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LA GARANZIA PER EVIZIONE NELL'ETA DEL TARDO DIRITTO COMUNE

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LA GARANZIA PER EVIZIONE

NELL’ETÀ DEL TARDO DIRITTO COMUNE

Un confronto tra la dottrina del Pothier e alcune decisioni rotali del

Granducato di Toscana

(2)

«Il giurista dev’esser attento alla storia perché solo con l’aiuto decisivo della prospettiva storica egli riesce a comprendere il presente dell’esperienza giuridica»

(3)

INDICE

INTRODUZIONE

CAPITOLO 1 IL CONTESTO

α. Una generale premessa storica

β. L’età del diritto comune β.1 Jus universale

β.2 Jus universale et subsidiarium β.3 Jus regium

β.4 Jus proprium

γ. La fine del diritto comune in Francia e in Italia centro-settentrionale

γ.1 I principati tedeschi

γ.2 Il Regno di Francia e il fermento borghese γ.3 Il Granducato di Toscana e le riforme leopoldine

δ. Il sistema contrattuale e la voluntas partium δ.1 Numerus clausus et numerus apertus δ.2 Il potere qualificatorio

δ.3 Il contenuto contrattuale δ.4 Il dogma della volontà

(4)

CAPITOLO 2 L’OGGETTO

α. La proprietà e la garanzia per evizione

β. Le origini romane

γ. L’evizione nel codice italiano vigente γ.1 Il profilo dei presupposti

γ.1.1 Trasferimento tra le parti del diritto di proprietà γ.1.2 Situazione giuridica del terzo

γ.1.2.a Vizio di diritto

γ.1.2.b Origine anteriore al trasferimento della proprietà γ.1.3 Manifestazione del fatto evittivo

γ.1.3.a In via giudiziale γ.1.3.b In via non giudiziale

γ.1.4 Contraddittorio sul fatto evittivo tra venditore e compratore γ.1.4.a Venditore parte in causa nella controversia compratore – terzo γ.1.4.b Autonomo processo venditore – compratore

γ.2 Il profilo dell’esclusione e limitazione della responsabilità γ.3 Il profilo del contenuto

(5)

CAPITOLO 3

L

E RIFLESSIONI DI

R

OBERT

-J

OSEPH

P

OTHIER

α. Il trattato del contratto di vendita

β. Ιl profilo dei presupposti

γ. Il profilo dell’esclusione e limitazione della responsabilità

δ. Ιl profilo del contenuto

CAPITOLO 4

L’

ESPERIENZA GIURIDICA TOSCANA

α. L’uditore di Rota Giuseppe Vernaccini

β. Il profilo dei presupposti

ARCIS SANCTI CASSIANI RELEVATIONIS

γ. Il profilo dell’esclusione e limitazione della responsabilità FLORENTINA PRAETENSAE EVICTIONIS

δ. Il profilo del contenuto

FLORENTINA RELEVATIONIS, ET IMMISSIONIS ε. PISANA EVICTIONIS

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Introduzione

L’algoritmo socio-economico che caratterizza il nostro tempo si regge sulla proprietà. L’enorme produzione di beni e la loro capillare distribuzione hanno prodotto, già dalla seconda metà del secolo scorso, il fenomeno del c.d. consumismo1, diffuso specialmente nel mondo occidentale. L’esigenza sfrenata di acquistare invade tutta la società e poche barriere riescono a reggere dinanzi a tale fenomeno2.

La nuova industria 4.0 e l’ampliamento esponenziale della popolazione capace di connettersi ad internet sono le vittorie dell’ultima rivoluzione tecnologica e rappresentano dei forti acceleratori del fenomeno appropriativo. Ora gli acquisti sono rapidi, immediati, e sono spesso gestiti da un unico intermediario3.

L’affidabilità di un rivenditore viene giudicata seguendo nuovi

1 Nella definizione data dall’Enciclopedia on line Treccani: «aumento dei

consumi per soddisfare i bisogni indotti dalla pressione della pubblicità e da fenomeni d’imitazione sociale diffusi tra ampi strati della popolazione»; http://www.treccani.it/enciclopedia/consumismo/.

2 Un esempio importante di risposta della società civile alla forza del

mercato consumistico è lo sviluppo dei GAS, acronimo di Gruppi d’Acquisto Solidale. Si tratta di un “mercato” le cui caratteristiche peculiari sono l’essere piccolo, locale e solidale e che ha tra i suoi pilastri il diretto contatto tra produttore e consumatore. Il giro d’affari attestato nel 2014 è di 90 milioni di euro. Fonte: Le Inchieste di Repubblica, L’altra spesa è

diventata grande; indirizzo internet:

http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2014/10/09/news/20_anni_di_gas-96149008/.

3 I ricavi del colosso americano Amazon del secondo trimestre 2017

ammontano a 38 miliardi di dollari

(http://www.repubblica.it/economia/finanza/2017/07/28/news/delusione_am azon_i_conti_sotto_le_attese-171812175/); il concorrente cinese Alibaba non è da meno, potendo contare su una diffusione ed utilizzazione di internet senza rivali: in Cina «circa i nove decimi delle transazioni

commerciali avvengono su internet» e ci sono «520 milioni di utilizzatori di smartphone» (da

http://www.corriere.it/economia/17_ottobre_11/alibaba- 15-miliardi-tre-anni-sfidare-amazon-google-579bde9e-ae75-11e7-b0c4-b8561c2586e6.shtml, Alibaba, 15 miliardi in tre anni per sfidare Amazon e

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parametri4; le qualità di un prodotto sono spesso legate alla facilità e velocità di reperimento dello stesso.

Il presupposto di un tale assetto commerciale, che si regge su un’interdipendenza tra Stati di rilevanza internazionale, consiste nella sicurezza dei traffici. Numerose sono le clausole che garantiscono all’acquirente on-line la piena riuscita dell’operazione commerciale; a queste si affianca la possibilità di conoscere in tempo reale la posizione del prodotto lungo il percorso di spedizione; vi sono, infine, diverse modalità di rifiuto del bene che all’arrivo risulti essere diverso o viziato rispetto a quello richiesto.

La sicurezza nel trasferimento della proprietà non riguarda, naturalmente, soltanto i beni mobili. L’assetto delle compravendite immobiliari ha ormai raggiunto standard elevati circa le garanzie riconosciute all’acquirente; l’obbligo, gravante sull’alienante, di trasferire il pieno diritto di proprietà si esplicita nella stipulazione tra le parti di una clausola tale da escludere l’esistenza di qualsiasi diritto di terzi sul bene.

Tra le garanzie riconosciute ex lege al compratore l’attuale codice civile include anche quella per evizione (artt. da 1483 a 1488 cc). L’effetto reale della compravendita, dunque, è accompagnato da una guarentigia pronta ad intervenire nel caso in cui la rivendicazione di un diritto da parte di un terzo pregiudichi la piena titolarità del bene in capo all’acquirente.

4 Basti pensare che il giornale on-line delle Piccole e Medie Imprese italiane

allerta gli imprenditori che vogliono indirizzare il loro e-commerce verso la Cina circa la necessità di garantire un velocissimo caricamento delle loro pagine web: «l’utente medio cinese si spazientisce dopo appena 23 secondi,

abbandonando (in alcuni casi per sempre) il sito web»; E-commerce in Cina: quando il tempo è una misura che conta, indirizzo internet:

https://www.giornaledellepmi.it/e-commerce-in-cina-quando-il-tempo-e-una-misura-che-conta/.

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La garanzia per evizione obbliga il venditore ad intervenire nel giudizio promosso dal terzo rivendicante e a ristorare gli eventuali pregiudizi subiti dall’avente causa.

La garanzia ha origine nel sistema romano, che era caratterizzato da una compravendita con effetti obbligatori: l’alienante trasferiva non la proprietà del bene, ma solo il diritto di godimento e il possesso.

Autorevole dottrina moderna5 evidenzia, dunque, l’inutilità della garanzia per evizione in un contesto giuridico come quello attuale, che assicura, attraverso lo strumento del contratto di compravendita ad effetti reali, il trasferimento della piena proprietà del bene. Ordinamenti diversi da quello italiano6, infatti, hanno seguito tale

orientamento, eliminando dall’ordinamento giuridico la garanzia e riportando il mancato trasferimento del diritto reale nell’alveo dell’inadempimento contrattuale.

Il momento ultimo di transizione tra un sistema, quello romano, e l’altro, quello moderno, è stato il secolo XVIII. Carico di cambiamenti e di “rivoluzioni”, questo secolo ha determinato l’affermazione impetuosa della codificazione e l’insorgere di due rilevanti novità: l’unificazione dei vari concetti e momenti proprietari e la creazione di un unico soggetto di diritto. Da questo momento in poi, la proprietà privata individuale ha tracciato confini sempre più stabili e ha invaso la vita di tutti i consociati; da privilegio riservato a

5 Angelo Chianale, nella voce Evizione del Digesto afferma: «L’evoluzione

storica mostra che la garanzia [per evizione] ha perso ogni ragione, nel momento in cui, abbandonando il modello romano, si è posta in capo al venditore l’obbligazione di dare.»; A. CHIANALE, v. Evizione, in Digesto IV Edizione, Discipline Privatistiche – Sezione Civile, presidente del comitato scientifico R. Sacco, VIII, Torino 1990, p. 167.

6 Il BGB tedesco non prevede alcuna garanzia per evizione; l’eventuale

menomazione del diritto trasferito al compratore per il riconoscimento del diritto del terzo rientra nelle ipotesi di inadempimento del venditore.

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pochi soggetti, in quanto appartenenti a determinati status sociali, è diventata un diritto fondamentale7 e imprescindibile per ogni ordinamento definito democratico.

Il presente lavoro ha l’obiettivo di analizzare la figura giuridica della garanzia per evizione per come configurata alla fine dell’epoca del diritto comune. Il contesto storico-giuridico di riferimento è, quindi, quello immediatamente pre-codificatorio, durante il quale le esigenze di certezza del diritto erano sempre più sentite e gli strumenti fino a quel momento utilizzati per placarle risultavano chiaramente insufficienti.

Il primo capitolo attraverserà sommariamente le fasi storico-giuridiche del Settecento; verranno analizzati due contesti particolari nei quali il diritto comune ha giocato un ruolo determinante: Francia e Italia centro-settentrionale; si esaminerà il sistema contrattuale caratterizzante il momento storico in esame.

Nel secondo capitolo si definiranno la natura e le caratteristiche della garanzia per evizione, accennando alle origini romane e analizzando le disposizioni del codice civile italiano vigente.

I capitoli successivi saranno dedicati alla trattazione delle fonti: il terzo avrà ad oggetto il trattato Du Contrat de vente8 di R. J. Pothier,

7 L’art. 2 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino così recita:

«Il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali

ed imprescrittibili dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione.»

8 L’opera è stata pubblicata in Francia nel 1762; per l’analisi effettuata nel

presente lavoro è stata utilizzata la traduzione italiana del 1834, Giuseppe Antonelli Editore, Venezia.

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il quarto le decisioni del Granducato di Toscana raccolte dall’uditore di Rota Giuseppe Vernaccini9.

9 Le decisioni sono tratte dalla Collezione Completa delle decisioni

dell’uditore Giuseppe Vernaccini, pubblicata nel 1824, Stamperia

(11)

C

APITOLO

1

-

I

L CONTESTO

α. Una generale premessa storica

Le due principali fonti storico-giuridiche scelte per essere esaminate nel presente lavoro sono da collocarsi negli ultimi decenni del secolo XVIII; precisamente, l'opera Du Contrat de vente di R. J. Pothier è del 1762, mentre le decisioni giurisprudenziali del Granducato di Toscana, tratte dalla raccolta realizzata dall'uditore di Rota Giuseppe Vernaccini, sono state pronunciate tra il 1779 e il 1783. Nel corso del lavoro saranno evidenziati i legami prettamente giuridici esistenti tra le due opere, in modo da permettere la cognizione dei contrasti e dei parallelismi che intercorrono tra i due contesti di riferimento.

Preliminarmente, appare necessario mettere in luce il momento storico cui entrambe le fonti appartengono, in quanto primo e basilare elemento comune.

Il secolo XVIII ha rappresentato uno snodo fondamentale nel processo che ha condotto alla formazione e allo sviluppo della società moderna. È stato un secolo pervaso da un'intensa attività scientifica e da un crescente dinamismo intellettuale, che hanno permesso la formazione di una cultura capace di sostenere il salto verso l'età dell'industria e del progresso.

La passione universale per le scienze, che dilagò nel corso del Settecento, creò un ambiente estremamente stimolante per il lavoro degli scienziati. Invenzioni e scoperte furono perciò molto numerose in tutta Europa. Nel campo della fisica, l’italiano Luigi Galvani10

10 M. BRESADOLA, v. Luigi Galvani, in Il Contributo italiano alla storia

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(1737-1798) scoprì la presenza dell’elettricità nei muscoli delle rane e con i suoi strumenti aprì la strada all’invenzione della pila elettrica del connazionale Alessandro Volta (1745-1827). Lo svedese Celsius (1701-1744) elaborò la scala termometrica che ancora porta il suo nome, mentre l’inglese Isaac Newton (1642-1727) enunciò la grande legge della gravitazione universale. In Francia, George Buffon (1707-1788) pose le basi della geologia moderna e fondò a Parigi il Museo di Storia naturale. Antoine-Laurent Lavoisier (1743-1794) si impose come fondatore della chimica moderna, enunciando il famoso principio secondo il quale la materia cambia forma, ma non può aumentare o diminuire: nulla si crea, nulla si distrugge. Gli studi condotti sui gas permisero di realizzare il vecchio sogno umano di volare. Nel 1783 i fratelli Montgolfier lanciarono in volo un pallone di carta pieno di aria calda e, nello stesso anno, il fisico Jacques Charles (1746-1823) sostituì all’aria calda un gas da poco scoperto, l’idrogeno, che consentì alle mongolfiere di salire più in alto e più velocemente.

In nome del pensiero illuminista, per il quale l’uomo, con la propria ragione, deve esaminare i fatti e non accettarli soltanto perché "così si è sempre creduto", e attraverso il metodo sperimentale, che partiva da dati certi e rifletteva sui fenomeni osservati, le scienze compirono grandi progressi. La straordinaria vivacità e l’altissimo livello qualitativo del pensiero scientifico settecentesco si evidenziarono nel campo della matematica, della fisica, dell’astronomia, della medicina e della chimica, tutti ambiti nei quali il fervore delle ricerche fu coronato da brillanti risultati.

Accanto al progresso della scienza e della tecnica, assai rilevanti furono anche i fermenti culturali che caratterizzarono i filosofi e

http://www.treccani.it/enciclopedia/luigi-galvani_%28Il-Contributo-italiano-alla-storia-del-Pensiero:-Scienze%29/.

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pensatori del tempo. La razionalità della corrente illuminista si affermò e si diffuse in tutta Europa. Il centro nevralgico fu Parigi, i principali luoghi di ritrovo e dibattito furono i salons, i clubs ed i café. In questi luoghi prese piede e vigore il pensiero illuminista, che affermava in modo netto la superiorità della ragione contro la schiavitù dei pregiudizi e dell'ignoranza; la forza della ragione doveva essere messa a disposizione di tutti gli uomini, e doveva permettere loro di abolire privilegi e arbitri, di far trionfare l'uguaglianza e la libertà.

L’espressione più emblematica della cultura dell’Illuminismo è l’Enciclopedia, o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, a cura di una società di uomini di cultura, nata su iniziativa di Denis Diderot e di Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert, i quali ne furono condirettori sino al 1758, anno in cui d’Alembert si dimise e Diderot si assunse l’onere di continuare e concludere l’impresa.

Perfino e soprattutto l'arte risultò profondamente cambiata dopo il XVIII secolo. In tutta Europa, infatti, l’interesse per l’arte si accese di nuovi spunti e brillanti interpretazioni. La circolazione delle idee e degli artisti tra le corti europee favorì l’internazionalizzazione della cultura. Grazie al libero diffondersi delle idee, durante la prima metà del secolo si svilupparono in Europa numerose tendenze artistiche. Assieme allo stile rococò, che segnava il trionfo del raffinato, del galante e del prezioso, persistettero forme e modi della tradizione seicentesca, mentre crebbe un nuovo interesse per la resa obiettiva degli aspetti della realtà, che porterà allo sviluppo del ritratto, della veduta e della scena di costume. Soltanto dopo la metà del secolo si impose un nuovo orientamento stilistico, indicato col termine di neoclassicismo, in cui il recupero del mondo antico, considerato unico depositario della bellezza e della perfezione, venne tradotto in

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un linguaggio moderno di nobile semplicità di forme e purezza di contorni. Il revival dell’antico visse un deciso incremento dopo i ritrovamenti delle città di Pompei ed Ercolano, sommerse dalla lava, ed in seguito al trasferimento verso i musei europei di reperti dai più celebri templi greci, quali quelli del Partenone di Atene, allora scambiati per copie romane, ma già riconosciuti come autentici da Antonio Canova, il più celebre scultore italiano di età neoclassica. Nel considerare i prodotti dell’antichità greco-romana come modelli assoluti, l’ideale dell’armonia e della proporzione divenne il canone principale dell’operare artistico.

Tra i maggiori spiriti del tempo vi furono notevoli diversità di pensiero.

Montesquieu11 (1689-1755) contestò il sistema dall’interno, ovvero senza rompere la rete di norme, consuetudini e relazioni sociali che caratterizzavano la classe dirigente francese della prima metà del XVIII sec. Di famiglia aristocratica, avviato alla carriera giudiziaria e grande viaggiatore, fece parte di quello stesso establishment che nelle sue opere era oggetto di critica. Non si trattava di opportunismo o doppiezza, quanto piuttosto della manifestazione di quel contrasto, tipico del razionalismo illuministico, fra mondo della realtà e mondo delle idee.

Lo spirito combattivo dell’Illuminismo sembra incarnarsi alla perfezione nella personalità e nell’opera di Voltaire (1694-1778), il più versatile ed irrequieto tra i pensatori del secolo, onorato come il maggiore poeta epico e drammatico del suo tempo, ma temuto e

11 Charles-Louis de Secondat, barone di La Brède e di Montesquieu si

laureò in giurisprudenza a Bordeaux. Fu prima consigliere e poi Presidente del Parlamento della stessa città. La sua opera più importante è De l'esprit

des lois (Ginevra, 1748), nella quale enuncia la celebre teoria della

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osteggiato per la spregiudicatezza irridente dei suoi versi e dei suoi atteggiamenti.

Voltaire, tra il 1726 e il 1729, costretto all'esilio per sfuggire al carcere, si rifugiò in Inghilterra; lasciata la Francia, culla dell'illuminismo, il poeta approdò in luogo meno raffinato, ma più moderno, progredito e libero. Qui, infatti, ebbe l'occasione di stringere rapporti con scienziati, scrittori e uomini politici, apprezzando la particolare tendenza liberale e la struttura politica dell'isola. Fu proprio in Inghilterra, oramai Gran Bretagna, dopo l'unificazione con la Scozia del 1707, che la nuova cultura settecentesca si interessò anche di economia.

Adam Smith12 (1723-1790), accogliendo le premesse ideologiche dei

fisiocrati13, teorizzò la libera iniziativa economica, secondo la quale ad ogni uomo deve essere consentito di fare i propri interessi e di esercitare la propria attività in un regime di libera concorrenza, senza però andare contro le leggi che lo regolano. Così facendo, il singolo opererà anche a vantaggio dell’intera società. Lo Stato deve quindi favorire la libera iniziativa ed intervenire solo nella realizzazione e nel mantenimento di quelle opere pubbliche che un imprenditore non potrebbe realizzare da solo.

Iniziò a diffondersi in tutta Europa l'idea di creare delle regole del gioco uguali per tutti, eliminando ogni distinzione tra aristocratici, nobili e borghesi; tutti dovevano rispettare le stesse norme, e versare gli stessi contributi allo Stato. I nuovi pensatori, soprattutto borghesi,

12 Ha studiato nelle università di Glasgow e di Oxford; dopo la laurea è stato

professore di logica e poi di filosofia morale nell’università di Glasgow. Al seguito del giovane duca di Buccleuch, viaggiò in Francia.

13 La fisiocrazia fu una scuola economica francese, il cui massimo

esponente fu F. Quesnay. Tale dottrina teorizzava la superiorità dell’agricoltura sul commercio e aveva l’obiettivo di garantire privilegi e vantaggi alla classe dei proprietari fondiari, a scapito soprattutto di commercianti e industriali.

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si diedero, dunque, l'obiettivo di lottare contro i privilegi di classe, proponendo che anche i nobili fossero tassati.

La società tutta, e particolarmente quella borghese, visse, dunque, una trasformazione culturale travolgente ed impetuosa; l'epidemia culturale fu tale da attecchire in quasi tutti i territori europei, sino a giungere anche nel nuovo continente.

I riflessi sociali e politici di questo particolare momento storico non si fecero attendere. Le tredici colonie americane furono le prime a concretizzare il nuovo sentimento culturale: la Rivoluzione americana (1775-1783) portò all'indipendenza dal Regno Unito e all'emanazione della costituzione democratica più antica del mondo (1787). Pochi anni dopo, i principi illuministici, le scoperte tecniche e il progresso economico infiammarono anche gli animi delle popolazioni europee e condussero allo scoppio, nel cuore del continente, della Rivoluzione francese (1789-1799).

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β. L’età del diritto comune

L'espressione diritto comune fa riferimento alla geograficamente vasta applicazione del diritto romano nella maggior parte dei territori europei, per un lasso di tempo considerevole, all'incirca dal secolo XI14 sino alla fine del XVIII. La fonte giuridica del diritto romano è il Corpus juris civilis15, ovvero la grande compilazione giuridica frutto del progetto legislativo dell'Imperatore romano d'Oriente Giustiniano (482-565). L'opera, composta di quattro parti, Codice, Istituzioni, Digesto, Novelle, ebbe l'obiettivo di raccogliere e sistematizzare tutte le costituzioni imperiali e le decisioni giurisprudenziali sino a quel momento formulate e pertanto utili per la definizione del diritto vigente. Tale immane lavoro comportò la distruzione, per ordine dell'imperatore, di tutto il materiale originale utilizzato.

14 Il crollo dell'Impero Romano d'Occidente (476) creò nell'Europa

continentale una lunga fase di instabilità politica, a cui inevitabilmente si affiancò una quasi totale scomparsa della società romana e del suo diritto. Simbolicamente, la riscoperta del diritto romano è ricondotta al 1076, anno cui è stato riferito il Placito di Marturi14, primo documento certo che

richiama espressamente il Digesto giustinianeo.

Il presupposto politico della rinascita del diritto romano fu l'incoronazione di Carlo Magno da Papa Leone III, avvenuta nel Natale dell'800; è così sancita la rinascita del Romano Impero, ora definito anche Sacro, e che divenne Germanico nel 962, con l'incoronazione di Ottone I. Questi ereditò buona parte dell'Impero Carolingio, con esclusione però del territorio corrispondente all'odierna Francia. Nei territori germanici e dell'Italia settentrionale, dunque, fu ristabilito il legittimo potere dell'imperatore; a tale evento venne ricondotta la rinnovata e necessaria applicazione della fonte romana, la quale, dopo secoli di oblio, poteva ritrovare la sua autorità e cogenza.

15 Il Corpus Juris che è stato utilizzato durante il basso medioevo e sino

all’età moderna, nella sua partizione interna, non coincide con l’originale giustinianeo. La struttura medievale è caratterizzata dalla suddivisione in cinque volumi: i primi tre hanno ad oggetto il Digesto (Digestum vetus,

Digestum infortiatum, Digestum novum), il quarto comprende i primi nove

libri del Codice (da qui la denominazione di Codex), il quinto (chiamato

Volumen) racchiude i restanti tre libri del Codice, i quattro libri delle

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Nei secoli centrali dell’esperienza di diritto comune, il diritto romano venne affiancato dal diritto canonico. Potere temporale e potere spirituale trovarono un compromesso nella coesistenza di due giurisdizioni autonome e indipendenti. Tale assetto entrò in crisi nel secolo XVI, parallelamente alla assolutizzazione degli Stati nazionali e alla formazione degli Stati principeschi in Italia e Germania.

Prima di analizzare specificamente il periodo finale del diritto comune, immediatamente precedente alla codificazione napoleonica, è utile tracciare un breve excursus delle varie fasi del lungo periodo storico attraverso il quale l’esperienza giuridica del diritto comune si è prima sviluppata e poi conclusa.

β.1 Jus universale

Il ponte iniziale che permise l'applicazione e l'adattamento del Corpus alla nuova realtà storica fu l'Interpretatio italiana, ed in particola quella della Scuola di Bologna. L'opera di Irnerio († 1130?) e dei suoi discepoli si pose innanzitutto l'obiettivo di riscoprire e ridare luce alla fonte romana. I giuristi si adoperarono in un'analisi filologica dei testi16, che, durante i secoli alto medievali, erano stati oggetto di errate e azzardate interpretazioni.

16 A questa era affiancata un’opera di vera e propria interpretazione,

realizzata tramite lo strumento della glossa: accanto alle più semplici glosse interlineari, utilizzate soprattutto per chiarire e permettere una comprensione maggiore della lettera romana, prodotto più complesso del lavoro dello studium bolognese furono le glosse marginali. Queste ultime permettono al lettore di avere contezza dell'interpretazione del giurista, in quanto evidenziano discordanze e contraddizioni dell’opera ed espongono corposi ragionamenti giuridici relativi al brano glossato.

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La legittimazione politica17 della cogenza del diritto romano nel territorio dell'impero non fu da sola sufficiente per la pronta applicazione dello ius commune; il lavorio e l'intermediazione di specialisti conoscitori dell'immenso materiale giuridico, quali erano appunto i glossatori, si dimostrarono indispensabili per un efficiente impiego delle fonti romane nella risoluzione dei casi pratici da parte degli operatori giuridici.

In questa prima fase, che va dal XII al XIII secolo, lo ius commune fu inteso come lo ius universale, unica e inderogabile fonte di diritto nei territori dell'impero; i numerosi e diversificati iura propria locali furono considerati dai glossatori soltanto diritti suppletivi.

β.2 Jus universale et subsidiarium

Nella seconda fase18, che va dal XIV al XV secolo, la realtà europea è

radicalmente cambiata. La consistenza economica e demografica risulta notevolmente migliorata; l'attività mercantile conosce in questo periodo un fiorente sviluppo; le strutture politiche e associative assumono conformazioni e rilevanze nuove.

In questo contesto, il rapporto tra ius commune e iura propria non poté rimanere invariato, ma risultò invertito. Lo studio e l'analisi dei testi giuridici latini persero il carattere fideistico che contraddistingueva il lavoro dei glossatori. La cogenza innata del diritto romano, derivante direttamente dal volere di Dio e dall'autorità dell'imperatore del Sacro Romano Impero, non venne meno, ma diede spazio alle esigenze pratiche della società. I vari diritti locali

17 Vedi supra nota 14.

18 È questa l'età del commento del corpus iuris; i nuovi intermediari, i

commentatori, non sono più maestri dell'esegesi, ma i profondi conoscitori delle tecniche applicative del diritto romano alle diverse realtà locali. Se, infatti, il diritto romano riduce la sua importanza nella gerarchia delle fonti, detiene ancora e nonostante ciò le chiavi e gli strumenti necessari per la risoluzione delle controversie.

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prevalsero sullo ius commune; questo diventa il terreno comune, universale e sussidiario, su cui le diverse legislazioni e autonomie si ressero.

Le massime e gli schemi studiati ed elaborati dai glossatori furono ancora, e più di prima, indispensabili per l'applicazione del diritto ai casi concreti e per permettere la resistenza dei diversi sistemi socio-giuridici alle forti spinte centrifughe che li caratterizzano. La realtà imperiale fu, infatti, ricca di particolarismi politici che assunsero gradualmente una sempre maggiore autonomia; l'Italia centro-settentrionale, ad esempio, pur facendo parte dell'impero, è costellata, sin dal secolo XI, di piccole realtà comunali, le quali nei secoli si rafforzeranno e si evolveranno.

β.3 Jus regium

Nella terza fase, che può essere cronologicamente individuata nei due secoli successivi, ovvero dal XVI al XVII, il particolarismo politico raggiunse la sua massima espressione, con la formazione di stati principeschi di rilevanti dimensioni e dotati di strutture politiche ormai consolidate.

Il principe si fece promotore di una politica unificatrice ed accentratrice; diventò egli stesso fonte di produzione giuridica; il diritto comune perse l'autorità indiscussa che gli era sempre stata riconosciuta19.

19 L'applicazione del diritto romano non è più scontata, ma è conseguente

soltanto all'accettazione, espressa o tacita, da parte del sovrano. All’interno dell’impero avviene ciò che fino a quel momento si era verificato nei territori esterni: in Francia, e più precisamente nei pays de droit écrit, il diritto romano costituiva fonte del diritto solo e soltanto perché riconosciuto dall’imperatore come pratica comune di quei territori.

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In tutto il continente si verificò il fenomeno che è stato definito di regionalizzazione del diritto comune20, ovvero uno sviluppo del diritto romano diversificato e aderente alle necessità di ciascun contesto socio-politico. Possono essere individuati due fattori concorrenti nella verificazione di questo evento.

Il primo consistette nel proliferare, all'interno delle diverse realtà politiche, di particolarismi giuridici.21 Questi furono generati da due elementi: in primis, la costante applicazione, giustificata dalla lacunosità del diritto sovrano, dei diversi e talora contrastanti diritti locali, presenti all'interno dello stesso regno; in secundis, l’appartenenza del soggetto di diritto ad un determinato "stato", "ordine", classe o ente associativo, che apriva le porte al moltiplicarsi non solo delle fonti applicabili, ma anche delle giurisdizioni competenti.

Il secondo fattore determinante nella formazione di diversi modelli di diritto comune fu lo sviluppo, in ciascuna realtà territoriale, di una sempre più forte e influente giurisprudenza centrale. Nei vari stati e principati il sovrano creò una corte di giudici accentrata, con competenza a decidere le controversia in ultima istanza.

Negli anni ciascuna istituzione assunse una propria forma specifica e seguì un proprio indirizzo, dando vita a quella che viene definita

20 Il Cavanna afferma che: «[il diritto comune] si particolarizza e si

regionalizza ed è `comune` solo in ciascuna unità politica statale: si consolida in tal modo la singolare realtà pratica e concettuale di più diritti comuni, ciascuno in riferimento ad uno specifico ordinamento […] ». A.

CAVANNA, Storia del diritto moderno in Europa, Le fonti e il pensiero

giuridico, I, Milano 1982, p. 72.

21 L'opera interpretativa e di mediazione dei giuristi, in tale intricato sistema

giuridico, con l'aumentare della sua indispensabilità, diede luogo inevitabilmente al dilagare di opinioni e pareri giuridici parzialmente, e talora anche totalmente, contrastanti. Lo strumento utilizzato per cercare di sciogliere e rendere più efficiente il sistema fu la communis opinio in consulendo, ovvero il riconoscimento di un maggiore valore autoritativo al parere giuridico che raccoglieva maggiori consensi o a quello pronunciato da esperti di chiara e comprovata fama.

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communis opinio in iudicando, l'antenato giuridico del precedente

giudiziario22.

β.4 Jus proprium

L'evoluzione del sistema del diritto comune attraversa la sua fase conclusiva tra la fine del XVII e il XVIII secolo, il periodo finale del c.d. tardo diritto comune, quando l'autorità della fonte romana fu messa in discussione. I particolarismi politici e giuridici che si erano gradualmente affermati nelle fasi precedenti assunsero in quest'ultimo tratto la loro conformazione più esasperata; la capacità, propria del diritto comune, di tenere insieme le diverse e contrapposte tendenze sociali e politiche perse progressivamente forza ed incisività. Tale momento terminale, che caratterizzò l'intera realtà europea continentale, vide una concretizzazione regionalizzata, diversa a seconda dell'ambiente di riferimento. Lo scoppio della Rivoluzione francese, tuttavia, ebbe una risonanza internazionale e la conseguenza della diffusione della scelta legislativa definita codificazione accomunò, infine, le diverse realtà politiche.

22 Le varie tendenze decisionali delle corti europee, tuttavia, non furono solo

un elemento di differenziazione del diritto comune, ma, in alcuni casi e in determinati momenti, costituirono al contrario un canale di omogeneizzazione giurisprudenziale internazionale. La diffusione delle sentenze dei tribunali al di fuori dei territori di competenza fu veicolo, talvolta, come nel caso della Sacra Rota dello Stato Pontificio, di formazione e consolidamento di vere e proprie tendenze giurisprudenziali comunitarie.

(23)

γ. La fine del diritto comune in Francia e in Italia centro-settentrionale

La situazione europea del Settecento risulta alquanto diversificata. Le realtà politiche maggiormente significative, nella regione continentale, sono tre: il regno di Francia, i territori germanici dell'Impero, gli Stati italiani.

γ.1 I principati tedeschi

La realtà germanica, cui si accenna brevemente, visse in questo periodo una condizione politicamente ed economicamente arretrata, rispetto al resto del continente. Non esiste un'entità centrale, ma una costellazione di principati territoriali; il diritto comune ha valore sussidiario rispetto ai diritti particolari, i quali d'altro canto sono fittissimi: dalle norme consuetudinarie locali alla legislazione statuaria cittadina, dalla normazione corporativa alla normazione dei vari principi. Nonostante la complessità del sistema, non si manifestò nel territorio germanico un movimento per la riforma dell’ordinamento giuridico, soprattutto a causa della mancanza sia di un centro di produzione normativa sia di una forte classe borghese che aspirasse all'ampliamento e al potenziamento dei propri traffici.

γ.2 Il Regno di Francia e il fermento borghese

Spostando l'attenzione verso occidente, la situazione si modifica radicalmente. Lo Stato francese rappresentò un vasto e compatto territorio, con una giurisdizione ed amministrazione relativamente accentrate; la sua struttura sarebbe stata il prototipo dei moderni stati

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nazionali. Dal punto di vista economico, l'attività trainante fu l'agricoltura e i proprietari terrieri furono la classe più tutelata da parte dell'autorità regnante. I traffici commerciali, però, assunsero con ritmo rilevante una sempre maggiore consistenza e crearono, all'interno della società francese, una ricca ed influente classe borghese.

La politica economica dei sovrani, dunque, ebbe come obiettivo principale quello di salvaguardare i privilegi e il potere degli aristocratici; peraltro, lo stesso diritto mercantile, ovvero quello riservato alla nuova classe borghese, non fu teso a facilitare la snellezza dei traffici e il loro incremento, ma finalizzato prevalentemente all'attuazione della politica fiscale e di controllo degli scambi.

La circolazione della ricchezza immobiliare risultò, anch'essa, fortemente osteggiata, e ciò a danno della classe emergente. Per un verso, la quantità di beni immobili disponibili fu radicalmente ridotta dalla diffusione della manomorta ecclesiastica23 e dei

fedecommessi24. Per un altro verso, la titolarità dei fondi era così ripartita: la piena proprietà era quasi esclusivamente riservata ai nobili, che la conservavano e trasmettevano all’interno della famiglia; sullo stesso bene, poi, si creava una costellazione di titoli giuridici minori oggetto di libero trasferimento, ma il cui contenuto risultava fortemente condizionato dalla presenza di vincoli personali e di diritti di riscatto.

Tale situazione proprietaria fu particolarmente rilevante nei paesi di diritto consuetudinario, ove non vigeva la sussidiarietà del diritto

23 Prima della rivoluzione francese, le proprietà immobiliari della chiesa

cristiana erano molto numerose e godevano di rilevanti privilegi: vincolo di inalienabilità ed esonero da tassazione per trasferimento mortis causa. Tali beni si consideravano pertanto intrappolati nella mano di un morto, senza alcuna possibilità di uscirne.

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comune, ma, al suo posto, aveva valore suppletivo la consuetudine regionale.

La Francia, infatti, prima del periodo codificatorio, viveva al suo interno una profonda divisione giuridica. Al nord, vi erano i pays de

droit coutumier, all'interno dei quali il pieno diritto di proprietà era

fortemente legato alla feudalità, con conseguente mortificazione della possibilità di disporre liberamente dei beni per contratto o per testamento. A riprova di questa tendenza, ogni fondo, in caso di incertezza, era ritenuto assoggettato ad una signoria sino a prova contraria, in ossequio al precetto "nulle terre sans seigneur".

Nel meridione, invece, nei territori che corrispondevano all'occitania, vi erano i pays de droit écrit, all'interno dei quali i diversi diritti locali sorgevano e si reggevano sulla sussidiarietà del diritto romano, ovvero del corpus iuris. In questa realtà la proprietà individuale, svincolata dal dominio signorile, era comparativamente più diffusa, con una conseguente maggiore libertà nella disposizione della stessa per atto tra vivi o mortis causa. In caso di incertezza sulla qualità signorile o allodiale, ovvero non soggetta a signoria, di un fondo, il precetto da seguire era "nul seigneur sans titre".

Questa particolare ed intricata situazione giuridica25 si affiancherà alla volontà degli animi borghesi di sancire definitivamente per la loro classe sociale un nuovo ruolo ed un nuovo potere all'interno della società. L'ondata rivoluzionaria e la successiva opera codificatoria avranno come obiettivo l'attuazione giuridica dei principi e delle

25 L'esigenza di certezza giuridica condusse, già a partire dalla fine del XVII

secolo, con le Ordonnances di Luigi XIV, e sino alla metà del XVIII, con quelle elaborate dal cancelliere e guardasigilli Daguessau, al tentativo di creare ordine nella situazione delle fonti.Gli strumenti utilizzati, le

Ordonnances appunto, ebbero l'obiettivo di abrogare una grande quantità di

norme preesistenti, di fornire ai pratici degli strumenti facilmente e velocemente consultabili; rimase salda, tuttavia, la volontà di mantenere inalterata la bipartizione iura propria - ius commune, e di non intaccare, dunque, la situazione generale dell'ordinamento francese.

(26)

teorie economiche liberiste: la creazione di unico soggetto di diritto e la conseguente eliminazione dei privilegi feudo-aristocratici. La condizione della classe mercantile nel periodo pre-codificatorio era, infatti, estremamente sfavorevole. La sopra descritta difficile circolazione delle proprietà immobiliari comportava, in un sistema economico preindustriale come quello francese, l'impossibilità di accedere al potere politico, che in tale contesto era fortemente legato alla terra: la frustrazione dei borghesi era dunque evidente, perché impediva loro di ottenere ciò che, nei fatti, avevano i mezzi per acquistare.

La creazione del profilo del proprietario unico, e quindi la consacrazione del rilievo economico e sociale raggiunto nella titolarità del fondo dall'utilista-borghese rispetto al direttario-aristocratico, vide certamente la sua piena consacrazione nel codice napoleonico; tale avvenimento fu, però, possibile grazie al lavoro preparatorio26 di alcuni giuristi, che posero le basi dottrinali

necessarie per realizzare la nuova politica di diritto.

Robert-Joseph Pothier27, fornì un apporto fondamentale alla

successiva opera codificatoria, tanto da essere definito il padre del codice civile. Precisamente, l'operazione giuridica e culturale attuata dal magistrato d'Orléans è stata definita dal Tarello unificazione descrittiva dei diritti distinti28. L'esigenza sottesa a tale operazione fu la stessa che spinse verso l'emanazione delle Ordonnances della prima metà del settecento, ovvero quella di individuare, per il Regno di Francia, un unico diritto vigente. Il Pothier, senza ricorrere

26 L’espressione è utilizzata in senso lato, per indicare il terreno giuridico su

cui è stato possibile erigere il Code Napoleon.

27 Il suo Trattato sul contratto di vendita sarà analizzato infra, nel capitolo

3.

28 G. TARELLO, Storia della cultura giuridica moderna, Assolutismo e

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all'intervento di alcun potere sovrano, riuscì a ridurre le differenze applicative tra diritto scritto e diritto consuetudinario, superando nella teoria ciò che nella prassi risultava insormontabile.

Il principale strumento utilizzato fu l'impiego di una terminologia univoca e ben definita, in grado di sfoltire e ridurre ad unità le innumerevoli discordanze lessicali e sostanziali; per fare ciò utilizzò il lessico romanistico, in parte attingendo dalla sistematica del Domat29. La scelta vincente, tuttavia, che rese il lavoro indispensabile per la fase codificatoria, fu quella di dare alle opere un taglio principalmente casistico; ciò non solo ne permise una rapida diffusione, dato l'apporto di numerose soluzioni di dettaglio, ma indubbiamente legò l'autore alle problematiche più rilevanti del periodo. Tra queste non poteva mancare la ricerca incessante, da parte della classe borghese, di un concreto riconoscimento giuridico.

Il Pothier, infatti, si cimentò nella razionalizzazione delle numericamente indefinite situazioni soggettive reali inerenti alla titolarità di diritti di godimenti sui beni non allodiali. Da tale studio, e per il tramite dell'operazione di unificazione descrittiva dei diritti distinti, riportò alla luce il termine latino proprietas, nella traduzione propriètè. L'utilizzo di tale espressione, nonostante risulti nel contesto francese una scelta «deviante» e «ardita»30, permise al giurista di riunire in un unico insieme definito le diverse situazioni reali e di stabilire che, in uno stato di divisione della titolarità del fondo, è proprietario colui che dispone delle utilità quantitativamente o economicamente più significative. Il direttario è anch'esso definito

29 Jean Domat nasce nel 1625 a Clermont. La usa educazione è

preoccupazione dello zio materno, Jacques Sirmond, giurista gesuita e confessore di Luigi XIII. Si laurea a Bourges nel 1646.Ha rappresentato l’altro grande pilastro, insieme al Pothier, della dottrina giuridica pre-codificatoria francese.

30 Queste parole sono del Tarello e si giustificano per la poca importanza

data, nell’operazione del Pothier, alla realtà giuridica; è prediletta l’esigenza di mettere ordine nell’intricato sistema reale, ricorrendo anche a forzature terminologiche. G. TARELLO, Storia della cultura giuridica moderna, p. 187.

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proprietario ma relativamente al diritto di signoria. Ecco, dunque, che l'importanza economica dell'utilista-borghese emerse con forza dalla prassi e ricevette la prima, seppur embrionale, legittimazione giuridica.

γ.3 Il Granducato di Toscana e le riforme leopoldine

L'Italia centro-settentrionale viveva, nel secolo XVIII, una condizione politica e giuridica relativamente più semplice. Il territorio risultava diviso in poche realtà politiche, i cui confini geografici restarono immutati fino al periodo napoleonico; il sistema giuridico era omogeneo, reggendosi sempre sulla sussidiarietà del diritto comune rispetto al diritto proprio dello Stato.

Come nel resto d'Europa, tuttavia, anche in Italia il pluralismo giuridico e il dinamismo economico sollevarono esigenze di rinnovamento e stimolarono le autorità sovrane a compiere un intervento legislativo adeguato. Le risposte dell'autorità saranno, però, diversificate, in quanto rapportate alle specifiche caratteristiche dei vari Stati. Rappresenteranno dei tratti comuni la scelta di mantenere inalterata la cogenza sussidiaria del diritto comune e la creazione di un corposo e speciale diritto mercantile.

Vittorio Amedeo II, sovrano della Casa Savoia, intraprese e attuò una lungimirante ed innovativa politica antinobiliare. A partire dal 1720, il sovrano utilizzò pretestuosamente un editto del 1445 per confiscare e devolvere al demanio numerosi feudi, in quanto costituiti, secondo quell'editto, illegalmente. Negli anni immediatamente successivi, emanò Le Costituzioni di S.M. il Re di Sardegna, con l'obiettivo di ricompilare ed ammodernare le leggi dello Stato. Specialmente gli ultimi due libri, dei sei totali, introdussero numerose novità nel

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campo del diritto privato, in materia di successioni, fedecommessi, feudi e privilegi fiscali: la capacità sussidiaria del diritto comune si ritrovò drasticamente ridotta, in favore della legislazione propria dello stato31.

Il Granducato di Toscana visse, nei primi anni del Settecento, una stagione riformatrice meno drastica. Sulla scia delle riforme piemontesi, nel 1745, il sovrano Francesco di Lorena diede incarico a Pompeo Neri di realizzare una semplificazione ed adattamento del sistema normativo. L'intenzione del Neri era quella di limitarsi ad una chiara riorganizzazione del complesso normativo vigente, senza intaccare minimamente il ruolo del diritto romano.

Il progetto di raccolta e riorganizzazione delle normazione civile del Granducato non trovò attuazione e non si realizzò neanche negli anni successivi, quando ne fu dato incarico a Giuseppe Vernaccini32, il quale non riuscì a concretizzare l'opera a causa della morte improvvisa.

La tradizione giuridica del diritto comune persistette in Toscana sin dopo l’Unità d’Italia. Non vi furono né tensioni socio-economiche né correnti dottrinali capaci di rivoluzionare tale assetto ordinamentale. Come afferma il Landi, «[la difesa del diritto comune in Toscana e la codificazione napoleonica rispondono] entrambe alla conservazione di una società borghese […]. [Le due realtà] hanno però risolto diversamente il ruolo dei giuristi al proprio interno»33.

31 L'obiettivo di privilegiare la certezza e chiarezza del diritto a discapito

della proliferazione dell'attività interpretativa esercitato sullo ius commune è sintomaticamente evidenziato dalla presenza, nelle Costituzioni, del divieto per avvocati e giudici di citare le autorità dottrinali richiamate, rispettivamente, nelle difese e nelle sentenze.

32 La figura del Vernaccini e alcune delle decisioni da lui raccolte in qualità

di uditore della Rota Fiorentina saranno analizzata infra, nel capitolo 4.

33 Con queste parole, il Landi rileva la diversa posizione assunta dai giuristi

negli ordinamenti attraversati dal fenomeno codificatorio. L’opera interpretativa da pilastro dell’applicazione giuridica nel sistema di diritto comune si trasformava in expositio, ovvero mera «corretta intelligenza del

(30)

Accanto ai progetti codificatori, il Granduca mise in atto scelte politiche all’avanguardia34. Dal punto di vista economico, puntò sull’agricoltura e realizzò non solo le bonifiche di Valdichiara e di Maremma, ma favorì soprattutto la creazione di piccole unità agrarie, attraverso l’abolizione delle servitù feudali, delle servitù contadine e dei vincoli fidecommissari. La politica finanziaria, indirizzata a reperire le risorse per la realizzazione delle opere agricole, diede vita ad una tassazione svincolata dallo status sociale e basata esclusivamente sulla qualità di proprietario.

Se la ristrutturazione del diritto civile non vide la luce, di tutt'altro segno furono i risultati della politica riformatrice del Granduca Leopoldo I in campo penalistico. La Toscana, nel 1786, si dotò del c.d. Codice Leopoldino35. Ciò che rese la riforma degna di essere

annoverata tra le codificazioni moderne, nonostante l'assenza di statuizioni imperative36 e di un'abrogazione totale del diritto previgente, è il suo contenuto sostanziale, relativamente all'adozione di una applicazione proporzionalistica della pena e, soprattutto, all'abolizione della pena di morte.

testo, al fine di consentirne l’applicazione». Le citazioni sono tratte da A.

LANDI, Tra diritto comune e codice civile. Francesco Forti e il problema

dell’interpretatio nella Toscana della Restaurazione, in «Storia giuridica

per futuri giuristi. Temi e questioni», Torino, 2015, cap. VII, pp. 165 e 202.

34 Vedi G. TARELLO, Storia della cultura giuridica moderna, p. 543. 35 Il titolo della pubblicazione fu Riforma della legislazione criminale

toscana.

36 Le disposizione non hanno il tenore di coercizioni, di comandi, ma sono

(31)

δ. Il sistema contrattuale e la voluntas partium

La situazione socio-politica pre-codificatoria e pre-rivoluzionaria europea vide una classe emergente, quella borghese, affannarsi per ottenere un riconoscimento giuridico degno del potere economico raggiunto.

Per meglio comprendere tale obiettivo, appare utile analizzare una questione fondamentale per lo studio dell’evoluzione del diritto privato: l'autonomia riconosciuta ai soggetti giuridici nella conclusione e regolamentazione del negozio giuridico.

La portata della capacità dei soggetti giuridici di articolare il proprio regolamento di interessi nel modo più confacente alle esigenze pratiche e contingenti ed in regime di autonomia rispetto ad autorità esogene ha avuto una diversa conformazione in ciascuna esperienza storico-giuridica. Si tratta di un’area di operatività giuridica in cui sono sicuramente attori le parti contraenti, ma che non ha avuto sempre le stesse dimensioni e consistenza.

La specificazione delle regole contrattuali, e la relativa attribuzione del valore vincolante inter partes, sono momenti fondamentali nella procedura di perfezionamento dell’accordo contrattuale, che, tuttavia, non hanno origine nella sola volontà delle parti, ma assumono importanza giuridica in ragione dell’ordinamento di appartenenza. È l’ordinamento, cui i soggetti giuridici appartengono in forza di un precedente accordo sociale, che, attraverso le strutture e le procedure che lo compongono, rende attuabili l’applicazione e il rispetto dei patti privati.

Le possibili combinazioni, dunque, tra la causa diretta ed immediata di produzione di effetti giuridici tra le parti e la causa

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ultima degli stessi sono varie e diverse. Per causa ultima si intende l’ordinamento giuridico di riferimento, dal quale deriva qualsiasi potere che risulti essere nella disponibilità delle parti e che permetta loro di vincolarsi reciprocamente; causa diretta è, invece, il regolamento d’interessi convenuto nella fattispecie concreta tra le parti stesse. Questi due momenti, generatori della legge contrattuale, hanno assunto ruoli e pesi diversi, adattandosi alle differenti condizioni storiche e alle diverse scelte di politica del diritto. L’attuale assetto dell’autonomia contrattuale, ad esempio, risulta diverso da quello dell’esperienza romana; quest’ultima presenta, inoltre, profonde divergenze rispetto al sistema del tardo diritto comune.

È necessario, a questo punto, per comprendere le differenze che intercorrono tra i diversi modelli del sistema dell’autonomia contrattuale, individuare le variabili che maggiormente caratterizzano i possibili equilibri tra causa diretta e causa ultima dell’accordo contrattuale. Si tratta di evidenziare i profili giuridici che più influiscono sulle differenti configurazioni dell’autonomia contrattuale e del ruolo dell’ordinamento.

δ.1 Numerus clausus et numerus apertus

Se volessimo tracciare un grafico raffigurante l’autonomia contrattuale riconosciuta in capo agli operatori giuridici, non potremmo non fare riferimento innanzitutto al grado di tipizzazione dei rapporti giuridici nell’ordinamento. Assumendo il punto di vista delle parti che sono in procinto di dare forma al proprio regolamento di interessi, risulta fondamentale la distanza che intercorre tra l’obbligo di scelta all’interno di un numerus clausus di rapporti

(33)

giuridici predisposti dall’autorità e la libertà di poter determinare ex novo il contenuto del vincolo contrattuale, senza dover rispettare alcuno schema preimpostato. Il sistema romano, ad esempio, era fortemente tipizzato; le parti avevano la possibilità di determinare il sinallagma prestazionale solo scegliendo all’interno dei modelli qualificati dall’ordinamento come leciti e ammissibili. All’interno della locatio conductio37, ad esempio, rientravano non solo le ipotesi classiche di godimento temporaneo di un bene dietro il pagamento di un canone, ma anche gli attuali contratti d’appalto e prestazione d’opera professionale.

δ.2 Il potere qualificatorio

La seconda dimensione che ci permette di tracciare al meglio la fisionomia giuridica della libertà dei privati nelle varie situazioni storiche consiste nell’accertare la presenza o meno in capo ai contraenti del potere di qualificare autonomamente il rapporto giuridico. Distinguendo dalla altrettanto importante capacità di determinare il contenuto del regolamento di interessi, si tratta di individuare il soggetto giuridico titolare del potere di inclusione della disciplina particolare del vincolo contrattuale nella corrispondente categoria generale. È evidente la relazione di inversa proporzionalità che intercorre tra la presenza nel contesto giuridico di riferimento della libertà per le parti di ricorrere a schemi negoziali non tipizzati e la rilevanza del potere qualificatorio dei rapporti stessi. Il ruolo del momento definitorio del vincolo creato dalle parti contraenti assume pertanto molta più importanza in un sistema tipizzato.

37 L’istituto romano della locatio conductio comprendeva al proprio interno

tre modelli contrattuali: locatio conductio rei, locatio conductio operis e

locatio conductio operarum. Cfr. A. PETRUCCI, Lezioni di diritto privato romano, Torino 2015, pp. 279 e ss.

(34)

Nel sistema attuale, ad esempio, il potere qualificatorio è nella sola disponibilità del giudice38, organo terzo, estraneo al rapporto giuridico. Da ciò si ricava una certa tipizzazione all’interno del vigente sistema italiano; tipizzazione che, tuttavia, può essere definita mitizzata, non essendovi un rigido elenco di schemi contrattuali ai quali le parti devono obbligatoriamente attingere per reciprocamente obbligarsi. Accanto ai contratti disciplinati nel codice civile e nelle leggi speciali è posta, all’art. 1322, secondo comma39, una clausola generale: se il regolamento di interessi è meritevole di tutela, pur non essendo tipizzato, viene ugualmente riconosciuto dall’ordinamento come valido e lecito.

δ.3 Il contenuto contrattuale

La terza variabile è il ruolo della volontà delle parti nella determinazione del contenuto contrattuale, ovvero il grado di libertà riconosciuto ai contraenti nel determinare il contenuto delle prestazioni cui vicendevolmente si obbligano.

Anche questa dimensione è strettamente legata con le precedenti: ad un sistema fortemente tipizzato corrispondono sia un forte ed esterno, rispetto ai contraenti, potere qualificatorio sia una minima libertà e autonomia nella individuazione delle rispettive obbligazioni. Viceversa, in un contesto meno rigido, nell’assenza di forti schemi

38 Si riporta, a titolo di esempio, un estratto di una recente sentenza emanata

dalla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro: «In ordine al rilievo del

nomen iuris attribuito dalle parti al rapporto, si è osservato come sia principio risalente, che la volontà negoziale non ha il potere di qualificare giuridicamente i rapporti posti in essere, trattandosi di compito riservato al giudice». Cass. Sez. Lav. , 21 ottobre 2015, n. 21424.

39 «Le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai

tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico».

(35)

negoziali, proporzionalmente al temperamento del potere qualificatorio, le parti acquistano una forte capacità operativa nella determinazione del contenuto contrattuale.

L’attuale conformazione dell’ordinamento italiano risulta adatta ancora una volta ad essere individuata come una soluzione di compromesso tra i possibili estremi or ora descritti: le parti contraenti godono di una rilevante discrezionalità nella determinazione del contenuto contrattuale e in minor misura nel procedimento qualificatorio, che è nella disponibilità del giudice. La possibilità delle parti di determinare il contenuto del contratto, però, non è assoluta, in quanto circoscritta da alcuni limiti invalicabili.

Il primo limite è evidente, ed è già stato richiamato: si tratta del potere qualificatorio posto in capo al giudice; ciò significa che la volontà delle parti non può spingersi sino alla auto qualificazione del negozio giuridico.

Il secondo è richiamato espressamente dall’art 1322, 1° cc40, il quale

sanziona come nulli il contratto o la clausola contrastanti con norme inderogabili o imperative.

Il terzo ed ultimo limite si sostanzia nella maggior tutela accordata al consumatore nel contratto stipulato con l’operatore economico: le c.d. clausole vessatorie41 necessitano di apposita sottoscrizione e devono rispettare la buona fede oggettiva.

40 «Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei

limiti imposti dalla legge e dalle norme corporative».

(36)

δ.4 Il dogma della volontà

Il sistema contrattuale dell’età del diritto comune, alla luce delle variabili sopra descritte, si presentava in una veste giuridica particolare: ad una quasi del tutto assente tipizzazione degli schemi giuridici da parte dell’autorità si affiancava, nella determinazione del contenuto contrattuale, l’egemonia assoluta della volontà delle parti; quest’ultima, per di più, assorbiva al proprio interno il momento qualificatorio. Si evince, così, una grande libertà per i contraenti, tant’è che si è soliti caratterizzare quest’esperienza giuridica con l’espressione dogma della volontà. I privati potevano scegliere un modello contrattuale consueto, previsto espressamente dalle fonti, oppure potevano adattare in autonomia quasi assoluta gli schemi esistenti alle esigenze nuove. L’obiettivo era quello di creare il vincolo giuridico più adatto alla situazione contingente; lo strumento più efficace a tal fine utilizzato era la possibilità di auto qualificare il vincolo stesso. Le parti tracciavano il contenuto del proprio regolamento di interessi, e assegnavano a quest’ultimo il nomen juris che ritenevano più adatto; questo meccanismo permetteva di scegliere il modello di riferimento e l’eventuale disciplina generale cui rifarsi in caso di lacune della convenzione stipulata.

La descrizione teorica appena fatta necessita, però, di una prospettiva storica, la quale è indispensabile al giurista, come sostiene il Santarelli, per garantire «della bontà delle sue conclusioni, per consentirgli – meglio di tanti controlli puramente argomentativi ed astratti – di restare sul terreno concreto della reale esperienza giuridica»42.

(37)

Nell’opera citata, il Santarelli mette in luce la nascita e l’evoluzione del deposito irregolare prima, della categoria dei contratti irregolari poi. L’esperienza storica di riferimento è quella del diritto comune, che attraversa sia l’esperienza giuridica basso-medievale sia quella moderna.

L’humus fertile su cui si regge l’indagine storica del Santarelli è l’antinomia tra il biblico e storico divieto delle usure ed il relativamente nuovo e contingente contratto di deposito irregolare. Si tratta di antinomia in quanto è innegabile la contraddittorietà giuridica che sussiste tra il divieto di prestare denaro dietro il versamento di tassi d’interesse e la possibilità di trasferire la proprietà su una determinata quantità di un bene fungibile, quale è il danaro, con la possibilità, per il depositante, di partecipare agli utili ricavati dal depositario con l’utilizzo del bene depositato43.

43 Il quadro storico-giuridico, che all’apparenza potrebbe risultare semplice,

nasconde un passaggio storico fondamentale nell’esperienza giuridica. Il deposito irregolare non può essere ridotto a semplice strumento utilizzato dai soggetti giuridici per eludere la vincolatività del divieto delle usure. Si tratta certamente di una risposta alle esigenze pratiche e concrete del nuovo paradigma economico, incentrato tutto sulla figura del mercante e sulla sua produttività; ma è anche un istituto giuridico che, tramite un’incubazione secolare, determina il passaggio ad un nuovo sistema contrattuale e l’emersione di nuovi principi giuridici. Per comprendere a pieno le cause di questo radicale mutamento di angolo di visuale, è necessario scendere nel concreto della realtà economica del tempo. Come osservato, il contratto di deposito irregolare è socialmente tipico; sono i mercanti ad adoperarlo maggiormente, se non esclusivamente, in quanto detentori di un ruolo egemone all’interno della nuova economia, quella mercantile appunto, che ha soppiantato quella curtense. La crescita della popolazione, la conseguente migrazione dalle campagne verso la città, la crisi di un’economia autosufficiente e chiusa, oramai non praticabile, sono i presupposti del nuovo paradigma economico. Le varie economie territoriali devono ora collegarsi tra loro, intrecciare vicendevolmente domanda e offerta, per dare soddisfazione ai bisogni della popolazione in aumento. La cinghia di trasmissione di questo nuovo motore economico è il mercante, con il suo intuito imprenditoriale, e la voglia di intraprendere attività rischiose, ma remunerative.

Ecco allora che il denaro perde la funzione che solitamente ha ricoperto, o meglio, ne assume un’altra: accanto alla ricchezza statica, intesa come patrimonio fisico da mantenere e conservare, si affianca una ricchezza dinamica, perché capace di passare facilmente dalla titolarità di un soggetto

(38)

L’opera del Santarelli è utile, ai fini del presente lavoro, perché permette di fornire prova delle sopra descritte caratteristiche del sistema contrattuale del diritto comune.

L’assenza di una tipizzazione rigida dei rapporti giuridici emerge, ad esempio, da una fonte della metà del XIII secolo: la Summa artis notariae di Rolandino de’ Passeggieri44. Si tratta di un manuale adoperato per secoli, in sostanza sino all’entrata in vigore delle codificazioni, nelle scuole di notariato; Rolandino, infatti, fu maestro di arte notarile nella città di Bologna. L’apporto informativo della fonte è enorme: tra gli schemi forniti agli studenti vi sono tre modelli di instrumentum depositi e tutti hanno ad oggetto danaro, con conseguente passaggio di proprietà tra depositante e depositario. L’unica fattispecie di deposito richiamata nel formulario non è quella tipizzata, quella regolare, ma quella irregolare. L’elemento più rilevante si sostanzia nell’oggetto comune degli schemi notarili, ovvero il danaro e, per di più, nel primo degli esempi riportati dal Rolandino, il depositario viene qualificato come cives et mercator. Da ciò si evince che nell’età basso-medievale era diffusa la pratica economica di depositare denaro con conseguente passaggio di proprietà; che si trattava di una pratica sostanzialmente riservata al ceto dei mercanti; che il sistema contrattuale del diritto comune non era dominato da una tipicità rigida e inderogabile, ovvero discendente

a quella di un altro. Il mercante ha bisogno di capitali da investire per intraprendere le dispendiose ma lucrose attività commerciali in giro per il mondo; il banchiere, dunque, entra in gioco. Il depositante può non solo assicurare il proprio denaro in una cassaforte; può anche convenire il passaggio di proprietà del bene fungibile, dietro la partecipazione agli utili conseguiti dal mercante depositario.

44 Precisamente Summa artis notariae, cap. III, già citata da U.

SANTARELLI, La categoria dei contratti irregolari, Torino 1990, pp. 106 e ss.

Rolandino de’ Passeggeri (1234-1300), con l’opera Ars notariae, effettuò un’attenta e completa risistemazione della materia notarile.

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