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Flessibilità e autonomia PROGETTAZIONE

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Academic year: 2021

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Flessibilità e autonomia

PROGETTAZIONEDI UNAPPARTAMENTOTIPOPER

UNDISABILEMOTORIOCONAPPLICAZIONIDOMOTICHE

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Indice

Abstract

Abstract in inglese

Autonomia e inclusione: princìpi di

progettazione per l’utenza debole

Introduzione

Il concetto di disabilità

Universal design o Inclusive design

Inclusive design nello spazio pubblico

Inclusive design nello spazio abitativo

Flexible design

Domotica e tecnologia: impianto domotico

e sue applicazioni

Definizione

L’impianto domotico

Protocolli di comunicazione

Applicazioni domotiche per le utenze deboli

Integrazione dell’impianto domotico e delle componenti

edilizie

Progettazione e flessibilità: progetto di un

appartamento tipo per un disabile motorio

con applicazioni domotiche

Caso di studio

Strategie progettuali

4

6

10

12

14

23

28

30

42

44

48

51

65

90

91

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Descrizione del progetto

Configurazioni spaziali

Impianto domotico

Conclusioni

Bibliografia

Sitografia

Ringraziamenti

106

108

112

118

120

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123

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Abstract

La scelta dell’argomento di questa tesi e la sua realizzazione na-scono dal tirocinio svolto presso l’azienda Nextworks s.r.l., che ope-ra nel settore delle telecomunicazioni e dei sistemi di controllo e au-tomazione in ambito industriale e residenziale.

La progettazione per l’utenza debole è sempre stata immaginata come una progettazione limitata e limitante, mera osservanza delle linee guida contenute nelle norme vigenti. Una inversione di ten-denza appare sempre più necessaria, alla luce del fenomeno di in-vecchiamento della popolazione mondiale e dei dati statistici sulla percentuale di disabili presenti in Italia.

L’evoluzione del concetto di disabilità all’interno della società sta trasformando la progettazione riferita ad un ideale utente standard in Universal o Inclusive design, che mira alla fruibilità da parte del maggior numero di utenti possibile senza costi aggiuntivi. Tali con-cetti si possono applicare sia nel contesto urbano sia nel più piccolo contesto residenziale, in cui però una progettazione “inclusiva” non risulta essere la risposta migliore al contestuale variare delle esigen-ze dell’utenza e alla personalizzazione dello spazio abitativo.

Per risolvere le problematiche riguardanti l’abitare, la risposta migliore sembra essere il Flexible design, in cui lo spazio e le tecno-logie utilizzate si modificano insieme ai bisogni dei residenti, senza essere mai obsoleti e inadeguati. Risultano necessarie flessibilità spaziale, ottenuta tramite modularità, versatilità degli ambienti e degli arredi e convertibilità, e flessibilità tecnologica nelle soluzioni edilizie e impiantistiche, apportata dalla domotica che rispetta i re-quisiti di integrabilità e facile manutenibilità.

La domotica è ancora considerata erroneamente appannaggio di film futuristici o ambienti di lusso, quando ha la sola funzione di integrare tutti gli impianti presenti nelle tradizionali abitazioni, con-sentendo così la comunicazione e l’aumento delle loro potenzialità. I vantaggi nell’utilizzo di un impianto domotico non sono solo riferi-bili alla flessiriferi-bilità, ma anche al risparmio energetico e al maggiore comfort raggiungibili.

Le potenzialità sono enormi e la scelta di applicare tali tecnologie alle utenze deboli risulta essere una risposta vincente, perché per-mette di supplire alle mancanze, modificarsi in base alle necessità e, grazie ai nuovi prodotti per l’e-health in commercio, monitorare costantemente gli utenti, nell’ottica di una riduzione dei costi per l’assistenza sanitaria tradizionale.

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biano gli spazi necessari alle movimentazioni e i disegni degli ele-menti costruttivi da motorizzare ed elettrificare.

Alla luce delle considerazioni precedenti, ho progettato un appar-tamento-tipo per una famiglia di quattro persone – genitori, un figlio e una figlia con disabilità motorie agli arti inferiori – che rispecchias-se i requisiti di flessibilità spaziale e tecnologica.

Il risultato della progettazione mostra ambienti versatili e super-fici non definite, le pareti diventano scorrevoli e gli arredi mobili, configurazioni dinamiche seguono le fasi del vivere quotidiano e ac-compagnano nel tempo l’evoluzione del nucleo familiare.

La casa muta e la domotica rende facile il cambiamento. L’inter-faccia tra uomo e ambiente si avvale di tecnologie di comunicazione alla portata di tutti, così da tablet e smartphone è possibile adattare lo spazio ai propri bisogni.

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Abstract

The object of my dissertation comes after my six-month traine-eship experience internship in Nextworks s.r.l,. The company has a long-term experience in the sector of telecommunication networks in which it has developed skills in digital video coding and distribution, industrial and residential control and automation systems. Activities of design for the so-called “weak” users has always conceived as a li-mited and limiting factor given its purpose is restricted to the obser-vation of current regulations. Today, there is an increasingly cogent need to shift towards weak customers given the related ageing and disabilities issues in Italy.

Also, the evolution of the concept of disability itself within society is transforming the practice of design referred to an ideal standard user in a Universal or Inclusive design aiming at increasing the spectrum of accessibility to a wider number of users as possible with no further additional costs.

These ideas can be adopted to the wider urban setting in as much as to the smaller residential framework where an Inclusive design, nevertheless, is not seen as the best answer to the changes of user’s needs and to the personalisation of the housing space.

In order to solve problems related to housing, the best solution se-ems to be the Flexible design, where space and technologies change, adapt and adjust themselves according to the residents’ needs far from being inappropriate and unsuitable.

It’s necessary to achieve space flexibility that requires modularity, versatility of rooms and furniture and convertibility, as well as tech-nology’s flexibility in constructions and plants solutions which is bor-rowed by automation that meets the requirements of easy integration and maintenance.

Unfortunately, home automation is erroneously considered to be object of a futurist movie or a practice of a luxury niche when it has the only purpose to integrate all the traditional home plants enabling them to communicate and increase their potentials.

The strengths and advantages of using automation systems do not merely relate to issues of flexibility but also to energy saving and greater comfortachievables. Potentials and opportunities are huge and the applicability of these technologies to weak users proves to be a viable and successful answer because such a technology enables to fill the gap in the realm of disabilities, to change according t o newly emerging need/requirements and, to constantly monitor users, thanks to the usage of e-health products, in order to reduce costs for

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Using automation technologies and components tends to modify, accordingly, those used in the residential sector. This occurs becau-se the spaces necessary to motorisations and designs of constructive components to electrify change as well.

In light to previous considerations, I have attempted to plan a flat for a family of 4 people – two parents, one son and a daughter suf-fering from a motor disability at the lower extremities – that would reproduce the requirements of space and technological flexibility. The output of the project shows versatile environments, undefined surfaces where walls become sliding, the furniture is mobile, dynamic configuration follow the everyday life stages and they accompany, throughout the time, the evolution of the family. The house changes and home automation encourages and supports change. The inter-face between the man and the environment makes use of for-all and affordable communication technologies so that from all portable PCs and Smartphone it would be possible to adapt and adjust the space according to emerging needs.

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(9)

Autonomia e inclusione

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Introduzione

L’uguaglianza tra i cittadini è uno dei princìpi fondamentali su cui si fonda il nostro Stato e conseguentemente la nostra società. L’arti-colo 3 della Costituzione1 italiana esplicita tale necessità e va al di là

del concetto di uguaglianza formale, chiarendo la funzione sociale dello stato come realizzatore e tutore del processo di superamento delle disparità e degli ostacoli che tendono a differenziare i cittadini nei loro diritti e doveri. Da tale aspirazione nasce la tendenza, anche nella progettazione architettonica, all’abbattimento delle differenze tra gli individui per raggiungere la più ampia possibile fruibilità.

L’odierna società consta di una molteplicità di individui con no-tevoli differenze (sesso, età, caratteristiche fisiche, caratteri psico-logici) che generano una infinità di esigenze diverse, che totalmente non possono essere soddisfatte in un unico progetto. È però eviden-te che progettare per una persona sana di età adulta, con deeviden-termi- determi-nate caratteristiche fisiche, è sempre meno possibile, anche solo considerando la tendenza della società all’invecchiamento.

Se, infatti, osserviamo i dati Istat riguardanti la percentuale dei residenti in Italia di diverse fasce d’età, si nota l’orientamento verso un graduale avanzamento dell’età media e quindi ad un aumento della popolazione avente età compresa tra i 65 e i 100 e più anni.

Inoltre, nel 2015 la percentuale di anziani con età compresa tra i 65 e i 74 anni con almeno una malattia cronica è del 74,8%, percen-tuale che naturalmente cresce con l’aumentare dell’età2.

Un altro dato importante è il numero in Italia di persone affette da almeno una limitazione funzionale, pari a circa 3,2 milioni di per-1 Art. 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di or-dine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

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Fig.1 Percentuale popolazione residente in Italia per fasce d’età

sone di età superiore ai sei anni, di cui 2 milioni e 500 mila anziani, come rilevato dall’indagine Istat del 2013. La quota risulta essere significativamente più alta tra le donne, 7,1% contro il 3,8% degli uomini3.

La popolazione con limitazioni funzionali analizzata presenta dif-ficoltà in una o più di queste dimensioni:

– dimensione fisica, riferibile alle funzioni del movimento e della locomozione, circa 1,5 milioni di persone, pari al 2,6% della popolazione totale avente sei anni e più;

– sfera di autonomia nelle funzioni quotidiane, quasi 2 milioni di persone, il 3,4%, (ci si riferisce alle attività di cura della per-sona, come vestirsi o spogliarsi, lavarsi mani, viso, o il corpo, tagliare e mangiare il cibo, ecc.);

– ambito della comunicazione, che riguarda le funzioni della vista, dell’udito e della parola, circa 900 mila persone, l’1,5% della popolazione;

– infine, vi sono 1,4 milioni di persone (il 2,5% della popolazio-ne di sei anni e più), che riferiscono di essere costrette a stare a letto, su una sedia o a rimanere nella propria abitazione per impedimenti di tipo fisico o psichico4.

Inoltre si riscontra che, tra le persone affette da disabilità grave5

(1.858.440 individui), circa 269 mila persone vivono con uno o en-trambi i genitori (49,9%):

(12)

sa-“Questi disabili vedranno aumentare in futuro il rischio di

esclu-sione ed emarginazione, se la società non sarà in grado di fornire loro

il supporto delle cure e l’autonomia economica assicurata attualmente

dalla rete familiare.”

6

Circa il 36% delle persone con disabilità grave con meno di 65 anni (192mila) vive con il partner e/o con i figli, mentre 52 mila (il 9,6%) soggetti vivono soli; la percentuale residuale, 4,9%, vive con altre persone.

Le percentuali riportate non fanno che avvalorare la tesi per cui una progettazione indirizzata ad una utenza standard e una alterna-tiva per coloro che non presentano le medesime caratteristiche è un investimento errato sia per le persone che saremo in futuro sia per le generazioni che verranno.

Il concetto di disabilità

I concetti di “diverso” e “disabile” all’interno della società hanno assunto nel corso degli anni connotazioni e significati diversi. Tali cambiamenti si sono rispecchiati nelle norme e conseguentemente nella progettazione architettonica.

Si può osservare tale fenomeno già dalla lettura delle prime nor-me, la cui terminologia aveva connotazioni negative: barriere archi-tettoniche; spastici, persone impedite o minorate (1967)7, minorati

fisici, mutilati e invalidi civili (1978)8, individui con ridotte capacità

motorie, disabili, categorie svantaggiate di utenti. In tutti i preceden-ti esempi le persone disabili vengono viste come persone con carat-teristiche limitanti e per cui bisogna rimuovere gli ostacoli (barriere architettoniche) e le fonti di pericolo, garantire l’autonomia, tener conto delle variazioni delle esigenze individuali e delle diverse ca-ratteristiche anatomiche, fisiologiche, senso-percettive.

Con la Legge 13/89 e il Decreto Ministeriale 236/89, si affronta il tema della fruibilità non solo per i trasporti, gli spazi e gli edifici pubblici, ma anche per quanto riguarda l’edilizia privata. Compa-iono, infatti, i concetti di accessibilità, visitabilità e adattabilità, in-tesi come tre livelli di qualità dello spazio, da garantire in base al 6 Alleva, 2016

7 Circolare ministero dei lavori pubblici 29 gennaio 1967, n.425. 8 Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978, n. 384.

Fig. 2 Percentuali di persone affette da disabilità grave per contesto familiare - Anno 2013

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tipo di edificio o luogo (pubblico o privato), e al tipo di intervento (dalla nuova edificazione sino al cambio d’uso senza opere). I prov-vedimenti citati hanno portato a diverse importanti novità rispetto allo scenario precedente. Il Decreto, in particolare, tende a fornire elementi di definizione e controllo degli obiettivi richiesti, anziché dettare soluzioni precostituite univoche e indiscutibili, rivalutando così il momento progettuale, che quindi offre al progettista liber-tà e responsabililiber-tà nella ricerca delle risposte migliori alle diverse esigenze e sottolineando l’importanza della tecnologia e del suo sviluppo per un miglioramento delle soluzioni possibili e una con-seguente visione dinamica del decreto stesso in continuo aggiorna-mento. Infine l’accessibilità è vista come un indispensabile requisito di qualità e non come un elemento accessorio al progetto; la qualità di un oggetto o di un ambiente è in effetti spostata dall’analisi della soluzione dimensionale e tecnica utilizzata all’osservazione del sod-disfacimento delle esigenze precedentemente individuate.

Già dal 1989 il significato di “barriera architettonica” si è notevol-mente ampliato a:

– gli ostacoli fisici che sono fonte di disagio per la mobilità di chiunque ed in particolare di coloro che, per qualsiasi causa, hanno una capacità motoria ridotta o impedita in forma per-manente o temporanea;

– gli ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la como-da e sicura utilizzazione di parti, attrezzature o componenti; – la mancanza di accorgimenti e segnalazioni che permetto-no l’orientamento e la ricopermetto-noscibilità dei luoghi e delle fonti di pericolo per chiunque e in particolare per i non vedenti, per gli ipovedenti e per i sordi9.

È sintomatica la ripetizione del termine “chiunque”, richiamato più volte nella definizione normativa10, che enfatizza la barriera

ar-chitettonica come ostacolo per tutti i potenziali fruitori di un bene, non solo per particolari categorie di persone in condizioni di disabi-lità.

Un’ulteriore evoluzione è riscontrabile nel “Testo unico delle di-sposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia” n. 380 del 2001 (capo III artt. 77-82), in cui vengono definiti i criteri di proget-tazione riferiti allo spazio urbano ed edilizio, non solo per specifiche categorie edilizie e destinazioni d’uso collegate alle fasce di utenza debole (quali edifici scolastici, case di cura, etc.). Infine, nelle

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recen-ti norme a tutela del lavoratore disabile vengono affrontati i temi della sicurezza e prevenzione degli incendi.

Il cambiamento maggiore nel concetto della disabilità è quello dovuto alla nuova “Classificazione Internazionale del Funziona-mento, della Disabilità e della Salute”, nota come ICF, sviluppata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel Maggio 2001. L’ICF è un metodo di classificazione che, per la prima volta, non con-centra la sua attenzione sulle conseguenze delle malattie, quindi sull’impatto delle stesse e sulle condizioni di salute che ne possono derivare, ma è diventata una classificazione delle componenti della salute, intese come tutte quegli elementi che costituiscono la salute stessa della persona. L’ICF ha, dunque, una valenza universale, in quanto non si applica alle sole persone con disabilità, ma qualsiasi stato di salute può essere descritto mediante essa.

“Il concetto di disabilità è stato esteso dal modello medico a quello

bio-psico-sociale, richiamando l’attenzione sulle possibilità di

parteci-pazione delle persone, negate o favorite dalle condizioni ambientali”.

12

Si nota, infatti, come i termini menomazione, disabilità ed handi-cap presenti nelle precedenti classificazioni siano stati sostituiti con funzione, attività e partecipazione. L’attenzione viene così spostata dalla disabilità della persona all’ambiente esterno, che può presen-tare delle barriere, creando così l’eventuale incapacità all’azione, o al contrario può mostrare delle agevolazioni ambientali che annul-lano le limitazioni e favoriscono la piena partecipazione sociale.

Con la classificazione ICF, applicabile a chiunque, è sempre più visibile nella società la necessità di una progettazione universale, che non si specifichi in una particolare tipologia di utenza, ma che sia fruibile dal maggior numero di persone possibile.

11 I Decreti Legislativi 626/94 e 242/96; il D.M. 10 marzo 1998, “Criteri generali di sicurezza antincendio e per la gestione dell’emergenza nei luoghi di lavoro”; la Circo-lare 1° marzo 2002, n. 4, “Linee guida per la valutazione della sicurezza antincendio nei luoghi di lavoro ove siano presenti persone disabili” e la Lettera circolare 18 agosto 2006, n. P880/4122, “La sicurezza antincendio nei luoghi di lavoro ove siano presenti persone disabili: strumento di verifica e controllo check list” del Ministero dell’Interno, Dipartimento dei Vigili del Fuoco, del Soccorso pubblico e della Difesa civile.

(15)

Universal design o Inclusive Design

Il concetto di progettazione universale viene espresso per la pri-ma volta mediante i termini inglesi Universal design nel 1985 dall’ar-chitetto Ronald L. Mace e definito dallo stesso come:

“the design of products and environments to be usable by all people,

to the greatest extent possible, without the need for adaptation or

spe-cialised design”.

13

Lo scopo dello Universal design è quello di rendere migliore, faci-litandola, la vita di tutti, producendo prodotti e architetture utilizza-bili dal maggior numero di persone possibile senza costi aggiuntivi o comunque a costi ridotti: è l’idea di creare un ambiente che giovi alle persone di qualsiasi età e con qualsiasi capacità. Un sinonimo di Universal design è Inclusive design (ID), più utilizzato in ambito euro-peo, rispetto all’espressione precedente, che è più in uso negli Stati Uniti.

La prima istituzione ad occuparsi di questo tema è stata proprio la North Carolina State University, in cui era docente il professor Mace, dove si è sviluppato un apposito centro di ricerca, il Center for Uni-versal design14, che nel 1997 stilò un elenco dei princìpi

fondamen-tali su cui doveva fondarsi questa nuova concezione del progetto: 1. Equità - uso equo (Equitable use)

2. Flessibilità - uso flessibile (Flexibility in use)

3. Semplicità - uso semplice ed intuitivo (Simple and intuitive use)

4. Percettibilità – percettibilità delle informazioni (Perceptible information)

5. Tolleranza all’errore – (Tollerance for error)

6. Contenimento dello sforzo fisico – (Low physical effort) 7. Misure e spazi sufficienti – misure e spazi per l’avvicinamento e l’uso (Size and space for approach and use)

Principio 1 – Equità

13 Ronald L. Mace, 1985

14 È un centro di ricerca, informazione e assistenza tecnica che valuta, sviluppa e pro-muove la progettazione accessibile e universale di abitazioni, edifici, ambienti esterni e urbani e i relativi prodotti. Il lavoro di tale Centro manifesta la convinzione che tutti i nuovi ambienti e prodotti, alla massima estensione possibile, dovrebbero essere

(16)

uti-“Il progetto deve essere utile e commerciabile per persone con abilità

diverse.”

15

Deve quindi consentire la stessa utilizzazione e le stesse condizio-ni di privacy, sicurezza e incolumità a tutti gli utenti, identiche quan-do possibile, altrimenti equivalenti. Infine, un aspetto altrettanto importante è rendere il progetto attraente, affinché non si riduca ad una progettazione utilizzata in realtà da un solo tipo di utenza.

Principio 2 – Flessibilità

“Il progetto si adatta ad una vasta gamma di preferenze e abilità

individuali.”

Il progetto deve, dunque, consentire la scelta del metodo d’uso, permettere l’accesso e l’utilizzo con mano sinistra e mano destra, facilitando l’accuratezza e la precisione dell’utilizzatore e fornendo adattabilità alle caratteristiche dello stesso.

Principio 3 – Semplicità

“L’uso del progetto deve essere facile da capire, a prescindere

dall’e-sperienza, dalle conoscenze, dalle capacità di linguaggio o dal livello

corrente di concentrazione dell’utilizzatore.”

Con tale principio si eliminano le complessità non necessarie. L’utilizzo del bene deve corrispondere alle aspettative e all’intuizio-ne dell’utilizzatore e deve quindi fornire una grande varietà di alter-native di lettura e comprensione. Per favorirne la lettura, la struttura 15 Definizioni dei principi da https://www.ncsu.edu/ncsu/design/cud/about_ud/ udprinciplestext.htm

Fig.3 Cucina Skyline Lab, prodotta da Snaidero - http://www.snaidero.it/ guida-al-progetto

Fig. 4.1 HandShoeMouse, prodotto da Bekker Elkhuizen,

utilizzabile con entrambe le mani – https://www.bakkerelkhuizen.it/ downloadcenter/product/#product-61

Fig. 4.2 Maniglia Leonardo, prodotta da Ghidini –

http://www.ghidini.com/ghidini-leo-nardo/

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delle informazioni deve essere coerente con la loro importanza e deve fornire suggerimenti e segnalazioni durante e dopo le azioni dell’utilizzatore.

Principio 4 – Percettibilità

“Il progetto deve comunicare effettivamente le informazioni

necessa-rie all’utente, indipendentemente dalle condizioni ambientali o dalle

abilità sensoriali dell’utente.”

Per fare ciò bisogna: usare metodi diversi (visivi, verbali, tattili) per una presentazione ridondante delle informazione essenziali, fornendo anche una adeguata differenziazione tra le stesse e quelle di contorno e massimizzando la leggibilità di quelle essenziali; dif-ferenziare gli elementi in modo che possano essere descritti (facili-tando l’emissione di istruzioni e direttive); fornire compatibilità con una varietà di tecniche e dispositivi usati da persone con limitazioni sensoriali.

Principio 5 – Tolleranza all’errore

“Il progetto deve minimizzare i rischi e le conseguenze avverse di

azioni accidentali o non intenzionali.”

Fig. 5 Interfaccia tablet realizzata per un progetto dell’azienda Nextworks srl, Gennaio 2017

Fig. 6 Pannello informativo con trascrizione in Braille - http://www. letturagevolata.it/uploads/images/ca-pre3%20br.jpg

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richiedono vigilanza.

Principio 6 – Contenimento dello sforzo fisico

“Il progetto deve poter essere usato efficientemente e in modo

confor-tevole e con un minimo di fatica.”

A tal fine il progetto deve permettere di mantenere una posizione neutra del corpo, richiedere un ragionevole sforzo di attivazione e minimizzare le azioni ripetitive e lo sforzo fisico sostenuto.

Principio 7 – Misure e spazi sufficienti

“Nel progetto devono essere previsti dimensioni e spazi appropriati

per l’avvicinamento, il raggiungimento, la manipolazione e

l’utilizza-zione a prescindere dalle dimensioni del corpo, dalla postura e dalla

mobilità dell’utilizzatore.”

Bisogna, quindi, rendere chiara la visione degli elementi impor-tanti e confortevole il raggiungimento di tutte le componenti per qualsiasi utente seduto o in posizione eretta, consentire variazioni dell’impugnatura in base alle dimensioni delle mani e fornire uno spazio adeguato per l’uso di dispositivi assistivi o di assistenza per-sonale.

L’Inclusive design rappresenta più una filosofia progettuale che un rigido dogma da rispettare. La sua osservanza porterebbe van-taggi non solo sociali, minimizzando le disparità e l’emarginazione di alcuni gruppi di persone, ma anche economici riducendo al mini-mo le numerose mini-modifiche agli edifici, successive alla loro realizza-zione, e in gran parte anche le somme elargite dallo Stato per

l’assi-Fig. 8 Lavatrice con carico obliquo - http://ifworlddesignguide.com/en-try/2264-national-na-v81/

Fig. 9 Tavolo con piede centrale, prodotto da Riva 1920 - http:// www.riva1920.it/it/prodotti/tavoli/ boss-executive-quadrato/

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stenza delle persone in difficoltà.

Progettare per tutti crea una società fondata sull’uguaglianza e provoca un benessere condiviso e una condizione di welfare, ancora sconosciuta in molte realtà cittadine.

Nonostante questa nuova concezione stia sempre più prenden-do piede anche in Europa (basti vedere la convenzione di Stoccolma del 2004 e la più recente Comunicazione della Commissione Euro-pea del 15 Novembre 201016), attualmente il tema dell’accessibilità

viene ancora considerato come un problema da trattare in realtà ar-chitettoniche esistenti, o comunque da affrontare alla fine del pro-cesso progettuale.

L’ID dovrebbe indurre a pensare a una città più vivibile e sicura non solo per persone con limitazioni a carattere temporaneo, quali gambe ingessate, oppure bambini, donne incinte, anziani, ma anche per persone che possono trovarsi in situazioni di disagio ad esempio a causa di bagagli, della non conoscenza del luogo o dei mezzi di co-municazione locali; dovrebbe essere un modo per elevare la qualità di vita per tutti in tutti i luoghi. Tutte le norme tecniche precedenti sono state associate quasi sempre solo alla disabilità motoria per-manente e la loro applicazione è stata percepita come ulteriore limi-te normativo alla creatività e al risultato eslimi-tetico finale dell’opera.

La rampa è un classico esempio di elemento architettonico, che solitamente sembra una limitazione alla libera progettazione, ne-cessario solamente al rispetto delle norme tecniche sull’accessibi-lità.

“È noto invece come nei grandi esempi di architettura il muoversi sia

fattore determinante per la concezione e comprensione della stessa (vedi

Promenade architecturale di Le Corbusier). Garantire l’accessibilità del

costruito non è solamente superare una differenza di quota ma è legare

l’architettura al movimento”.

17

Alcuni illustri architetti, infatti, hanno riconosciuto alle rampe un importante ruolo estetico-funzionale, esempi notevoli sono:

− Villa Savoy a Poissy (1929) di Le Corbusier: la rampa come solu-zione principale d’accesso ai piani superiori;

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Fig. 10 Villa Savoye - http://pmadrid.com/la-rampa/- https://foto.habitissimo.it/foto/terrazza-villa-savoye_368166

− Università di Arti Visive di Harvard Cambridge nel Massachuset-ts (1961) di Le Corbusier: la rampa collega due strade, passando dal secondo piano dell’edificio;

Fig. 11 Università di arti visive di Harvard Cambridge - http://ccva.fas.harvard.edu/history - https://www.pri.org/sto-ries/2013-09-29/ugliest-building-harvards-campus-just-might-be-its-most-beautiful

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− Museo statale di Stoccarda (1977-1983) di James Stirling: la rampa come percorso con una notevole valenza estetica, alternativo alla scala e all’ascensore;

Fig. 12 Museo nazionale di Stoccarda - https://it.pinterest.com/pin/568227677961083543/ - https://it.pinterest.com/ pin/381820874638204824/

− Museo di Arte Contemporanea di Barcellona (1987-1995) di Ri-chard Meier: la rampa è l’elemento principale dell’articolazione del-lo spazio interno;

Fig. 13 Museo di Arte Contemporanea di Barcellona - http://barcelona-home.com/blog/it/il-museo-di-arte-contempora-nea-di-barcellona/ - http://www.todobarcelona.org/en/discover-barcelona/macba-museum-contemporary-art-barcelona/

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Fig. 14 Reichstag - https://www.mimoa.eu/projects/Germany/Berlin/Reichstag/?abvar4&utm_expid=3171585-1. iHYMNB23QCiOMIk1Kk8dAQ.4&utm_referrer=https%3A%2F%2Fwww.google.com%2F - https://www.disfruta-berlin.com/berlin-en-48-horas

− Museo della Memoria dell’Andalusia (2009) di Alberto Campo Baeza: la rampa delinea le curve del progetto e rende dinamico lo spazio.

Fig. 15 Museo della Memoria dell’Andalusia - http://pmadrid.com/la-rampa/#

Garantire la fruibilità di uno spazio non significa solo movimento e accessibilità, ma il pieno godimento fisico percettivo dello stesso. Solamente percorrendo e respirando le grandi architetture si può comprenderle e goderne pienamente.

(23)

Inclusive design nello spazio pubblico

Lo spazio urbano si può descrivere come:

“il luogo dove l’uomo può svolgere gran parte della sua vita di

rela-zione, che è fatta anche di mobilità, ma soprattutto di incontro con gli

altri; è quindi il luogo dove si può soddisfare (passeggiando tra la gente,

chiacchierando con gli amici, riposando su una panchina, etc.) il

pro-prio bisogno di socialità”.

18

La mobilità urbana, intesa come libertà di spostarsi autonoma-mente da un punto all’altro della città, è una delle funzioni primarie che bisogna garantire ed estendere all’utenza ampliata. I problemi principali in tal senso sono la frammentarietà e l’ambiguità dei per-corsi, che limitano la libertà dell’individuo a fruire degli spazi e dei servizi, maggiormente se l’utente si ritrova ad essere un bambino, un anziano o un disabile. Spesso ad essi viene precluso anche l’ac-cesso agli spazi di relazione esterni agli edifici, le piazze, i giardini pubblici, ossia i luoghi di incontro con gli altri.

L’Inclusive design dello spazio urbano implica per tutti la possibi-lità di movimento scegliendo i percorsi, i mezzi di trasporto e la mo-dalità di attraversamento che si preferiscono: a piedi, in bicicletta, in auto o con i mezzi pubblici.

“Pertanto eliminare le barriere architettoniche non vuol dire

posizio-nare qualche scivolo lungo i marciapiedi ma progettare

sistematicamen-te gli spazi, gli arredi, la segnaletica nonché prevedere l’accessibilità ai

mezzi di trasporto pubblico”.

19

Il concetto di accessibilità urbana originariamente indicava la raggiungibilità di un luogo attraverso i collegamenti infrastrutturali in un contesto urbanistico a scala territoriale, mentre con il D.P.R. 503/96 si attribuisce alla sua definizione il significato di buona fru-ibilità e facile utilizzo dello spazio costruito, inteso come territorio urbanizzato, da parte di tutta la popolazione senza discriminazione alcuna di età o esigenze psicofisiche e sensoriali.

Poiché la progettazione e la manutenzione dei percorsi, degli ar-redi e degli edifici pubblici che si affacciano su di essi è affidata a enti differenti, l’osservanza delle norme da parte di tutti gli attori del processo non garantisce l’effettiva accessibilità dell’opera finale.

(24)

tamente pavimentato, vengono installati degli arredi, di per sé

realizza-ti con materiali e dimensioni da normarealizza-tiva, ma posizionarealizza-ti senza tener

conto delle distanze e delle interferenze con la funzione pedonale, si è

vanificato l’intento di rendere fruibili lo spazio e le funzioni annesse”.

20

Occorre quindi progettare e pianificare gli interventi, attraverso l’analisi dell’intero territorio urbano e l’elaborazione di un program-ma di interventi che garantiscano la fruibilità di spazi, percorsi ed edifici e il confort e la sicurezza nella fruizione.

È importante valutare anche le situazioni che possono generare stati di affaticamento. Per coloro che presentano patologie cardia-che, ma anche per gli anziani stessi, la presenza di una panchina, di una fontana per rinfrescarsi e il corretto dimensionamento di una scalinata sono semplici accorgimenti che però possono migliorare la qualità della vita.

Un ulteriore aspetto di cui tener conto è la sicurezza urbana, al fine di garantirla è necessaria la definizione e la riconoscibilità dei margini, anche attraverso diverse tipologie di segnaletica. Si do-vrebbero, dunque, prevedere segnali con diverse modalità di lettura non solo visiva e iconica, ma anche tattile e acustica.

“Se è vero che il comfort e il discomfort di un prodotto può essere

va-lutato solo dagli utilizzatori, poiché il prodotto in sé non può mai essere

confortevole, è questo il motivo per cui l’utente finale dovrebbe essere

sempre coinvolto nel processo progettuale”.

21

Quindi, anche il confort, la gradevolezza e la fruibilità di uno spa-zio possono essere va- lutati solo dai suoi utilizzatori finali, cittadini e visitatori occasionali, in termini di usabilità e compatibilità.

Esempi di buona progettazione e di attenzione rivolta agli utenti finali dell’opera, con applicazione dei princìpi dell’Inclusive design, sono:

- Always Dream Play Park, Fremont, progettato dal gruppo MIG nel 2010: la filosofia di questo gruppo di ricerca è sempre stata quel-la di progettare e sostenere gli ambienti che supportano lo sviluppo umano. È evidente la qualità di questo parco per bambini sia per la volontà di creare un luogo che riflettesse la storia, la cultura e la struttura di ogni comunità, sia per la capacità di coinvolgere i bam-bini di diverse età e abilità;

20 Ibidem

(25)

Fig. 16 Always Dream Play Park - http://www.migcom.com/projects/view/141 - https://fremont.gov/2495/ Always-Dream-1-2 - http://www.totturf.com/gallery/

- Brooklyn Bridge Park, New York, di Michael Van Valkenburgh Associates (2005): è un parco senza barriere che si estende per cir-ca 2 km sulla riva dell’East River. Una delle attrazioni principali è lo Squibb Bridge che unisce l’antico parco al nuovo. Il ponte è caratte-rizzato da una dolce pendenza, da aree di sosta e da viste suggestive dello skyline di Manhattan, della Statua della Libertà e del ponte di Brooklyn. Si districa tra alte querce, edifici e su di una strada, scen-dendo di circa 10 metri rispetto alla quota iniziale;

(26)

Fig. 17 Brooklyn Bridge Park - http://ny.curbed.com/2015/8/12/9931374/brooklyn-bridge-park-expands-with-two-lo-vely-new-sections - http://www.brooklynbridgepark.org/park/squibb-park-bridge

- Metropolitana di Monaco, inaugurata nel 1971: già nella con-cezione progettuale originaria tutte le stazioni avrebbero dovuto avere un design differente. Ciò rende più facile il riconoscimento dei luoghi e dà agli utilizzatori il senso di un viaggio reale, differen-ziando la destinazione rispetto al punto di partenza. Così la stazione viene associata al quartiere e diventa parte attiva della sua identità;

(27)

Fig. 18 Stazioni della Metropolitana di Monaco di Baviera - https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Munich_ subway_GBR.jpg - https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Munich_subway_DF.jpg - http://www.design-miss.com/ metropolitana-di-monaco-di-baviera/ - http://www.goseewrite.com/2011/09/monacomonte-carlo-train-station-photos/ - http://www.designmag.it/foto/metropolitana-monaco-u-bahn-by-nick-frank_6021_4.html

- Sala “Louis Braille” nella Citè des Sciences et de l’Industrie, Pari-gi, su progetto di Louis Pierre Grosbois (1989): sala di consultazione per non vedenti, all’interno della biblioteca, attrezzata con moder-ne apparecchiature per la lettura attraverso scanmoder-ner e restituziomoder-ne tattile con caratteri Braille o sonora in cuffia. L’architettura dei diffe-renti spazi che formano la sala è stata concepita in modo tale da es-sere facilmente riconosciuta sia dalle persone vedenti sia da quelle non vedenti. Si è fatto ricorso a forme volumetriche differenti per ogni funzione (ad esempio, la sala conversazione e riposo è di forma cilindrica mentre le sale di lettura sono parallelepipede) ed all’uso di componenti architettonici capaci di segnalare la loro presenza at-traverso messaggi tattili, sonori e olfattivi.

(28)

Inclusive design nello spazio abitativo

Per la progettazione dello spazio abitativo in passato si è seguita la filosofia della progettazione ottimale o Optimized design, che pro-poneva soluzioni progettuali che rispondevano alla soddisfazione di un obiettivo nella maniera migliore possibile. Si basava, infatti, sull’ottimizzazione funzionale, sull’ergonomia e sull’efficienza di-stributiva.

“L’approccio dell’Optimized design rende il sistema affidabile, ovvero

il sistema abitativo farà, con alta probabilità, il lavoro per cui è stato

progettato”.

22

“Questo tipo di approccio si è poi evoluto verso forme “esclusive” di

progettazione, finalizzate a ottimizzare il progetto rispetto a specifiche

categorie di utenza (casa per giovani coppie, casa per disabili, casa per

anziani ecc.) rendendolo di conseguenza non ottimale per le altre”.

23

Lo stesso Barrier-free design, individuando nella barriera archi-tettonica il principale ostacolo da superare, riprende l’approccio dall’Optimized design, riferendosi però ad un tipo di utenza differen-te.

Il superamento di questo tipo di progettazione avviene proprio con i nuovi concetti di Universal design, di Inclusive design e di Desi-gn for all. Come già detto, si passa ad una progettazione di più am-pia fruibilità, rispondendo così alle necessità di utenti con diverse abilità e permettendo di vivere in maniera autonoma la propria abi-tazione il più a lungo possibile.

Nonostante questo miglioramento, questo tipo di approccio con-serva le caratteristiche di rigidezza tipiche di quello precedente, ve-dendo lo spazio abitativo come fisso nella forma e nella dimensio-ne. Anche nella definizione stessa di Universal design si sottolinea la caratteristica di tali progetti, che devono essere per tutti ma senza bisogno di adattamenti, quindi sistemi che senza modifiche possa-no essere utilizzati in differenti modi.

Per quanto sia evidente che questo tipo di princìpi ben si inseri-scano nella progettazione della città, ampliando il numero di per-sone che partecipano alla vita cittadina e godono dello spazio pub-blico, si nota una certa fragilità nell’applicazione degli stessi in un luogo più personale come una casa.

22 McManus, Hasting, 2005 23 Mark, 2005

(29)

“All’omologazione progettuale che unifica spazi e attrezzature a

uten-ti standard o all’intera colletuten-tività, deve essere preferita una cultura del

progetto che ragiona su soluzioni che garantiscono la personalizzazione

dello spazio abitativo alle esigenze (biologiche, fisiche,

comportamen-tali, gestuali, cognitive, sociali) degli utenti in particolari momenti di

vita, per arrivare a un’idea inclusiva di utenza reale”.

24

Nell’ambiente domestico si osservano problematiche diverse, quali l’obsolescenza funzionale e tecnologica:

– l’obsolescenza funzionale incide sul grado di soddisfazione dell’utenza, poiché è dovuta alla mancanza o alla riduzione di risposte e soluzioni adatte al soddisfacimento delle attese e dei bisogni degli utenti. Il sistema, quindi non garantisce più l’ottimale svolgimento delle funzioni per cui è stato progetta-to. Questa problematica diviene rilevante sia se si vive nella medesima casa per tutta la vita, poiché le esigenze variano nel corso del tempo, sia se la stessa unità abitativa deve far fronte a diversi nuclei familiari, per cui è evidente che le necessità cambino.

– l’obsolescenza tecnologica incide, invece, sulla prestazione del sistema ed è dovuta all’avanzamento tecnologico e all’in-troduzione sul mercato di componenti nuovi. È un problema molto attuale e diffuso dovuto alla rapida evoluzione della tecnologia rispetto alla vita nominale di una costruzione. Nell’ottica di un superamento della logica, diffusa nella società odierna, dell’“usa e getta”, che mal si adatta alle idee di sostenibilità ambientale, sempre più rilevanti, si possono trovare delle soluzioni all’obsolescenza:

– Flessibilità spaziale, tipica del Flexible design, che garantisce la modificabilità dell’alloggio, conseguente al sopraggiungere di nuove esigenze dell’utenza;

– Flessibilità tecnologica, tipica degli impianti domotici, che garantisce facilità di modificabilità, migliorando l’apparato tecnologico, e un buon rapporto tra manutenibilità e reversi-bilità, semplificando l’aggiornamento e la modifica delle com-ponenti esistenti.

(30)

Flexible design

Si può definire la flessibilità come la proprietà di un sistema di ri-spondere adeguatamente ai cambiamenti delle esigenze dell’uten-za, una volta che il sistema è stato messo in funzione, e di indirizzare il ritmo del cambiamento nel lungo periodo, riorganizzando e rinno-vando il sistema a fronte di eventi perturbativi esterni.

“Perciò possiamo indicare come flessibile qualsiasi struttura costruita

per essere utilizzata in più di un modo, attraverso una facile

modifica-bilità dei suoi componenti, per adattarla al mutare delle esigenze, delle

abilità e delle capacità dell’utenza”.

25

Per lo sviluppo di una progettazione flessibile è necessaria l’im-plementazione dei seguenti requisiti:

– Versatilità, intesa come la possibilità di utilizzare in maniera multiforme un sistema, all’interno di uno spazio di forma e di-mensioni quasi immutate nel tempo. Questo requisito agisce sulla configurazione interna del sistema.

– Convertibilità, ossia la capacità di un sistema di adattarsi a diverse conformazioni fisiche, trasformandosi sia internamen-te sia esinternamen-ternameninternamen-te. Questo requisito agisce sulla dimensione del sistema.

– Modularità, come organizzazione del sistema in parti che possono essere aggiunte o sottratte in base alle necessità. An-ch’esso agisce sulla dimensione del sistema, più propriamente sull’espandibilità dello stesso.

Per quanto riguarda la progettazione spaziale e tecnologica dello spazio abitativo,

“costituisce un momento importante - per osservare la rispondenza

degli spazi e delle attrezzature coinvolte nel processo di adattamento

dell’ambiente costruito - la lettura del comportamento degli utenti, in

riferimento alle funzionalità corporee e alle eventuali perdite di

abili-tà”.

26

Naturalmente il dimensionamento dello spazio deve essere tale da consentire l’utilizzabilità indipendentemente dalle dimensioni, dalla postura e dalle capacità di movimento del corpo. Alcune stra-tegie progettuali facilitano l’indipendenza e la flessibilità, come: la ridondanza degli accessi all’unità abitativa, cha permette l’eventua-25 Fitch, 1980

(31)

le scomposizione in più unità indipendenti, ma vicine o collegate; l’uso di un’impiantistica modulare, sostituibile e manutenibile, che può facilitare la riconfigurazione, lo spostamento o l’incremento dei nuclei tecnici; partizioni interne amovibili e leggere che facilitano il ridimensionamento degli ambienti.

Nella progettazione è importante anche la scelta di soluzioni di arredo che permettano in maniera semplificata trasformazioni in-terne. Si può garantire la flessibilità attraverso sistemi di arredo mo-dulari, basati su un approccio combinatorio, integrabili anche con sistemi domotici. Secondo il principio di modularità, vi è, quindi, un prodotto base a cui si possono aggiungere o sottrarre determinate caratteristiche o componenti, in modo tale da adattarlo nel miglior modo possibile ai bisogni dell’utente.

La flessibilità progettuale si può ottenere in svariati modi, di se-guito si elencano alcuni progetti che con metodologie e risultati dif-ferenti perseguono il medesimo obiettivo:

(32)

Fig. 20 Casa Schröder – Cellucci, Di Sivo, 2016, pp. 76-77

− Casa Schröder (1924), Gerrit Rietveld, Utrecht: sottili divisori mobili scorrono su binari colorati in giallo posti sul soffitto, permet-tendo di divider e fondere varie stanze in un unico ambiente.

(33)

− Abitazione in Carabanchel (2003), Aranguren & Gallegos, Ma-drid: gli alloggi di dimensione diversa sono distribuiti su tre fasce, di cui solo quella centrale dotata di corridoio di distribuzione e bagni risulta invariabile, mentre le altre due sono spazi flessibili con pare-ti mobili. Le parepare-ti possono ritrarsi e le camere da letto scomparire nelle nicchie sotto gli armadi e sotto il corridoio della spina centrale, che risulta rialzato rispetto al resto delle stanze.

(34)

− Drawer House (2003), Oki Sato Nendo, Tokyo: le funzioni resi-denziali si trovano lungo una parete attrezzata su un lato della stan-za e possono essere estratte secondo le necessità. La progettazione avviene tramite fasce tecniche perimetrali, consentendo di organiz-zare gli ambienti di servizio, come cucina, cabina armadio e ripo-stiglio. La collocazione della parte tecnica tra due alloggi contigui ha l’ulteriore vantaggio di incrementare l’isolamento acustico delle singole abitazioni.

(35)

− Casa S. Okayama (1995), SANAA – Sejima & Nishizawa, Giappo-ne: le stanze dei singoli membri della famiglia sono disposte al pia-no terra e sopia-no rese indipendenti tra loro tramite l’accesso ad un corridoio perimetrale, collegato direttamente all’esterno. I nuclei dedicati alla vita comune sono invece al piano superiore, in cui in un unico grande spazio polifunzionale sono collocati bagno e cucina.

(36)

− Casa in un prugneto (2001), SANAA – Sejima & Nishizawa, Tokyo: casa progettata per 5 utenti (genitori, figli e nonna), con pianta a for-ma di trapezio irregolare e articolata su tre piani con scala centrale. Tutte le stanze sono comunicanti per mezzo di aperture, ma separa-te e distanti in quanto frappossepara-te a spazi vuoti a tutta alsepara-tezza.

(37)

− Sliding House (2009), dRMM, Inghilterra: casa unifamiliare ca-ratterizzata da una grande struttura esterna scorrevole. Le zone principali (dépendance degli ospiti e la casa) sono distribuite line-armente in volumi separati e con tetto a due falde spiovente, con il garage fuori asse. I tre volumi sono uniti da un guscio scorrevole di 20 tonnellate che scivola su di essi e modifica la configurazione esterna, ma anche la vista, la luce e l’atmosfera degli interni. L’u-so dell’involucro è dettato dai biL’u-sogni dei residenti, a seconda delle quantità di sole e calore desiderate con un semplice tocco di un tele-comando, con la possibilità di coprire/scoprire totalmente o anche in parte l’involucro vetrato della zona living e conseguentemente la terrazza o la corte a livello della copertura. L’estrema modifica-bilità deriva dall’utilizzo di determinati materiali, la parte scorre-vole è, infatti, una struttura unica costituita da un telaio in acciaio ed elementi portanti in legno, rivestimento in larice idrorepellente esternamente e in pannelli laminati all’interno, ospitando i motori elettrici nello spessore della parete. Ogni volume è inoltre ideato se-condo uno schema modulare.

(38)

Gli esempi fin qui riportati esplicano i princìpi del flexible design, ma occorre sottolineare la grande potenzialità di una progettazione flessibile integrata con la tecnologia della domotica. Proprio grazie alle nuove tecnologie e alle motorizzazioni di alcuni elementi, parti-colarmente gli arredi, si può raggiungere un grado di trasformabilità degli ambienti elevatissima; in spazi notevolmente ridotti si posso-no ricreare numerose configurazioni che rendoposso-no l’uso di un unico ambiente idoneo a diverse funzioni. Inoltre, la domotica facilita la funzionalità di queste soluzioni, permettendo con facili operazioni, come premere un pulsante o selezionare un’icona sul proprio smar-tphone, di poter modificare una cucina in una camera da letto. In seguito sono riportati due progetti che utilizzano soluzioni di questo tipo:

− Progetto MIA (2012), Claudio Lucchin & architetti associati, Bol-zano: modulo abitativo di 60 mq, che però offre il comfort e presenta gli ambienti tipici di un appartamento di 110 mq, capace di ospitare fino a 4 persone. Con un sistema di scorrimento posto sul soffitto si possono cambiare le disposizioni interne, espandendo o compri-mendo gli spazi.

“Avere ambienti flessibili consente una sostanziale diminuzione degli

sprechi in termini di superficie senza dover rinunciare a ciò che le

ti-pologie abitative tradizionali offrono. Il segreto è dare spazio ai singoli

ambienti domestici solo quando è realmente necessario”.

27

27 Cellucci, Di Sivo, 2016

(39)

− Life Edited Apartment (2010), Adrian Iancu e Catalin Sandu, New York: abitazione flessibile che utilizza la tecnologia e l’interazione tra l’utente e il monitor del computer per applicare la flessibilità. Le interazioni uomo-macchina si estendono fino a comprendere tutto lo spazio abitato e il grande schermo, le pareti, le attrezzature di una stanza.

“Si delinea un nuovo concetto di fisicità degli elementi che

compon-gono lo spazio abitativo, divenendo oggetti interattivi che superano i

criteri di standardizzazione e staticità orientandosi verso la

personaliz-zazione, la flessibilità e l’aggiornabilità”.

28

(40)

“L’approccio al progetto flessibile, adattabile e inclusivo supera l’idea

di ottimizzazione dello spazio in relazione alle funzioni perseguendo

innanzitutto la ricerca di una fruizione “uguale, semplice e sicura” (nel

rispetto dei sette princìpi della progettazione universale) e nello stesso

tempo attua una lettura delle specifiche esigenze degli utenti, attraverso

l’osservazione delle azioni in relazione allo spazio, agli oggetti

tecnolo-gici e agli elementi tecnico-costruttivi presenti nell’abitazione. Si

supe-rano le soluzioni di spazi indeterminati e generici per proporre spazi

personalizzabili per le singole esigenze”.

29

Da qui l’idea di utilizzare all’interno della progettazione dell’uni-tà abitativa, oggetto della presente tesi, i princìpi e le metodologie tipiche dell’Inclusive e, soprattutto, del Flexible design.

(41)

Domotica e tecnologia

(42)

Definizione

Il termine domotica ha origini francesi30 e corrisponde a un

siste-ma digitale integrato di gestione degli impianti in ambito domesti-co. Grazie alla sua struttura si aggregano i diversi sistemi e servizi di un edificio, in relazione ai reali bisogni dell’utente.

Da questa definizione si comprende quanto sia distorta l’immagi-ne della domotica diffusa l’immagi-nella società.

“Da un lato, si parla di sistemi chiusi, essenzialmente legati ai singoli

prodotti senza possibilità d’integrazione con altre realtà esterne;

dall’al-tro, di informazioni troppo tecniche e futuristiche, slegate dai reali

ser-vizi e dai benefici che la domotica può concretamente offrire”.

31

L’idea di domotica come una cosa astratta, complessa, relegata al futuro, molto costosa e spesso superflua è legata ad una mancan-za di conoscenmancan-za dell’argomento. Un sistema domotico è, infatti, un sistema che mediante la comunicazione tra i vari impianti, già pre-senti e utilizzati nelle abitazioni, li coordina, integrando le mancan-ze di uno e le eccedenmancan-ze dell’altro, e li adatta alle esigenmancan-ze specifiche dell’utente finale.

Gli elementi che distinguono un sistema di domotica sono: – Il controllo di tutti gli impianti. Nonostante tutti gli impianti dell’abitazione esistano con le proprie particolarità, essi sono gestiti dall’impianto domotico.

– L’integrazione. I vari sottosistemi si scambiano tra loro infor-mazioni e interagiscono secondo logiche comuni.

– La digitalizzazione dell’informazione. Le informazioni tra le componenti hanno un linguaggio binario, condizione neces-saria affinché i vari impianti comunichino tra loro.

Lo scopo deve essere quello di semplificare la gestione della casa. La semplificazione si ottiene, ad esempio, tramite l’utilizzo di un unico dispositivo, quale il proprio smartphone, per inviare comandi a qualsiasi impianto domestico, eliminando i numerosi interruttori, telecomandi e pulsanti, che comunque non permetterebbero la co-municazione da remoto.

È più nota la sua funzione di riduzione degli sprechi energetici, grazie al controllo dei carichi elettrici e alla razionalizzazione dei consumi, sia elettrici sia di gas. È possibile, infatti, con un impianto 30 Il termine domotica deriva dal francese domotique, unione della parola latina domus e di quella francese informatique (1988).

(43)

domotico definire una gerarchia tra i vari elettrodomestici e dispo-sitivi elettrici presenti in una casa, affinché essi entrino in funzione nelle ore della giornata che ci risultano più comode e che posso-no presentare consumi ecoposso-nomici inferiori. Un’altra applicazione in questo ambito è quella dei sistemi di illuminazione e di climatiz-zazione (detto anche HVAC), che possono essere azionati tramite sensori di presenza nelle singole stanze, evitando usi superflui degli stessi negli ambienti non utilizzati.

Un altro importante aspetto, il più rilevante per la progettazione in esame e per gli argomenti trattati nel capitolo precedente, è la maggiore flessibilità che un sistema domotico apporta all’abitazio-ne. Un esempio pratico è la possibilità di creare degli scenari, ossia delle configurazioni prescelte dall’utente che si attivano in casi de-finiti, ad esempio lo scenario “uscita” corrisponde all’attivazione di tutti i sistemi di sicurezza dell’abitazione, la chiusura di porte e fine-stre, lo spegnimento di tutte le luci e dell’impianto di riscaldamento. Vi è la possibilità di modificare e implementare il sistema anche suc-cessivamente alla sua realizzazione, semplicemente intervenendo sulla programmazione. Un caso banale è la possibilità di modificare il comando inviato da un pulsante, variandone la funzione; ciò può avvenire da remoto, senza interventi in casa di cablaggio o opere murarie.

Fig. 28 Esempio di interfaccia per il controllo dei carichi - http://www. nextworks.it/en/products/energy-ma-nagement

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Un ulteriore, seppur meno rilevante, aspetto è quello della scel-ta tra posscel-tazioni di comando di notevole valenza estetica, poiché il progettista può utilizzare forme e materiali differenti da quelli tradi-zionali, rendendo i punti di comando veri e propri elementi di arre-do.

Fig. 30 Pulsanti domotici prodotti da Ekinex - http://www.ekinex.com/prodot-ti_prodotti-da-parete-new-ff/nf_23.html

L’impianto domotico

Il modo più semplice per descrivere le differenze tra un impianto domotico e un impianto tradizionale è tramite un esempio pratico: in una configurazione tradizionale ogni impianto è indipendente e ogni pulsante è direttamente collegato ad una uscita, che può esse-re una lampadina o un radiatoesse-re, ecc.; nell’impianto domotico ogni sottoimpianto è collegato agli altri o tramite un cavo dedicato o per mezzo di rete internet, consentendo, per esempio, di impostare e modificare il comando che parte da un pulsante e anche di utilizzare le informazioni provenienti da un sottoimpianto per determinare o implementare il funzionamento di un altro.

Qualsiasi sia la dimensione e la funzionalità di un impianto do-motico, esso è sempre costituito da tre elementi:

– comandi, elementi che trasmettono l’ordine di eseguire una determinata operazione;

– attuatori, componenti che svolgono fisicamente una deter-minata operazione;

– mezzi trasmissivi, mezzi di trasmissione tra comandi e attua-tori.

Comandi

Esistono due tipologie di comandi, quelli di tipo manuale aziona-ti dall’utente, come i pulsanaziona-ti, e strumenaziona-ti di comando automaaziona-tici, come i sensori.

Pulsanti e interfacce pulsanti

Alcuni sistemi dispongono di pulsanti domotici, altri di interfacce

Fig. 31 Schemi rappresentativi dell’impianto tradizionale e domotico - http://www.slideshare.net/cosenza-Lab/i-concetti-chiave-della-domotica

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per contatti da installare dietro i pulsanti tradizionali per renderli domotici, gergalmente definiti ragnetti, ciò per garantire la scelta più ampia possibile del modello di pulsantiera da adoperare, in base alle preferenze dell’utente.

Una tipologia di pulsanti che incorpora l’interfaccia tra impianto e utente è il tastierino, la cui ultima evoluzione adopera la tecnologia touch screen. Oltre a motivi di ordine estetico, essi possono essere preferiti ai pulsanti tradizionali poiché offrono maggiore flessibilità nella programmazione e integrano diverse funzioni in un unico ele-mento, come sonde di temperatura o ricevitori per un telecomando.

Ultimi sostituti del pulsante sono lo smartphone e il tablet, che tramite un software riescono a gestire tutti i vari impianti e tutte le automazioni con un’interfaccia semplice e a misura dell’utente.

Fig. 32 Esempio di tastierino e tablet - http://www.fuolegaimpianti.it/tecno-logie.php?id=2

Sensori

I sensori sono comandi non direttamente azionati dall’utente e costituiscono i veri e propri “sensi” di un impianto domotico. Sono un elemento importante nella progettazione dell’impianto perché permettono il dialogo tra i vari impianti e il mondo esterno, ottimiz-zando in molti casi il funzionamento degli stessi. I sensori possono essere di diverse tipologie e misurare differenti parametri, come i sensori di temperatura, di presenza, di luminosità, di umidità dell’a-ria e stazioni meteo. Rientrano in questa categodell’a-ria anche i contatori digitali per la lettura dei consumi di acqua o gas e le centraline di controllo carichi per la lettura dell’assorbimento elettrico, compo-nenti importanti per raggiungere l’efficienza energetica.

Fig. 33 Esempi di sensori per la sicurezza, prodotti da D-Link - http://www. dlink.com/it/it/press-centre/press-releases/2015/september/03/smart-home-ifa

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delle finestre. La scelta tra le tipologie va fatta durante la fase di pro-gettazione e per quanto gli elementi da incasso rendano il cablaggio molto più semplice, la tipologia tradizionale permette una manu-tenzione più immediata e le successive riprogrammazioni più facili.

Fig. 34 Esempi di attuatori Konnex da guida DIN e da incasso, prodotti da Jung -https://www.jung.de/it/1025/prodotti/tecnologia/sistema-knx/attuato-ri-knx/

Gli attuatori si distinguono, in base alla funzione che svolgono, in: – Attuatori digitali, permettono due sole configurazioni, aper-ta (0) o chiusa (1). È l’attuatore più comune, utilizzato quando è necessaria la sola apertura e chiusura di un contatto, come nella gestione delle luci o per i comandi delle elettrovalvole. – Attuatori dimmer, specifici per la gestione dell’illuminazione e deputati alla regolazione dell’intensità luminosa di un qual-siasi corpo illuminante.

– Attuatori tapparella/veneziana, deputati al controllo di un motore, generalmente quello per la movimentazione di tap-parelle veneziane o tende, necessitano quindi di un comando “su” e uno “giù”; per le posizioni intermedie, utilizzate soprat-tutto negli scenari, solitamente si basano sul tempo necessa-rio al raggiungimento della configurazione prescelta.

– Attuatori analogici, sono in grado di controllare la tensione o l’intensità di corrente, quindi forniscono in uscita determinati valori elettrici. Sono, infatti, usati solitamente per il controllo carichi o in ambito terziario o industriale per la regolazione di dispositivi in tensione 0-10 V o 0-20 mA.

– Attuatori per fan coil, deputati al solo controllo diretto dei ventilconvettori (molto usati nel terziario).

– Attuatori per funzioni speciali, creati per svolgere funzioni specifiche che non rientrano nelle capacità di un attuatore tradizionale. Esempi sono l’attuatore infrarossi, che permette

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di gestire qualsiasi apparecchio che solitamente è comandato tramite telecomando, come un televisore o un condizionatore; o l’attuatore-amplificatore per la diffusione sonora, che per-mette di accendere e spegnere l’audio in una zona, regolarne il volume o selezionarne la sorgente.

Mezzi trasmissivi

La comunicazione tra comandi e attuatori avviene tramite una piattaforma fisica su cui circolano le informazioni. Attualmente esi-stono tre tipologie di mezzi trasmissivi:

– un cavo dedicato alla trasmissione dati, generalmente chia-mato cavo bus.32 È la soluzione più utilizzata in domotica e si

parla più specificatamente di bus di campo, che prevede tutti i componenti attivi dell’impianto, collocati ad una certa distan-za l’uno dall’altro (sul campo) e collegati da un unico canale che li mette in comunicazione. Ciò che attribuisce al cavo la definizione di bus non è la sua struttura, ma la funzione che svolge nell’impianto. Solitamente la tipologia di cavo utilizza-ta è un cavo a doppino twisutilizza-tato, cioè intrecciato, a un passo specifico, consentendo alle informazioni in transito di non su-bire modifiche dovute alle interferenze elettromagnetiche. – le onde radio, utilizzate soprattutto per eliminare il proble-ma del cablaggio, e quindi in quei progetti per cui è sconsiglia-to o impossibile un intervensconsiglia-to murario. Alcuni sistemi nascono per utilizzare unicamente le onde radio come mezzo trasmis-sivo, come nel protocollo ZigBee; ma il sistema wireless ha dei limiti, come la stabilità della comunicazione, che risente delle interferenze elettromagnetiche, la portata del segnale, che si attenua con la distanza, la durata delle batterie e l’inquina-mento elettromagnetico.

– il cavo di alimentazione elettrica, (230 V) che così svolge una duplice funzione e conseguentemente non necessita di altri cavi aggiuntivi. Sono, infatti, una soluzione alternativa per le opere già esistenti per cui non è possibile intervenire con ope-re murarie. Sono insiti nella doppia funzione le difficoltà e i li-miti nell’affidabilità della comunicazione, che deve cercare di coesistere con la trasmissione di corrente elettrica.

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Protocolli di comunicazione

L’impianto di domotica è quindi costituito da comandi e attuato-ri che si scambiano informazioni tramite un mezzo trasmissivo. Per poter, però, realizzare lo scambio di informazioni è necessario che tutti i dispositivi collegati all’impianto utilizzino lo stesso linguaggio per comunicare tra loro, il protocollo di comunicazione.

I protocolli presenti sul mercato sono molto numerosi e si distin-guono principalmente tra protocolli aperti e protocolli proprietari.

Protocolli aperti

I protocolli aperti possono essere usati da qualsiasi azienda e sono gestiti spesso da terzi che si occupano sia dello sviluppo tecni-co e tecni-commerciale del prototecni-collo, sia della certificazione di produtto-ri e componenti, per garantire l’interoperabilità dei prodotti.33

Il vantaggio di questo tipo di protocolli è che si può contare sul supporto di diverse aziende produttrici, sia per l’espandibilità dell’impianto, sia per scelta vastissima di prodotti presenti sul mer-cato in grado di rispondere in maniera precisa e adeguata alle esi-genze specifiche dell’utilizzatore finale. I protocolli aperti sono più stabili nella loro operatività, poiché per i tecnici è più semplice risa-lire ad eventuali errori e intervenire per risolverli.

Un linguaggio di questo tipo è tanto più valido quante più sono le aziende che lo adottano. È nato così il protocollo Konnex (KNX), il più diffuso in Europa.

Konnex, KNX

Konnex è un protocollo unificato aperto per la realizzazione di prodotti destinati alla domotica e alla building automation. È nato dall’unione delle maggiori multinazionali dell’installazione elettri-ca, che hanno così fondato uno standard condiviso per la comunica-zione tra componenti per la domotica. Questo protocollo è gestito dall’azienda Konnex, che oggi conta circa 300 produttori associati, fondata inizialmente come incorporazione di altri consorzi-proto-colli, quali DatiBus, EIB e EHS. Il consorzio cura non solo lo sviluppo dello stesso, ma la formazione dei system integrator, la certificazio-ne dei prodotti Koncertificazio-nex e la commercializzaziocertificazio-ne e lo sviluppo dei software di programmazione (ETS) e dei mezzi di comunicazione con i dispositivi.

Il Konnex nasce per supportare tutti e tre i mezzi trasmissivi, ma 33 Il concetto di protocollo aperto in domotica indica che la modalità con cui i com-ponenti dialogano tra loro è standardizzata e disponibile per tutti.

Fig. 35 Logo Konnex - https://it.wiki-pedia.org/wiki/KNX_(standard)

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a causa degli svantaggi delle onde radio e delle onde convogliate sul cavo elettrico, il mezzo trasmissivo d’elezione è il doppino twistato con una o due coppie (il cavo verde, ormai elemento identificativo dell’impianto Konnex). Il cavo bus, che parte da un alimentatore e collega fino a 64 dispositivi, costituisce il nucleo base di questo tipo di impianto e permette con il solo collegamento al bus di fornire ai vari dispositivi anche l’alimentazione di cui necessitano. Se il nume-ro di dispositivi fosse maggiore, si può, tramite un accoppiatore di linea, collegare un altro alimentatore e raddoppiare le componenti collegabili.

Congiungendo tra loro più linee Konnex, massimo 14, è possibile formare un’area Konnex, su cui si possono installare un massimo di 3810 componenti. Risulta evidente che con tale tipologia di impian-to si ha la possibilità di gestire un piccolo appartamenimpian-to come un grande centro commerciale.

Le funzioni principali di un impianto Konnex, essendo un proto-collo dedicato alla home & building automation, sono la gestione di illuminazione, clima, automazioni, impianti di sicurezza e multime-diali e della supervisione di tutto l’impianto, grazie alla quale l’uten-te si inl’uten-terfaccia all’impianto domotico.

Protocolli proprietari

I protocolli di comunicazione proprietari sono realizzati dalla stessa azienda produttrice dell’hardware, sono quindi un linguaggio adottato solamente dalle componenti di quello specifico produtto-re. È chiaro che tale linguaggio non può essere compreso da dispo-sitivi di altre aziende. Recentemente i vari produttori di protocolli proprietari hanno sviluppato delle interfacce tra il proprio bus e il protocollo TCP/IP, per gestire tutto tramite la rete di dati, consenten-do a qualsiasi PC, tablet o smartphone connesso alla rete di inviare e ricevere informazioni dal sistema. In questo modo, in un sistema costituito da più bus proprietari i singoli bus funzionano con il loro linguaggio e utilizzano il protocollo TCP/IP per comunicare tra loro. In realtà tale comunicazione è limitata e apparente, poiché anche se un utente riesce a utilizzare un’unica interfaccia per gestire tutti i diversi sistemi, essi non si scambieranno nessuna informazione tra loro, funzionando essenzialmente in maniera isolata.

Il vantaggio di questi protocolli è nel costo inferiore rispetto a quelli a protocollo aperto, ma vi sono svantaggi legati alla

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