ad esempio il possesso individuali di certificazioni ambientali nel settore economico dato quale requisito necessario per aderire alla rete senza che ciò risulti discriminatorio).

Il contratto può dotare la rete di strumenti organizzativi diretti a garantire il rispetto di standard di comportamento anche mediante l’istituzione di organi volti al monitoraggio delle condotte ( 25 ). Sempre nell’ambito della rete si possono individuare sanzioni di tipo reale, ad esempio l’inibitoria, oltre allo strumento risarcitorio. Nella forma di clausole contrattuali, contratti – tipo, codici deontologici, principi di varia natura trasfuse nei contratti da stipularsi da parte degli associati ( 26 ), le

(25)CAFAGGI-IAMICELI, Responsabilità sociale e reti di imprese, cit., 165 (26) ALVISI, Subfornitura e autonomia collettiva, Padova, 2002, 195.

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norme regolamentari assumerebbero valenza di clausole d’uso, vantando una efficacia erga omnes ( 27 ).

Inoltre, il contratto di rete può imprime alle attività poste in comune dalle imprese per il perseguimento del programma una direzione con effetti protettivi verso terzi (magari per conto di chi spetta) ( 28 ) con conseguente loro legittimazione ad agire per il soddisfacimento degli interessi che hanno causato la formazione di un rete di imprese. Dal canto suo, la P.A. potrà svolgere un’ulteriore importante funzione, incentivando la partecipazione a bandi e l’esecuzione dei relativi contratti a quelle reti che adottino un modello di amministrazione trasparente e partecipata, orientata anche all’audit dei cittadini, profilo questo che proprio in campo ambientale ha trovato il terreno più fertile per impiantare i nuovi istituti della partecipazione civica ( 29 ).

(27) GITTI, Le clausole d’uso come fonti del diritto, in Riv. Dir.civ., 2003, 115 ss.

(28) CAFAGGI-IAMICELI, Le reti per la regolazione della responsabilità sociale, cit., 455. Su tale figura si veda MOSCATI, I rimedi contrattuali a favore di terzi, in Riv. Dir. civ., 2003, I, 357 ss.; ma anche a quelle forme di responsabilità da contatto sociale che la giurisprudenza ha in qualche modo identificato. Si veda Cass. SS.UU., 27 giugno 2002, n 9346, in Foro it., 2002, I, 2365; o ancora fondati sull’affidamento nella qualità professionale del soggetto agente (l’impresa, la rete, o l’impresa in quanto appartenente ad una rete), su cui – solo per una ricognizione di carattere generale sul tema – si veda SCOGNAMIGLIO, Sulla responsabilità dell’impresa bancaria per violazione degli obblighi discendenti dal proprio status, in Giur. It., 1995, IV, 35 ss.

(29) CARANTA–FERRARIS–RODRIQUEZ, La partecipazione al procedimento amministrativo, Milano, 2005, 18.

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