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CAPITOLO 4 INTEGRAZIONE CONCETTUALE

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 4

INTEGRAZIONE CONCETTUALE

1. Blending

Uno degli aspetti che caratterizza il pensiero ed il linguaggio umano dipende essenzialmente dalla nostra capacità di manipolare reti di mappature attraverso spazi mentali. In questo modo tutte le forme di pensiero diventano creative nel senso che producono nuovi legami, nuove configurazioni, e in corrispondenza di ciò nuovi significati e nuove concettualizzazioni.

E’ in questo contesto che si inserisce quello che Gilles Fauconnier e Mark Turner definiscono come Blending o Integrazione Concettuale. 1 La parola Blending significa letteralmente “mescolanza”, “miscelazione”, “unione”, “fusione”, “mettere insieme”. Nel nostro caso la intenderemo secondo una accezione più specifica: quella di “Integrazione Concettuale” o “Legame Mentale”.

Per capire meglio ciò che intendiamo dire con Integrazione Concettuale proviamo ad immaginare due contenitori, in cui si trovano mescolati oggetti di diverso tipo ma che hanno una coerenza interna a seconda del contenitore in cui si trovano. Da ognuno di questi due contenitori estraiamo poi alcuni oggetti che ci interessano. Pensiamo infine ad un terzo contenitore, nel quale gli oggetti che ci interessano verranno posizionati dando vita ad una nuova “mescolanza” di oggetti. Il terzo contenitore è una proto-forma di Integrazione Concettuale poiché unisce alcuni degli oggetti che ci interessano all’interno di un contenitore, ad altri oggetti che ci interessano nell’altro contenitore.

Questo primo approccio un po’ schematico ci può dare soltanto un'idea generica di ciò di cui stiamo parlando: è necessario andare più in profondità. Proviamo a pensare ad ogni contenitore come ad uno spazio mentale separato, in ognuno di questi spazi mentali si svolgeranno dei pensieri, si formuleranno delle ipotesi, si analizzeranno dei concetti, si creeranno delle analogie: possiamo paragonare ognuno di questi processi mentali agli oggetti di cui parlavamo poco sopra. Quando abbiamo due spazi mentali relativamente coerenti in se stessi, nei quali si trovano pensieri ed ipotesi che possono essere messi in relazione, abbiamo la possibilità di unire ciò che si trova in ognuno dei due spazi mentali per andare a creare un terzo spazio, nel quale le caratteristiche salienti dei due spazi considerati in precedenza vengono fuse per dare vita ad un nuovo spazio mentale.

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spazi mentali non ne somma semplicemente le caratteristiche, divenendo così una sorta di via di mezzo fra i due spazi mentali precedentemente esistenti. Il nuovo spazio mentale invece filtra, seleziona ed ingloba le caratteristiche salienti di ognuno dei due spazi mentali presi precedentemente in considerazione, per creare un nuovo sistema coerente in sé stesso. I nuovi spazi mentali creati tramite Integrazione Concettuale sono dunque delle entità autonome e separate dagli spazi mentali da cui sono originati. Ciò che ne deriva è che teoricamente si potrebbe creare in questo modo una rete infinita di spazi mentali legati gli uni agli altri, senza che ci sia alcuna sovrapposizione delle caratteristiche che identificano in profondità ognuno di questi spazi.

Se proviamo a schematizzare questo processo ci possiamo rendere conto che il Blending è in fondo un’operazione molto più comune di quanto possa sembrare. Il Blending opera semplicemente su due spazi mentali di Input per raggiungere un terzo spazio, il Blend. Il Blend eredita una struttura parziale dagli spazi di Input ed ha una sua propria struttura emergente che lo differenzia dai due spazi mentali di Input da cui origina (Fauconnier 1997, p.149). Ciò che rende il Blending estremamente funzionale è la sua capacità di creare un numero pressoché infinito di possibili unioni ed intersezioni fra spazi mentali con uno sforzo mentale relativamente ridotto.

E’ arrivato il momento in cui qualche esempio potrà darci un’idea più chiara di ciò che stiamo analizzando. Utilizzerò alcuni esempi classici trattati principalmente da Fauconnier e Turner che mi aiuteranno a mostrare il processo di Integrazione Concettuale che utilizziamo in gran parte delle nostre attività mentali quotidiane. Consideriamo questo indovinello (Koester, 1964):

L’indovinello del monaco buddhista e della montagna.

Un giorno un monaco buddhista comincia all’alba a salire su di una montagna, raggiunge la cima al tramonto, medita sulla cima per alcuni giorni, finché una mattina all’alba ricomincia a camminare per tornare ai piedi della montagna, dove giunge al tramonto. Senza fare congetture sul fatto che egli possa essersi fermato durante il cammino, e senza considerare il suo ritmo, dimostra che c’è un luogo sul sentiero che il monaco occupa alla stessa ora del giorno in ognuno dei due distinti viaggi.

Un modo elegante di dimostrare quale sia questo posto, occupato alla stessa ora esatta sia salendo che scendendo, sarebbe quello di immaginare il monaco buddhista camminare lungo il sentiero sia in salita che in discesa nello stesso giorno. Ci deve essere un posto dove egli incontra sé stesso, e quel posto è chiaramente quello che occuperebbe alla stessa ora del giorno nei due viaggi presi separatamente.

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abbiamo creato per rendere trasparente la soluzione dell’indovinello è palesemente impossibile da realizzarsi nella realtà concreta. Il monaco non può fare due viaggi simultanei nello stesso giorno, e soprattutto egli non può incontrare sé stesso. La situazione immaginata per risolvere l’indovinello è un blend: combina infatti le caratteristiche del viaggio verso la vetta con le caratteristiche del viaggio di ritorno, ed utilizza una “struttura emergente” nello spazio del blend per rendere trasparente la soluzione dell’indovinello.

Se proviamo ad immaginare la situazione in termini di spazi mentali possiamo considerare i due spazi di input come le strutture parziali corrispondenti ai due viaggi: chiamiamo g1 il giorno corrispondente al viaggio in salita e g2 quello corrispondente al viaggio in discesa. Chiamiamo poi a1 il monaco che sale ed a2 il monaco che scende. L’operazione di mapping dello spazio mentale incrociato derivato dalle strutture parziali dei due input unisce la montagna, il monaco che si muove, la durata del viaggio e il movimento verso un posto della montagna (la cima) con la montagna, il monaco che si muove, la durata del viaggio ed il movimento verso un altro posto della montagna (il fondo).

A questo punto risulta più chiaro che lo spazio generico derivato dai due input iniziali unisce ciò che questi due spazi hanno in comune: un monaco che si muove e la sua posizione, un sentiero che unisce i piedi alla vetta della montagna e la durata del viaggio. Ciò che non viene specificato è dunque la direzione del moto e in quale giorno si verifichi il viaggio.

Nel Blend le due montagne che si trovano in ognuno dei due spazi mentali riguardanti rispettivamente l’ascesa e la discesa del monaco, andranno ad essere concepite come una sola montagna tramite il processo di mapping. I due giorni di viaggio, g1 e g2, saranno mappati in un singolo giorno G e quindi fusi. Mentre i monaci che si muovono e le loro posizioni sono mappate secondo l’ora del giorno, mantenendo le loro distinte direzioni di moto, di conseguenza non possono essere fuse. L’Input 1 rappresenta dinamicamente l’intero viaggio di salita, mentre l’Input 2 rappresenta l’intero viaggio di discesa. La regola di proiezione all’interno di un blend mantiene i tempi e le posizioni. Da questi presupposti deriva che il blend al tempo T del giorno G contiene una controparte di a1 alla posizione occupata da a1 al tempo T del giorno g1, ed una controparte di a2 alla posizione occupata da a2 al tempo T del giorno g2.

Il Blend contiene dunque una sua struttura emergente che non è esplicitata dagli altri due Input. Ora abbiamo infatti due monaci che si muovono invece di uno. Si muovono in direzioni opposte, partendo dalle estremità opposte del sentiero, e dato che stanno viaggiando durante lo stesso giorno G la loro posizione può essere comparata in ogni momento del viaggio.

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origine, in questo modo le proprietà strutturali del blend possono anche essere mappate all’indietro verso gli Input di partenza. Attraverso questa operazione di mapping sappiamo dunque che le posizioni occupate da a1 ed a2 durante il viaggio che si svolge nel nostro blend sono le stesse che essi occupano al tempo T nei due giorni di viaggio presi separatamente. Questo è dovuto al fatto che le controparti dei monaci in movimento all’interno del blend si comportano allo stesso modo dei due monaci in movimento durante i due viaggi distinti.

Vale la pena notare che l’incongruenza oggettiva di un blend dove la stessa persona viaggia contemporaneamente in due direzioni opposte fino ad incontrare sé stessa non è così importante. Il motivo è che l’attenzione del problema viene focalizzata sul punto di incontro e sulle controparti dei monaci in movimenti negli spazi di input. I blend vengono usati cognitivamente in modo flessibile, incongruenze di questo tipo nei blend non solo sono molto comuni, ma vengono spesso utilizzate per creare degli effetti inferenziali ed emotivi nell’interlocutore.

Va infine evidenziato che in questo blend ci sono alcune controparti che sono state fuse, come i giorni, il cammino in giorni differenti, e le corrispondenti tempistiche in giorni differenti. Mentre altre controparti sono state proiettate separatamente, come il monaco che sale, il monaco che scende e le direzioni del moto. La proiezione dall’Input è solo parziale: le date dei viaggi non sono proiettate, e nemmeno quanto tempo il monaco stia in cima alla montagna prima di tornare a valle. Ma la nuova struttura emergente del blend non si trova negli input. Ciò che ci interessa è il fatto che un concetto che aveva bisogno di due spazi mentali per essere descritto, ora può essere fuso in un altro dove è possibile utilizzare un solo spazio mentale per rappresentare e risolvere il problema sul quale abbiamo focalizzato la nostra attenzione. La struttura emergente del blend è inoltre più ricca rispetto alle strutture dei due input presi separatamente, il motivo è semplice: adesso possiamo confrontare contemporaneamente le posizioni di due individui che si muovono, e ciò che maggiormente ci interessa ai fini della risoluzione del nostro indovinello è che questi due individui necessariamente si incontreranno ad un certo punto del loro cammino poiché si muovono sullo stesso sentiero in direzioni opposte.

Questo esempio di blend basato sull’indovinello del monaco buddhista si rivela estremamente chiaro e facile da riconoscere, proprio perché porta con sé l’incongruenza oggettiva dell’impossibilità che uno stesso individuo percorra contemporaneamente lo stesso sentiero in due direzioni opposte. Andando avanti con l’analisi degli esempi noteremo che la maggior parte dei blend non vengono riconosciuti consapevolmente da coloro che li utilizzano: alcuni vengono creati mentre parliamo, altri si basano su formule convenzionali ed altri ancora sono legati alle strutture grammaticali della lingua che

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viene utilizzata.

Riassumiamo sinteticamente qui sotto i punti cardine dell'esempio relativo all'indovinello del monaco buddhista, le immagini sono tratte da http://markturner.org/blending.html .

Inizio Cammino (g1) 2 Passaggio (g1) 3 Arrivo in Vetta (g1) 4 Meditazione

5 Inizio Cammino (g2) 6 Passaggio (g2) 7 Arrivo a Valle (g2) 8 Fine Figura 4.1

Un altro esempio che Fauconnier e Turner usano spesso è quello relativo ad una Regata. In questo esempio troviamo il moderno catamarano “Great America II” che veleggia sul percorso da San Francisco a Boston nell'anno 1993 confrontato con la goletta “Northern Light” che navigò sullo stesso percorso nel lontano 1853.

Pochi giorni prima che il catamarano giungesse a Boston alcuni osservatori erano in grado di dire: “A questo punto Great America II è 4 giorni e mezzo davanti a Northern Light”

Con questa affermazione si mettono in relazione le due barche come se stessero navigando sullo stesso percorso nello stesso momento del 1993. In questo modo si crea un blend fra l’evento del 1853 e quello del 1993 che vanno così a confluire in un unico evento. Ci sono tutte le condizioni per avere un blending. C’è una mappatura di spazi mentali incrociati che lega le due traiettorie, le due barche, i due periodi di tempo necessari a completare il percorso, le posizioni in gara, e via dicendo. La proiezione dall’Input verso il blend è parziale: la data del 1853 è posposta, così come le condizioni meteorologiche del 1853, il proposito del viaggio, e così via. Ma il blend ha una ricca struttura emergente: come il

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monaco che sale la montagna, le posizioni delle barche possono ora essere confrontate, in questo modo una barca può stare “davanti” all’altra anche se nella realtà la goletta è arrivata a Boston circa 140 anni prima del catamarano.

La struttura di questo blend, due barche che si muovono nella stessa direzione e sullo stesso percorso, partite dallo stesso posto nello stesso giorno e dirette verso la stessa destinazione, può ovviamente rientrare nella nostra consueta concezione di gara. Se invece di dire che Great America II è avanti di 4 giorni e mezzo su Northern Light dicessimo:

“A questo punto Great America II mantiene all’incirca un vantaggio di 4 giorni e mezzo su Northern Light”

Il linguaggio che è stato utilizzato si riferisce sia esplicitamente che intenzionalmente ad una gara, anche se in realtà il catamarano sta navigando da solo e la corsa della goletta si è svolta 140 anni prima. Il blend che è stato creato però si interessa della gara principalmente in termini di velocità e tempo impiegato dalle due imbarcazioni per percorrere lo stesso percorso, anche se con molti anni di distanza l’una dall’altra. Ciò che viene preso in considerazione in questo blend non tiene conto di molte variabili che risultano diverse ai tempi t1 e t2 in cui si svolgono le due navigazioni. Non si tiene conto ad esempio delle condizioni meteorologiche, ma non solo, si sorvola anche sulle condizioni psicologiche dei due equipaggi: quando ci si trova in gara con un’altra imbarcazione lo stato d’animo può mutare a seconda che il distacco dall’avversario aumenti o diminuisca. Quando il percorso viene portato a termine in solitaria lo stato d’animo dell’equipaggio sarà realisticamente più stabile rispetto allo stato d’animo ipotizzabile in una situazione di “Match Race” con un’altra imbarcazione.

L’unico modo in cui possiamo concettualizzare mentalmente la goletta durante il periodo di viaggio del catamarano, è nei termini di un “fantasma” dell’imbarcazione stessa, in gara contro il catamarano nell’anno 1993. In questo modo possiamo continuare ad utilizzare il blend della gara fra le due barche che partono nello stesso momento, dallo stesso posto, dirette alla medesima destinazione.

Anche in questa operazione di blending le caratteristiche principali rimangono le stesse: mappatura incrociata di spazi mentali, proiezione parziale degli input nel blend, spazio generico in cui si crea il blend, integrazione di eventi, e struttura emergente durante la composizione, l’elaborazione ed il completamento del blending stesso.

C’è infine un altro esempio che può risultare utile alla definizione del nostro concetto di blending, anche questo esempio è stato spesso utilizzato da Fauconnier e Turner nei loro saggi. E’ stato introdotto nel 1995 e si intitola “Il grande dibattito”. In questo esempio troviamo un professore di filosofia che si

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rivolge ad un pubblico di livello culturale relativamente simile al suo, come può esserlo un gruppo di studenti o di colleghi. Rivolgendosi a loro dice: “Sostengo che la ragione sia una capacità che si auto-sviluppa, Kant non è d’accordo con me su questo punto. Lui dice che sia innata, ma io rispondo che questo significa evitare la questione, a cui egli si oppone nella Critica alla Ragion Pura, che solo le idee innate hanno potere. Ma a questo rispondo, che dire della selezione di gruppi neuronali? Lui non dà risposta”.

Possiamo descrivere il processo cognitivo in questo modo: in uno spazio mentale di input, abbiamo il filosofo moderno che fa un’affermazione. In un altro spazio mentale separato ma correlato, abbiamo Kant che pensa e scrive. In nessuno di questi due spazi c’è alcun dibattito. Questi due spazi di input condividono una “frame structure” comune, cioè l’intelaiatura strutturale che costituisce lo spazio mentale generico: c’è un pensatore, che fa affermazione e meditazioni, che ha un modo di esprimersi, un linguaggio particolare, e così via. Il quarto spazio, il blend, contiene sia il filosofo moderno (dal primo spazio di input) che Kant (dal secondo spazio di input). Il blend assume la struttura del dibattito, strutturando Kant ed il filosofo moderno come impegnati in un dibattito simultaneo, mutualmente consapevoli dell'esistenza reciproca, usando un’unica lingua per trattare un argomento riconosciuto. La struttura del dibattito viene fuori facilmente nel blend, attraverso lo schema di completamento, dato che gran parte della sua struttura è già presente nei due input. Dal momento che il blend viene stabilito possiamo operare cognitivamente all’interno di quello spazio, il che ci permette di manipolare i vari eventi come un’unità integrata. La struttura del dibattito porta con sé le sue espressioni convenzionali, che a questo punto diventano disponibili per essere utilizzate. Conosciamo la connessione del blend con gli spazi di input, ed il modo in cui la struttura o le inferenze sviluppate nel blend possano essere ricollocate negli spazi di input. Lavoriamo su tutti e quattro gli spazi simultaneamente, ma solo il blend ci dà una struttura, integrazioni ed efficienza che non sono disponibili negli altri spazi.

Anche in questo caso è palesemente impossibile interpretare l’esempio in modo realistico, il professore di filosofia e Kant andrebbero portati ad un tempo comune, dovrebbero parlare la stessa lingua e così via. Anche questo caso ha tutto le caratteristiche della mappatura di spazi incrociati che lega Kant e i suoi scritti al professore di filosofia e alla sua lezione. Questa volta le controparti sono composte da: Kant e il professore, le loro rispettive lingue, gli argomenti, le affermazioni, il periodo in cui agiscono, i modi in cui si esprimono (Kant per iscritto mentre il professore per via orale). Nel blend c’è anche una proiezione parziale dei due input: Kant, il professore, alcune delle loro idee, sono proiettate. L’epoca di Kant, la lingua, il modo di esprimersi, il fatto che Kant sia morto, il fatto che Kant non fosse consapevole dell’esistenza del professore, non sono proiettati. C’è un'integrazione di

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eventi: le idee di Kant e quelle del professore sono integrate in un unico evento unificato: il dibattito. C’è infine una struttura emergente del blend: due persone che parlano nello stesso luogo e nello stesso momento rimandano alla struttura culturale canonica di una conversazione, o di un dibattito se le persone in questione sono filosofi. Questa struttura si riflette nelle convenzioni linguistiche legate ad essa, sia la sintassi che i vocaboli utilizzati dal professore si riferiscono infatti ad un contesto dove si considera il confronto delle idee fra lui e Kant come un vero e proprio dibattito.

Non va infine dimenticato che, in casi come questo, l’utilizzo di un'intelaiatura concettuale basata su un blend di questo tipo è spesso finalizzata a colpire l’attenzione dell’ascoltatore in modo da porlo direttamente “nel centro” del dibattito fittizio. Questo modo di esprimersi può creare infatti delle implicature contestuali, che permettono all’ascoltatore di trovare motivi di interesse maggiori di quanti ne troverebbe in un semplice resoconto delle idee di Kant e del professore messe a confronto. Paradossalmente il blend viene utilizzato in modo talmente esplicito da non essere quasi notato da coloro che ne sono coinvolti, ad un osservatore neutrale potrebbe sembrare “normale” che in un’aula di filosofia si trovino professori di filosofia che discutono di o con altri filosofi, omettendo quasi del tutto inconsciamente il fatto che coloro con cui si discute siano persone in larga maggioranza morte e che quindi nessuno di coloro che viene interpellato possa essere fisicamente presente al dibattito. E’ dunque proprio il fatto che nella gran parte dei casi il blend si verifichi in modo inconscio e “naturale” ciò che lo rende così consueto e facile da utilizzare nella nostra quotidianità.

2. Blending Contro-fattuali

L’analisi del fenomeno contro-fattuale è stata esaminata da Fauconnier a partire dal 1990, sulla base di esempi come questo:

In Francia, il Watergate non avrebbe causato a Nixon alcun danno.

Ciò che Fauconnier ha notato è il fatto che, per interpretare la frase esemplificata come un commento sulla politica o sulla società francese, il punto non è spostare in Francia il mondo in cui Nixon è cresciuto e vissuto. L’interpretazione di questa frase necessita piuttosto dell’estrazione di una struttura comune dei domini socio-politici americano e francese, e di una proiezione strutturale dei due domini in un terzo dominio.

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La frase dell’esempio in questione si riferisce ad uno spazio mentale iniziale costruito intorno al tipo di sistema politico americano all’epoca del Watergate. Lo spazio mentale iniziale contiene dunque una struttura in cui troviamo dei ruoli precostituiti in modo piuttosto chiaro:

Presidente – Nixon

Stato – Stati Uniti d’America Cittadini – Americani

Legge – Non infranta Pena – Impeachment

Oltre a questo avremo anche delle informazioni specifiche a proposito del Watergate stesso, esso potrà essere inteso come un caso specifico della più generale struttura facente capo al concetto di “Infrangere la legge”:

Il presidente ordina segretamente di infrangere la legge; il tentativo fallisce e si viene a scoprire che il presidente ne era il mandante.

Il ruolo del presidente viene occupato da Nixon, il ruolo della legge infranta viene occupato dal Watergate. Chiaramente la struttura reale di tutto il contesto risulterebbe molto più complessa di come la stiamo schematizzando, cercheremo comunque di non alterare le caratteristiche principali del processo.

Va considerato infine che lo spazio iniziale contiene anche le informazioni sull’esisto degli eventi specifici che abbiamo analizzato nell’esempio:

Reazione Pubblica – Indignazione Pena – Impeachment

Nella nostra concettualizzazione mentale, la frase “Il Watergate non danneggia Nixon” viene dunque compresa come un caso della più generica sotto-struttura: infrangere la legge non danneggia il presidente.

Quando abbiamo capito la struttura alla base della nostra frase possiamo passare a considerare le prime due parole del nostro esempio: “In Francia”. Queste due parole costruiscono di fatto un nuovo

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spazio mentale, in cui gli eventi reali fin qui analizzati vengono reinseriti nel contesto socio-politico francese. Ciò che ci interessa capire è quali di questi aspetti verranno ricontestualizzati, e come mai sceglieremo di eseguire un’operazione di mapping su questo nuovo spazio per trarne solo determinate informazioni e non per trarne altre.

Va considerato innanzitutto che possiamo confrontare questi due spazi mentali di input per un motivo chiave: i due sistemi socio-politici a cui ci riferiamo condividono basilarmente gran parte delle loro caratteristiche principali. Sia in Francia che negli Stati Uniti troviamo un presidente, uno stato, dei cittadini, un'opinione pubblica, delle leggi che non devono essere infrante e così via. Tutto questo ci permette di associare e contrapporre ad ognuno dei ruoli che troviamo nel primo input, un ruolo analogo che troveremo nel secondo input. Anche in questo caso eseguiremo dei processi di mapping di alcune delle caratteristiche del primo spazio di input su alcune caratteristiche del secondo spazio di input, per formare così il terzo spazio mentale del blend. In questo caso però la differenza sta nel fatto che ogni caratteristica del primo spazio di input ha una sua controparte esatta nel secondo spazio di input, in questo modo i ruoli mappati resteranno esattamente identici anche nel terzo spazio mentale costituito dal blend.

La struttura di questo nuovo spazio mentale condividerà gran parte della struttura che abbiamo analizzato nello spazio base, corrispondente al contesto socio-politico americano. Anche qui ci saranno elementi come: il presidente, le leggi, lo stato, la reazione pubblica e così via. L’identità della struttura di questi due spazi permette una mappatura dallo spazio mentale del contesto americano verso lo spazio mentale del contesto francese, verranno in questo modo mappati i ruoli e le relazioni che i due spazi condividono.

Per capire nel dettaglio come funziona l’impostazione contro-fattuale di questo blend, proviamo ad analizzare la nostra frase utilizzando il tempo verbale al passato invece che al condizionale:

In Francia, il Watergate non ha causato a Nixon alcun danno.

Questa frase ci informa semplicemente sulle conseguenze che ha avuto il Watergate in Francia per Nixon. E’ una frase che non crea nuovi spazi mentali, ci dà solo delle informazioni che coincidono con la realtà oggettiva di ciò che è accaduto. Non viene estratta alcuna struttura dagli input degli spazi mentali, non c’è alcun uso dello schema contro-fattuale.

Perché allora la frase del nostro esempio è diversa da questa, crea nuovi spazi mentali ed utilizza lo schema contro-fattuale? La risposta sta tutta nell’utilizzo della forma verbale al tempo condizionale.

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L’utilizzo di “non avrebbe causato” invece di “non ha causato” apre le porte al terzo spazio mentale basato su di uno schema contro-fattuale, dove ogni ruolo condiviso fra il primo e il secondo spazio mentale di input viene riversato nel nuovo spazio mentale. Sono dunque l’utilizzo del tempo condizionale e il legame che viene ad intercorrere fra ognuno dei ruoli che troviamo nei due schemi a creare la struttura contro-fattuale di questo blend. E’ come se ad ogni ruolo dello schema mentale base se ne contrapponesse un altro, facente parte del secondo schema, che insieme al primo va a formare il nuovo spazio mentale del blend in cui si valutano le ipotetiche conseguenze del Watergate per Nixon in Francia.

Il processo si svolge in questo modo: le due parole “In Francia” costruiscono lo spazio mentale del blend ed indicano che la struttura rilevante di questo nuovo spazio sarà ereditata dal secondo input, dato che la strutturazione finale del blend sarà quella modellata sul contesto socio-politico francese. Le parole “Watergate” e “Nixon”, anch’esse facenti parti del blend, non vengono ereditate dal secondo input, bensì dal primo, cioè quello basato sul contesto statunitense. Avremo dunque degli elementi dello spazio statunitense che si muoveranno nel contesto socio-politico francese.

I ruoli rimangono gli stessi, dato che i due contesti politici sono strutturalmente simili e possono essere sovrapposti. Cambia il contesto nel quale questi ruoli agiscono, ci troveremo così ad avere un ipotetico presidente francese coinvolto in una situazione con caratteristiche analoghe al Watergate, nel contesto socio-politico francese di quell’epoca.

Schematizzando:

INPUT 1 INPUT 2

SPAZIO U.S.A. SPAZIO BLEND SPAZIO FRANCIA

Struttura: contesto socio- Struttura: contesto socio- Struttura: contesto socio-politico statunitense politico francese politico francese

Ruolo: presidente Ruolo: presidente Ruolo: presidente

Valore: n (Nixon) Valore: n' Valore: Mitterand o non spec.

In questa schematizzazione non abbiamo un valore per il ruolo svolto dal “Watergate” sia nello spazio mentale riferito agli Stati Uniti, sia nello spazio mentale del blend. Per far assumere al “Watergate” una controparte nello spazio mentale del blend, questa struttura deve essere proiettata nel blend, costituendo così una nuova struttura:

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SPAZIO U.S.A. SPAZIO BLEND SPAZIO FRANCIA Struttura: contesto socio- Struttura: contesto socio- Struttura: contesto socio-politico statunitense politico francese politico francese

Ruolo: presidente Ruolo: presidente Ruolo: presidente

Valore: n (Nixon) Valore: n' Valore: Mitterand o non spec.

SPAZIO INFRAZIONE SPAZIO INFRAZIONE

Struttura: contesto socio- Struttura: contesto socio-politico statunitense politico francese

Ruolo: infrazione della legge Ruolo: infrazione della legge Valore: w (Watergate) Valore: w'

Avremo bisogno di questa costruzione cognitiva ancor prima di iniziare a capire il contenuto dalla frase del nostro esempio. Il contenuto dello spazio mentale del blend potrà infine essere ridotto a:

w' “non danneggia” n'

Questo contenuto è esattamente l’opposto rispetto alle conseguenze che lo spazio di infrazione della legge ha rispetto allo spazio mentale degli U.S.A. a cui ci siamo riferiti nell’input 1. Schematicamente:

w' “danneggia” n'

Lo spazio mentale così costituito è dunque un blend contro-fattuale degli spazi mentali statunitense e francese. Ma come funziona il blend all’interno del discorso? Esso non ci dà alcuna informazione diretta sulla situazione socio-politica attuale, e allo stesso modo non rappresenta alcuna configurazione di struttura socio-politica realmente esistente. Infatti, oltre ad essere contro-fattuale, il blend è anche condizionale. La semantica legata al blend include le condizioni generali necessarie a costituire gli spazi mentali ipotetici.

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avrebbe causato a Nixon alcun danno” lega gli aspetti prominenti dei sistemi politici francese e americano. I presidenti di ognuno dei due stati sono controparti, così come lo sono i votanti dei due stati e così via. C’è uno spazio di input per gli U.S.A. e uno per la Francia. Lo spazio generico che guida la mappatura analogica è una strutturazione diretta derivata dall’organizzazione politica che possiamo definire come Democrazia Occidentale. Così abbiamo una mappatura di uno spazio mentale incrociato avente come controparti Nixon e Mitterrand, ed uno spazio generico che riflette alcune schematiche strutture parziali condivise dagli input. Queste proprietà non vengono espresse esplicitamente, sono semplicemente proiettate dal secondo spazio mentale di input “Francia”. Mentre dal primo spazio mentale di input (gli U.S.A.), prendiamo Nixon come presidente ed il Watergate come lo scandalo di cui occuparci. Come in altri blend, è possibile solamente una proiezione parziale. Nixon perde le sue caratteristiche “americane” come la lingua inglese, il suo status di ex vice-presidente e così via. A queste caratteristiche vengono sovrapposte forzatamente altre caratteristiche del sistema politico francese, come il fatto che il presidente parli francese e così via. Il Watergate, allo stesso modo, perde molte delle sue caratteristiche “americane”, diventa uno scandalo francese le cui proprietà più rilevanti sono prese da quelle dello scandalo americano.

Dato che Nixon in Francia non subisce lo stesso destino della sua controparte reale, ci dovranno essere alcune proprietà della struttura proiettata dal secondo input che ne spieghino la differenza. A questo punto ci dovrà essere almeno una differenza cruciale fra il secondo input (sistema socio-politico francese) ed il primo input (sistema socio-politico americano) che sia responsabile per le conseguenze causate dallo scandalo, che nel blend risultano differenti da quelle causate nel primo input.

Anche se la frase del nostro esempio favorisce l’esportazione nel blend di alcune caratteristiche strutturali del secondo input sovrapponibili ad alcune caratteristiche di Nixon e del Watergate, non abbiamo alcuna indicazione di quali aspetti del sistema politico francese, o della sua società, o anche della mentalità francese, siano responsabili della differenza di conseguenze nell’ipotetica eventualità di un caso Simil-Watergate in Francia. Nella nostra frase non ci sono alcune indicazioni veramente precise sulle proprietà che Nixon ha nel blend, derivanti da un input piuttosto che dall’altro. La nostra interpretazione in questo senso dipenderà dalla nostra conoscenza dei sistemi politici americano e francese, non dal contenuto della frase in sé per sé. Ognuna di queste ipotesi è valutabile in successive elaborazioni della conversazione, potremmo dunque interpretare il nostro esempio come se fosse causato da molteplici ragioni:

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attenti a non essere implicati in scandali di questo tipo.

In Francia, il Watergate non avrebbe causato a Nixon alcun danno perché i presidenti francesi hanno l’immunità costituzionale.

Molti altri blend sono compatibili con il nostro esempio originale, potremmo ad esempio proiettare solo le caratteristiche di Nixon e del Watergate dal primo input, bloccando di fatto le proiezioni dal secondo input. Come negli esempi che seguono:

In Francia, il Watergate non avrebbe causato a Nixon alcun danno perché egli è amato dai francesi

In Francia, il Watergate non avrebbe causato a Nixon alcun danno perché i presidenti francesi non sono colpiti dagli scandali americani.

In Francia, il Watergate non avrebbe causato a Nixon alcun danno perché spiare i partiti politici viene supportato dall’opinione pubblica.

In Francia, il Watergate non avrebbe causato a Nixon alcun danno perché una persona come lui non sarebbe mai stata eletta come presidente.

Possiamo dunque dire che l’utilizzo di questo blend può portare a molteplici interpretazioni, tutte differenti le une dalle altre, senza per questo forzare l’analisi della frase in un senso o in un altro. Cercare di capire una frase all’interno di un blend significa avere almeno un’idea del tipo di blend che si intende utilizzare. E’ probabile che sia il parlante che l’ascoltare abbiano bisogno di una notevole elaborazione della frase, per convergere verso una interpretazione sufficientemente simile. Inoltre va detto che non c’è alcun bisogno di una tale convergenza, l’interpretazione della frase è aperta per sua stessa natura. L’illusione popolare per cui ogni espressione linguistica ha un significato che tutti interpretiamo basilarmente allo stesso modo permette all’interlocutore di interagire con l’impressione che ci sia una mutua comprensione, quando in realtà i due interlocutori possono essere coinvolti in costruzioni di spazi mentali piuttosto differenti le une dalle altre, pur basandosi sulla stessa frase di riferimento. Il blend contro-fattuale è un caso di questo tipo.

Consideriamo ora un altro esempio di blending contro-fattuale (Fauconnier 1997, p.161) come: Se fossi te, mi assumerei.

Il significato di questa frase coinvolge una mappatura da uno spazio reale, dove “te” sta decidendo se assumere o meno il parlante. C'è uno spazio contro-fattuale in cui le disposizioni del parlante sono state trasferite all’interlocutore “te”, ma non è stata trasferita la situazione reale, che rimane sempre

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quella in cui il parlante è nella posizione di cercare di essere assunto dall’interlocutore.

La connessione degli spazi mentali fra il parlante nella realtà ed il destinatario nello spazio contro-fattuale permette di identificare in “io” il datore di lavoro “contro-contro-fattuale”. La frase non ci sta ovviamente dicendo che il datore di lavoro dovrebbe assumere se stesso, o che l’impiegato dovrebbe prendere il potere decisionale del suo interlocutore per assumersi. Ciò che questa frase vuole indicarci è un blend, che si sviluppa attraverso una mappatura analogica di spazio incrociato fra le due situazioni, quella reale e quella fittizia. In questo blend troviamo una parziale proiezione dell’input 1, la situazione reale in cui si trovano l’impiegato e il datore di lavoro che deve decidere se assumerlo o meno, ed una parziale proiezione dell’input 2, la situazione fittizia in cui il parlante dà disposizioni e prende decisioni.

L’intera configurazione strutturale di questo blend può essere sfruttata per effettuare inferenze. L’inferenza più facile da utilizzare in questo blend è quella in cui il datore di lavoro viene proiettato come “io” dall’input 2, mentre il lavoratore viene proiettato anch’esso come “io” dall’input 1, in questo modo il datore di lavoro assume il lavoratore. La struttura del blend “A assume B” è quella a cui siamo portati più naturalmente a pensare, di conseguenza la sua struttura nella realtà, cioè l’input 1 (“Sorgente”), è quella a cui faremo riferimento per costruire il blending.

Proviamo a variare questo blend in due modi diversi. Per prima cosa pensiamo al parlante, Giovanni, come se stesse commentando la sua stessa stupidità:

Io, Giovanni, sono abbastanza stupido da assumermi, se fossi il datore di lavoro.

Questo blend viene arricchito da un struttura di background aggiuntiva in cui si afferma chiaramente che è stupido assumere Giovanni. A ciò seguirebbe, nel blend, che Giovanni è stupido (perché assumerebbe se stesso), e questa caratteristica di Giovanni verrebbe trasferita attraverso lo spazio di input 2 alla sua controparte nello spazio di input 1, corrispondente allo spazio mentale della realtà iniziale. Cosa significa tutto questo? La risposta è che, dato che i 3 spazi mentali sono tutti interconnessi, se nel blend arriviamo alla conclusione che il soggetto ha una certa caratteristica, in questo caso la stupidità, possiamo risalire fra i vari spazi mentali fino ad attribuire la stessa caratteristica al primo spazio di input. Concludendo possiamo dunque dire che, nel blend, il datore di lavoro sarebbe stupido proprio perché verrebbe ad identificarsi con Giovanni.

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Se fossi te, l’azienda mi assumerebbe sicuramente.

In questo caso il significato dell’esempio si riferisce al fatto che l’interlocutore, e non il parlante, è proprio il tipo di persona che verrebbe assunto. La mappatura analogica di spazio incrociato che sta alla base del blend è costruita in modo diverso rispetto a prima. Invece di “io” che sostituisce “te” nel contesto dell’assunzione, la situazione viene capovolta: “te” che sostituisce “io” come lavoratore in cerca di occupazione. In questo blend sarebbe dunque il soggetto che viene valutato per ereditare le caratteristiche dell’interlocutore, che coincidono con quelle ideali richieste da quel tipo di lavoro.

Anche in questo caso possiamo fare inferenze nel blend che possono essere poi trasferite negli input. Una possibilità è quella di focalizzarci sull’incongruenza fra l’input 1 ed il blend: nel blend il lavoratore viene assunto poiché eredita le caratteristiche che lo rendono ideale per quel tipo di lavoro, mentre nell’input 1 questo non accade. Dato che la struttura è la stessa, la differenza non può che essere dovuta a proprietà individuali. Nel blend l’interlocutore ha le caratteristiche del parlante nell’input 1. Ciò che ne possiamo dedurre è che l’assenza di queste caratteristiche nell’input 1 impedisca all’interlocutore di essere assunto all'interno dello spazio mentale dell’input 1. Il motivo preciso però non viene specificato, si trova al di fuori del contesto a noi noto sulle caratteristiche del destinatario: potrebbe essere riferito al suo talento, al suo status sociale, al suo modo di vestirsi o anche semplicemente al suo carattere. Tutto questo però noi non possiamo saperlo: la costruzione non è vaga per il semplice fatto che i partecipanti alla conversazione sanno in che contesto si stanno muovendo, a differenza di noi che siamo osservatori esterni. La costruzione di questa frase implica che ai partecipanti sia sufficiente questo livello di vaghezza per comprendere le ragioni alla base della scelta di essere assunti o meno. Loro sono nel posizione di poter costruire e gestire il blend, di trovare rilevanti caratteristiche contestuali che gli permettano di produrre inferenze, e di esportare tali inferenze nei vari spazi mentali tramite i connettori.

Il significato non è semplicemente contenuto nelle strutture grammaticali, ciò che fa la grammatica è specificare un range di possibili interpretazioni del blend, dal quale scegliere e sul quale elaborare la scelta fatta. Questa è la ragione per cui il linguaggio funziona in modo così differente rispetto ai codici e ai sistemi vero-condizionali.

I blend spesso non vengono notati, sono costruiti in modo automatico e spesso assumono un vero e proprio uso convenzionale. L’esempio del catamarano è lampante in questo senso, parliamo di un vantaggio di 4 giorni e mezzo sulla goletta quando in realtà le barche sono separate da più di cento anni. I blend possono anche essere usati in modo molto aperto, come nel caso del monaco in cui nella

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situazione finale del blend troviamo la stessa persona che sale e scende contemporaneamente la stessa montagna: e visto il contesto dell’indovinello questa ci può sembrare una soluzione sia semplice che ragionevole, pur rimanendo realisticamente impossibile.

Infine un’ultima importante caratteristica dei blend è quella che Talmy (1995) chiama “costruzioni fittizie”, le quali sono cognitivamente efficienti perché rimangono legate agli spazi mentali di input rilevanti, così che le inferenze, le emozioni, e tutto ciò che condividono può essere trasferito avanti ed indietro dagli input al blend e viceversa. Il “fittizio” è una componente fondamentale sia nella nostra vita quotidiana che nelle ricerche artistiche e scientifiche, ci permette infatti di immaginare la realtà secondo caratteristiche variate, più o meno profondamente, da quelle reali. In questo modo abbiamo dunque la possibilità di creare un’infinità di realtà potenziali, da poter usare come riferimento e comparazione per gli scopi che ci prefiggiamo.

3. Blending nel Pensiero Scientifico

Il modo comune di ragionare in ambito matematico per “reductio” è un blend contro-fattuale. Cercheremo di dimostrare un ipotetico ”non-A” costruendo un blend di cui conosciamo assiomi, teoremi ed anche il valore di “A”. Opereremo nel blend come faremmo in una dimostrazione matematica canonica, finché non incontriamo una contraddizione. La non percorribilità del blend stabilirà la verità di “non-A” nell’input originale.

Nel blend gli assiomi conosciuti ed i teoremi sono importati dall’input 1, mentre il valore di “A” è importato dall’input 2. Come negli altri casi di blending la soluzione più semplice è quella di svolgere il blend, per scoprirne la struttura. Nel caso della “reductio”, l’obiettivo è rivelare l’inconsistenza matematica del blend, producendo una contraddizione nel blend stesso. Il blend è dunque fittizio: siamo consapevoli fin dall’inizio che non costituisce una strada matematicamente percorribile. Il punto è quello di mostrare che il blend non può coincidere con l’input 1, e che quindi “A” non può essere sostenuto all’interno dell’input 1, per la semplice ragione che nell’assunto di partenza l’input 1 non contiene contraddizioni.

Come nota in modo molto interessante Fauconnier (1997 p.166), la potenza del blend risiede nella sua “struttura emergente”, e questa struttura viene rivelata quando svolgiamo il blend. Non possiamo sapere in anticipo dove questo tipo di elaborazione ci porterà. Proprio come in un esperimento scientifico formuliamo un’ipotesi e la seguiamo per dimostrare o contraddire tramite l’esperienza

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empirica ciò che abbiamo ipotizzato teoricamente.

Fauconnier ci mostra l’esempio di Gerolamo Saccheri, in cui il matematico cercò di provare scientificamente il Quinto Postulato di Euclide. Egli partì dal ragionamento per cui, sebbene il postulato eludesse la dimostrazione matematica, esso risultava chiaramente vero sul piano intuitivo ed empirico. La riduzione partiva dunque dal tentativo di dimostrare la falsità del postulato di Euclide per arrivare ad una contraddizione che ne dimostrasse la veridicità. Dunque Saccheri costruì un blend nel quale applicò le consuete leggi ed i consueti assiomi della geometria, eccetto ovviamente il Quinto Postulato stesso, sostituito da un assioma in cui, attraverso un punto P, ci sono almeno due parallele ad una linea L. 2 Ciò che Saccheri si proponeva era una dimostrazione tramite riduzione: il blend si sarebbe dovuto auto-distruggere matematicamente, ma ciò non accadde. Il blend si dimostrò matematicamente percorribile e il lavoro di Saccheri divenne la base per lo sviluppo della geometria non-euclidea.

Questo esempio illustra una profonda proprietà dei blend in relazione alla creatività. I blend non sono soltanto costruzioni concettuali, essi sono veri e propri domini di esplorazione mentale: svolgere un blend può portare a profonde scoperte che non potevano essere previste al momento della costruzione del blend stesso. I matematici non partirono dall’idea che ci fosse una geometria non-euclidea in attesa di essere formalizzata. Al contrario, essi erano fermamente convinti che la geometria fosse intrinsecamente euclidea, ed il proposito del blend contro-fattuale di Saccheri era proprio quello di stabilire questo rigore tramite la riduzione. Ciò che accadde fu invece che il blend “prese vita” da solo, contenendo ciò che il suo creatore non aveva previsto: la “geometria iperbolica”, un concetto di spazio radicalmente innovativo, che Einstein ed altri avrebbero successivamente applicato all’universo della fisica.

Questo esempio non è un caso isolato. Fauconnier e Turner (1998, p.146 ss.) ci fanno notare che qualcosa di simile è accaduto nella scoperta dei numeri complessi, come nel caso delle radici quadrate di numeri negativi. Le radici quadrate di numeri negativi apparvero nelle formule dei matematici del sedicesimo secolo, i quali iniziarono a formulare correttamente calcoli ed operazioni utilizzando questi numeri. Ciò che risulta interessante però è che matematici come Cardan, e in particolar modo Bombelli, erano dell’opinione che questo tipo di numeri fosse “inutile”, “sofistico”, pressoché impossibili da utilizzare se non in modo immaginario. Questa era anche l’opinione di Descartes un secolo più tardi. Leibniz disse che non ne derivava alcun danno dall’usarli, mentre Euler li definì “impossibili” ma comunque utili. Le radici quadrate di numeri negativi avevano la strana proprietà di concedersi a 2Humbert (1957) e Kline (1980)

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manipolazioni formali senza rientrare in alcun sistema concettuale matematico. Ci volle del tempo per sviluppare un concetto genuino di numero complesso, e lo sviluppo procedette in diversi passi seguendo le linee tracciate dai concetti di blending e connessioni analogiche.

Il primo passo sfruttò il processo di mapping analogico preesistente fra numeri e lo spazio uni-dimensionale. A Wallis è accreditata l’osservazione, nel suo scritto “Algebra” (1685), dove afferma che se i numeri negativi potevano essere mappati sopra una linea direzionale, i numeri complessi potevano essere mappati su punti di un piano bi-dimensionale. Costituì in questo modo le costruzioni geometriche per le controparti della radice reale o complessa della formula ax² + bx + c = 0 (Kline, 1980). Effettivamente Wallis procurò un modello per i numeri “misteriosi”, mostrandone la loro consistenza, e dando un po’ di sostanza alla manipolazione formale di cui erano oggetto. Questo è certamente un caso di estensione di connessioni analogiche, la spazio geometrico diventa un dominio sorgente parzialmente mappato sul dominio di destinazione dei numeri. L’operazione di mapping partendo da un asse singolo viene estesa ad un mapping sull’intero piano, mentre alcune costruzioni geometriche sono mappate verso operazioni sui numeri.

Va notato che ne’ il mapping originale, ne’ la sua estensione, richiedono più di due domini. In questo caso non abbiamo bisogno di un terzo spazio mentale generico, dal momento in cui non c’è alcun assunto, in un lavoro come quello di Wallis, dove si affermi che numeri e punti su un piano condividano proprietà a qualche più alto livello di astrazione. La struttura necessaria è dunque già presente nel dominio concettuale dello spazio bi-dimensionale, dal momento in cui essa contiene già la nozione di distanza fra punti che viene espressa direttamente dai numeri. Va detto che il dominio concettuale dello spazio bi-dimensionale ha una sua storia e, se lo analizzassimo, vedremmo che è anch’esso il prodotto di un blend concettuale.

In ogni caso la costruzione di Wallis non implica un blend. I numeri ed i punti rimangono categorie completamente distinte a tutti i livelli. Anche se il processo di mapping proposto da Wallis mostrò la consistenza formale di un sistema che include i numeri complessi, egli non procurò alcun nuovo concetto esteso di numero. La sua analisi venne ignorata dai matematici dell’epoca, ma rimane comunque uno studio interessante, dato che mostra come la mappatura di uno spazio coerente su di un altro spazio concettualmente incoerente non è sufficiente per dare allo spazio incoerente una nuova struttura concettuale. Ne segue anche che una sola struttura astratta coerente non è sufficiente, neanche in matematica, per produrre strutture concettuali soddisfacenti. Nella rappresentazione di Wallis la geometria metrica procurava degli schemi astratti per un'interpretazione unificata dei numeri reali ed immaginari, ma per i matematici questo risultò insufficiente dal punto di vista cognitivo per

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riconsiderare di comune accordo l’intero apparato del dominio dei numeri.

Anche se dal punto di vista geometrico John Wallis fu in grado di costruire un’analogia molto dettagliata per questo tipo di numeri già nel 1685, è stato necessario attendere almeno un altro secolo per avere una teoria che comprendesse i numeri complessi, e che allo stesso tempo fosse concettualmente accettabile per i matematici. Questa teoria è un blend in cui i numeri hanno sia le proprietà canoniche dei numeri, come la moltiplicazione, l’addizione e così via, sia le proprietà dei punti in uno spazio (o vettori), così come le coordinate cartesiane e le coordinate polari (angoli e magnitudini). Le operazioni all’interno di questo blend sono caratterizzate nei termini della nuova struttura concettuale. La moltiplicazione, ad esempio, è l’addizione degli angoli ed il prodotto delle magnitudini.

L’emergere del concetto di numeri complessi ha tutte le proprietà formali del blending: un mapping esteso del dominio incrociato lega i numeri reali ed immaginari ai punti nello spazio bi-dimensionale. La sorgente di questo mapping è la proiezione preesistente di numeri su di uno spazio uni-dimensionale, cioè la canonica linea che va da -∞ a +∞. Uno spazio generico contiene la struttura più astratta comune ai domini dello spazio e dei numeri. I matematici contemporanei chiamano questo spazio generico: “anello commutativo”. La proiezione selettiva opera dagli input al blend, il quale eredita sia la struttura spaziale che quella aritmetica. La struttura emergente nel blend è sostanzialmente quella delle operazioni su vettori/numeri. Queste operazioni sono vincolate dalle regole standard di addizione e moltiplicazione ereditate dall’input numerico, ma acquisiscono l’interpretazione aggiuntiva di operazioni sugli angoli e sulle magnitudini. Le coordinate polari dei numeri e le proprietà vettoriali fanno parte della struttura emergente del blend, dal momento che non erano parte del mapping analogico di spazi incrociati fra punti e numeri basato sulle coordinate cartesiane.

Quando un blend ha successo, diventa il nostro nuovo modo di concepire quel contesto di realtà, ma l’essenza dell’evoluzione scientifica è quella di muoversi da un costrutto a quello successivo. Il cambiamento è una costante perché i blend vengono continuamente elaborati, ma percepiamo maggiormente i cambiamenti scientifici quando vengono a costituirsi dei nuovi blend, piuttosto che quando i blend preesistenti vengono modificati.

Ciò che è così chiaro nell’ambito scientifico si applica al cambiamento concettuale in modo più generale: la formazione di categorie, i modelli culturali, e lo stesso linguaggio, sono tutti ambiti in cui l’innovazione dei modelli di riferimento avviene secondo le dinamiche proprie del blending e dell’integrazione concettuale. Dunque in ogni processo di evoluzione concettuale ci sarà sempre un processo di mapping fra due spazi mentali affermatisi in un tempo precedente, che andrà a confluire in

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un terzo spazio mentale formato dalle caratteristiche sovrapponibili dei due spazi mentali di input tramite un nuovo processo di mapping.

4. Blend nel Design e nell’Azione

Il blending concettuale non è legato esclusivamente all’uso che ne facciamo all’interno del linguaggio. Esso agisce in molte aree della cognizione.

Un buon esempio può essere quello che si riferisce all’ambito del design. Anche qui Fauconnier ci guida nell’interpretazione di un interessante esempio di Dan Gruen, che si riferisce all’analisi cognitiva dell’interfaccia grafica del desktop sui personal computer Macintosh.

Il desktop di un computer Macintosh è costruito sulla base di due input concettuali: il primo è l’input dei tradizionali comandi di un computer, il secondo input è invece una canonica scrivania da ufficio con cartelle, archivi, documenti e via dicendo. Con una mappatura di spazio mentale incrociato faremo coincidere i documenti cartacei con i file del computer, le cartelle reali con quelle elettroniche, l’apertura di uno scaffale pieno di raccoglitori con l’apertura di un archivio elettronico e così via. Nel blend, la struttura è proiettata in modo selettivo dagli input, fino a terminare con una struttura coerente, integrata e soprattutto emergente, che è specifica del blend. Quando muoviamo un icona del desktop all’interno di una cartella in realtà non mettiamo niente dentro a nient’altro, qualsiasi spostamento è palesemente fittizio, solo l’interfaccia grafica lo fa “sembrare” reale perché il blend concettuale che ne sta alla base è costruito attorno ai nostri parametri canonici di gestione di una scrivania da lavoro. Questa attività è dunque parzialmente strutturata in termini di input familiari, in modo che, con poco sforzo, possiamo prendere a modello la struttura del lavoro di ufficio su una scrivania per svolgere il blend, mentre sappiamo che stiamo eseguendo i comandi di un computer. Oltre a ciò, nessuna delle azioni motorie che svolgiamo nel blend coincide realmente con le azioni motorie necessarie a svolgere le stesse azioni nel contesto reale di input del lavoro di ufficio. Mentre spostiamo un file in una cartella del computer, stiamo in realtà muovendo la nostra mano e le nostre dita sui tasti di un mouse, o al limite su una tastiera. Nei nostri movimenti non c’è niente dell’azione reale nella quale prendiamo un documento cartaceo, apriamo la cartella in cui lo vogliamo inserire, mettiamo il documento nella cartella, e infine poniamo cartella e documento nell’archivio generale. Da un punto di vista oggettivo, l’attività integrata che svolgiamo nel blend è completamente nuova, solamente l’interfaccia grafica del desktop ci può ricordare le azioni reali che avremmo svolto nello spazio dell’input iniziale per

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effettuare la medesima azione. Allo stesso tempo però l’azione che si svolge nel blend è immediatamente accessibile e di facile utilizzo. Questa caratteristica di utilizzo intuitivo della struttura del desktop, che potremmo definire “user friendly”, viene raggiunta grazie alla massiccia proiezione di caratteristiche originarie dell’input familiare della scrivania da lavoro in ufficio all’interno del blend.

Anche quando insegniamo ad eseguire nuove azioni concrete ad un interlocutore, spesso sviluppiamo questo insegnamento attraverso l’uso dei blend. Fauconnier fa l’esempio di un istruttore di sci che cerca di insegnare ad un suo allievo come tenere le braccia correttamente e a guardare verso valle mentre scia, piuttosto che nella direzione degli sci. Per fare ciò l’insegnante dice all’allievo di immaginare di essere un cameriere che porta un vassoio con champagne e croissant. Focalizzando l’attenzione sul vassoio nel tentativo di evitare che lo champagne si versi, l’allievo diveniva capace di fare qualcosa di simile al giusto approccio con gli sci, dirigendo il suo sguardo verso valle durante il movimento.

In questo caso i due input sono il contesto sciistico e il contesto del ristorante, con le braccia ed il corpo mappate le une sulle altre. Lo spazio generico contiene soltanto la postura ed il movimento, senza alcun contesto particolare. Ma nel blend, lo sciatore porterebbe anche il vassoio con lo champagne e i croissant. A questo punto va riconosciuto che il blend preso nel suo insieme è ovviamente una fantasia, per mappare la giusta postura ed il giusto movimento non è necessario portare realmente lo champagne e i croissant, è sufficiente pensare ad essi mentre si esegue il movimento. Durante l’apprendimento l’allievo avrà sicuramente un’idea piuttosto particolare di ciò che sta facendo, cioè sciare pensando di portare un vassoio con i croissant e lo champagne, stando attento a non versare lo champagne. Ma quando l’integrazione concettuale avrà preso il suo posto, e l’input sciistico relativo avrà acquisito la giusta struttura, attraverso una proiezione retroattiva, il blend nel suo complesso potrà essere abbandonato, mantenendo solamente l’utilizzo corretto della postura e del movimento.

5. Blending e Grammatica

La moderna linguistica cognitiva si è focalizzata sullo studio delle costruzioni grammaticali, cioè sugli accoppiamenti di forma e significato. Goldberg (1995) studia ad esempio, la Costruzione del Movimento Causato, che è strutturato sui seguenti sintagmi: “SN V SN SP”. Schematicamente questa costruzione significa “A causa il movimento di B verso C facendo D”.

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Il sergente agitò le taniche all’interno del composto.

SN SV SN SP

↓ ↓ ↓ ↓

A D B C

Secondo Fauconnier e Turner (1996) e Mandelblit (1995b) costruzioni grammaticali come queste sono dei blend. Ciò che guida questo fenomeno è la pressione che esercita il linguaggio per rappresentare complesse integrazioni di eventi facendo il massimo uso possibile di costruzioni grammaticali già esistenti.

Nel caso del Movimento Causato ci sono come sempre due input: il primo input è la costruzione base che troviamo in molte lingue “aₒ bₒ cₒ dₒ”, dove dₒ è un’azione come “portare” o “mettere” che causa il movimento ed il trasferimento di bₒ dall’agente aₒ ad un certo luogo cₒ. Possiamo esprimerla in italiano attraverso la costruzione sintattica mostrata qui sotto:

SN SV SN SP

↓ ↓ ↓ ↓

Sintagma Nominale Sintagma Verbale Sintagma Nominale Sintagma Preposizionale Un esempio potrebbe essere “Enrico porta la macchina a Giulio”

Il secondo input è invece una sequenza causale di questo tipo: [ [ A AGIRE ] ] CAUSA [ [ B MUOVERE verso C] ].

Una mappatura di spazi mentali incrociati fra il primo ed il secondo input farà coincidere naturalmente A, B, C rispettivamente con aₒ bₒ cₒ . I verbi della costruzione basilare come “portare”, contengono al loro interno sia l’azione dell’agente, sia il movimento dell’oggetto, sia il collegamento causale fra l’agente e l’oggetto. Nel nostro caso ad esempio il verbo “portare” dovrà necessariamente avere un agente che porta un oggetto causando un movimento. Si può dunque effettuare un mapping di dₒ nell’input 1 sia verso l’atto, sia verso la causa, sia verso il movimento dell’input 2. Nella lingua italiana questo

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permette di avere tre blend: tutti e tre ereditano la loro forma sintattica dall’input 1, e la loro forma concettuale dall’input 2. Se effettuiamo un mapping di dₒ sull’azione dell’agente nel secondo input avremo esempi come quello che abbiamo considerato sopra: “Il sergente agitò la tanica all’interno del composto”. In questo caso il verbo “agitare” non è intrinsecamente causativo. Il blend è proiettato dal secondo input, con la posizione strutturale della sua controparte dₒ nel primo input. Il legame causale fra l’azione di agitare ed il movimento della tanica, non vengono specificati.

Se nel secondo input effettuiamo un mapping di dₒ sul tipo di movimento dell’oggetto, avremo esempi di questo tipo: “Luigi rallentò la bicicletta all'interno della curva”. Anche in questo caso l’azione dell’agente ed il collegamento causale non vengono specificati, mentre viene evidenziato il tipo di movimento dell’oggetto. Dal punto di vista sintattico, il verbo e la costruzione della frase rimangono identici a quelli del caso in esempio.

Se infine eseguiamo un mapping incrociato fra dₒ e le cause alla base della sequenza concettuale, avremo esempi come: “Luigi fece cadere la bottiglia nella vasca”. In questo caso ciò che viene evidenziato è il collegamento causale fra l’agente e l’oggetto, qui è infatti messo in primo piano il fatto che Luigi causa direttamente la caduta della bottiglia. Anche in questo caso la costruzione sintattica della frase rimane la stessa, ma le caratteristiche del verbo “far cadere” ci faranno focalizzare l’attenzione sul legame causale fra l’oggetto e colui che ne causa la caduta, mettendo in secondo piano sia il tipo di moto che il tipo di azione.

L’estensione della costruzione sintattica basilare attraverso il blending è una caratteristica peculiare di alcune lingue, fra cui l’italiano. In questo senso il blend che abbiamo appena considerato non contiene innovazione, infatti la struttura sintattica viene proiettata da uno degli input, senza alcuna modifica. L’innovazione di questo blend risulta invece dal punto di vista semantico, ci permette infatti di capire alcuni tipi di frase che, se non fossero inserite in questa struttura sintattica, non risulterebbero così immediatamente comprensibili. Possiamo provare a prendere un esempio direttamente dalla lingua inglese (Fauconnier, 1997):

Frankenstein choked the life out of Dracula.

In questo caso la traduzione letterale sarebbe “Frankenstein soffocò la vita fuori da Dracula”, potremmo provare a tradurre in modo meno stretto, diremmo dunque: “Frankenstein soffocò via la vita da Dracula”. Resta comunque il fatto che l’oggetto del soffocamento rimane sempre “la vita” e non “Dracula”, come logicamente ci aspetteremmo. In questo caso il blend agisce sull’input estraendo

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metaforicamente la vita fuori dal corpo di Dracula, tramite il soffocamento. Cerchiamo di semplificare: anche in questo caso è l’utilizzo della struttura sintattica “SN SV SN SP” che in un certo senso vincola l’ordine delle parole nella frase.

Frankenstein choked the life out of Dracula (Frankenstein) (soffocò) (la vita) (fuori da Dracula)

↓ ↓ ↓ ↓

Sintagma Nominale Sintagma Verbale Sintagma Nominale Sintagma Preposizionale

(A) (D) (B) (C)

In un caso come questo ricostruiremo il significato dell’enunciato partendo proprio dalla conoscenza della logica causale alla base della struttura sintattica. Anche se non riusciremo subito a recuperare il senso della frase partendo dal significato letterale, la struttura sintattica ci permetterà di eseguire il blend metaforico con cui ricostruiremo il significato originale della frase. Infatti anche in questo caso abbiamo un agente A (Frankenstein) che causa il movimento di B (la vita) verso C (fuori da Dracula) facendo D (soffocare). Da questo schema deduciamo dunque che il significato finale non può essere altro che la semplice frase “Frankenstein soffocò Dracula”.

Il blending grammaticale è potente e creativo come gli altri analizzati finora. Basti pensare che ci permette di ricostruire il significato di una frase, pur non avendo completamente chiaro il significato letterale della frase stessa, e di poterlo infine ricavare tramite l’applicazione del blending su di una struttura formale, quale è quella sintattica rispetto a quella semantica.

In molti altri casi il blending grammaticale può risultare più complesso di quello che abbiamo delineato poco sopra, la struttura sintattica emergente viene derivata dal blend insieme alla relativa struttura concettuale (Fauconnier e Turner, 1996) (Mandelblit, 1995b).

Un ultimo esempio di blending grammaticale ce lo mostra Lisa Hogan, che in un suo studio del 1995 ha analizzato un processo linguistico con cui si sta introducendo l’utilizzo di un blend grammaticale all’interno della lingua inglese. La Hogan ha preso come campione alcuni scrittori medi fra gli studenti dell’Università del New Mexico, ed analizzando i loro scritti mostra che questa costruzione appare con una media di circa 15 frasi ogni 500 pagine. Alcuni esempi del blend sono:

By being able to send messages on the telephone helped make life better.

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By Stephen King’s not growing up in a lonely environment might have changed his fondness for horror.

E’ come se in italiano dicessimo “Dal non essere cresciuto in un ambiente solitario Stephen King potrebbe aver modificato la sua inclinazione verso l’horror”, oppure “Dal modo in cui le elezioni sono disposte ogni quattro anni si previene che un partito ottenga il controllo permanente”. Sono frasi grammaticalmente corrette, ma non c’è dubbio che considereremmo più canonico costruirle in modi come “Non essendo cresciuto in un ambiente solitario Stephen King potrebbe aver modificato la sua inclinazione verso l’horror”, oppure “Il modo in cui le elezioni sono disposte ogni quattro anni previene che un partito ottenga il controllo permanente”.

Lo stesso discorso vale per l’inglese, invece del soggetto standard basato sull’utilizzo del Sintagma Nominale troviamo Sintagmi Preposizionali introdotti da by, che in italiano vengono tradotti con dal. Dal punto di vista concettuale, la nuova costruzione è in grado di portare l’informazione aggiuntiva in cui il soggetto del Sintagma Nominale viene usato come mezzo da qualcuno. Dal punto di vista sintattico ci troviamo ad avere una nuova struttura in cui la frase introdotta da by o da dal è in posizione di soggetto.

Questo tipo di struttura viene caldamente respinta dalla grande maggioranza dei parlanti, i quali non hanno ancora sviluppato questo tipo di blend nel loro parlato abituale. Ma a questo punto la domanda da porsi riguarda l’odierna valenza del parlato standard rispetto al blend: ha senso respingere l’utilizzo di questa nuova forma considerandola insolita o addirittura sgrammaticata oppure non utilizzarla significa solamente non aver ancora sviluppato questo tipo di blend nel proprio abituale modo di parlare?

Casi di questo tipo sono frequenti, soprattutto in inglese americano, nell’adattamento di alcuni tipi di “slang” al parlato più canonico. In italiano qualcosa di simile si potrebbe avere se considerassimo il modo in cui i dialetti regionali si integrano con la lingua italiana standard, va però sottolineato che il processo di integrazione di un dialetto è strutturalmente diverso rispetto a quello di uno “slang”. I dialetti italiani hanno una storia millenaria, non sono dunque molto adatti ad essere modificati e manipolati per integrarsi con la lingua moderna. Lo “slang” invece nasce specificatamente da un intreccio di diverse modalità di costruzione del discorso, i gruppi giovanili di etnia afro-americana in particolare hanno sviluppato una vera e propria cultura basata sull’utilizzo non-stereotipato di parole e strutture grammaticali che rimodellano l’utilizzo della lingua secondo i canoni a loro più congeniali.

Quest’ultimo approccio è chiaramente più propenso all’utilizzo del blending di quanto lo possa essere l’adattamento di un dialetto alla lingua italiana standard, da un punto di vista linguistico infatti i

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due processi sono diametralmente opposti: il dialetto italiano ricerca una standardizzazione verso un modello “ideale” rappresentato dalla lingua italiana, al contrario lo slang cerca di differenziarsi dalla lingua inglese standard da cui deriva. Da questo ne possiamo facilmente dedurre che un processo di distaccamento come lo slang utilizzerà con molta probabilità tecniche linguistiche più creative, rispetto ad un processo di standardizzazione come l’adattamento del dialetto alla lingua standard.

6. Blending e Metafora

La metafora è un processo cognitivo in cui il legame fra concettualizzazione e linguaggio diventa estremamente approfondito. Qui tocchiamo probabilmente il punto focale di questo elaborato, ciò che mi interessa dimostrare è che la metafora, sia come figura in ambito letterario che in ambito extraletterario, è il processo cognitivo più intrinsecamente legato al modello del blending. In una metafora non solo si attua il blending, ma esso è strettamente necessario per lo svolgimento della metafora stessa.

Nell’ambito della metafora anche il mapping di spazi mentali incrociati è fondamentale per l’esistenza della metafora stessa. Dato che in questo ambito il significato della frase non ha più legami strettamente riconducibili al significato letterale delle parole che lo compongono, ai fini di una corretta comprensione diventa necessario svolgere sempre un processo di blending che ci permetta di selezionare le informazioni di cui abbiamo bisogno, partendo dagli input che abbiamo a disposizione.

La metafora dipende dunque in modo cruciale dal processo di mapping di spazi incrociati fra due input, è proprio questo che la rende il candidato ideale per la costruzione del blend. Per questo motivo il mapping metaforico assume un ruolo chiave per definire la struttura del blend, infatti oltre ai canonici spazi di input 1 (Sorgente / Source) e di input 2 (Obiettivo / Target) della proiezione metaforica, questo tipo di blend si basa su una elaborazione in cui il lavoro cognitivo assume un ruolo fondamentale. Il significato che assumerà la metafora alla fine del processo di blending dipenderà appunto da come verrà effettuata la mappatura, nel caso della metafora infatti non tutti gli input si possono selezionare in modo chiaro e definito fin dal principio, poiché accade spesso che le chiavi di interpretazione, e quindi anche le possibili mappature degli input, siano molteplici.

Partiamo da un esempio relativamente semplice, proposto questa volta sia da Fauconnier e Turner che da Coulson (1997), che ci illustra alcuni degli aspetti del blending sulla metafora nel suo uso convenzionale:

Riferimenti

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