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Correlazioni tra stile genitoriale e disturbi dello sviluppo in eta prescolare: uno studio col parent preference test

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Academic year: 2021

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CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN PSICOLOGIA CLINICA

E DELLA SALUTE

Tesi di Laurea

Correlazioni tra stile genitoriale e disturbi dello sviluppo in età prescolare: uno studio con il Parents Preference Test

Relatore: Candidato: Dott. Fabio Apicella Silvia Izzo

ANNO ACCADEMICO 2016-2017

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale Direttore Prof. Mario Petrini

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica

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Indice generale

Riassunto ... 4

Introduzione ... 6

Capitolo I. Uno sguardo nuovo alla relazione caregiver-bambino ... 8

1.1 La scuola di Ginevra: il ruolo della genitorialità nello sviluppo del bambino 9 1.2 La funzione genitoriale: fattori protettivi e fattori di rischio ... 11

1.3 Il modello di Palacio Espasa: fondamenti teorici ... 18

Capitolo II. Cerco Asilo: “Progetto per il sostegno e la cura delle relazioni a rischio nella Prima e Seconda Infanzia” ... 23

2.1 Chi siamo? ... 23

2.2 Principi dell’Infant Psychiatry e Assessment in età evolutiva ... 24

2.3 Diagnosi e restituzione ... 39

2.4 Intervento terapeutico ... 45

Capitolo III. Parents Preference Test ... 51

3.1 Presupposti teorici ... 51

3.2 Gli stili di parenting ... 53

3.3 Il PPT: caratteristiche generali ... 55

3.4 Struttura e dimensioni del PPT ... 56

3.5 Somministrazione e Scoring ... 60

3.6 Interpretazione ... 62

3.7 Il Parents Preference Test in letteratura ... 64

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Capitolo IV. Studio Clinico ... 67

4.1 Metodo ... 67

4.2 Descrizione del campione ... 68

4.3 Strumenti ... 71 4.4 Risultati...72 4.5 Discussioni e Conclusioni ... 78 Bibliografia ... 81 Sitografia ... 91

Indice Tabelle

Tabella 1.1 ... 33 Tabella 1.2 ... 69 Tabella 1.3 ... 75

Indice Grafici

Grafico 1 ... 70 Grafico 2a ... 72 Grafico 2b ... 73 Grafico 2c ... 73 Grafico 3a ... 76 Grafico 3b ... 76 Grafico 3c ... 7

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Riassunto

Intorno agli anni Settanta, con l’avvento dell’Infant Research, si comincia a porre maggiorattenzione allo sviluppo delle competenze cognitivo-relazionali che il bambino acquisisce nella prima infanzia, ed al ruolo che la comunicazione affettiva ed i legami di attaccamento con le figure genitoriali, rivestono nella regolazione delle prime interazioni del bambino col mondo circostante e nell’organizzazione del suo assetto psichico. In particolare negli Ospedali universitari di Ginevra, sempre a partire dagli anni Settanta, si realizza una vera e propria scuola di pensiero, che permette lo sviluppo di studi che indagano l’influenza che le proiezioni genitoriali possono avere inconsapevolmente sui bambini e l’importanza della risoluzione della conflittualità intrapsichica dell’adulto, quando questi si appresta a diventare genitore. Il processo genitoriale infatti può rappresentare un’ opportunità per rivivere una versione migliorata delle relazioni della propria infanzia o, al contrario, un modo per riattivare conflitti del passato infantile del genitore, attraverso la relazione attuale col figlio. Un modello che considera la rilevanza delle influenze genitoriali e familiari sullo sviluppo del bambino, è quello di Baiocco e colleghi (Baiocco, Laghi, Imbellone e D’Alessio, 2009; Baiocco et al., 2008). Tale modello si basa sull’ipotesi che la famiglia rappresenti il contesto principale per la crescita del bambino e identifica quattro dimensioni fondamentali, valutate dal Parents Preference Test, (Baiocco et al., 2008) che definiscono lo stile di

parenting: la focalizzazione dell’attenzione, la modalità esperienziale, la regolazione del comportamento e il livello di energia. Il Parents Preference Test è un test grafico a

scelta multipla, che utilizza immagini che rappresentano scene di vita familiare, al fine di valutare lo stile di parenting. L’obiettivo principale di questo test è quello di misurare caratteristiche universali e generali delle interazioni genitore bambino, permettendo così agli psicologi di entrare in contatto con queste difficoltà genitoriali e con le modalità educative messe in atto dall’adulto e individuare i punti di forza e debolezza di quello specifico sistema familiare, in vista di un potenziale trattamento futuro. Tale test è stato utilizzato per l’attuale ricerca, al fine di esplorare, attraverso un metodo osservativo, (ovvero un metodo che indaga le relazioni tra una o più variabili), le possibili correlazioni esistenti tra stile genitoriale, misurato col PPT, e il disturbo dello sviluppo nel bambino, misurato con Child Behavior CheckList, Parent Stress Index e Asse II e Asse V del manuale diagnostico CD:03. Nel concreto ciò è stato attuato reclutando un

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5 campione costituito da 34 genitori e da 20 figli del gruppo genitori, con un’età compresa tra gli 8 mesi e i 5 anni. Dall’analisi dei dati è emerso che non risulta alcuna correlazione significativa tra lo stile di parenting ed il disturbo dello sviluppo del bambino.

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Introduzione

La genitorialità è un costrutto estremamente vasto e complesso che, intorno agli anni Settanta, ha ampliato i suoi orizzonti sotto l’impulso della ricerca in campo evolutivo, basata su fondamenti teorici di stampo principalmente psicanalitico. Tali studi hanno evidenziato sempre più il ruolo e l’influenza che la genitorialità riveste nella crescita e nello sviluppo psichico del bambino. Le interazioni genitore bambino e le ripercussioni di tali dinamiche sul funzionamento del figlio, erano già state indagate, anticipando gli studi più recenti, dalla Teoria dell’Attaccamento (Bowlby 1991). Secondo tale modello, infatti, la capacità del bambino di riconoscere i propri stati emotivi e cognitivi, è ritenuto fondamentale per lo sviluppo di una adeguata comunicazione intrapsichica col proprio mondo interno, ed è al contempo influenzata dal tipo di accessibilità emotiva genitoriale di cui il bambino ha fatto esperienza nelle prime fasi della sua vita.

Nel primo capitolo di questo elaborato, è possibile approfondire la panoramica delle ricerche sul ruolo e sul processo genitoriale, focalizzando l’attenzione principalmente sugli studi condotti presso la Scuola di Ginevra, di cui uno dei maggiori esponenti è Palacio Espasa. Il modello teorico elaborato presso Ginevra si interroga sul modo in cui certe rappresentazioni genitoriali, appartenenti alla memoria dell’infanzia del genitore stesso, attraverso meccanismi di proiezione e identificazione, possono influenzare le dinamiche relazionali col bambino e l’identità psichica di quest’ultimo (Palacio Espasa, Knauer, 1996). Dall’integrazione di tali ricerche e di altri studi presenti in letteratura, è possibile comprendere in modo ancora più completo come la genitorialità, attraverso la presenza o l’assenza di abilità di condivisione e sintonizzazione affettiva (Stern, 1985) e cognitiva, possa rappresentare un vero e proprio fattore protettivo o di rischio per la crescita evolutiva del bambino, promuovendone o meno lo sviluppo di competenze metacognitive, percettive, socio-emotive e comportamentali (Mains, 1983; 1991; Kaplan, 1987; Fonagy, Target, 1996; 1997; Fonagy et al., 1995; 2002; Allen, Fonagy, 2008; Meins et al., 1998; 2001; Arnott, Meins, 2007; Arnott, 2008).

Una volta compresa l’importanza “teorica” del ruolo genitoriale nella crescita del bambino, è utile capire in che modo, nella pratica clinica, la genitorialità viene gestita nelle fasi di Assessment e Diagnosi del processo clinico. A tal proposito nel secondo capitolo si prende in considerazione il lavoro svolto presso il Cerco Asilo, un servizio

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7 facente parte della fondazione IRCCS Stella Maris, destinato all’accoglienza di bambini in età pre-scolare ( 0-5 anni). Questo centro ha il compito di promuovere processi di sviluppo adeguati, come la socializzazione e le capacità comunicative, attraverso il sostegno dell’intero nucleo familiare nell’accudimento del bambino.

L’importanza delle influenze genitoriali sullo sviluppo del bambino, è stato indagato anche dal modello di Baiocco e colleghi (Baiocco, Laghi, Imbellone e D’Alessio, 2009; Baiocco et al., 2008), il quale identifica quattro dimensioni fondamentali,

(Focalizzazione dell’attenzione, Modalità esperienziale, Regolazione del comportamento e livello di Energia) che definiscono lo stile di parenting, ossia

l’insieme di comportamenti messi in atto dal genitore, che cooperano al fine di promuovere lo sviluppo psicofisico, emotivo ed intellettuale dei figli. Le quattro dimensioni sopracitate sono valutate dal Parents Preference Test (Baiocco et al., 2008), uno strumento, come presentato dettagliatamente nel terzo capitolo, il cui obiettivo principale è quello di misurare caratteristiche universali e generali delle interazioni genitore bambino, individuando i punti di forza e debolezza del sistema familiare preso in carico, così da poter utilizzare tali informazioni anche per un potenziale intervento terapeutico.

Considerando il ruolo cruciale rivestito dal processo genitoriale nello sviluppo del bambino, e l’utilità del Parents Preference Test nel valutare ed identificare il profilo parentale del genitore, la mia tesi propone, nel quarto capitolo, uno studio osservativo che ha lo scopo di esplorare le possibili correlazioni esistenti tra stile di parenting, e sviluppo psicopatologico del bambino in età prescolare.

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Capitolo I. Uno sguardo nuovo alla relazione caregiver-bambino

Intorno agli anni Settanta, con l’avvento dell’Infant Research (ovvero la ricerca in campo evolutivo, stimolata da quesiti clinici, che ha tra i maggiori esponenti Daniel Stern), gli studi riguardanti le prime fasi dello sviluppo infantile hanno introdotto una sostanziale discontinuità rispetto a quelli precedenti; hanno permesso da un lato di porre maggior attenzione alle complesse competenze percettive, cognitive e relazionali che il bambino acquisisce in tale periodo e, dall’altro, di esplorare il ruolo che le dinamiche

relazionali e la comunicazione affettiva con le figure genitoriali rivestono nella

regolazione delle prime interazioni del bambino con l’ambiente circostante e nell’organizzazione del suo mondo intrapsichico. Tali studi, che evidenziano una capacità comunicativa precoce del bambino, hanno portato ad una rivalutazione dei ruoli materno e paterno, per quanto riguarda la loro responsività ai segnali del bambino stesso. Il concetto di responsività dei caregivers, definito dalla teoria dell’attaccamento come “risposta pronta e adeguata ai bisogni del bambino”, viene così ampliato e collegato alle modalità con cui i genitori si rappresentano i propri stili di attaccamento interiorizzati, passati e attuali ( Haft, Slade, 1989), evidenziando l’importanza del ruolo genitoriale nella promozione della crescita del bambino. Nello studiare la responsività materna nel corso del primo anno di vita del bambino, la ricercatrice Mary Ainsworth sottolinea, anticipando gli studi attuali, la dimensione relazionale e comunicativa della relazione diadica, legando la capacità della madre di accogliere e comprendere le comunicazioni emotive da parte del bambino e quella del bambino di esprimere i propri bisogni fisiologici ed affettivi. L’importanza della comunicazione affettiva nell’ambito della teoria dell’attaccamento è stata sottolineata contemporaneamente da Bowlby (1991). La capacità del bambino di riconoscere gradualmente i propri stati emotivi è ritenuto infatti fondamentale per lo sviluppo di una adeguata “comunicazione intrapsichica col mondo dei propri affetti”, ed è al contempo influenzata dal tipo di “accessibilità emotiva” genitoriale di cui il bambino ha fatto esperienza nelle prime fasi della sua vita. Qualora non vi sia disponibilità emotiva da parte della madre, ciò può contribuire alla messa in atto da parte del bambino, di comportamenti difensivi (Main, 1995b). La psicologa statunitense Mary Main, a tal proposito, analizza i pattern di attaccamento insicuro, evidenziandone il ruolo difensivo di fronte all’inaccessibilità emotiva materna. Secondo tale prospettiva teorica, l’attaccamento insicuro evitante,

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9 osservabile nella Strange Situation attraverso l’evitamento da parte del bambino del contatto col genitore che rientra nella stanza, si fonderebbe su una “parziale deattivazione” del sistema di attaccamento, in seguito allo spostamento del suo focus attentivo dal genitore rifiutante all’ambiente che lo circonda; quello insicuro ambivalente, caratterizzato dalla ricerca del contatto affettivo e dal rifiuto del genitore, si fonderebbe invece su una “massimizzazione del sistema di attaccamento”, espressa tramite una eccessiva vigilanza verso il genitore e al contempo un ridotto interesse per il mondo esterno (Cassidy, Berlin, 1994). Infine nell’attaccamento insicuro disorganizzato si noterebbe l’incapacità di pianificazione strategica da parte del bambino, a fronte di un genitore imprevedibile e terrorizzante. La relazione di attaccamento usata come strategia difensiva permetterebbe quindi al bambino di conservare, nell’unico modo percepito come possibile, il legame col genitore inaccessibile emotivamente, così da mantenere integro il proprio Sé con la costruzione di una “sicurezza secondaria” e al contempo, proteggere lo stato mentale di tipo difensivo del genitore, derivante dalla sua esperienza relazionale (Main, 1995a ).

1.1 La scuola di Ginevra: il ruolo della genitorialità nello sviluppo del

bambino

Le ricerche più recenti sull’attaccamento hanno permesso di stabilire una correlazione tra le strategie difensive messe in atto dal bambino e quelle messe in atto dai genitori circa il loro stesso attaccamento, ipotizzando anche una trasmissione “transgenerazionale” dei legami di attaccamento. In ambito più specificatamente clinico, altre ricerche nel campo della psicanalisi, hanno sottolineato il ruolo svolto dalla madre durante le prime forme di espressione del bambino (Bollas, 1987; Cramer, Palacio-Espasa, 1993). In particolare negli Ospedali universitari di Ginevra, a partire dagli anni Settanta si realizza una vera e propria scuola di pensiero, grazie alla stretta collaborazione tra psichiatri infantili, asili nido e pediatri, che permette lo sviluppo di studi sui disturbi precoci dei bambini, (come ad esempio del sonno, dell’alimentazione o del comportamento) e sulle difficoltà più o meno transitorie della genitorialità. E’ emerso dagli stessi studi l’influenza che le proiezioni genitoriali possono avere inconsapevolmente sui bambini, anche prima che questi siano nati e l’importanza della

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10 risoluzione della conflittualità intrapsichica del genitore, nel momento in cui, come scrive Natalie Nanzer, “vivono il lutto di non esser più solo figli”. Secondo tale prospettiva, la gravidanza espone ad intense emozioni contraddittorie, tra sentimenti legati al nuovo ruolo di genitore e il lutto per la propria infanzia, definito “lutto evolutivo”. Per la madre i cambiamenti fisiologici e corporei sono accompagnati da sconvolgimenti affettivi e slatentizzano una sensibilità emotiva complessa e delicata. Il dare alla luce un bambino, al contempo parte di sé e differente da sé, completamente dipendente dalla propria disponibilità emotiva, fa sì che riemergano sogni, paure, ricordi della propria infanzia e si affianchino a nuovi sentimenti, legati ad una realtà diversa e imminente. In questa fase oscillano sentimenti di impotenza e onnipotenza, debolezza e forza; ricordi che si fondano su una buona autostima e fiducia in se stessi sono considerati protettivi nel corso della gravidanza e del futuro parto, e creano un terreno fertile all’incontro dei genitori col proprio figlio. Al contrario, “fantasmi” di tipo ansiogeno ed apprensivo possono predisporre all’insorgenza di sentimenti depressivi, sia prima che dopo il parto. L’attesa per la venuta al mondo di un neonato, infatti, impone un inevitabile confronto con se stessi, con le proprie risorse e vulnerabilità. Al momento della nascita di un bambino, quest’ultimo manifesta subito delle caratteristiche personali e temperamentali che portano il genitore a sperimentare il cosiddetto “effetto dell’incontro”, ovvero il confronto tra il bambino reale e le previsioni costruite attorno a quello fantasmatico pre-parto. In ambito clinico la conoscenza dei fantasmi legati alla genitorialità risulta essenziale sia durante un lavoro psicoterapeutico centrato sulla genitorialità, sia nella valutazione dell’influenza che le rappresentazioni genitoriali possono avere sulla costruzione del mondo intrapsichico del bambino. La scuola di Ginevra, a tal proposito, si interroga sul modo in cui certe rappresentazioni simboliche appartenenti alla memoria del bambino stesso, attraverso meccanismi di proiezione e identificazione, possano riprendere tematiche particolari appartenenti ai genitori (Palacio Espasa, Knauer, 1996).

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1.2 La funzione genitoriale: fattori protettivi e fattori di rischio

L’adattamento alla realtà e la scomparsa di ideali e desideri illusori, permette ai genitori di accogliere il nascituro così com’è, in un clima che promuove l’emergere di un senso di Sé funzionale e integro. Diversi modelli, a partire dall’osservazione diretta del bambino in presenza del genitore, hanno evidenziato quelli che oramai sono considerati “ingredienti fondamentali” per la costituzione di un mondo intrapsichico funzionale nel neonato.

In primo luogo, la sensibilità del genitore, cioè la capacità di esser continuamente consapevole delle comunicazioni implicite del bambino, gioca di certo un ruolo rilevante nello sviluppo del bambino. Genitori molto sensibili sono in grado di percepire anche i segnali più impercettibili del figlio, altri invece, solo quelli più ovvi ed osservabili. Di solito un genitore con una buona competenza percettiva circa le esigenze del bambino, ha anche una buona capacità di interpretarli in maniera adeguata, senza che subentrino distorsioni dovute alla propria emotività, dando prova di possedere una buona comprensione prettamente cognitiva. Tuttavia, affinché il genitore sia in grado di rispondere sensibilmente ai bisogni del figlio, è necessario che sia capace di condividere emotivamente il suo punto di vista, i suoi sentimenti ed i suoi desideri. Questo livello di condivisione, viene definito da Stern, psichiatra e psicanalista statunitense,

sintonizzazione affettiva, per intendere la capacità della madre e del bambino di

riconoscere gli stati affettivi reciproci, in seguito a segnali corporei e comportamentali. E’ differente dall’empatia, in quanto è un processo automatico ed inconsapevole (Stern, 1985). Altri autori hanno parlato di Ruolo di rispecchiamento della madre e di

risonanza affettiva. Nel primo caso si fa riferimento al ruolo materno nel

soddisfacimento dei bisogni del bambino, che poco a poco si riduce, in concomitanza della capacità crescente del bambino di tollerare le frustrazioni che la realtà comporta (Winnicott, 1965). In modo analogo, parlando di Risonanza emotiva, Trevarthen afferma che le espressioni emotive del bambino hanno una risonanza sulla madre, e ciò permette a quest’ultima di interpretarle e far sì che il bambino adoperi tali espressioni in modo attivo, per mantenere il legame di attaccamento con lei. Indipendentemente dalle definizioni, tale processo di condivisione emotiva riveste un ruolo fondamentale nei processi di riconoscimento e regolazione emotiva. La capacità di riflettere sugli stati

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12 emotivi propri ed altrui, è stata definita da Peter Fonagy funzione riflessiva. Ha una funzione protettiva nello sviluppo dell’aggressività nel bambino, in quanto fornisce una sorta di feedback sociale (Fonagy et al., 2002); se è deficitaria, infatti, “può spingere il bambino ad usare il proprio corpo invece che la mente” (Fonagy 1997). L’esito di questi processi di elaborazione interna al caregiver si esprime in comportamenti osservabili circa la qualità di risposta che il genitore è in grado di dare al bambino, definita

responsività. Gli indicatori di responsività sono i seguenti: a) la latenza di risposta;

soprattutto nei primi tre mesi di vita è fondamentale la prontezza di risposta del genitore ai bisogni del bambino, infatti una risposta adeguata, ma ritardata, può non essere percepita dal figlio contingente al segnale esternato e questo può avere ripercussione sulla costruzione del suo senso di autoefficacia; b) L’appropriatezza della risposta circa il contenuto della comunicazione ;il pianto, ad esempio, può stare ad indicare sonno, fame, desiderio di affetto, e se il genitore non riesce a decifrare il bisogno del bambino, ciò potrà minare la sua capacità di affidarsi ed avere fiducia nel caregiver; (nel concreto, se il bambino piange perché ha fame e tale segnale viene decodificato dalla madre come bisogno di dormire, il bambino, col tempo, assocerà il senso di fame ad un ritiro in sé, con tendenza all’addormentamento); c) l’intensità della risposta, la quale non deve essere ne iper ne ipostimolante; la sua completezza; una risposta adeguata risulta infatti soddisfacente per il bambino. A seconda delle competenze presentate dal caregiver riguardo alla sensibilità e alla responsività, si potranno evidenziare vari livelli di

sintonia interattiva (Field, 1985; Stern, 1985; 1998; Siegel, 2001), che riflettono una

corrispondenza tra stati psicobiologici del genitore e quelli del bambino e sono indicatori di come gli stati intrapsichici vengono espressi e condivisi (Siegel, 2001; Tronick, 1989). Alla luce dei fattori sopracitati, possiamo individuare tre principi regolatori dello sviluppo del Sé del bambino e della relazione genitore- bambino, che permetteranno l’alternanza fisiologica di fasi di buona coordinazione affettiva e fasi caratterizzate da stati mal coordinati. Il primo è la regolazione attesa che, infatti, associa fortemente l’autoregolazione alla regolazione interattiva triadica, che include madre, padre e bambino (Elizabeth Fivaz-Depeursinge 1999). Il secondo è il principio della rottura e riparazione, per cui le aspettative del bambino circa il comportamento del genitore, non vengono assecondate, adottando uno stile troppo distaccato o invischiato nei suoi confronti, per cui invece che sperimentare riparazioni alla

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13 violazione delle aspettative, il bambino verrà a contatto con la mancata risoluzione di tali rotture. L’ultimo è quello dei momenti affettivi intensi in cui il bambino sperimenta le variazioni possibili del proprio stato psicologico, da momenti simbiotici a momenti di frustrazione; fanno parte del vissuto esperienziale di ogni bambino. Considerando questi tre principi come una “gerarchia della regolazione interna” del bambino, si può avere una comprensione più completa delle rappresentazioni interne che si costituiscono nella prima infanzia e della loro organizzazione.

Spostandosi dal piano del comportamento osservabile al funzionamento interno del genitore, è possibile evidenziare che la storia infantile del genitore influisce sulla sua capacità di entrare in relazione col bambino. Meins (1997) parla di mind-mindedness per intendere la capacità del genitore di riconoscere il figlio come “portatore di stati interni” e “agente mentale” dotato di rappresentazioni proprie della realtà; un genitore disposto ad esplorare la mente del proprio bambino sembrerebbe favorire lo sviluppo di un attaccamento sicuro, di un senso di autoefficacia e di empatia. In modo analogo Oppenheim e collaboratori (Koren-Karie et al., 2002; Oppenheim, Koren-Karie, 2002) parlano di insightfulness materna per riferirsi alla capacità del caregiver di comprendere, accogliere ed accettare i bisogni, le motivazioni del figlio, conferendogli un significato, evidenziando una correlazione positiva con l’attaccamento sicuro e con le capacità del bambino di sviluppare competenze metacognitive, come la distinzione tra apparenza e realtà e la comprensione della mente altrui (Mains, 1983; 1991; Kaplan, 1987; Fonagy, Target, 1996; 1997; Fonagy et al., 1995; 2002; Allen, Fonagy, 2008; Meins et al., 1998; 2001; Arnott, Meins, 2007; Arnott, 2008).

Molti studi hanno indagato la presenza o assenza di correlazione tra funzione affettiva ed educativa del genitore e sembra che “educare senza amare” e viceversa, risulti impossibile (Lambruschi, Muratori, 2013), in quanto entrambe contribuiscono allo sviluppo e all’organizzazione del sé del bambino. Il nucleo familiare, infatti, rappresenta la prima prova di socializzazione, moralità e prosocialità con cui il bambino si confronta (Bacchini, 2011; Barone, Bacchini, 2009). Nelle diadi sicure la madre tende a mettere in atto comportamenti responsivi, senza il bisogno di assumere il controllo o di imporsi in maniera coercitiva, e il bambino sarà quindi in grado a sua volta di tollerare emozioni di rabbia e frustrazione, senza percepire il rischio che queste si

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14 trasformino in senso di minaccia, ansia e umiliazione. Nei modelli di attaccamento insicuro, al contrario, la rabbia può diventare l’unica modalità percepita possibile per gestire e regolare la relazione.

Da quanto emerso sino ad ora, possiamo quindi affermare che la presenza di una relazione sensibile ed empatica tra genitore e bambino sembra contribuire in modo significativo allo strutturarsi delle rappresentazioni interne del bambino di sé e del mondo, e al suo sviluppo cognitivo, neuropsicologico, prosociale e morale (Carlson, Sroufe, 1995; Cassidy, 1994; Cassidy, Shaver, 2008; Kobak et al., 2006; Sroufe et al, 2005; Thompson, 2000; Zeanah, 2009). Tutto ciò funzionerà come importante fattore protettivo lungo l’intero percorso evolutivo del bambino, riducendo la possibilità che si manifestino comportamenti disfunzionali, specialmente nei momenti critici della relazione genitore bambino, come la nascita e l’adolescenza.

Cosa accade quando invece il bambino cresce all’interno di un contesto familiare non adeguato e la genitorialità è a rischio? Da alcuni studi emerge un’influenza significativamente negativa su varie dimensioni dello sviluppo del bambino, come le competenze relazionali, prosociali, morali, lo sviluppo emotivo e le capacità di ragionamento ( Nelson et al., 2007), fino ad un coinvolgimento neurobiologico del bambino (Lewis et al., 2007; Bruce et al., 2013). Per quanto riguarda la psicopatologia dello sviluppo, gli stili di attaccamento insicuro possono essere considerati fattori di rischio significativi per la salute intrapsichica del bambino, soprattutto se in concomitanza con condizioni neurobiologiche ed ambientali negative (Greenberg, 1999; Kobak et al., 2006; Sroufe et al., 2005; Lambruschi, Muratori, 2013; Lambruschi, Ruggerini, Ciotti, 2014). Un dato che si riscontra spesso in letteratura è quello riguardante le popolazioni di bambini maltrattati (abuso fisico, psicologico, trascuratezza); questi ultimi mostrano una elevata percentuale di attaccamento insicuro e disorganizzato (80-85%) e i genitori, a loro volta, presentano modelli interni disorganizzati (Howe, 2005). Sembra si possa parlare di una vera e propria “trasmissione generazionale del trauma”, alla base della quale vi sarebbe il seguente meccanismo: genitori abusanti e maltrattanti non sono in grado di rispondere adeguatamente ai bisogni espressi dal bambino, in quanto tali richieste riattivano conflitti irrisolti con le figure significative della propria infanzia (Lyons-Ruth,

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15 Jacobvitz, 2008), arrivando, nei casi più gravi, ad episodi di figlicidio (Barone et al., 2014), in cui tali rappresentazioni genitoriali negative sono presenti in misura maggiore. Nella popolazione “non maltrattante” la presenza di traumi e conflitti irrisolti del passato sembra aumentare il carico di stress percepito, influenzando negativamente la gestione e la regolazione della relazione col bambino (Brusch, Cowan, Cowan, 2008; Lionetti, Pastore, Barone, 2015).

Per una miglior comprensione dei fattori di rischio intergenerazionali in contesti maltrattanti, il contributo va a Lyons Ruth e collaboratori (Lyons-Ruth et al., 2005), il quale parla di stato della mente hostile/helpless (“ostile-impotente”), e di attaccamento

irrisolto su base traumatica (Hesse, 2008). Le rappresentazioni genitoriali di tipo

ostile-impotente si riferiscono all’immagine di un genitore aggressivo ed abusante, con cui, paradossalmente, il soggetto da un lato si identifica in età adulta e dall’altro svaluta e disapprova, non riuscendo quindi ad elaborare una rappresentazione coerente e ben integrata, per quanto dolorosa, degli eventi passati della propria vita. Questa condizione di mancata elaborazione del trauma, porta ad una disregolazione della relazione col bambino, il quale a sua volta , interiorizza rappresentazioni contraddittorie, aumentando il rischio che si sviluppi, nella prima infanzia, un attaccamento disorganizzato ( Main, Cassidy, 1988; Wartner et al., 1994; Hennighausen, Lyons-Ruth, 2005; Hesse et al., 2003; Lyons-Ruth, Jacobvitz, 2008) e costituendo la “via di trasmissione principale delle vulnerabilità di genitore in figlio” (Crittenden 1997 a, 1997b, 1999, 2008). La mancata elaborazione del trauma può emergere in momenti specifici della relazione genitore bambino; la Scuola di Ginevra ne ha evidenziati almeno due: la nascita e l’adolescenza. Al momento della nascita del bambino, infatti il genitore è inevitabilmente portato a confrontarsi con la realtà traumatica vissuta durante l’infanzia; si tratta di una fase estremamente delicata, in quanto possono aver luogo facilmente proiezioni negative, sensi di colpa verso il bambino.

Gli eventi traumatici concreti più frequenti sono:

 Sentimenti di panico durante il parto o nei momenti immediatamente successivi;  Lutto concomitante alla nascita del bambino;

 Ricordi legati alla morte precedente di un figlio o di un bambino;  Isolamento sociale significativo del genitore;

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16  Preoccupazioni psicosociali, con conseguente mancanza di piacere per la

nascita;

Per quanto riguarda gli eventi psichici traumatici più frequenti, si possono riscontrare:  Lutti patologici;

 Conflitti precoci irrisolti riemersi;

 Forte ambivalenza nei confronti del bambino reale;  Conflitti familiari tra persone presenti e fantasmatiche.

L’adolescenza, essendo una fase “rivoluzionaria” per la crescita individuale, con l’entrata nella sessualità e una costituzione più stabile della propria personalità, può rappresentare un momento in cui si attivano meccanismi di identificazione proiettiva del genitore verso il bambino, perciò rappresenta una fase molto delicata per la relazione diadica e triadica, specie quando il passato del genitore è costellato da eventi traumatici o maltrattanti (abuso fisico, o psicologico, etc..).

Per quanto riguarda, invece, contesti caratterizzati da trascuratezza, si possono osservare i dati inerenti a bambini che crescono in istituto, in assenza di un genitore accudente ed affettivo. Anche in questa popolazione di bambini si evidenzia un elevato rischio di attaccamento insicuro e disorganizzato, con un aumento “a cascata” della vulnerabilità a futuri eventi negativi (Bowlby, 1988; Barone, 2007; Lanius, Vermetten, Pain, 2010). Rimanendo in un’area “non maltrattante”, è possibile citare dei dati provenienti da studi condotti nei kibbutz, ovvero nelle comunità presenti in Israele (Aviezer et al., 1994), che mostrano cosa accade quando il caregiver è assente in un periodo di potenziale vulnerabilità nella quotidianità del bambino, ovvero durante le ore notturne. In alcuni kibbutz infatti, è usanza portare i bambini in case adibite al sonno notturno, gestite, a rotazione settimanale, da donne che vi trascorrono la notte e si prendono cura dei bambini durante l’infanzia. E’ emerso che proprio questa variabile (sonno notturno non condiviso in casa con le proprie figure genitoriali, non la variabile kibbutz di per sé) sembra aumentare la probabilità di sviluppare uno stile di attaccamento insicuro (Aviezer, Sagi, van Ijzendoorn, 2002). Gli stessi bambini, raggiunta l’età adulta affermano di non possedere ricordi infantili significativi, per quanto concerne la relazione coi propri genitori (Tikotzky et al., 2010), rimarcando

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17 l’importanza della figura genitoriale, intesa come presenza costante, amorevole e sufficientemente sensibile, soprattutto in momenti critici per lo sviluppo intrapsichico del bambino.

Da quanto emerso sino ad ora, possiamo affermare che la genitorialità “conta”, è un ruolo impegnativo, che richiede specifiche capacità di cura e di sostegno (Bornstein, 2005). E’ indubbio che anche l’assetto neuro-psicobiologico del bambino ed i fattori ambientali giochino un ruolo rilevante, generando circoli viziosi che si autoalimentano vicendevolmente. E’ emerso da alcuni studi che il contesto ambientale in cui il bambino cresce, può rappresentare un fattore protettivo in presenza di una vulnerabilità neurobiologica (Lambruschi, Muratori, 2013). A tal proposito studi che esaminano sia le variabili individuali che ambientali, avanzano l’ipotesi che avere un temperamento “difficile” non determina inevitabilmente la qualità negativa dello sviluppo, ma agisce in concomitanza con l’ambiente, aumentando o diminuendo la vulnerabilità del bambino alle influenze esterne (Belsky, Pluess, 2009; Lionetti, Pluess, Barone, 2014). Bambini con temperamento difficile, ad esempio, mostrano una minor presenza di comportamenti disfunzionali, se cresciuti in ambienti positivi, mentre esternano comportamenti oppositivi quando collocati in contesti inappropriati. L’influenza delle cure materne e del contesto di sviluppo risulta quindi influente in modo significativo; la qualità della relazione affettiva interagisce con la qualità dello sviluppo morale, educativo e sociale del bambino (van Aken et al., 2007; Kochanska, Aksan, Joy, 2007; Ramchandani, van Ijzendoorn, Bakermans-Kranenburg, 2010), evidenziando il potenziale rischio di creazione di un circolo vizioso tra vulnerabilità genitoriale e del figlio (Neece, Green, Baker, 2012).

Per concludere è possibile citare le parole di John Bowlby, (1989) il quale afferma che

“l’immagine che il bambino si costruisce, riflette le immagini che i suoi genitori hanno di lui, le immagini che gli sono comunicate, le modalità di comportarsi con lui e di rivolgersi a lui. Questi modelli organizzano i suoi sentimenti, le sue aspettative, i suoi comportamenti. Organizzano, inoltre, le sue paure e i desideri presenti nei suoi sogni”.

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18

1.3 Il modello di Palacio Espasa: fondamenti teorici

 La personalità adulta

Un presupposto per la comprensione delle teorie sviluppate dalla Scuola di Ginevra sui temi della genitorialità ed i suoi conflitti, è la presentazione del modello generale di organizzazione della personalità sui cui si basa. Secondo tale modello, ogni persona possiede un proprio funzionamento psicologico, classificabile in tre livelli di organizzazione. Il primo livello riguarda il temperamento, ovvero l’insieme di tratti innati che l’individuo eredita alla nascita. Il secondo livello è caratterizzato dagli elementi costitutivi della personalità, come ad esempio le rappresentazioni interne, il mondo intrapsichico, i conflitti infantili; si tratta per lo più di elementi sottratti alla coscienza e influenzati dagli stili relazionali precoci. L’ultimo livello ha a che fare con gli aspetti di cui l’individuo è consapevole, comportamenti, interazioni con sé e gli altri e sono influenzati da fattori esterni come lutti, eventi traumatici etc..

Riprendendo la teoria di Melanie Klein, in ogni individuo possiamo riscontrare due tipi di funzionamento, uno più primitivo, definito dalla Klein “posizione schizoparanoide”, caratterizzato da relazioni oggettuali ancora parziali e da meccanismi di difesa primitivi, come la proiezione o la scissione, ed un funzionamento più evoluto, adulto, definito “posizione depressiva”, caratterizzato da relazioni oggettuali totali, dalla capacità di tollerare l’ambivalenza, le frustrazioni, con maggior flessibilità. La posizione schizoparanoide rappresenta la parte non integrata della personalità, mentre la posizione depressiva la parte integrata, ed entrambi coesistono in ogni personalità e vengono messi in atto nelle relazioni quotidiane, nella relazione genitore-bambino e nella relazione transferale con il terapeuta. A seconda delle esperienze di vita e relazionali, vi sarà una oscillazione tra i due tipi di funzionamento, che varia a seconda della struttura di personalità.

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19  Il processo genitoriale

La genitorialità è un processo che nasce da ognuno dei tre livelli di personalità sopracitati e solo dando la giusta importanza soprattutto al secondo (personalità) e al terzo (aspetti consci), è possibile capire in che modo la struttura di personalità è modellata nel momento in cui l’adulto assume il ruolo di genitore. Come già accennato in precedenza, durante il periodo perinatale il genitore vive un consistente “movimento regressivo”, che lo porta a confrontarsi con i propri vissuti e conflitti infantili, portando alla formulazione di domande che indagano la propria identità di genitore (“Che tipo di genitore sarò?”) e attraverso una alternanza di meccanismi di proiezioni ed identificazioni, si costruisce l’ immagine genitoriale. La nascita di un bambino provoca la ripetizione di storie passate precoci e rivela scenari inconsci preesistenti che potrà, attraverso le sue caratteristiche funzionali, influenzare e trasformare. Altre tappe dello sviluppo del bambino possono rievocare conflitti psichici inconsci nel genitore, come ad esempio l’inizio della scuola, con la conseguente riattivazione dell’angoscia da separazione; l’adolescenza può riattivare eventi ed elementi legati all’adolescenza del genitore stesso. Il processo genitoriale è costellato dalla presenza di “lutti evolutivi” per oggetti realmente scomparsi (come membri della famiglia) e per oggetti fantasmatici (rappresentazioni genitoriali idealizzate o demonizzate). Se tali lutti vengono adeguatamente elaborati, la genitorialità diventa una opportunità di rivivere una versione migliorata della relazione genitore bambino mancata, o conflittuale del passato infantile del genitore. Al contrario, se tali momenti critici non sono correttamente risolti, possono trovare espressione nelle relazioni col proprio bambino, il quale avrà il compito di “riparare” le esperienze infantili a cui il genitore non riesce a rinunciare, compensando o nascondendo le perdite non accettate.

 I conflitti genitoriali

E’ possibile distinguere vari tipi di conflitti interni della genitorialità.

 La genitorialità “normale”

Si tratta di genitori con meccanismi di identificazione e proiezione flessibili ed “esternalizzanti” (Grodstein 1981) sul bambino, cioè caratterizzati da immagini e contenuti positivi, legati a persone significative del passato, verso le quali si nutrivano

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20 sentimenti di amore e affetto. Facilitano lo sviluppo intrapsichico del bambino e la presenza di empatia nella relazione, in quanto permettono al genitore di assumere il punto di vista del bambino, identificandosi con lui, ma anche col bambino che sono stati, capace di esternare amore, fermezza ed anche rabbia. Col passare del tempo tali immagini e ricordi svaniscono, permettendo al genitore di riconoscere il bambino così com’è, con le sue caratteristiche personali. Le persone che hanno interiorizzato questo tipo di genitorialità appaiono riconoscenti ai propri genitori per il modo in cui le hanno cresciute, sono capaci di esternare rabbia e di accogliere quella del bambino, senza che ciò metta in discussione la relazione; possono presentare sentimenti di frustrazione o di paura di non esser all’altezza, anche se per momenti brevi, senza che venga intaccata l’idea di poter essere un buon genitore, pur non essendo perfetto.

 La genitorialità “nevrotica”

In questo caso, la nascita del bambino offre ai genitori la possibilità di “riscrivere la loro storia infantile”, attraverso un processo di diniego di vissuti di privazione o frustrazione esperiti da bambini. Le identificazioni proiettive sono “esternalizzanti ed empatiche”, ma da un lato forzano inconsapevolmente il bambino ad identificarsi con tali immagini proiettate (figlio coccolato che il genitore avrebbe voluto essere) e dall’altro il genitore si identifica con l’immagine di un genitore ideale, presente, tollerante e affettuoso, così da riparare le rotture vissute durante l’infanzia. Si tratta di un narcisismo genitoriale “antidepressivo” (“narcisismo maniacale”: Manzano, Palacio Espasa, 2005), il cui scopo è quello di evitare sentimenti negativi e frustranti, non quello di distruggere la vita psichica del bambino, come accade nella conflittualità genitoriale narcisistica. I meccanismi della genitorialità nevrotica sono riscontrabili anche verso lo psicoterapeuta, sul quale viene proiettata una immagine genitoriale affettiva e tollerante, permettendo la costruzione di un “pre-transfert positivo”. La gravità delle difficoltà all’interno della relazione col bambino è proporzionale al grado di idealizzazione, ovvero di narcisismo genitoriale, delle immagini proiettate sul bambino. Si tratta di conflitti rilevabili nei disturbi del sonno, dell’alimentazione, del comportamento, e nelle difficoltà di separazione. I genitori che presentano tale conflittualità appaiono soddisfatti della propria infanzia, costellata di amore, ma non perfetta; desiderano che il

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21 proprio figlio possa vivere l’infanzia idealizzata che loro non hanno avuto, rendendo il bambino portatore dell’ideale genitoriale.

 La genitorialità “masochista”

Questo tipo di conflittualità appare quando i lutti evolutivi del genitore non sono elaborati e carichi di sensi di colpa. Si riscontrano principalmente in due casi:

1. Il genitore ha avuto genitori con tendenze depressive, per cui la sua infanzia è caratterizzata da un’immagine di sé come “bambino difficile” che ha reso i genitori depressi;

2. Il genitore ha sperimentato il proprio nucleo familiare come abbandonico, umiliante ed ha accumulato sentimenti di rivalsa e desiderio di cambiare i suoi genitori.

Questi genitori tendono a proiettare sul figlio l’immagine di un bambino difficile, come si percepivano a loro volta nell’infanzia e ad identificarsi con un’immagine genitoriale che è vittima dei continui attacchi del figlio e che si sottomette a tale aggressività per un bisogno di “espiazione masochista”. Le identificazione proiettive indirizzate al bambino sono ancora “empatiche”, ma estremamente “costrittive”, incrinando il rapporto col bambino, il quale tende a manifestare disturbi comportamentali più gravi, come ad esempio disturbi dell’umore. Come per la genitorialità nevrotica, questi genitori presentano un “pre-transfert positivo” verso il terapeuta, tuttavia si tratta di persone estremamente sensibili al giudizio, che tendono facilmente a sentirsi colpevolizzate, per espiare le proprie colpe verso il bambino, per cui il terapeuta deve fare molta attenzione a non assumere un ruolo giudicante. Le persone che presentano questo tipo di genitorialità ricordano i propri genitori come coloro che hanno sacrificato tutto per loro, hanno forti sensi di colpa per non esser stati più affabili e riconoscenti. Percepiscono il proprio figlio attuale come irriverente e non credono di avere le risorse necessarie per farsi rispettare da lui, avendo l’impressione che possa essere la giusta punizione per il modo in cui si sono comportati durante la loro infanzia.

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22  La genitorialità “narcisistica”

Le identificazioni proiettive della conflittualità narcisistica sono quelle che più predispongono alla patologia, in quanto distorcono rigidamente l’immagine che hanno del proprio bambino (pericoloso, aggressivo) e si proteggono con identificazioni complementari di genitori distanzianti, aggressivi e questo genera in loro forti sensi di colpa. Queste proiezioni possono a volte essere “fusionali” e quindi creare immagini di fusione con l’oggetto idealizzato, così da negare le loro angosce persecutorie. I sentimenti negativi provati verso il proprio figlio sono così forti e “evacuanti”, che innescano la messa in atto di meccanismi difensivi (come scissione o diniego) che fanno perdere al genitore il contatto con la propria realtà psichica ed affettiva e di conseguenza ad avere notevoli difficoltà a dare una forma alle esperienze relazionali col proprio bambino. Il tentativo di iniziare un lavoro psicoterapeutico con questi genitori, risveglia vissuti persecutori ed ostili, che portano alla creazione di un “pre-transfert negativo” verso il terapeuta. Si parla di narcisismo distruttivo in quanto queste persone sono disposte a cancellare i conflitti emotivi del proprio passato, a costo di una distruzione e semplificazione della propria vita psichica molto severi. La relazione genitore bambino, in questo caso, può portare a gravi disturbi dell’attaccamento, depressioni, o psicosi, e, a lungo termine, ad un disturbo di personalità di gravità variabile. Si tratta di genitori che appaiono poco propensi al dialogo sulla propria infanzia e che parlano del proprio figlio con una terminologia quasi “demonizzante”.

I conflitti genitoriali possono evolvere col tempo, in base alle caratteristiche del bambino, alla sua età ed agli eventi di vita. I periodi critici in cui tendono a manifestarsi più apertamente sono la nascita del bambino e l’adolescenza, in quanto mobilitano profondamente le risorse genitoriali.

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Capitolo II. Cerco Asilo: “Progetto per il sostegno e la cura delle

relazioni a rischio nella Prima e Seconda Infanzia”

2.1 Chi siamo?

Il servizio Cerco Asilo è un centro destinato all’accoglienza di bambini in età pre-scolare ( 0-5 anni); ha il compito di promuovere processi di sviluppo adeguati, come la socializzazione e le capacità comunicative, attraverso il sostegno dell’intero nucleo familiare nell’accudimento del bambino. Si tratta quindi di un servizio che riveste un ruolo centrale nella prevenzione e nella protezione delle fasi della prima infanzia, le quali hanno, come evidenziato dagli innumerevoli studi citati precedentemente, varie ripercussioni sulle successive fasi di sviluppo. Il Cerco Asilo fa parte della fondazione IRCCS Stella Maris, un Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, che si occupa della diagnosi, della cura e della riabilitazione di innumerevoli disturbi dell’età evolutiva, come ad esempio disturbi del sistema nervoso e della vita psichica del bambino.

Gli obiettivi che il Cerco Asilo si prefigge di raggiungere sono i seguenti:

 Implementare, nelle relazioni genitore-bambino a rischio, le risorse per permettere la costruzione di legami di attaccamento sicuri, per sostenere la genitorialità in difficoltà e per salvaguardare lo sviluppo bio-psico-sociale del bambino;

 Definire percorsi assistenziali agevolati per l’utenza e costruire una rete integrata con i servizi territoriali;

 Realizzare un modello per la valutazione dell’efficacia degli interventi messi in atto, attraverso un monitoraggio dell’evoluzione della famiglia presa in carico.

Il servizio garantisce cure soddisfacenti, rispondendo adeguatamente ai criteri di efficacia e appropriatezza per quanto riguarda i tipi di trattamento offerti ed i tempi di realizzazione di questi ultimi.

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2.2 Principi dell’Infant Psychiatry e Assessment in età evolutiva

L’Infant Research, di cui uno dei principali esponenti è stato Danierl Stern, afferma, avvalendosi di metodi sperimentali per studiare l’interazione madre-bambino, l’esistenza di diversi processi a carattere biologico, psicologico e sociale, che caratterizzano la prima e la seconda infanzia; la conoscenza di tali processi permette di comprendere in modo più completo l’importanza di una valutazione e di un intervento psicoterapeutico tempestivi in campo evolutivo. Possiamo classificare tali meccanismi in tre punti essenziali:

 La maturazione del sistema nervoso centrale nel bambino è promossa dall’interazione di fattori costituzionali, ovvero innati ed ereditabili come il temperamento, e fattori ambientali, che possono esser rappresentati dal contesto socio-familiare in cui il bambino cresce;

 La crescita evolutiva del bambino è costellata da “periodi critici”, ovvero momenti in cui le esperienze derivanti dall’ambiente esterno influiscono in modo significativo sullo sviluppo e sulla maturazione del sistema nervoso centrale, attraverso meccanismi di plasticità neuronale, espressi ai massimi livelli in tali periodi. Si tratta di vere e proprie finestre temporali in cui lo sviluppo di specifiche competenze socio-cognitive e biologiche è il risultato della interazione tra l’esperienza (ad esempio un ambiente impoverito, ipostimolante) ed i seguenti meccanismi neuronali: proliferazione neuronale (fase in cui si generano nuovi neuroni), sinaptogenesi (fase in cui si ha la formazione di nuove connessioni, ovvero sinapsi, tra neuroni), pruning

neurale (o anche definito sfoltimento sinaptico, in quanto è la fase in cui

avviene l’eliminazione di connessioni cerebrali irrilevanti o poco utilizzate) e mielinizzazione (processo attraverso il quale gli assoni neuronali vengono ricoperti da una guaina definita mielina, che permettere un aumento della velocità di trasmissione di informazioni tra neuroni, ovvero una migliore velocità di conduzione sinaptica). Questi meccanismi biologici, che sostengono a loro volta processi cognitivi, avvengono in specifiche età dello sviluppo e hanno durata differente a seconda dell’area cerebrale interessata;

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 La relazione caregiver-bambino gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo di quest’ultimo, rappresentando un fattore protettivo o di rischio, come evidenziato dagli studi menzionati nel precedente capitolo.

Tenendo in considerazione questi presupposti teorici, la metodologia di Assessment, (ovvero di valutazione del nucleo familiare preso in carico) presso il servizio del Cerco Asilo può esser così divisa: 1) Raccolta dei dati anamnestici, 2) Valutazione

delle rappresentazioni fantasmatiche genitoriali e delle proiezioni agite sul bambino, 3) Somministrazione dei test, 4) Osservazione del gioco del bambino e delle interazioni coi genitori. L’insieme di queste operazioni permette di definire:

 Per quanto riguarda il bambino: l’entità e il tipo di sintomatologia (frequenza, durata, intensità), le situazioni favorenti, aggravanti o precipitanti, l’impatto sul funzionamento globale del bambino (scolastico, sociale etc..), le situazioni che precedono immediatamente il sintomo;  Per quanto riguarda i genitori: il tipo di conflittualità genitoriale rispetto al

bambino e la loro disponibilità a lavorare sulle rappresentazioni interne.

A queste fasi segue la definizione di una Ipotesi Diagnostica, la Restituzione di quanto emerso alla famiglia ed, infine, l’ Intervento terapeutico, se ritenuto necessario e pertinente, a fronte della valutazione fatta e della seguente diagnosi (Luborsky et al. 1998, Sigal et al. 1999).

1. Raccolta dei dati anamnestici

Questa fase consiste nel raccogliere informazioni circa la storia presente e passata della famiglia in consultazione, al fine di avere una conoscenza di tipo qualitativo (oltre quella di tipo quantitativo, ottenuta attraverso la somministrazione dei test) circa il funzionamento della famiglia e del sintomo che presenta il bambino. Tali informazioni comprendono dati anagrafici, storia psico-biologica (funzionamento fisiologico ed intrapsichico), storia patologica recente (comprendere il motivo della consultazione) e remota (disturbi presentati negli anni precedenti).

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2. Valutazione

delle

rappresentazioni

e

delle

proiezioni

fantasmatiche genitoriali

Durante questa fase è di fondamentale importanza che il clinico si accerti dell’esistenza di funzioni dell’Io integre nel genitore, in quanto il caso inverso rappresenterebbe una controindicazione alla psicoterapia breve, basata in larga parte sull’integrità delle funzioni dell’Io. La valutazione iniziale deve anche indagare la disponibilità dei genitori a parlare della propria storia passata, di episodi specifici e di collegarli ai problemi attuali manifestati dal bambino; si valuta quindi la capacità di rilettura della situazione attuale, alla luce delle esperienze relazionali infantili, così da aumentare il grado di consapevolezza del genitore circa l’eziologia del sintomo presentato dal proprio figlio. Un indicatore di tale disponibilità può essere la presenza, durante il colloquio, di associazioni tra esperienze passate e attuali di se stessi e dei propri parenti e un atteggiamento critico verso di esse. Tali associazioni, infatti, indicano la possibilità di indagare rapidamente l’area intrapsichica di interesse, oggetto della prima fase della psicoterapia breve. La presenza di queste associazioni indicano anche la possibilità di creare un

pre-transfert positivo, prerequisito fondamentale per un successivo lavoro psicoterapico.

Con pre-transfert positivo si intende la disponibilità dei genitori ad indagare e a comprendere, insieme al clinico, il significato retrostante le interazioni attuali col bambino e l’assunzione di un atteggiamento di ascolto e di curiosità rispetto al lavoro proposto dallo psicologo. Il pre-transfert positivo indica la presenza nel genitore di immagini positive relative ai propri genitori, percepiti come amorevoli e forti; tali immagini vengono trasferite sul terapeuta, favorendo l’instaurarsi della relazione e quindi la possibilità di lavorare sulle rappresentazioni interne in questione. Il pre-transfert è valutato attraverso l’osservazione delle reazioni genitoriali alle domande del clinico: se queste ultime generano associazioni positive con le proprie figure significative del passato e col terapeuta, significa che è presente un terreno fertile per la psicoterapia breve, se invece il genitore risponde con atteggiamenti competitivi verso il terapeuta e il bambino, e manifesta una vulnerabilità significativa verso la critica e il giudizio, il lavoro psicoterapico breve è sconsigliato. Ricapitolando i genitori maggiormente indicati sono quelli che, già in

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27 sede di valutazione, dimostrano accessibilità ai propri vissuti esperienziali, a svolgere una anamnesi associativa, o che presentano un lutto irrisolto.

3. Somministrazione di test e scale di valutazione

Al fine di avere una valutazione globale del funzionamento familiare e della sintomatologia del bambino, è importante avere anche dati di tipo quantitativo, ovvero punteggi numerici che offrano informazioni circa le modificazioni sintomatologiche e i comportamenti del bambino e lo stress genitoriale, in maniera oggettiva e pragmatica, così da ridurre al minimo l’incertezza derivante da valutazioni esclusivamente soggettive.

 Parenting Stress Index (PSI)

Per quanto riguarda la valutazione della funzionalità genitoriale e della presenza di

life events (eventi di vita avversi), è possibile somministrare, prima dell’inizio della

psicoterapia, il Stress Index o PSI (Abidin 1995), che valuta quanto il bambino in questione sia percepito un elemento di stress da parte dei genitori. Si tratta di un questionario self-report compilato dai genitori e rivolto a questi ultimi; è costituito da 120 items che indagano 3 aree principali: 1) Dominio (ovvero le caratteristiche) del bambino, 2) Dominio del genitore, 3) life stress, che fa riferimento agli eventi stressanti presenti negli ultimi 12 mesi (come la malattia di uno dei genitori, problemi finanziari etc..). Il PSI fornisce un punteggio di Stress Totale nella relazione caregiver-bambino, che si ottiene dalla somma dei punteggi derivanti dalle due scale del Dominio del genitore e Dominio del bambino.

Il Dominio del bambino fa riferimento allo stress che il genitore attribuisce alle caratteristiche del bambino e che interferiscono con l’assunzione del ruolo genitoriale. Questa scala valuta in modo approfondito 6 dimensioni: 1) Adattabilità (AD): fornisce informazioni sul modo in cui un bambino affronta i cambiamenti; di solito le difficoltà vengono descritte come “ostinazione, resistenza passiva, difficoltà ad abbandonare le attività in cui il bambino è impegnato”; 2) Accessibilità (AC): indaga quanto il bambino corrisponde alle aspettative che i genitori ripongono su di lui; 3) Richiestività (DE): dà indicazioni riguardo alla pressione esercitata direttamente dal bambino sul genitore, trasformando la relazione in una sfida, in cui

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28 il genitore deve rispondere all’aggressività o alle richieste del bambino, 4) Umore (UO): fa riferimento ad atteggiamenti rivolti al genitore, come pianto eccessivo associato a tratti depressivi o ansiosi del bambino, che suscitano reazioni di rabbia e/o angoscia da parte del genitore; 5) Distraibilità/iperattività (DI): il comportamento del bambino causa perdita significativa di energie psicofisiche nel genitore, in quanto l’accudimento del figlio richiede vigilanza e presenza costanti da parte del genitore; 6) Rinforzo ai genitori (RE): fa riferimento al grado con cui il comportamento del bambino può evocare nel genitore accessibilità o distacco emotivo e si sviluppa sia in funzione dei segnali emessi dal bambino circa i suoi bisogni, sia in funzione delle capacità del genitore di comprendere e accogliere tali segnali; questa dimensione è considerata fondamentale nella determinazione della motivazione del genitore ad accudire il bambino in modo adeguato e a mantenere attivo l’interesse verso di lui e i suoi bisogni.

Il Dominio del genitore valuta la dimensione di stress associata al funzionamento genitoriale. Sono valutate in modo dettagliato 7 dimensioni: 1) Depressione (DP): valuta il grado in cui l’accessibilità emotiva, e l’energia psicologica e fisica del genitore risultano compromesse; 2) Attaccamento (AT): considera l’investimento genitoriale circa la propria capacità di sostegno e accudimento verso il bambino; si tratta di un costrutto coerente con la teoria dei modelli operativi interni e con lo sviluppo del ruolo di caregiving; 3) Restrizione di ruolo (RO): valuta l’impatto (principalmente negativo) che la genitorialità ha sulla percezione della propria libertà individuale e dei propri ruoli rivestiti in varie attività, ad esempio sociali; 4)

Competenza genitoriale (CO): misura il grado di competenza acquisita nel rivestire

il ruolo genitoriale, per quanto riguarda la gestione dei comportamenti del bambino ed il perseguire uno stile educativo che implichi il sentirsi a proprio agio nel prendere decisioni a tal riguardo; 5) Isolamento sociale (IS): valuta l’isolamento sociale del genitore e la disponibilità di supporto sociale possibile; 6) Stato

coniugale (SP): analizza l’andamento della relazione tra i due coniugi, per quanto

riguarda le capacità reciproche di supporto emotivo e materiale per sostenere le funzioni connesse alla genitorialità e le responsabilità che ne derivano, oltre a valutare il grado di conflittualità all’interno della coppia; 7) Salute (HE): misura le

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29 condizioni di salute fisica del genitore, in riferimento alle sue capacità di rispondere in modo più o meno adeguato alle attività previste dal ruolo genitoriale.

 Child Behavior CheckList (CBCL)

Uno strumento utile per la valutazione della sintomatologia e dei comportamenti disfunzionali del bambino dal punto di vista del genitore, è la Child Behavior

CheckList o CBCL (Achenbach 1991); si tratta di uno degli strumenti di valutazione

su base empirica maggiormente usati nell’ambito della ricerca. Questo test fornisce infatti informazioni standardizzate sulla percezione dei genitori circa i comportamenti problematici e le competenze sociali del bambino. La sua affidabilità e la sua validità sono riferite in letteratura (Crijnen et al. 1999, Gould et al. 1993, Kasius et al. 1997, Mattison e Spitznagel 1999). La CBCL è un questionario composto da 118 items, a cui il genitore deve rispondere su una scala da zero (assente), a uno (presente in modo sporadico), e a due (sempre presente). Questi items vanno a delineare a loro volta due raggruppamenti sindromici definiti

Internalizzanti ed Esternalizzanti, a seconda delle caratteristiche del comportamento

problema: i primi sono caratterizzati da un “ipercontrollo emotivo” (Kovacs e Devlin 1998), mentre i secondi da un controllo emotivo deficitario. La CBCL permette di calcolare un Punteggio Totale (che discrimina i casi clinici dai normativi) ed i punteggi ad 8 scale sindromiche: ritiro, lamentele somatiche, ansia-depressione, problemi sociali, problemi del pensiero, problemi attentivi, comportamento delinquenziale, comportamento aggressivo. Per ciascuna di queste scale è possibile evidenziare dei punteggi soglia (cut-off) borderline e clinici. I comportamenti valutati dalla CBCL come appartenenti al cluster Internalizzante è quello più indicato al trattamento con la psicoterapia breve.

Al fine di ottenere una comprensione approfondita della qualità della relazione tra genitore e bambino, è possibile utilizzare gli strumenti di valutazione appartenenti alla Classificazione Diagnostica della Salute Mentale e dei Disturbi di Sviluppo

nell’Infanzia ZERO TRE -CD: 03, basata su un approccio sistematico e

multi-assiale (è costituita da 5 assi, il I contiene i disturbi clinici, il II la classificazione della relazione, il III i disturbi e le condizioni mediche dello sviluppo, il IV gli agenti psicosociali di stress e il V il funzionamento psicosociale). L’Asse II,

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30 dedicato alla classificazione della relazione, permette di identificare le varie tipologie di disturbi osservabili nella relazione genitore bambino; la sua consultazione può esser utile anche ai fini della formulazione e focalizzazione di interventi sul bambino o sulla relazione. Il clinico deve porre attenzione ad innumerevoli aspetti presenti nelle dinamiche relazionali tra i genitori e il proprio figlio, tra questi ricordiamo: a) il livello di funzionamento globale genitoriale e del bambino; b) il livello di angoscia del genitore e del proprio figlio; c) la flessibilità adattiva sia del genitore che del bambino; d) la conflittualità e la capacità di risoluzione di questi ultimi tra genitore e bambino; e) gli effetti della qualità della relazione sullo sviluppo evolutivo del bambino.

L’Asse II offre due strumenti per la valutazione della relazione: 1) La Scala per la Valutazione Globale della Relazione Genitore-Bambino (Parent-Infant Relationship Global Assessment Scale-PIR-GAS); 2) La CheckList dei Problemi della Relazione (Relationship Problems CheckList- RPCL).

 Parent-Infant Relationship Global Assessment Scale (PIR-GAS)

La PIR-GAS permette di ottenere una valutazione della qualità della relazione della famiglia presa in carico, utilizzando un range che va da ben adattata a gravemente

disturbata. Solitamente tale strumento viene usato al termine di multiple valutazioni

della sintomatologia riportata e bisogna ricordare che i problemi riguardanti la relazione possono esser associati ai comportamenti disfunzionali del bambino, oppure no (ad esempio un bambino può manifestare un grave disturbo psichico, pur essendo inserito all’interno di un clima relazionale flessibile ed adattivo, o viceversa). Nel caso in cui siano evidenti difficoltà relazionali, allora è opportuno valutarne l’intensità, la frequenza e la durata, in modo da classificare il problema come perturbazione, turba o disturbo. I Punteggi della PIR-GAS sono così suddivisibili:

 81-100: Relazione adattata

 41-80: Tratti di un Disturbo della Relazione  0-40: Disturbo della Relazione

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31 Un punteggio inferiore a 40 indica la presenza di un Disturbo della Relazione, tuttavia relazioni che rientrano in un range compreso tra 40 e 80 possono presentare tratti di disturbi relazionali, per cui risulta utile e necessario avviare comunque un intervento psicoterapico. I punteggi della PIR-GAS sono usati per identificare la natura della relazione al momento in cui viene effettuata la valutazione, tuttavia possono modificarsi nel corso del tempo, considerando gli innumerevoli fattori da cui sono influenzate le dinamiche relazionali.

I Punteggi della PIR-GAS possono essere codificati nel seguente modo:

 91-100 Ben Adattata: le relazioni che rientrano in questo range funzionano in maniera eccezionalmente adeguata. Le interazioni risultano piacevoli e prive di angoscia, con una buona capacità di risoluzione dei problemi e di gestione dello stress quotidiano. La relazione rappresenta uno stimolo per la crescita e lo sviluppo del bambino.

 81-90 Adattata: anche le relazioni appartenenti a questo range funzionano in maniera appropriata, non ci sono evidenze di esperienze stressanti per i membri della famiglia ma, al contrario, la relazione rappresenta un fattore protettivo e promotore dello sviluppo del bambino. Anche qui ritroviamo una buona capacità di risoluzione di conflitti.

 71-80 Perturbata: in queste relazioni si evidenziano dei tratti non ottimali; può esser presente angoscia, seppur in maniera transitoria (poche settimane), tuttavia la relazione sembra caratterizzata ancora da una buona flessbilità adattiva, per cui il disturbo è limitato solo ad un aspetto de funzionamento, non ostacolando lo sviluppo del bambino.

 61-70 Significativamente perturbata: le relazioni in questo range appaiono tese, l’angoscia può durare fino ad un mese, anche se emerge ancora una flessibilità adattiva, che permette di risolvere i conflitti attraverso un processo di negoziazione; i conflitti riguardano una o due aree problematiche specifiche.

 51-60 Angosciata: queste relazioni sperimentano stati di angoscia non semplicemente transitori, infatti il conflitto può estendersi a molte aree del funzionamento, con una capacità risolutiva estremamente povera. La crescita

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