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Academic year: 2021

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INDICE

Introduzione pag 2

Fattori di rischio pag 4

Patogenesi pag 6

Diagnosi pag 7

Nuovi radiofarmaci PET nell’AD pag 12

Terapia pag 14

Scopo della tesi pag 16

Materiali e metodi pag 17

Pazienti pag 17

PET/TC con 18F-Florbetapir pag 19

Analisi dei dati pag 21

Risultati pag 23

Discussione pag 29

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INTRODUZIONE

La malattia di Alzheimer (AD) è una patologia neurodegenerativa progressiva e irreversibile caratterizzata da un deterioramento cognitivo cronico che rende a poco a poco l’individuo che ne è affetto incapace di una vita normale, provocandone alla fine la morte.

Più di 25 milioni di persone nel mondo soffrono ad oggi di demenza, con circa 5 milioni di nuovi casi all’anno (1), di cui la AD rappresenta la causa più frequente (circa 2/3) nella popolazione occidentale (2).

L’ampia e crescente diffusione dell’AD, connessa al progressivo invecchia-mento della popolazione, insieme alle enormi risorse necessarie per la sua gestione sociale, organizzativa ed economica (che ricadono in gran parte sui familiari del soggetto malato), la rendono una delle patologie a più grave impatto sociale del mondo. Nei paesi ad alto livello di sviluppo circa una persona su dieci dopo i 65 anni è affetto da demenza e più di una su tre dopo gli 85 anni ne presenta segni e sintomi (3). Nella Figura 1 è descritto l’andamento esponenziale della prevalenza della AD in funzione dell’età.

Fig. 1 – Prevalenza dell’AD in funzione di età e sesso (da Nussbaum et al., N Engl J Med; 348:1356-63, 2003)

Questo andamento determina un progressivo aumento dell’incidenza e della prevalenza dell’AD non soltanto nelle nazioni ad alto reddito (delle quali l’AD è stata a

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lungo ritenuta “appannaggio” tipico), ma anche nelle nazioni a reddito medio-basso), dove le migliorate condizioni socio-economiche determinano un progressivo incremento nell’aspettativa di vita, con ricadute che saranno sempre più importanti per le future generazioni (v. Figura 2).

Fig. 2 – Stime sulla prevalenza dell’AD nelle varie regioni del mondo dall’anno 2015 all’anno 2050 (da Duthey B., Priority Medicines for Europe and the World – Alzheimer Disease and Other Dementias. Ginevra: World Health Organization, 2013)

La malattia fu descritta per la prima volta da Alois Alzheimer, neurologo e psichiatra tedesco, nel 1906 (4) a seguito di un’autopsia effettuata sul cadavere di un paziente affetto da una forma progressiva di demenza manifestatasi con un deficit mnemonico-linguistico e comportamentale (5). L’esame autoptico rilevò una marcata riduzione volumetrica della corteccia cerebrale, la presenza di placche ateromasiche nei vasi sanguigni cerebrali e cellule cerebrali atrofizzate (4) oltre ai grovigli neurofibrillari e placche di amiloide, che verranno considerate in seguito segni patognomonici dell’AD.

La durata della malattia è molto variabile ma è sempre possibile riconoscere tre fasi principali:

• la fase iniziale, della durata media di 2-4 anni, è caratterizzata dal decremento dell’abilità cognitiva del paziente, riconosciuta solitamente da familiari e amici, come difficoltà a trattenere informazioni nuove, a risolvere problemi o prendere decisioni, ad esprimere pensieri, ritrovare oggetti (6);

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• la fase moderata, più lunga, può durare dai 2 a 10 anni ed è caratterizzata da un aumento del disturbo amnesico e da una progressiva perdita di autonomia nelle attività quotidiane. Sintomi comuni a questa fase sono la comparsa di uno stato confusionale, la perdita dell’orienta-mento spazio-temporale (il paziente comincia a vagare), il cambiamento di personalità (6);

• la fase finale, della durata media di 1-3 anni, è caratterizzata, oltre che dalla progressiva perdita della capacità cognitiva, anche da una severa compromissione dell’abilità fisica. Il paziente non è più autonomo e il decesso sopraggiunge di solito per malnutrizione, infezioni o disturbi cardiaci (6).

FATTORI DI RISCHIO

Il fattore di rischio più importante nello sviluppo dell’AD è l’età avanzata, ma questa patologia ha sicuramente un’origine multifattoriale.

Circa il 2-5% dei pazienti è affetto da una forma familiare di AD causata da mutazioni autosomiche dominanti (geni per presenilina 1 e 2) (7) che ne determinano l’insorgenza precoce. La mutazione dell’allele ε4 del gene che codifica per l’apolipoproteina E (APOE) è invece l’unico fattore genetico riconosciuto per l’insorgenza sia della forma familiare sia di quella sporadica (8), essendo presente nel 15-20% di tutti i casi di malattia (9).

Altri fattori di rischio importanti sono rappresentati da:

a) sesso, le donne sembrerebbero esserne maggiormente colpite, anche se i dati potrebbero essere falsati dalla maggior aspettativa di vita di queste ultime;

b) fumo, è ormai dimostrata la correlazione diretta tra l’abitudine al fumo e la maggior probabilità di sviluppare la malattia;

c) consumo di alcool, il rischio nei forti bevitori e portatori dell’allele ε4 è addirittura triplo (10);

d) obesità, c’è una relazione causa-effetto tra BMI e rischio di demenza (11); e) ipertensione arteriosa, la terapia antiipertensiva può proteggere dall’AD

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vascolari e migliorando la perfusione cerebrale (11);

f) ipercolesterolemia, livelli ematici di colesterolo in età adulta sono stati correlati ad un più elevato rischio di malattia in età senile (11);

g) diabete mellito, è stato confermato da studi sistematici un aumentato rischio di demenza vascolare e neurodegenerativa nelle persone affette da diabete; h) fattori psicosociali e stile di vita, basso livello educativo, basso

coinvolgimento sociale, scarse attività intellettive e scarsa attività fisica sono correlate allo sviluppo di Alzheimer (12-14);

i) infiammazione, un alto livello di proteina C-reattiva nel siero in età adulta è stato correlato con un rischio elevato di sviluppare malattia;

j) il lavoro manuale come occupazione principale nel corso della vita è stato correlato all’AD in alcuni studi, suggerendo una possibile correlazione tra esposizione a sostanze tossiche e insorgenza di AD. L’esposizione a metalli pesanti come alluminio e mercurio è stata infatti ipotizzata come ulteriore fattore di rischio.

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PATOGENESI

L’AD è una patologia clinicamente, neuropatologicamente e geneticamente etero-genea. Dal punto di vista istopatologico è caratterizzata dalla presenza di placche extracellulari di beta amiloide (Aβ), dette placche senili, e da grovigli neurofibrillari intraneuronali (NFT) a livello della corteccia cerebrale (Figura 3).

Figura 3 - A sinistra placche senili di Aβ a livello corticale. A destra grovigli neurobibrillari (colorazione di Bilschowsky).

Le placche corticali osservabili negli encefali colpiti da AD consistono in larga parte da proteina Aβ. L’Aβ è sintetizzata a partire dalla sua proteina precursore (APP). Il gene che codifica l’APP è situato sul cromosoma 21. Il ruolo fisiologico specifico di questa proteina non è del tutto chiaro, ma sembra che in generale contribuisca al corretto funzionamento neuronale e forse allo sviluppo cerebrale.

La classica placca senile è composta da un nucleo di Aβ con un anello, o corona, costituita da processi assonali e dendritici argirofili, da fibrille amiloidi, da processi astrocitari e da cellule microgliali.

Amiloide è un termine generico per indicare un frammento proteico, normalmente prodotto dal corpo, mentre Aβ è un frammento dell’APP; un enzima, la β-secretasi prima scinde la molecola APP; successivamente, la γ-secretasi taglia il frammento rimanente di APP producendo il peptide Aβ che viene immesso nello spazio extra-neuronale. Mutazioni del gene dell’APP e di due geni, quali la presenilina 1 e 2, determinano la comparsa di una forma di AD a comparsa precoce

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e autosomicamente dominante (15).

Nel cervello di soggetti normali i frammenti peptidici di Aβ sono continua-mente eliminati, mentre in quelli colpiti da AD, per ragioni ancora sconosciute, essi si accumulano, dando origine alle placche senili.

La seconda lesione istologica caratteristica dell’AD è rappresentata dai grovigli neurofibrillari. Questi sono costituiti da fibre contorte, insolubili, situate all’interno dei neuroni. Le neurofibrille normalmente sono formate dalla proteina τ, costituente di strutture denominate microtubuli. I microtubuli contribuiscono al trasporto delle sostanze nutrienti e di altre importanti sostanze da una parte all’altra della cellula nervosa. Nell’AD la proteina τ è anomala e le strutture microtubulari appaiono collassate e ammassate con aspetto di grovigli.

Secondo una delle ipotesi ad oggi più accreditate, la AD è legata ad una diffusa e anomala distribuzione delle placche di Aβ, la quale, depositandosi tra i neuroni, agisce come una sorta di collante, inglobando e distruggendo le cellule neuronali della corteccia.

Tuttavia, la patogenesi dell’AD rimane tutt’oggi un argomento molto dibattuto e obiettivo di studi di approfondimento. L’ipotesi personale di Alzheimer secondo la quale le caratteristiche istopatologiche osservate nei pazienti affetti da AD fossero dovute a processi antecedenti la malattia e non la causa della stessa (16) è supportata oggi da studi biochimici. Infatti, questi studi dimostrano che l’inibizione della catena di trasporto degli elettroni dell’enzima citocromo-ossidasi altera la sintesi della proteina precursore dell’amiloide (17) e che lo stress ossidativo attiva la β-secretasi, evento necessario nel passaggio dalla proteina precursore dell’amiloide all’amiloide β. L’amiloidosi risulterebbe pertanto evento secondario nell’AD.

DIAGNOSI

Al momento attuale, il principale obiettivo di molti studi sull’AD è la diagnosi precoce (se possibile pre-clinica) della malattia, poiché stanno emergendo nuove prospettive di possibilità terapeutiche che potrebbero agire sui meccanismi alla base della progressione della patologia. Criteri clinici standardizzati stabiliscono

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una diagnosi di probabilità di AD durante la vita, mentre la diagnosi definitiva richiede la conferma istopatologica post-mortem.

La diagnosi clinica ha un’accuratezza diagnostica del 90% (18); i criteri diagnostici includono il riscontro della presenza di demenza, la manifestazione insidiosa con un deterioramento progressivo, e l’esclusione di tutti gli altri tipi di demenza all’esame fisico e anamnestico. La diagnosi di demenza implica una perdita così grave di abilità intellettive da interferire con le abilità sociali e occupazionali, e la perdita di memoria. Importante criterio diagnostico è anche l’anamnesi familiare.

Il test comunemente utilizzato è il Mini Mental Test Examination (MMSE) (19); il medico pone una serie di domande prestabilite al paziente per esaminarne le capacità intellettive e la memoria, nominando un elenco di oggetti, gli fa compiere semplici operazioni aritmetiche e seguire le istruzioni date. Il punteggio massimo prevede 30 punti, mentre risultati inferiori a 17 punti indicano demenza grave. Solitamente il punteggio cala di 2,4 punti ogni anno.

Il medico può utilizzare anche L’Alzheimer’s Disease Assessment Scale-Cognitive Subscale (ADAS-cog) per misurare la gravità della malattia; l’ADAS-cog valuta l’orientamento del paziente, la memoria, il ragionamento e il linguaggio, su una scala da 0 a 70. Maggiore è il punteggio globale, maggiore è il grado di danno cognitivo.

Oltre ai test cognitivi, il medico può effettuare un esame neurologico per valutare il sistema nervoso centrale e peroferico del soggetto. In particolare, il medico valuterà: riflessi, coordinazione, parola, funzioni oculari, forza muscolare, equilibrio, sensazioni.

In base ai rilievi clinici, la diagnosi di AD si distingue in “possibile” e “certa” a seconda della corrispondenza ad alcuni criteri ormai abbastanza bene definiti (NINCDS-ADRDA del 1984, aggiornati nel 2007). (20)

Malattia di Alzheimer possibile: Presenza di sintomi tipici della demenza senza che vi siano altri disturbi neurologici, psichiatrici o sistemici (ad esempio malattia di Parkinson, schizofrenia, idrocefalia…) che possano causare demenza e in presenza di variazioni all’esordio o nel decorso clinico. Presenza di una patologia neurologica o sistemica concomitante sufficiente a produrre demenza, ma non

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considerata la vera causa della demenza (coesistono altre patologie oltre quella dementigena come ad esempio uno squilibrio tiroideo o un disturbo neuro-endocrino).

Malattia di Alzheimer certa: Presenza dei criteri clinici per la diagnosi di AD probabile e presenza di assemblamenti di proteina e β-amiloide nel cervello (placche e gomitoli neurofibrillari) insolubili e visibili solo mediante un'auotpsia.

Per quanto riguarda le metodiche di imaging nell’approccio diagnostico all’AD, esse comprendono classicamente TC e RM che forniscono informazioni preziose sulla forma e sul volume dell’encefalo, ma sono basate su immagini principalmente morfologiche e non funzionali.

Anche se l’imaging cerebrale non è in realtà oggi il test di elezione per la diagnosi di AD, molti studi hanno dato risultati promettenti al punto che potrebbero far cambiare le procedure di diagnosi di AD attualmente utilizzate.

In prima istanza, la TC e la RM hanno come scopo quello di individuare forme potenzialmente trattabili di demenze (demenze secondarie); in secondo luogo quello di ricercare segni compatibili con la diagnosi di AD.

Secondo le più recenti linee-guida italiane, la TC è indicata per la diagnosi di demenza al pari della RM; infatti, TC o RM sono esami obbligatori almeno al momento della prima diagnosi, se non altro per una diagnosi differenziale e per la valutazione di un’eventuale componente vascolare. La TC svolge dunque un ruolo di rilievo nella ricerca delle più frequenti cause di demenza secondaria o reversibile.

La TC è una procedura di screening valida per escludere cause trattabili, potenzialmente reversibili, di demenza come l’ematoma subdurale e l’idrocefalo normoteso. D’altro canto, la specificità della TC è molto bassa, specialmente nelle fasi precoci dell’AD. L’atrofia della porzione mediale del lobo temporale è general-mente il più precoce rilievo identificabile con la TC. Reperti più tardivi includono un’atrofia corticale generalizzata (21,22)

I ruoli correnti di una RM convenzionale nella valutazione di pazienti con malattie demenziali sono:

1) escludere altra cause di demenza;

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lobare”);

3) identificare marker di comorbidità vascolare come l’angiopatia amiloidea.

Le più frequenti modificazioni morfologiche alla RM standard sono l’assottiglia-mento delle circonvoluzioni, l’amplial’assottiglia-mento dei solchi e l’allargal’assottiglia-mento dei ventricoli laterali. Il lobo temporale e mediale, particolarmente l’ippocampo e la corteccia entorinale, sono spesso colpiti in misura preponderante (23) .

È opportuno ricordare che, dal punto di vista anatomo-patologico, l’AD è caratterizzata da un progressivo depauperamento cellulare corticale associato a scompaginamento della citoarchitettura della sostanza grigia e a proliferazione compensatoria della glia fibrillare. Ciò macroscopicamente si traduce in un assottigliamento delle circonvoluzioni cerebrali con allargamento degli spazi liquorali, particolarmente a carico della porzione mesiale dei lobi temporali. Ad oggi, uno dei criteri diagnostici più accurati in RM è quello della misura dell’atrofia tempo-rale mesiale basata sull’allungamento del corno tempotempo-rale, visto che la maggior quota di atrofia ippocampale tipica dell’AD si verifica nella testa dell’ippocampo (24). Le tecniche di neuroimaging funzionale (PET e SPECT) hanno assunto nel corso dell’ultimo decennio un ruolo di crescente importanza per lo studio clinico e la ricerca nel campo delle demenze. Sia la PET sia la SPECT sono metodiche di imaging molecolare, che si basa sulla possibilità di indagare processi biochimici in vivo mediante l’uso di traccianti che consentano la valutazione di sistemi di neurotrasmissione o di deposizione di proteine anomale.

Diversamente da quanto avviene per TC e RMN, che forniscono immagini principalmente morfologiche, la PET fornisce immagini funzionali che permettono cioè di evidenziare l’attività di un organo o di un apparato e quindi anche la presenza di uno stato patologico attraverso la modificazione di tale funzione.

Poiché le alterazioni funzionali si manifestano prima delle alterazioni della struttura, la PET ha il vantaggio di consentire una diagnosi precoce rispetto a TC e RM. I tomografi PET di nuova generazione sono in realtà costituiti da strumen-tazione ibrida PET/TC, che permettono una “fusione” di immagini relative alla forma

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e all’anatomia degli organi, forniti dalla TC, con quelli metabolico-funzionali a livello cellulare basati sulla PET.

Il tracciante PET più comunemente utilizzato nella diagnostica oncologica o per le mattie del SNC è il deossiglucosio marcato con Fluoro-18 ([18F]FDG), un analogo radioattivo del glucosio in cui un atomo di fluoro sostituisce il gruppo ossidrile (-OH) in posizione 2. Questo tracciante riesce così a entrare all’interno delle cellule sfruttando gli stessi trasportatori del glucosio (GLUT); all’interno della cellula è fosforilato da parte dell’enzima esochinasi in [18F]FDG-6-PO4. Quest’ultimo, privo del gruppo ossidrile in posizione 2, non entra in nessuna delle successive tappe del metabolismo glucidico e rimane così intrappolato all’interno delle cellule (principalmente il neurone nello studio del SNC). In base a questi principi, la PET con [18F]FDG è perciò in grado di rilevare alterazioni nel metabo-lismo loco-regionale della diverse aree cerebrali.

È ormai noto da studi clinici, ben schematizzati da G.W. Small nel 1996 (25), come la PET sia in grado di mettere in evidenza aree cerebrali di ipometabolismo glucidico in modo particolare a livello del lobo parietale, di quello temporale e nella zona del cingolo posteriore, in alcuni casi addirittura prima che si palesino i sintomi.

L'importanza clinica della PET nello studio dei pazienti con probabile AD in fase iniziale, è legata alla possibilità di dimostrare con elevata sensibilità anomalie di metabolismo glucidico nelle aree associative temporo-parietali. Una riduzione bilaterale di attività metabolica nella corteccia temporo-parietale è stata dimostrata, infatti, in modo consistente in pazienti con AD lieve o moderata. La riduzione metabolica o perfusionale ha quindi una distribuzione topografica caratteristica ed è alla base della specificità del reperto. Nelle fasi iniziali della malattia la riduzione metabolica può interessare le aree temporali mesiali, in accordo con i dati neuro-patologici e con l'evidenza clinica dei deficit di memoria. Tale riduzione di attività metabolica non è una conseguenza dell'eventuale atrofia cerebrale. Infatti, è stato dimostrato che correggendo per gli effetti di volume parziale legati alla presenza de atrofia, l'attività metabolica restava significativamente inferiore nei pazienti con AD rispetto ai controlli.

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Nuovi radiofarmaci PET nell’AD

Negli ultimi anni si sta facendo strada l’utilizzo di nuovi traccianti PET molto più specifici, in grado cioè di dimostrare non più le aree di ipometabolismo glucidico a livello encefalico, bensì la presenza di placche di β-amiloide corticale patognomoniche di AD e fino ad oggi rilevabili solo in sede autoptica. Questi traccianti sono quindi in grado di escludere la presenza di livelli significativi di Aβ in soggetti con segni e sintomi di demenza, così da poter escludere l’AD come diagnosi in tali soggetti; questo permette di approfondire la valutazione del paziente in modo da elaborare una diagnosi più precisa delle cause del deficit cognitivo e quindi di concentrarsi su un trattamento specifico.

Tutto ciò dovrebbe consentire una precoce diagnosi specifica permettendo di identificare i soggetti con AD prima dell’aggravarsi della sintomatologia, quando ancora è possibile, almeno in linea di principio, un trattamento efficace. In questo modo sarà possibile ridurre gli enormi costi sanitari per la cura dei malati di AD, utilizzando farmaci neuroprotettori già nelle fasi iniziali di malattia in modo da prevenire o comunque ritardare lo sviluppo della stessa. L’imaging specifico di Aβ mediante esame PET dovrebbe anche permettere di valutare gli effetti di eventuali terapie anti-Aβ.

Partendo da studi di istopatologia cerebrale, sono stati messi a punto alcuni radiotraccianti emettitori di positroni e specifici per Aβ che permettono di individuare in vivo l’accumulo cerebrale patologico nei soggetti affetti da AD (26).

La maggior parte degli studi sperimentali e clinici sull’imaging sull’amilode è stata effettuata con il tracciante PET (N-methyl 1[11C]2-(4-methylaminophenyl)-6- hidroxy-benzothiazde, Pittsburgh compound B, [11C] PIB.

Il breve tempo di dimezzamento fisico (20 minuti) del carbonio-11, che richiede la disponibilità del ciclotrone in sito per la produzione dell’isotopo, ne ha però limitato grandemente l’impiego clinico. La specificità di legame istologica e biochimica di [11C]PIB tra diverse regioni del cervello è stata dimostrata mostrando una correlazione diretta tra il contenuto delle placche amiloidi e la captazione in vivo di [11C]PIB

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misurata con immagini PET.

Poiché la marcatura con carbonio-11 non è ideale per la commercializza-zione, sono stati sviluppati vari traccianti marcati con fluoro-18. I traccianti attualmente proposti per la PET per l’imaging dell’amiloide Aβ sono tre:

• FLUTEMETAMOL (GE-067, [18F]3-F-PIB, Vizamyl®, GE Healthcare) • FLORBETAPIR (BAY-94-9172, [18F]AV-45, Amyvid®, Eli Lilly)

• FLORBETABEN ([18F] AV-1, Neuraceq®, Piramal)

Immagini esemplificative dei tre traccianti in pazienti con AD sono riportate nella Figura 4.

Fig. 4 – Immagini transassiali a livello medio-encefalico ottenute mediante esame PET in pazienti diversi con i tre traccianti per la β-amiloide attualmente disponibili in commercio. Le immagini sono rappresentate con tre diverse scale di colore

Questi radiofarmaci sono attualmente proposti per la diagnosi e lo studio dei pazienti con deficit cognitivo e per distinguere quali di essi possa essere affetto da AD e quali da forme differenti di demenza.

Il flutemetamol è il 3-fluoro derivato del [11C]PIB, mentre florbetaben e florbetapir sono derivati della stiril-pirimidina e dello stilbene. Tutti presentano alta

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affinità di legame per l’amiloide fibrillare, simile a quella del [11C]PIB, e un elevato uptake iniziale nel cervello seguito da un wash-out del tracciante che non si è legato in aree corticali prive di amiloide fibrillare; in particolare, questi radiotraccianti sono in grado di legarsi alla forma Aβ 40 e 42 (26). La maggior parte del tracciante iniettato viene eliminata mediante coniugazione epatobiliare, seguita da escrezione nel tratto gastrointestinale; il resto viene eliminato attraverso l’escrezione renale. Poiché l’escrezione epatobiliare è il predominante meccanismo di clearance, la parete della colecisti è l’organo critico dal punto di vista radiodosimetrico. L’acquisizione delle immagini si effettua 50-90 minuti dall’iniezione, a seconda del tipo di radiofarmaco impiegato.

Il confronto di questi traccianti con l’istochimica post-mortem indica che la loro captazione avviene esattamente in corrispondenza con la deposizione delle fibrille di amiloide. Studi con [11C]PIB e i dati ottenuti utilizzando traccianti marcati 18F indicano che questi traccianti consentono la diagnosi differenziale dell’AD dalla demenza frontotemporale, suggerendo un’elevata specificità per le forme di demenza con amiloidosi.

TERAPIA

Purtroppo il Morbo di Alzheimer rientra tra le patologie neurodegenerative per le quali non si conosce una cura farmacologica specifica; i farmaci utilizzati in terapia possono comunque soltanto alleggerire i sintomi o prolungare i tempi della prima e della seconda fase che sono caratterizzati da sintomi più lievi e sfumati rispetto alla fase grave/avanzata. Non bisogna dimenticare, infatti, che non è stato ancora sviluppato e messo in commercio alcun farmaco in grado di arrestare l’andamento patologico degenerativo.

Attualmente i farmaci più utilizzati sono gli inibitori dell’acetilcolinesterasi (Donezepil, Rivastigmina, Galantamina), indicati per cercare di influenzare il naturale decorso della malattia in quanto in grado di favorire la trasmissione chimica tra le cellule che risulta indebolita nell’AD. L’effetto terapeutico si basa sulla capacità del farmaco di aumentare la quantità di acetilcolina nello spazio sinaptico. Non privi di effetti collaterali, questi farmaci possono provocare bradicardia, diarrea, nausea e

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vomito.

Bisogna sottolineare che tali farmaci sono utilizzabili solo nella prima fase di malattia e non nelle fasi avanzate, e che non funzionano in tutti i casi; ci sono infatti pazienti cosiddetti “responders”, che rispondono bene al trattamento, e pazienti “non responders”, che invece non ne traggono alcun beneficio.

Inoltre, è necessario precisare che raramente i bisogni dei pazienti possono essere affrontati con la semplice somministrazione di un solo farmaco più o meno efficace ma, al contrario, richiedono spesso un approccio che può essere effettuato in vari modi e che tenga conto del quadro clinico, della presenza di malattie precedenti o in atto, delle ripercussioni sull’autonomia della persona e delle problematiche sociali e familiari.

Sulla base di queste considerazioni, la sperimentazione si rivolge allo sviluppo di farmaci che agiscano sulle placche di β-amiloide responsabili dell’AD. Sembra peraltro che un farmaco con tale capacità debba essere somministrato non quando la malattia è ormai conclamata ma nelle fasi più precoci.

Una nuova molecola, un anticorpo chiamato Aducanumab, sembrerebbe rallentare la formazione della cosiddetta placca di β-amiloide, ma la sua sperimen-tazione clinica è solo alle fasi iniziali.

L’importanza della diagnosi precoce dell’AD risiede dunque nella possibilità di agire prima che sia troppo tardi, prima cioè che i danni a livello cerebrale divengano irreversibili.

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SCOPO DELLA TESI

Lo scopo dello studio riportato nella presente tesi è stato quello di stimare la performance e la sicurezza della PET/TC con 18F-Florbetapir in un gruppo di 20 pazienti con deficit cognitivo afferenti alla UO Neurologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, arruolati nell’ambito di uno studio multicentrico internazionale. Un ulteriore scopo è stato anche quello di quantificare la concordanza inter-operatore sull’interpretazione dell’imaging e la concordanza tra il dato PET e la valutazione clinica di ogni paziente.

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MATERIALI E METODI

Pazienti

Da Luglio 2013 ad Aprile 2014, presso il Centro Regionale di Medicina Nucleare di Pisa, sono stati arruolati (nell’ambito dello studio multicentrico, multi-stato, randomizzato 18F-AV-45-A18) e sottoposti a PET con 18F-Florbetapir 20 pazienti di età compresa tra 50 e 85 anni (media 72 ± 7,5 anni).

I criteri di inclusione erano i seguenti: • età compresa tra 50 e 90 anni;

• partner nello studio (cioè qualcuno interessato al benessere del paziente con notevole interazione con il paziente stesso);

• deficit cognitivo verificato;

• punteggio MMSE da 24 a 30 o tra 16 e 24; • buona compliance.

I pazienti sono stati sottoposti a valutazione neuropsicologica che prevedeva i test cognitivi Alzheimer’s Disease Assessment Scale - Cognition (ADASCog) e il Mini Mental State Examination (MMSE); in base ai risultati di questi test, in tutti i pazienti è stata posta una diagnosi iniziale (v. Tabella 1).

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Tabella 1 – Orientamento diagnostico iniziale dal punto di vista clinico, e risultati dei test cognitivi in tutti i pazienti arruolati nello studio.

Sospetto iniziale Età ADASCog MMSE

2000-001 AD (MCI amnesico) 75 8 24,3

2000-002 Non-AD (MCI multidominio) 72 8 23,4

2000-004 AD in DLB 69 21 21,3

2000-005 Non-AD (FTD) 62 16 20,2

2000-006 Depressione o AD 76 27 15,7

2000-007 AD (MCI amnesico) 65 17 23,9

2000-008 Non-AD (FTD - afasia non fluente) 74 38 15,4

2000-009 AD 74 20 19,3

2000-010 AD (MCI amnesico) 74 13 27,3

2000-011 AD in DLB 85 19 25,5

2000-012 AD (MCI amnesico e linguaggio) + vascolare 72 11 29 2000-013 Non-AD (MCI multidominio) 78 13 23

2000-014 Non-AD (FTD) 75 25 18,3

2000-015 AD (MCI amnesico) 69 14 21

2000-016 AD (linguaggio) 69 15 26,2

2000-017 AD (atrofia corticale posteriore) 50 33 20,2

2000-018 Non-AD 79 21 22,7

2000-019 Non-AD 77 31 20

2000-020 Non-AD (FTD) 63 38 25,9

2000-021 Non-AD (FTD) 75 12 27,3

Sulla base della valutazione mediante ADAS-cog, 2 pazienti risultavano normali (score <10), 8 risultavano dubbi (score 10-17), mentre 10 pazienti presentavano un chiaro deficit cognitivo (score >17). Secondo il MMSE, 8 pazienti risultavano normali (score >24), 12 mostravano un lieve deficit (score 24-17) e nessun paziente presentava un deficit grave (score <17).

Sulla base di questa prima valutazione neurologica, i pazienti sono stati definiti rispettivamente 11 come sospetti AD e 9 come non sospetti AD.

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PET/TC con 18F-Florbetapir

Tutti i pazienti sono stati sottoposti a un esame PET/TC con 18F-Florbetapir (Amyvid®, Eli Lilly). Ai pazienti non era richiesta alcuna preparazione particolare. L'iniezione di Amyvid per via endovenosa non ha prodotto significativi effetti collaterali in nessun paziente. Una volta ricevuti i risultati del superamento del controllo di qualità di Amyvid®, ai pazienti sono stati somministrati in bolo 259 MBq ± 10% del radiofarmaco seguiti da 15-20 mL di soluzione fisiologica per il lavaggio della via di iniezione.

L’acquisizione è stata effettuata con tomografo Discovery PET/CT 710 (GE Healthcare, Milwaukee, Wisconsin, USA) dopo 50 ± 5 minuti dalla somministrazione di Amyvid®. L’esame PET/TC è iniziato con l’acquisizione dell’immagine “scout” sulla quale sono state poi decise e centrate le acquisizioni TC e PET successive. In questo caso lo scout è stato effettuato in proiezione latero-laterale sul piano a 90° al fine di semplificare la localizzazione dell’acquisizione PET/TC: in questa proiezione, infatti, risulta più immediato verificare che l’intero encefalo sia compreso nell’acquisizione, potendo visualizzare chiaramente le strutture ossee del cranio, dal vertice fino a tutta la fossa cranica posteriore.

Una volta definita la scansione TC e quindi la corrispondente posizione del lettino PET secondo le indicazioni sopra descritte, si è passati all’acquisizione della TC cranio in modalità spirale. I parametri caratteristici del fascio X sono stati scelti per ottenere dati densitometrici utili per eseguire una valida correzione per l’attenuazione, ma applicando un adeguato algoritmo di ricostruzione sui dati grezzi acquisiti è possibile anche ottenere una qualità di immagine sufficiente per la refertazione a monitor dell’esame PET/TC, sempre tenendo al minimo l’esposizione del paziente alle radiazioni ionizzanti. In particolare, la necessaria correlazione spaziale tra TC e PET fa sì che la scansione TC sia eseguita esattamente sullo stesso volume oggetto dell’acquisizione PET e quindi per una lunghezza fissa di 15 cm, tanti quanti misura il FOV PET in direzione assiale.

Terminata l’acquisizione TC è stata effettuata la PET, che consisteva nella acquisizione di un solo lettino, in modalità 3D, per un tempo totale di acquisizione di 10 minuti. Al termine della scansione PET/TC è avvenuta la ricostruzione delle immagini, e su workstation dedicata è stata valutata la qualità dei risultati

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dell’acquisizione. In caso di esito positivo, il paziente è stato comunque tenuto in osservazione per le due ore successive all’iniezione di 18F-Florbetapir per valutare potenziali effetti collaterali e quindi compilare il modulo “Adverse Event Reporting Fax Forms for Imaging Centers”. Trascorse due ore, il paziente è potuto tornare al proprio domicilio.

Le immagini PET così ottenute sono state visionate in modo indipendente da tre operatori, utilizzando i criteri, riassunti nella Tabella 2, per la lettura delle scansioni PET con il 18F-Florbetapir proposti dalla casa farmaceutica Eli Lilly. I tre operatori erano autorizzati alla lettura di queste scansioni PET, perché già formati a tale scopo. Tra gli elementi fondamentali di questi criteri vi è l’utilizzo della scala bianco-nero con la valutazione di tutti i lobi cerebrali, al fine di evidenziare un’eventuale perdita di contrasto tra la sostanza grigia e la bianca, e la presenza o meno di aree in cui la captazione della sostanza grigia supera quello della sostanza bianca.

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Tabella 2 – Indicazioni e criteri dell’analisi qualitativa della PET con 18F-Florbetapir

Esaminare ogni immagine transassiale dalla

parte inferiore a quella superiore del cervello • Ciò garantisce che la sostanza grigia del cervelletto sarà esaminata per prima (come tessuto di riferimento normale). • Poi saranno esaminati i lobi temporali e

occipitali.

• In seguito sarà esaminata la corteccia prefrontale.

• Come ultimo passaggio, sarà esaminata la corteccia parietale

Determinare se la scansione è positiva o

negativa • Le scansioni negative presentano radioattività maggiore nella sostanza bianca che nella sostanza grigia, con un chiaro contrasto grigio/bianco

• Le scansioni positive presentano: ü 2 o più aree cerebrali (ciascuna

più grande di un singolo giro corticale) con contrasto grigio/bianco è ridotto o assente; questa è l’aspetto più comune di una scansione positiva.

ü 1 o più aree in cui la radioattività della sostanza grigia è intensa e supera in modo chiaro l’attività della sostanza bianca adiacente.

Nei casi dubbi, cioè quelli nei quali l’atrofia corticale può determinare una difficoltà nella valutazione delle scansioni PET, è utile la valutazione delle immagini TC per discriminare tra aree di ridotto uptake del tracciante e aree atrofiche.

Analisi dei dati

La concordanza tra i risultati ottenuti tra i tre operatori interni e quella del centro coordinatore, è stata valutata con il test Kappa di Fleiss. La Kappa di Fleiss è una misura statistica adottata per stimare il grado di concordanza tra un numero fisso di osservatori, quando questi esprimono un giudizio di tipo qualitativo. Si tratta quindi di un indice di accettazione negli studi inter-osservatore, che quantifica il livello di accordo inter-osservatore per ridurre la soggettività del metodo utilizzato (test di mobilità) e per stabilire se il grado di accordo è dovuto semplicemente al caso. Questo coefficiente è compreso tra 0 e 1. Un valore di zero corrisponde a una

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correlazione che è identica a quello riscontrata casualmente, mentre 1 corrisponde a una perfetta correlazione tra le prove. I valori negativi di solito indicano che vi è disaccordo tra gli osservatori.

Sulla base dei risultati delle quattro letture, è stata calcolata una “lettura di maggioranza” che è servita da base per il calcolo della Kappa di Cohen tra il risultato finale della lettura, i test di valutazione cognitiva (ADAS-cog e MMSE), e la diagnosi neurologica definitiva. La Kappa di Cohen (K) è una misura statistica dell’accordo tra due valutatori, i quali debbano stabilire a quale categoria un numero finito di soggetti appartengano, escludendo le possibilità di accordo dovute al caso. La Kappa di Cohen è una scala dicotomica, che non tiene conto del grado di disaccordo tra i valutatori.

Sono stati infine utilizzati il test “t” di Student per dati appaiati e il test dei ranghi con segno di Wilcoxon, al fine di testare un’eventuale differenza statistica tra ADAS-cog iniziale e finale e il MMSE iniziale e finale. In particolare, il test “t” di Student per dati appaiati determina se esista una differenza statisticamente significativa nella media di una variabile dipendente tra gruppi correlati.

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RISULTATI

Al termine del follow-up della durata di dodici mesi nei 20 pazienti studiati è stato riscontrato un valore di ADAS-cog medio significativamente più elevato rispetto a quello iniziale (23,65 ± 11,31 versus 20,00 ± 9,27; p = 0,02). Anche per quanto riguarda il MMSE è stato osservato un significativo peggioramento della performance cognitiva, con uno score medio finale inferiore rispetto a quello iniziale (19,70 ± 4,66 versus 22,50 ± 3,80; p = 0.0005).

Nelle figure 5 e 6 sono riportati i grafici della distribuzione degli score di ADAS-cog e MMSE al momento dell’inclusione nello studio (T0) e al termine del follow-up di 12 mesi (T12).

Figura 5 – Distribuzione degli score del MMSE al momento dell’inclusione nello studio (T0) e al termine del follow-up (T12). La differenza è risultata statisticamente significativa (p = 0.0005).

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Figura 6 – Distribuzione degli score dell’ADAS-cog al momento dell’inclusione nello studio (T0) e al termine del follow-up (T12). La differenza media è risultata statisticamente significativa (p = 0.02).

La valutazione clinica finale neurologica è stata quella di AD possibile/probabile in 16 pazienti con deficit cognitivo, di tipo non AD nei restanti 4.

Per quanto riguarda la PET/TC con 18F-Florbetapir, sulla base della valutazione effettuata centralmente nell’ambito dello studio multicentrico 18 F-AV-45-A18, è risultata negativa per la presenza di accumulo cerebrale di Aβ in 4 pazienti e positiva in 16.

Il calcolo della concordanza tra lettori, effettuata mediante la Kappa di Fleiss, ha mostrato un valore di K=0.479 (concordanza moderata) per quanto riguarda i tre lettori del Centro Regionale di Medicina Nucleare, un valore K=0.583 (concordanza moderata/buona) tra tutti i lettori, includendo anche quello del centro coordinatore.

È stata effettuata inoltre la valutazione del valore di Kappa di Cohen tra il risultato della lettura di maggioranza della PET/TC e il MMSE (0,615, buona), l’ADAS-cog (0,737, buona) e la diagnosi definitiva dello specialista neurologo (0,737, buona).

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Dei 20 pazienti studiati 14 avevano presentato una tendenza al peggioramento in termini cognitivi con variazione del MMSE > 2 nel follow-up di 12 mesi. E’ stata riscontrata un’associazione statisticamente significativa tra il risultato della PET e la stabilità/evoluzione del MMSE (chi-quadro 4,821, p = 0.02). In particolare è stato evidenziato il fatto che 13/14 pazienti con MMSE in evoluzione avevano presentato una PET positiva per accumulo corticale di Aβ. Dei restanti pazienti con MMSE stabile la PET è risultata positiva in 3/6.

Tabella 3 – Associazione tra l’evoluzione/stabilità del MMSE con il risultato della PET.

MMSE evoluto MMSE stabile

PET neg 1 3 4

PET pos 13 3 16

14 6 20

Dei 6 pazienti inizialmente classificati come MCI e con imaging PET/TC positivo per la presenza di accumulo cerebrale di Aβ, 5 pazienti sono stati classificati, dopo un anno di follow-up, come affetti da probabile AD; nessun paziente con imaging PET/TC negativo per presenza di accumulo di Aβ ha avuto una diagnosi finale di AD.

Nei paragrafi seguenti riportiamo nel dettaglio i dati clinici e PET relativi a due pazienti, rispettivamente con imaging negativo e con imaging positivo alla PET con Amyvid®.

Paziente Aβ-negativo, 2000-002

Paziente maschio di 72 (13 anni di scolarità) con iniziale MCI multidominio caratterizzato da disturbi mnesici (insorti nei primi mesi del 2009), lieve aumento della quota ansiosa, flessione del tono dell’umore ed iniziale difficoltà nella gestione dei documenti.

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Il paziente ha effettuato esami ematochimici (emocromo, profilo lipidico, dosaggio vitamina B12, folati, omocisteina e dosaggio degli ormoni tiroidei) e TC cerebrale risultati nei limiti della norma.

I risultati iniziali dei test ADAS-cog e MMSE sono stati pari rispettivamente a 8 e 23,4.

Alle immagini PET/TC con 18F-florbetapir si apprezzava una normale distribuzione del tracciante a carico di tutte le aree corticali esplorate, in assenza di perdita di contrasto grigia/bianca tra la sostanza bianca e quella grigia (concordanza tra i quattro lettori, figura 7).

Figura 7 – Paziente 2000-002. PET con 18F-Florbetapir. Le 4 sezioni assiali mettono in evidenza la captazione del radiofarmaco a livello della sostanza bianca, ma non nel contesto della sostanza grigia (pattern negativo).

Al termine del follow-up con visite al primo, terzo e dodicesimo mese, il paziente non ha presentato un significativo peggioramento della performance cognitiva test ADAS-cog e MMSE pari rispettivamente a 12 e 24,4.

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Paziente Aβ-positivo, 2000-005

Paziente maschio di 61 anni (17 anni di scolarità) con sospetto clinico iniziale di demenza frontotemporale (FTD) presentava un quadro sintomatologico caratte-rizzato da rallentamento ideomotorio, deficit attentivi e mnesici con apatia e flessione del tono dell’umore. Il paziente inoltre riferiva disorientamento e difficoltà nell’uso del computer.

Il paziente ha effettuato esami ematochimici (emocromo, profilo lipidico, dosaggio vitamina B12, folati, omocisteina, dosaggio degli ormoni tiroidei) e TC cerebrale risultati nei limiti della norma.

La RM encefalo rilevava un ampliamento degli spazi liquorali subaracnoidei in sede parietale bilateralmente.

L’esame obiettivo è risultato nella norma, eccezion fatta per la presenza di rallentamento ideomotorio.

I risultati iniziali dei test ADAS-cog e MMSE sono stati pari rispettivamente a 16 e 20,2 (decremento del quadro cognitivo)

Alle immagini PET/TC con 18F-Florbetapir è stato osservato un diffuso accumulo di Aβ a carico della gran parte delle regioni corticali esplorate, associato di perdita del gradiente fisiologico tra la sostanza bianca e quella grigia (concordanza tra i quattro lettori, Figura 7).

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Figura 7 – Paziente 2000-005. PET con 18F-Florbetapir. Le 4

sezioni assiali mettono in evidenza una diffusa captazione del radiofarmaco a livello della sostanza grigia (pattern positivo).

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DISCUSSIONE

L’invecchiamento della popolazione è diventato un fenomeno universale. Il report dell’ “UN Aging Program and the US Centers for Disease Control and Prevention” ha stimato che il numero delle persone anziane (+ 65 anni) sia passato da 420 milioni presenti nel 2000 a circa 1 miliardo nel 2013 (26).

Dato che l’insorgenza dell’AD è strettamente correlata con l’aumentare dell’età, è chiaro che le demenze, in tutti gli stati del mondo, rappresentino una grande sfida per la salute pubblica e per i sistemi di assistenza degli anziani. Pertanto una diagnosi affidabile e precoce ha un ruolo chiave nel trattamento dei pazienti e nella gestione ottimale della spesa sanitaria.

In questo scenario l’imaging funzionale PET/TC riveste un ruolo fondamentale. Tuttavia, oltre all’assodata utilità in questo ambito della PET/TC sia con [18F]FDG (27) che con [11C]PIB(28), recentemente hanno visto la luce nuovi radiofarmaci marcati con Fluoro-18 in grado di legarsi alla Aβ che si accumula nell’encefalo: florbetaben, florbetapir, flutemetamol.

Il primo di questi farmaci ad essere approvato dalla Food and Drug Administration è stato il 18F-florbetarpir. Questo radiofarmaco si lega agli aggregati di amiloide nell’encefalo ed è utile per stimare la densità delle placche di Aβ.

Nei primi trials clinici le scansioni PET con 18F-florbetapir sono state indipendentemente interpretate da più lettori che avevano completato il training di formazione. Da ciò è stato sviluppato un metodo binario di interpretazione delle immagini come “positive” o “negative”. Le immagini “positive” sono state riclassificate sulla base della densità “moderata o frequente” delle placche come stabilito dai criteri per l’AD della National Institute of Aging.

In 59 pazienti sottoposti a PET ed esame autoptico la sensibilità della metodica è risultata del 92% e la specificità del 95% in base alla mediana di valutazione tra i 5 lettori (ClinicalTrials.gov numero NCT01447719). In un altro studio 5 lettori hanno visionato le immagini di 151 soggetti con riscontro di un Kappa score pari a 0,83 (NCT01550549).

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concordanza sia tra lettori formati a tale scopo (K Fleiss=0,583, con l’utilizzo dei parametri forniti da Eli Lilly per l’interpretazione dell’imaging), sia una buona concordanza tra i risultati dell’esame PET/TC (positivo/negativo per accumulo di Aβ) e i dati clinici (K Cohen con MMSE = 0,615, K Cohen con ADAS cog = 0,737 e K Cohen con la diagnosi definitiva dello specialista neurologo =0,737) (31).

Nella nostra casistica, in linea con i dati della letteratura (29), non si è osservato nessun caso di imaging PET negativo e associata diagnosi finale di AD.

Inoltre anche la capacità della metodica nell’individuare i casi di possibile passaggio da MCI ad AD come riportato in letteratura (30) risulta concordare con i nostri dati (5 su 6 pazienti MCI hanno infatti dopo un anno avuto una diagnosi finale di AD). Più in generale, il risultato positivo della PET per la presenza di Aβ è risultato associato alla progressione del deficit cognitivo valutato con il MMSE.

I due casi di discordanza tra imaging PET e diagnosi definitiva può essere spiegato rispettivamente in un caso dalla fisiologica presenza di Aβ nei pazienti MCI che non obbligatoriamente diventeranno AD, e nell’altro caso, dalla possibilità di avere PET positiva anche in caso di FDT (31) .

I risultati riportati nella presente tesi dimostrano, pertanto, che 18F-florbetapir può realmente rilevare i depositi di Aβ nell’encefalo e essere utile nella diagnosi precoce e differenziale tra condizioni neurodegenerative di demenza e non demenza (32).

Inoltre, il 18F-florbetapir permette la realizzazione di immagini simili a quelle ottenute con [11C]PIB, senza la limitazione della ridotta emivita di questo radiofarmaco che ne rende difficile l’utilizzo su larga scala.

In conclusione, i traccianti PET/TC per la Aβ posso essere considerati buoni biomarkers per la valutazione della presenza di Aβ nell’encefalo ed in base al carico di amiloide, anche un fattore predittivo di rischio di demenza (33).

Quindi, anche i base a recenti pubblicazioni si può dire che l’impiego dell’imaging PET per Aβ dovrebbe essere riservata ai seguenti casi:

• Soggetti affetti da MCI persistente o progressivo definito secondo i criteri NIA-AA (34), quando la diagnosi su base morfologica e funzionale rimane incerta. • Soggetti MCI (a) quando il quadro clinico è atipico o incerto senza una

(31)

concomitanti problematiche vascolari (c) o quando sono concomitanti fuorvianti condizioni cliniche, ad esempio effetti dei farmaci o patologie sistemiche non adeguatamente controllate.

• Soggetti con diagnosi possibile di AD, definita in base ai criteri NIA-AA (35,36) ,quando la diagnosi finale è incerta anche dopo le procedure diagnostiche morfologiche e funzionali.

• Soggetti con decadimento cognitivo o demenza progressiva ed età inferiore a 65 anni quando la diagnosi finale è incerta anche dopo le procedure diagnostiche morfologiche e funzionali.

• Soggetti affetti da sindrome focale (ad esempio, afasia progressiva, agnosia e aprassia, sindrome cortico-basale) quando la diagnosi finale è incerta anche dopo le procedure diagnostiche morfologiche e funzionali con lo scopo di escludere l’AD.

La PET con traccianti per Aβ non deve essere tuttavia considerata un metodo unico di identificazione dell’AD. Dati in letteratura indicano infatti l’importanza della valutazione della quantificazione della Aβ42, della proteina tau e della sua forma fosforilata nel liquido cefalorachidiano insieme con i dati morfologici e funzionali fino ad ora a disposizione, al fine di giungere ad un corretta diagnosi nei pazienti affetti da deficit cognitivi (37).

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